Set 28, 2006 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Dieci anni fa alcuni membri del Movimento dei Focolari di Città del Messico sono venuti a trovare la nostra comunità indigena del monte Huasteca di Santa Cruz, formata da circa 3000 persone. Sono 32 le comunità indigene di quella zona, immersa tra colline verdi e boschi, ma senza vie di accesso per le auto. Le uniche strade che portano alle comunità si raggiungono a piedi. A causa di questo isolamento, spesso ci siamo trovati di fronte a numerose difficoltà, soprattutto di carattere sanitario, ecco perché sono nate le “brigate sanitarie”, formate da medici, infermieri e membri del Movimento dei Focolari che partono da Città del Messico e arrivano, fin dove la strada lo permette, in pullman o in camion. Da lì proseguono a piedi o a cavallo per portare medicine, cibo e vestiti. In questi anni a Santa Cruz è sorta una bella comunità dei Focolari, con profondi rapporti di fraternità tra noi indigeni, bianchi e meticci. Anche Marcelino fa parte della comunità indigena ed è, come me, un volontario. La spiritualità dell’unità ha cambiato la nostra vita radicalmente, rinnovandoci come uomini. L’amore di Dio, arrivato come un vento fresco, ci ha spinti a concepire la vita come dono per gli altri. Marcelino, per un anno è stato eletto responsabile della comunità di Santa Cruz. Era sorpreso e indeciso: sua moglie non voleva che accettasse, perché il responsabile della comunità non riceve alcuno stipendio per tale servizio, il che significava una grande perdita economica per la loro famiglia. Sentiva, però, che Dio gli chiedeva una nuova scelta di Lui, più radicale, e come volontario non poteva tirarsi indietro. Ne ha parlato con sua moglie e insieme hanno deciso che avrebbe accettato l’incarico e che avrebbero lavorato il doppio per mantenere la loro famiglia. Per questo incarico si sarebbe occupato dello sviluppo economico, religioso, culturale, di questioni legali e dei rapporti della nostra comunità con una cittadina vicina. Ha cercato la collaborazione tra tutti e ha scelto me come consigliere di fiducia, per portare avanti queste attività con Gesù in mezzo a noi. La nostra avventura insieme è iniziata proponendo al sindaco della cittadina di visitare la comunità. E’ rimasto talmente colpito dall’accoglienza cordiale, che ci ha assicurato la pavimentazione in cemento di alcune strade e di 152 piccole case. Immaginate la nostra gioia, dal momento che le strade sono di terra e diventano inaccessibili quando piove. Dopo alcuni mesi, però, le opere non erano ancora avviate. Ci sentivamo delusi, traditi, ma siamo andati avanti. Abbiamo deciso di incontrare il sindaco per avere chiarimenti, ma sembrava che avesse sempre impegni e non ci riceveva. Eravamo decisi a non mollare, perché sostenuti da Qualcuno lassù, certi che ci avrebbe accompagnato in ogni passo. Ci siamo messi davanti alla sede del municipio, senza fare confusione, ma non ci siamo mossi dal portone finché non gli abbiamo parlato. Finalmente, per la nostra insistenza, il sindaco ha dato il via ai lavori. Sì, molti. Il primo frutto è stato constatare quanto fosse maturata la nostra comunità. Questo è stato riconosciuto in occasione di un fatto che ha scosso tanto l’opinione pubblica: l’assassinio di un politico della nostra Regione in seguito a forti tensioni tra opposizione e maggioranza. Successivamente, in una riunione con i rappresentati politici locali e delle altre comunità indigene, la nostra comunità è stata portata come esempio di convivenza civile e democratica, per come aveva operato in quei difficili momenti. (A. L. – Messico) (altro…)
Set 28, 2006 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Sono stata Procuratore generale, specializzata in antinarcotici, in Colombia, per circa 11 anni. Ho dovuto seguire numerosi casi contro il crimine organizzato, per il 98% con risultati positivi. Sempre sono stata consapevole che ogni reato riguardava la vita di un uomo e di una famiglia, che esigono rispetto, amore, considerazione, malgrado la gravità, penalmente rilevante, degli atti commessi. Mi sentivo felice in un compito che mi dava la possibilità di fare una esperienza continua di Dio. Nello stesso tempo ero realizzata personalmente e professionalmente, oltre ad avere una sicurezza economica. Contavo poi su un’eccellente squadra di lavoro, esperti investigatori con grandi valori umani e professionali. La corruzione, però, cercava d’infiltrarsi più che mai in tutte le istituzioni pubbliche, soprattutto tra gli operatori della giustizia. Il mio agire radicale e retto coinvolgeva tutto il gruppo di lavoro, per questo le investigazioni avvenivano nel pieno rispetto della legge. Un giorno abbiamo “toccato” qualcuno che si considerava intoccabile. L’offerta non si è fatta attendere: vari milioni, che potevano assicurare tanta serenità a livello economico. Non potevo, né volevo cedere né potevo far finta di niente. Da quel momento le cose sono cambiate per me, sul lavoro, in famiglia e nella vita quotidiana. Di fronte al rifiuto sono arrivate minacce, pressioni da parte dei superiori e infine il licenziamento, insieme a uno dei miei migliori investigatori che, come me, non aveva ceduto alla corruzione. Nel cuore ho provato tanta amarezza, sfiducia e delusione. Vivevo da sola con i miei figli perché, mio marito anni prima mi aveva abbandonato. Guardando i miei due figli, indifesi, ho pensato che tutto è permesso da Dio per la nostra santificazione. Sentivo che stavo pagando il prezzo per rimanere nella retta strada. D’accordo con i figli ci siamo proposti di ridurre tutte le spese. Eravamo sereni perché sicuri dell’immenso amore di Dio. Ho chiesto a Dio la forza necessaria per perdonare quelli che mi costringevano a cambiare il tenore di vita che avevo condotto fino a quel momento. Sforzandomi di vivere “un’amnistia completa nel cuore”, ho trovato la vera libertà e la forza di ricominciare. Con il denaro che mi restava dalla liquidazione e qualche risparmio ho acquistato un pulmino scolastico. La mia giornata, come autista, iniziava alle 4.45 per trasportare i bambini delle scuole. Mi costava attraversare i luoghi dove sapevo di poter incontrare i miei precedenti colleghi o i superiori. Rapidamente era circolata la notizia che “il Procuratore, chiamato ‘la dama di ferro’, faceva l’autista”. Alcune risate e commenti spiacevoli sono arrivati anche alle mie orecchie. Dopo circa un anno un professionista, che conoscevo, mi ha chiesto di collaborare per la preparazione di un lavoro per l’Ufficio dell’ONU contro la droga. Ciò mi ha permesso di rientrare nuovamente nel campo della mia specializzazione seppure con un compenso minimo, collaborando con operatori di tutta l’America Latina e dei Caraibi. L’Organismo internazionale ha apprezzato la mia professionalità e serietà e mi ha assunto con uno stipendio mensile dignitoso. Sto ora dando lavoro anche ai miei colleghi della Procura. All’inizio avevo timore di affrontarli, conoscendo il loro modo scorretto di agire e gli apprezzamenti su di me. Ho supplicato la Madonna di colmarmi dell’umiltà necessaria per dimenticare il passato e non giudicare. Non è stato facile ma sento molto forte l’amore di Dio per me e per la mia famiglia. (D. L. – Colombia) (altro…)
Set 28, 2006 | Focolari nel Mondo
Quando anni fa ho iniziato a lavorare in un centro di riabilitazione, ero da sola e cercavo di vivere il Vangelo cercando di vedere Gesù nel fratello, sia nel paziente sia nel collega. Nel giro di qualche mese ho approfondito la conoscenza di una collega, che stava vivendo un momento difficile, perché aveva deciso di separarsi dal marito. Ho cercato di volerle bene, così, a poco a poco, ha voluto sapere perché mi fermavo fuori dell’orario di lavoro per stare ad ascoltarla. Con mio marito abbiamo cercato di coinvolgere anche suo marito. Condivide ora con me l’impegno di volontaria. Eravamo finalmente in due: ogni mattina offrivamo a Gesù tutte le difficoltà, cercavamo di vedere le cose insieme. A noi poi, si sono aggiunte altre persone. Questo spirito stava trasformando anche il nostro operato nell’ambiente di lavoro: sentivamo che dovevamo porre al centro della nostra attività di riabilitazione il paziente. Un giorno il primario, che aveva notato il nuovo stile di lavoro, mi ha chiesto se ero disposta a trasferirmi con lui per costituire un nuovo Polo riabilitativo in un paese dell’Italia del Nord, esprimendo il desiderio che venissero anche altri della nostro gruppo. Ci siamo confrontati insieme e abbiamo capito che poteva essere un’occasione per realizzare quel sogno che avevamo nel cassetto: la persona disabile, insieme alla sua famiglia e alla comunità circostante, protagonista del processo riabilitativo. Così abbiamo aderito alla proposta, anche se per noi significava andare a lavorare più lontano. Dopo un periodo in cui le difficoltà per allestire il nuovo centro non sono mancate, le cose vanno bene. Gli echi sono più che positivi, anche sui mass media. Sono responsabile dell’area riabilitativa, coordino più di un centinaio di operatori tra fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali e terapisti dell’età evolutiva e, con il contributo degli altri membri della cellula, che nel frattempo è arrivata a trenta persone, cerco di trasmettere alcune linee fondanti, come il fatto che il progetto riabilitativo deve tener conto, per ogni paziente, dei suoi bisogni e delle sue preferenze, perché è importante privilegiare il rapporto con lui. (M. D. – Italia) (altro…)
Set 28, 2006 | Focolari nel Mondo
Sono medico, specialista in malattie infettive, e sono in contatto con i pazienti sieropositivi e malati di AIDS da 23 anni. Sono il referente per questa patologia nell’ospedale dove lavoro a Kinshasa, la capitale del Congo. Ho imparato molto presto nella vita a partecipare alla trasformazione della società nella quale vivo. Creare una società nuova e giusta, nella quale l’uomo è al centro delle preoccupazioni di tutti i membri della comunità, è stato così uno degli obiettivi della mia vita. Ho dunque deciso di fare il medico per mettermi al servizio dei miei fratelli. Terminati gli studi di medicina, mi sono trovato ad affrontare una grande sfida: le condizioni di lavoro erano sempre più degradanti, gli stipendi insignificanti. Le condizioni materiali del medico non portavano a una coscienza professionale e all’onestà. Per sopravvivere bene bisognava lavorare in organismi internazionali o in cliniche private . Molti miei colleghi medici sono emigrati in Europa o negli Stati Uniti. Ad un certo punto sono stato tentato anch’io di emigrare. Dopo aver riflettuto con mia moglie, abbiamo deciso di restare nel Paese, accettando la situazione: malati poveri, condizioni difficili di lavoro, mancanza di materiale e a volte tentativi di corruzione. Ciò che mi dava coraggio era lavorare insieme a medici del Movimento e ad altri che, come me, sentivano di mettere il malato al primo posto. All’inizio eravamo spaventati dalla possibilità di essere contagiati dal virus: le scarse condizioni igieniche e le strutture sanitarie carenti non ci davano alcuna garanzia. In quel periodo il nostro Paese era in piena crisi socio-economica e politica. Non ricevevamo più aiuti dalla cooperazione internazionale. Poi è scoppiata la guerra con il carico di drammi che ogni conflitto porta con sé. Avevamo grandi difficoltà a curare i malati di AIDS, ma abbiamo continuato ed è stata davvero l’occasione di vivere concretamente l’amore. La nostra azione si è concretizzata in alcune attività dirette alla cura dell’AIDS e alla prevenzione. Per la cura dei malati, con l’aiuto dell’Associazione Mondo Unito è stato possibile costruire una struttura sanitaria completa di laboratorio di analisi. Inoltre è stato avviato un programma di cura a base di farmaci specifici, finalmente disponibili anche in Africa e garantiti a tutti, anche ai più poveri. Tutto ciò è stato il frutto di recenti scelte da parte dell’ONU nelle strategie di lotta contro l’AIDS. Per la prevenzione è stata avviata in maniera sistematica la formazione di educatori e divulgatori con il compito di intervenire sul piano psicologico, sociologico e morale presso i giovani e le famiglie, al fine di operare nella popolazione un cambiamento di comportamenti. Il contenuto principale dei corsi consiste nel dare informazioni complete e corrette sulla trasmissione e prevenzione della malattia. Alcuni pensano infatti che il virus provenga da manipolazioni di laboratorio, altri ne vedono l’origine in Dio a causa del peccato, quasi una sorta di punizione. Queste concezioni, spesso legate alla cultura africana, sono molto difficili da sradicare. Per questo si cerca di approfondire l’origine della malattia, gli effetti del virus sul sistema immunitario e i mezzi di prevenzione dell’AIDS. Oltre allo sviluppo di attività produttive per migliorare l’alimentazione di base, si è cercato anche di garantire un sostegno psico-sociale ai malati e alle loro famiglie. (M. M. – Congo) (altro…)
Set 4, 2006 | Focolari nel Mondo
Sono portatrice di handicap uditivi e visivi, risultato di una malattia che mia madre ha contratto durante la gravidanza. Man mano che crescevo, mi rendevo conto che ero diversa dagli altri. Mi sentivo emarginata e soffrivo molto. Volevo partecipare, aiutare, ma le persone attorno a me spesso mi mettevano da parte, dicevano che non ero capace e che non sarei mai riuscita. Ho incominciato a impegnarmi molto negli studi, pensando di essere accettata. Mancava ancora qualcosa e molte volte, piangendo, mi sono chiesta: “Perché è avvenuto tutto questo? Perché Dio ha voluto questo per me?” A 25 anni sono stata invitata a partecipare ad un incontro tenuto da un sacerdote per persone con difficoltà uditiva come me. Lui aveva in mano una pagina del Vangelo che cercava di spiegare con molta difficoltà perché non conosceva il linguaggio dei segni. Mi sono offerta di aiutarlo e ho illustrato le parole di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Quando l’incontro si è concluso, ho riflettuto su quelle parole: dovevo incominciare ad amare come Gesù, a perdonare come Gesù. Ho conosciuto alcune persone del Movimento dei Focolari e ho iniziato a partecipare agli incontri, insieme ai giovani, cercando di mettere in pratica il Vangelo. La domanda che mi ero posta tante volte – “Perché, mio Dio?” – ha trovato finalmente la risposta: “Per meglio amare Dio, sarò un Suo strumento d’amore nel mondo”. Ho capito quanto fosse importante vedere e ascoltare con il cuore. A scuola Ora sono insegnante e, da quando ho cominciato questo lavoro, ho sentito l’esigenza di impostare la mia attività in maniera nuova. Lavoravo in una scuola per persone con deficit uditivi, collaboravo per introdurre un metodo centrato sulla cultura della persona sorda, utilizzando il linguaggio dei segni con l’appoggio della lingua portoghese. Parallelamente, cercavo di adottare un altro metodo, basato sull’ “arte d’amare”, che mi diceva di amare tutti, amare per prima, “farmi uno” con ciascuno, cosicché ogni allievo si sentisse una persona speciale. Una volta la direttrice ha convocato tutti i professori, chiedendomi di illustrare il mio metodo. Ho parlato di come cercavo di immedesimarmi nella vita degli studenti, fino a diventare una cosa sola con ciascuno. I colleghi erano così colpiti che molti di loro subito dopo hanno voluto cambiare metodo. Al catechismo Anni fa ho partecipato a una messa dove diversi ragazzi non udenti ricevevano il sacramento dell’Eucarestia. Mi sono accorta che non capivano bene ciò che stavano facendo perché non erano stati preparati adeguatamente. Dopo un tirocinio in Italia, in un Istituto per persone sorde, ho deciso di occuparmi della catechesi dei non udenti nella mia parrocchia. I risultati sono stati immediati: ho utilizzato il linguaggio brasiliano dei segni, focalizzando le lezioni sul testo della Messa domenicale. Subito dopo sono stata invitata a coordinare tutte le attività di questo tipo nella provincia del Paraná (Brasile), che coinvolge 16 diocesi e ho incominciato a incontrare periodicamente i catechisti. Mi sento realizzata, felice, perché mi rendo conto che la spiritualità dell’unità mi ha aperto la strada per contribuire alla costruzione di un’umanità rinnovata dall’amore. R. A. (Brasile) (altro…)