Set 14, 2000 | Focolari nel Mondo
Carico l’auto e parto di corsa: quando arrivo a casa di mia sorella, cerco la borsetta ma non la trovo. Mi rendo conto di averla smarrita chissà dove durante il tragitto. La borsetta contiene molti effetti personali: agenda, documenti, foto di famiglia, ma anche soldi non miei, provenienti dalla comunione dei beni tra alcune persone e destinati ad una di noi in difficoltà. Questo smarrimento è l’ultimo di una serie di fatti che mi sono successi per distrazione in questi ultimi tempi, che sto vivendo con la mente altrove, in preoccupazioni famigliari. Mio papà si è ammalato seriamente e gli occorre, oltre alle cure mediche, un supplemento di attenzioni ed affetto da parte di noi figli. Non riesco a fare questo, nutro risentimenti nei suoi confronti, perché lo ritengo responsabile di certe situazioni, e questo, oltre a farmi star male, mi spinge a limitare al massimo le mie visite. Ora sono lì davanti alla porta della sua stanza, e quasi gli attribuisco anche la responsabilità di questo ultimo fatto, e sento forte, nell’anima una voce che mi dice: “… Durante questo ultimo periodo hai perso il tuo tempo, ti sei fermata a pensare a quello che è giusto o meno, da quale parte stia la ragione, sei ricca delle tue ragioni; occorre amare Gesù in lui, senza porre alcuna condizione”. E’ un richiamo così forte da parte di Dio, che varco d’impeto la porta della stanza, e semplicemente, senza dirgli tante cose, rimango accanto a papà. So che fà fatica a camminare, e gli insegno degli esercizi specifici, per amarlo come lui vuole essere amato. Questo mio piccolo passo produce subito in lui un cambiamento: improvvisamente da ammalato rassegnato, dimostra di voler guarire, decide di alzarsi, è pieno di buona volontà. Esco dalla stanza e mi ricordo dei soldi che ho smarrito; mi rivolgo a Gesù dicendo: “Ho capito che hai permesso che accadesse questo per farmi comprendere che devo amare sempre senza porre condizioni. Quei soldi tuttavia sono per un fine buono … aiutami a ritrovarli!”. Arrivo a casa, e dopo qualche minuto suona il campanello. E’ un taxista che ha ritrovato la mia borsetta in mezzo alla strada, in pieno traffico. L’apro, e non trovando i soldi, esclamo: “Sono andati persi!”. E lui, di rimando: “Guardi, signorina, che li ho riposti nel portafogli!”. N.N. – Cile (altro…)
Ago 22, 2000 | Focolari nel Mondo
Sergej, russo ortodosso Da bambino gli avevano insegnato che Dio non esiste e che la fede è una favola per vecchiette. Ciao, mi chiamo Sergej. Da bambino in Russia mi hanno insegnato che Dio non esiste e che tutti i discorsi sulla fede non sono che favole per vecchiette. Quando sono cresciuto mi sono accorto che il mondo è crudele e che dovevo lottare per ottenere qualcosa. Non m’interessavano gli altri e nemmeno le persone più deboli, come gli anziani, anzi li disprezzavo e li prendevo in giro. In realtà, dietro questo mio atteggiamento, si nascondeva la paura della sofferenza: non avevo una risposta al dolore e perciò cercavo di chiudere gli occhi. Quando ho incontrato i Giovani per un mondo unito, ho conosciuto un altro mondo, il mondo della solidarietà e del rispetto reciproco. Un mondo molto più bello. Timidamente ho provato a vivere così, ad amare tutti facendo il primo passo verso gli altri. Poi i miei nuovi amici mi hanno fatto la proposta di vivere il Vangelo, frase per frase, giorno dopo giorno. Ma che parole! Solo un Dio poteva avere il coraggio di chiedere così tanto all’uomo! Vivendo le sue parole ho conosciuto Gesù. Dopo alcuni mesi ho sentito il bisogno di avvicinarmi alla chiesa ortodossa e mi sono fatto battezzare. Ora Gesù fa parte della mia storia e della mia vita. Così mi sono ricordato dei miei nonni che sono molto anziani e ricevono la loro piccola pensione solo ogni tanto. Non avevo nessun rapporto con loro. Ho incominciato ad andare a trovarli e finiti gli studi mi sono trasferito da loro per poterli aiutare. Non era facile come potete immaginare, anche perché i nonni sono atei convinti e osservano con tanto sospetto la mia appartenenza alla chiesa. Ma oggi viviamo come una vera famiglia e io ho capito che l’amore annulla anche le distanze tra le generazioni. INDIA Mi chiamo Avinash e vengo da Bombay. Quando ho conosciuto i giovani per un mondo unito sono stato toccato subito dal fatto che c’erano uomini e donne, giovani ed anziani, di esperienze e religioni diverse. Sembravano non avere nulla in comune e nello stesso tempo ciascuno di loro aveva un sorriso splendido. Sono stato calorosamente accolto ed introdotto tanto che lo ricordo come uno dei momenti più felici della mia vita. Da quel momento in poi ho sperimentato di fare parte di una bellissima, grande famiglia. Anche se gli altri erano cristiani ed io indù, non mi sono mai sentito escluso quando stavo con loro. Ci scambiavamo le nostre idee, i nostri pensieri e la nostra vita. Sono rimasto sorpreso di scoprire che avevamo problemi simili nella vita quotidiana. Venivamo da diversi mondi, ma ognuno rispettava l’esperienza, il modo di pensare dell’altro. Dbbiamo anche scoperto che avevamo tanti punti in comune nelle nostre rispettive religioni, e al di la di tutto scoprimmo che c’era una Regola d’oro in tutte. In India Mahatma Gandhi dice : “Non posso urtarti senza urtare me stesso”, che è simile a quanto dice Gesù: “Fai agli altri quanto vorresti che sia fatto a te.” L’unità con gli altri giovani m’ha dato la forza di cambiare molti rapporti non facili. Ho capito che dovevo accettare le persone come erano, senza pretendere che cambino. Ero io a cambiare. Ci siamo guardati intorno offrendoci come volontari in molte azioni a beneficio di quanti erano disagiati: abbiamo organizzato la raccolta dei fondi per quanti erano stati toccati dalle calamità naturali, aiutando ed assistendo le persone anziani e gli orfani. Ho sperimentato tanta gioia con questo impegno che dava senso alla mia vita avvicinandomi a Dio. Come indù prego ogni notte e vado nel tempio almeno una volta in settimana. Ma ho sperimentato che Dio non è solamente con me quando prego, ma è sempre lì con me, in me e fuori di me. Mi meraviglio spesso come in un paese come il mio di 1 miliardo di persone ho avuto questa opportunità di incontrare questo meraviglioso ideale dell’unità. Tutta la mia vita ho sempre pregato Dio per chiederGli molte cose. Ma dopo questa esperienza Lo prego di indicarmi la strada per realizzare il suo piano su di me. FILIPPINE – MINDANAO Il dialogo tra cristiani e musulmani è diventato la mia passione. Non perdo occasione per raccontare l’esperienza continua che l’Amore vince tutto. Sono nata in una famiglia musulmana e vengo da Mindanao, la Terra Promessa delle Filippine. Sono cresciuta con la mentalità che i ‘non-musulmani’ sono i nemici dell’Islam. L’educazione, però, mi ha fatto capire l’importanza di costruire il dialogo. Dai membri del Movimento dei Focolari ho imparato l’arte di fare il dialogo: un modo semplice e concreto per farmi uno con l’altra persona, perdendo la mia idea o semplicemente essere la prima a fare un favore. Ho imparato che l’unità è possibile facendo un atto di generosità, di rispetto o di accettazione. Nel 1994 ho partecipato all’ Incontro Internazionale Musulmano-Cristiano. Sono rimasto molto colpito dal numero di musulmani, soprattutto Imam, che condividevano l’idea che l’unità è veramente possibile. Prima ho ricordato la mia bellissima, tranquilla ed armoniosa terra di Mindanao. Oggi presenta un quadro contraddittorio, che la nostra gente, composta da musulmani e da cristiani, mai avrebbe desiderato. Il contrasto che ora stiamo sperimentando a Mindanao è una questione politica, che si discute ad alto livello, ma non è portata alla comprensione della grande maggioranza. La religione non ha niente a che fare con questo. I ribelli musulmani lottano per quello che credono sia il loro più antico diritto, l’ “autonomia”. Tutti richiedono che si concluda questa guerra e che si risolva pacificamente. Però, il governo è deciso nella sua posizione di usare la guerra per raggiungere la pace. Io posso solo fare cose piccole, ma concrete. Sono ritornata ai miei libri e ho ristudiato la nostra storia. Soltanto dopo potrò formulare la mia opinione su come si può risolvere questo conflitto. Però credo fermamente che l’unica cosa che può portare la pace in realtà è l’amore. Ho sentito il mio ruolo di messaggera di pace. Ho cominciato varie attività cercando di promuovere comprensione. Insegnavo in un’ Università Cattolica e questo mi ha permesso di stabilire un rapporto con i giovani, Musulmani e Cristiani. Conoscendo la situazione in Mindanao, i miei amici del Focolare sono stati immediati nell’amore concreto. Ora aiutiamo un gruppo di 500 famiglie musulmane che si sono trasferite vicino alla mia città, e un altro gruppo di 300 famiglie, anche musulmane, di un’altra città. I miei amici musulmani si sono sorpresi di ricevere un tale aiuto da gente cristiana. Costruire la pace non è solo una scelta personale. Per me, mi sembra, c’è una forza divina che mi spinge dal di dentro ad essere uno strumento di pace. (altro…)
Giu 28, 2000 | Focolari nel Mondo
Dal Centro America la storia di una coppia e del loro reciproco riavvicinamento, fino ad affrontare insieme la prova suprema: la malattia e la morte di un figlio «Sposati da 20 anni, abbiamo 5 figli: otto anni fa la nostra famiglia si trovò in grave difficoltà. La povertà ci costringeva a vivere in modo sempre precario e la guerra impediva ogni iniziativa; ma la cosa più grave era il nostro rapporto di coppia che sembrava finito. Non ci eravamo sposati in chiesa e, anche se non rifiutavamo la religione, non potevamo dirci veramente cristiani. Si è sommato presto anche il vizio dell’alcool ad impedirci ogni dialogo. Eravamo in questa situazione – racconta E. – quando mi hanno invitato in Mariapoli, un incontro di più giorni promosso dal Movimento dei Focolari. Com’era diversa la vita lì! Mi sono sentita subito accolta e amata per quella che ero e nacque in me il desiderio di imitare quelle persone. Al ritorno a casa cominciai ad amare i miei, specie mio marito, che, accortosi della gioia che c’era in me, volle accompagnarmi all’incontro successivo… Nasce così a poco a poco in entrambi il desiderio di regolarizzare la nostra unione col sacramento del matrimonio, ed è festa grande il giorno in cui possiamo realizzare questo sogno, insieme ad altre due coppie nelle stesse condizioni. Ricevuto Gesù Eucarestia, avvertiamo una grazia particolare per noi e per la nostra famiglia. Seguono anni molto belli: ora affrontiamo insieme le difficoltà della vita, anziché subirle come ci accadeva in precedenza. E anche nel dolore che bussa alla nostra porta sperimentiamo l’amore di Dio. All’improvviso il nostro primogenito accusa un malessere e, dopo una serie di accertamenti sempre più approfonditi, viene diagnosticato l’AIDS. E’ un dolore immenso; sembra che il mondo ci caschi addosso. Ma non siamo soli. L’amore delle persone che condividono con noi la nuova vita ci fa scoprire in questa tragedia il volto di Gesù che in croce grida l’abbandono del Padre. Con il loro aiuto troviamo la forza di dire il nostro ‘sì’ a Dio. Nostro figlio, come un miracolo, aiutato dall’amore di tutti, accetta questa grande prova: vive i due anni della malattia come una continua, faticosa ma straordinaria salita verso il Cielo. Mio marito sente il peso della vita passata e pensa che nostro figlio ne stia pagando il prezzo. Spesso non riesce a varcare la porta di quella stanza. Ma ancora una volta l’amore vince. Quando un giorno si trova solo con lui, lo sente dire con un filo di voce: ‘Papà, prometti, non a me ma a Dio, che avrai una grande cura della mamma e dei fratelli’. E’ il testamento di nostro figlio: lui paga perché questa nuova vita sia sempre tra noi. Prossimo alla fine, continua a ripetere a ciascuno: ‘L’amore, l’amore è l’unica cosa che vale!’. Ora che fisicamente lui non è più tra noi, lo sentiamo più che mai presente: questo dolore vissuto insieme ci ha purificato, ci ha unito di più a Dio e tra di noi, e ci ha spalancato la porta sulla vita che non muore». (E. L. – Centro America) (altro…)
Giu 14, 2000 | Focolari nel Mondo
Produciamo programmi televisivi per le reti nazionali di Belgio e Olanda e per emittenti commerciali. Sin dall’inizio abbiamo scelto di fare programmi di generi molto vari, cioè dal divertimento ai reportage, programmi per giovani, programmi di giochi, e ultimamente anche programmi religiosi. Ci interessa il pubblico più vasto possibile, perché la gente guarda tanta televisione e ne resta influenzata. Per questo motivo è importante fare programmi anche di intrattenimento, ma non per questo scadendo in qualità. Alcune nostre produzioni raggiungono durante l’anno l’audience più alta. In questo momento lavoriamo in 25 persone fisse, più una trentina di free lance (registi, cameramen, tecnici, ecc.). Da sempre nella Sylvester Productions abbiamo cercato di lavorare insieme, ascoltandoci reciprocamente, valorizzando le idee di ciascuno, e con molto rispetto per il pubblico, per i produttori e per l’intero sistema dei media. Nella produzione dei program mi miriamo ad un’alta qualità, come contenuto e come forma. Ad esempio, “Stop! Contatto” è un programma per ragazzi che abbiamo realizzato per una emittente nazionale belga. In ognuna delle 26 trasmissioni sono stati intervistati un ragazzo e una ragazza quindicenni, riguardo alla loro vita. Questi giovani non si conoscevano tra di loro. In un secondo tempo, insieme al presentatore, si confrontavano in una sfida reciproca. Per noi era molto importante l’intervista iniziale per poterli conoscere meglio. Una delle nostre collaboratrici si era accorta con sorpresa che i giovani mostravano anche interesse per argomenti più profondi, come la morte, la fede in Dio, ecc.. Avrebbero discusso di queste cose, ma spesso non trovavano con chi parlarne. L’emittente riteneva che trattare questi temi fosse troppo serio per un programma rivolto ai giovani; pensava che ci sarebbe stato un crollo dell’audience. A noi sembrava impor tante invece dare questa opportunità ai ragazzi. Abbiamo insistito con la direzione e, attraverso un dialogo approfondito, abbiamo ottenuto di poter trattare questi argomenti. E l’audience è stata superiore al previsto. Sono stato particolarmente felice che quest’idea non fosse stata lanciata da me, ma da una collaboratrice giovane, cresciuta nel clima della nostra azienda. (altro…)
Giu 9, 2000 | Focolari nel Mondo
Con il ritorno della democrazia in Argentina, nel 1983, si sono aperte nuove possibilità di partecipazione ed espressione in tutti i campi. La nostra esperienza inizia nella zona della periferia di Buenos Aires nota col nome di “quartieri spazzatura”, dove M. era maestra. Con un gruppo di amici abbiamo cominciato a collaborare alle affività di alcune delle ìstituzionì già esistenti: scuole, chiese, comitati di quartiere, ecc. A un certo punto ci fu chiaro che non volevamo essere persone che aiutano dal di fuori, ma volevamo lavorare come parte stessa della comunità, come suoi abitanti. E così nel 1984 ci siamo trasferiti lì con il nostro primo figlio di quattro mesi e lì sono cresciute anche le altre nostre due figlie. Abbiamo subito avvertito che in quel quartiere, dove anche infrastrutture sanitarie, educative, stradali, idriche erano inesistenti, quel che mancava di più era la comunicazione a tutti livelli, dentro le istituzioni, fra di esse e la gente, fra i diversi gruppi e organizzazioni, e perfino tra le famiglie vicine. La ricerca di una nuova comunicazione è stato un compito entusiasmante per tanti di noi. Diapositive, cortometraggi, storie sonore, giornale murale, musica, teatro popolare, un giornale del quartiere arrivato a duemila copie, un megafono, una macchina fotografica, finché è maturato il progetto di una radio comunitaria. La radio sorge come espressione di varie organizzazioni: negozi popolari, gruppi giovanili, centri di comunicazione popolare, gruppi di donne, diverse cooperative. Dagli inizi porta un’impronta: è una radio che non solo dice, ma fa. I suoi speaker non sono professionisti, ma animatori della comuni- tà. I suoi obiettivi di base sono diffondere le attività delle organizzazioni comunitarie; recuperare l’identità culturale nazio nale e locale; incentivare gli artisti locali; collegare in rete i diversi quartieri dove arriva l’emittente. Abbiamo detto che Radio Reconquista non solo parla ma fa, e che i suoi speaker sono abitanti impegnati in diversi compiti: docenti, studenti, operatori sanitari, sacerdoti, quindi in qualsiasi emergenza tutta la radio si mobilita prestando servizio. Viviamo l’opzione per i poveri non solo per solidarietà con chi soffre, ma come un’azione di inculturazione e di ricerca. È in gioco una cultura popolare da conservare come un tesoro, nonostante gli influssi di tanta comunicazione distruttiva, favorendo la costruzione di un progetto di vita sociale più giusto. Quello che è stato finora conservato nell’intimità, nascosto, difeso in un guscio di fronte alla società di consumo aggressiva (cioè i valori e i costumi della vita rurale e di provincia), riprende vita nella musica e nel recupero della parola. È come un’Argentina dimenticata, a volte disprezzata dai grandi mezzi di comunicazione, che trova la sua espressione nel “rito” della radio. Ai giovani che crescono in questa nuova sintesi culturale tra il mondo urbano e quello rurale, la radio del quartiere per mette dì esprimersi senza imitare la scala di valori o disvalo ri imposta dai grandi media. (M. e R. B. – Argentina) (altro…)