Ott 28, 2016 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Il 16 ottobre 1966 arrivava a Tlemcen, città dell’Algeria, una Citroën 2 CV. A bordo tre focolarini: Salvatore Strippoli e Ulisse Caglioni, italiani, e Pierre Le Vaslot, francese. È l’inizio di un’avventura che in questi giorni festeggia 50 anni di presenza e di vita, e che dall’Algeria si è diffusa un po’ dappertutto in Nord Africa e Medio Oriente. Racconta Mourad, medico: «Eravamo un gruppo di giovani che non sapevano esattamente cosa volessero fare; un niente ci faceva ridere. Un giorno abbiamo incontrato Gérard che ci ha invitati a prendere un tè a casa sua, il focolare. Varie volte siamo tornati, abbiamo parlato, cantato delle canzoni, erano belle canzoni che dicevano tante cose sulla vita. Si conosceva sempre più un ideale che ci ha riempiti, ci ha insegnato a vivere. Questo cinquant’anni fa. Ora ho 67 anni e continuo a vivere questo ideale, sono contento di viverlo; è un ideale che ci insegna a vivere l’amore tra le persone». E Samira, studentessa: «Ho 21 anni. Sono molto colpita, riconoscente e incoraggiata dalle sane idee dei Focolari. Soprattutto dalla determinazione nel voler costruire ponti fra gli uomini e nel trasmettere valori morali e umani, per riunirci tra fratelli di tutti gli orizzonti e soprattutto ad Allah, nostro Signore, che è uno». Omar, infermiere di sala operatoria: «La Pace sia con voi. Il Movimento dei Focolari mi ha insegnato a conoscere l’altro, anche se diverso, a saper apprezzarci, anzi ad arricchirci reciprocamente e ad andare al di là dei pregiudizi, talvolta secolari. Ho imparato a fare il primo passo verso l’altro, ad avvicinarlo come un fratello, con un amore disinteressato che è la chiave della fraternità».
E Mons. Henri Teissier, arcivescovo emerito di Algeri: «La Chiesa d’Algeria non è che un piccolo numero di cristiani, per il quale è importante essere inserito nella società algerina. Il Focolare ha puntato proprio sulla relazione, sul dialogo, senza nascondere la propria identità, ma lasciando agli amici algerini che si avvicinavano il compito di tradurlo nella propria cultura. Penso che il Focolare, così facendo, abbia risposto all’attesa della Chiesa. Evidentemente, questo li ha un po’ tagliati fuori dalla comunità cristiana radunata, ma indubbiamente il nostro obiettivo non è la comunità radunata, ma una comunità che cerca gli altri per ritrovarsi in una realtà che ci supera». Il centro dei Focolari “Dar es Salam” di Tlemcen accoglie i due eventi che segnano la tappa di questo cinquantesimo:
- il secondo Congresso Internazionale dei Musulmani del Movimento dei Focolari (28-30 ottobre 2016), con partecipanti da tutta l’Algeria, dal bacino mediterraneo (Libano, Egitto, Giordania, Italia, Francia, Svizzera) e dal Canada;
- la Festa dei 50 anni del Movimento dei Focolari in Algeria (1-2 novembre 2016) con partecipanti dalle varie comunità e alcuni dei primi testimoni di quest’avventura, presente anche il copresidente dei Focolari Jesús Morán.
Fonte: Servizio Informazione Focolari (altro…)
Ott 28, 2016 | Spiritualità
In carcere «Avevo avuto dei problemi con un altro ragazzo e tutti e due eravamo finiti in prigione. Eravamo nemici, fra noi nessuna possibilità d’intesa. Quando però ho conosciuto più profondamente l’insegnamento di Gesù sull’amore, ho pensato a questo “nemico”. Cosa fare per amarlo? Mi è venuto in mente di condividere con lui un po’ del cibo che mi portano i miei, perché so che a lui nessuno glielo porta. Adesso siamo diventati buoni amici. Un’altra esperienza riguarda l’unico contenitore di cibo che avevo: mi era stato rubato e io sapevo chi era stato. Sono andato dalla persona in questione, ma lui si è rifiutato di darmelo. Non sapevo come fare. Rientrato nella mia cella, ho cominciato a leggere il Vangelo, il mio riferimento per ogni cosa, e ad un certo punto ho letto il brano sul comandamento nuovo. Ecco la risposta! Subito, con tutto il cuore, ho deciso di lasciar perdere e di non pensare più al contenitore. Più importante era amare». (D. J. – Nigeria) La macchinetta del caffè «Al lavoro tutti usiamo la macchinetta del caffè, ma nessuno che si preoccupi di pulirla e ricaricarla. Si sono abituati che lo faccio io. Un giorno una collega dopo aver preso il caffè è venuta a indagare come mai ero sempre così bendisposto verso gli altri. Le ho detto che non mi costava molto e che era l’unica cosa che potevo fare per loro. E lei: «Mi stai dicendo una cosa importante. Mi lamento sempre con mio marito che lascia tutto in disordine e invece devo cominciare anch’io a fare quello che non fa». Da quel giorno l’atmosfera al lavoro ha fatto un salto di qualità». (R. C. – Spagna) Quel figlio “sconosciuto” «Col primo figlio siamo sempre riusciti ad avere un dialogo e a dargli un supporto morale. Col fratello invece, un carattere molto forte, è stato difficile. Trovarsi con un ragazzo adolescente che non vuole comunicare creava malessere a tutti. A scuola poi non s’impegnava e da parte dei docenti ci arrivavano lamentele. Mio marito ed io cercavamo di comune accordo una via per “raggiungere” nostro figlio; ci incoraggiavamo a vicenda nell’amarlo così com’era, mettendo in evidenza i suoi lati positivi anche se ci sembrava di avere in casa quasi uno sconosciuto. Nel frattempo continuavamo a pregare e a bussare alla porta del Cielo perché Dio ci guidasse nel difficile compito di genitori. Poi l’idea, d’accordo col ragazzo, di cambiare scuola. Ha funzionato! Da allora nostro figlio è cambiato in senso positivo: non è più aggressivo, anzi è sempre pronto ad aiutare in casa; a scuola sta ottenendo buoni risultati; ed ha ripreso anche a frequentare la chiesa. Stiamo tutti sperimentando una boccata d’aria fresca». (B.S. – Svizzera) (altro…)
Ott 28, 2016 | Parola di Vita
Ci sono momenti nei quali ci sentiamo contenti, pieni di forze e tutto sembra facile e leggero. Altre volte siamo assaliti da difficoltà che amareggiano le nostre giornate. Possono essere i piccoli fallimenti nell’amare le persone che ci sono accanto, l’incapacità di condividere con altri il nostro ideale di vita. Oppure sopraggiungono malattie, ristrettezze economiche, delusioni familiari, dubbi e tribolazioni interiori, perdita di lavoro, situazioni di guerra, che ci schiacciano e appaiono senza via di uscita. Ciò che pesa maggiormente in queste circostanze è sentirci costretti ad affrontare da soli le prove della vita, senza il sostegno di qualcuno capace di darci un aiuto decisivo. Poche persone come l’apostolo Paolo hanno vissuto con tanta intensità gioie e dolori, successi e incomprensioni. Eppure egli ha saputo perseguire con coraggio la sua missione, senza cedere allo scoraggiamento. Era un supereroe? No, si sentiva debole, fragile, inadeguato, ma possedeva un segreto, che confida ai suoi amici di Filippi: “Tutto posso in colui che mi dà la forza”. Aveva scoperto nella propria vita la presenza costante di Gesù. Anche quando tutti lo avevano abbandonato, Paolo non si è mai sentito solo: Gesù gli è rimasto vicino. Era lui che gli dava sicurezza e lo spingeva ad andare avanti, ad affrontare ogni avversità. Era entrato pienamente nella sua vita divenendo la sua forza. Quello di Paolo può essere anche il nostro segreto. Tutto posso quando anche in un dolore riconosco e accolgo la vicinanza misteriosa di Gesù che quasi si identifica e prende su di sé quel dolore. Tutto posso quando vivo in comunione d’amore con altri, perché allora Egli viene in mezzo a noi, come ha promesso (cf Mt 18,20), e sono sostenuto dalla forza dell’unità. Tutto posso quando accolgo e metto in pratica le parole del Vangelo: mi fanno scorgere la strada che sono chiamato a percorrere giorno dopo giorno, mi insegnano come vivere, mi danno fiducia. Avrò la forza per affrontare non soltanto le mie prove personali, o della mia famiglia, ma anche quelle del mondo attorno a me. Può sembrare un’ingenuità, un’utopia, tanto immani sono i problemi della società e delle nazioni. Eppure “tutto” possiamo con la presenza dell’Onnipotente; “tutto” e solo il bene che Egli, nel suo amore misericordioso, ha pensato per me e per gli altri attraverso di me. E se non si attualizza subito, possiamo continuare a credere e sperare nel progetto d’amore di Dio che abbraccia l’eternità e si compirà comunque. Basterà lavorare “a due”, come insegnava Chiara Lubich: «Io non posso far nulla in quel caso, per quella persona cara in pericolo o ammalata, per quella circostanza intricata… Ebbene io farò ciò che Dio vuole da me in quest’attimo: studiare bene, spazzare bene, pregare bene, accudire bene i miei bambini… E Dio penserà a sbrogliare quella matassa, a confortare chi soffre, a risolvere quell’imprevisto. È un lavoro a due in perfetta comunione, che richiede a noi grande fede nell’amore di Dio per i suoi figli e mette Dio stesso, per il nostro agire, nella possibilità d’aver fiducia in noi. Questa reciproca confidenza opera miracoli. Si vedrà che, dove noi non siamo arrivati, è veramente arrivato un Altro, che ha fatto immensamente meglio di noi»1. Fabio Ciardi 1.Chiara Lubich, Scritti Spirituali/2, Città Nuova, Roma 19972, pp.194-195. (altro…)