Nato nel 2012 il progetto di educazione alla pace “Living Peace” promuove una cultura di pace e fraternità. Coinvolge oltre 1.000.000 di giovani, ragazzi e bambini di 130 Paesi del mondo e si ispira all’arte di amare di Chiara Lubich. Il 5 febbraio 2022 un evento on line sul canale Youtube di Living Peace Intenational ne celebrerà i 10 anni di vita. “Insegnavo in una scuola americana al Cairo in Egitto ed è nata lì questa idea di contribuire alla pace e alla sua cultura per dare risposta alle molte sfide che si vivevano nel Medio Oriente”. Inizia così il racconto di Carlos Palma, focolarino e insegnante, ideatore del progetto “Living Peace”, nato il 5 febbraio 2012 con lo scopo di promuovere una cultura di pace, fraternità e solidarietà. Oggi, dopo 10 anni, questo percorso di educazione alla pace si è sviluppato in tutto il mondo. È promosso dall’Associazione AMU – Azione per un Mondo Unito, Onlus in partenariato con Teens4Unity e New Humanity, vi partecipano oltre 80 organizzazioni internazionali e più di 1000 tra scuole e gruppi, arrivando a coinvolgere oltre un milione di ragazzi, giovani e bambini. Il prossimo 5 febbraio dalle ore 14,30 alle ore 16, 00 (UTC+1) sul canale YouTube di Living Peace International in occasione del decimo anniversario del progetto, ci sarà un evento online tradotto in inglese, spagnolo, portoghese, francese e italiano. “Living Peace” si basa sul “Dado della pace” sulle cui facce non ci sono numeri, ma frasi che aiutano a costruire rapporti di pace tra tutti. Esso si ispira ai punti de “L’arte di amare” che anni prima Chiara Lubich aveva proposto, con un dado, ai bambini del Movimento dei Focolari. Insieme al Dado viene proposto anche il “Time out”: alle ore 12 di ogni giorno, in ogni fuso orario, un momento di silenzio, di riflessione o di preghiera per la pace. Nato inizialmente per le scuole primarie, ben presto si è sviluppato anche nelle scuole secondarie fino a raggiungere le università, movimenti giovanili, associazioni, fondazioni, carceri, comunità religiose, centri di formazioni artistiche, ecc. Cosa significa educare per la pace? La Costituzione Unesco afferma: “Poiché le guerre cominciano nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese della Pace”. Educare alla pace non è una disciplina in più, quanto fare di ogni ambito formativo uno strumento di pace, un percorso, in cui si punti a sviluppare la creatività e l’autonomia delle bambine/i e delle ragazze/i nell’affrontare problematiche e conflitti, imparando a dialogare. Educare alla pace significa dunque promuovere azioni concrete di pace e riconciliazione iniziando dalle scuole e arrivando a tutti i centri di formazione possibili. “Nel 2013 sono stato nominato ambasciatore per la pace dal Circolo Universale degli Ambasciatori di Pace (Francia/Svizzera) – racconta ancora Carlos Palma – Due anni dopo è nata l’idea di nominare anche i giovani ambasciatori per la pace che va dai 6 ai 25 anni. Oggi sono 600 i giovani ambasciatori nel mondo che portano il ‘Dado della pace’ ovunque, protagionisti delle piu varie azioni su tutti i campi. Esso è divenuto anche materia di studio ed approfondimento in alcune università. Grazie ai giovani ambasciatori è stato realizzato il “Dado per la pace” in braille per le persone non vedenti ed è stato ideato il format Peace Got Talent che, prendendo spunto dal format televisivo noto in varie parti del mondo, dà spazio a giovani talenti per promuovere la pace”. Poi è arrivata la pandemia. “Ma nonostante ciò – conclude Carlos Palma – i giovani hanno continuato e continuano tutt’ora in mille modi, attraverso web e social, a promuovere la pace e la fraternità”. Per maggiori info visita il sito a questo link.
I Gen, i giovani dei Focolari, puntano alla santità. Sono giovani come tutti: con gioie, dolori, sogni, difficoltà. Ma sanno che ad una meta così ardita non si arriva d’un giorno all’altro. Si costruisce attimo dopo attimo e non da soli, ma insieme.Lo hanno espresso con testimonianze di vita, canzoni e racconti in una giornata mondiale che li ha visti riuniti virtualmente per oltre due ore domenica 19 dicembre 2021.Margaret Karram, Presidente dei Focolari, salutandoli li ha invitati a essere attenti a costruire con tutti rapporti veri, profondi, fermandosi davanti al prossimo per scoprirlo “qui ed ora”.Diamo la parola a loro attraverso questa selezione di esperienze di vita raccontate durante la giornata. Unità nella diversità La Repubblica dell’Indonesia riconosce alcune religioni ufficiali: Islam, Cristianesimo, Induismo, Buddismo, Confucianesimo e credenze tradizionali. La popolazione più numerosa è quella musulmana. Questa diversità fa sì che il dialogo interreligioso diventi un dialogo della vita quotidiana. Attualmente sto studiando per un Master in Scienze Farmaceutiche. Nell’università incontro molt amici provenienti da diverse isole, appartenenti a diverse religioni. Alcune di loro mi sono molto vicine, sono come mie sorelle. Io sono cristiana cattolica, l’amica accanto a me è Indù e le altre sono musulmane. Durante il mese del Ramadan, li accompagno spesso a rompere il digiuno. Una volta li ho invitati a romperlo insieme in Focolare. Si sono sentiti molto amati. Dopo l’incontro, uno di loro ha scritto sul suo profilo Instagram: “Non abbiamo lo stesso background, religione, età e nemmeno veniamo dallo stesso Paese, ma abbiamo un sogno: creare una casa migliore per tutti, sperare e pregare per un futuro prospero. Ci aspettiamo un mondo universale, come dice il motto del nostro Paese “Bhineka Tunggal Ika” – “Unità nella diversità”. Vivo in una pensionato dove la maggioranza delle ragazze sono musulmane. Quando si sono trasferite li’, all’inizio avevano paura di me, perché sembravo molto seria e la maggior parte di loro non aveva mai vissuto con persone non musulmane. Un giorno avevo tanti dolci e ho pensato di condividerli con loro. Il rapporto tra di noi sta crescendo. Cuciniamo insieme, mangiamo, facciamo sport, giochiamo insieme. La nostra esperienza di convivenza ha allargato il nostro orizzonte e siamo felici di questo. Tika (Indonesia)Amare al di là delle nostre forze Ho una sorella che studia architettura. Da tre mesi lei si stava dedicando al suo lavoro per la laurea, facendo anche tante notti in bianco. Doveva presentare un suo progetto della città: preparare la documentazione di presentazione e i modellini. Di solito gli studenti junior aiutano quelli senior, ma a causa del COVID-19, mia sorella doveva fare tutto da sola. Ad un certo punto ha chiesto aiuto a me e alla mamma. Ho risposto con gioia: “Va bene! Ti aiuto io!” Tuttavia ho pensato: “Anche io ho abbastanza da fare con i miei compiti in questo momento” e mi chiedevo “E’ stata una scelta saggia dire che l’avrei aiutata? È un compito importante per la sua laurea, potrò farlo bene? Non sarebbe meglio una persona che conosca la materia?” Tuttavia, vedendo mia sorella in difficoltà, ho pensato: “Se finisco in anticipo i miei compiti, potrò darle una mano”. Così, ogni sera l’ho aiutata con tutto il cuore nei suoi compiti, come fossero i miei. Alla fine ha potuto consegnare il lavoro, finito in tempo, con successo. Mi ha ringraziato molto ed è stata felice che questo lavoro sia stato completato non solo da lei, ma con la forza di tutti. Sarebbe una bugia se dicessi che ho aiutato mia sorella amando al cento per cento, senza lamentele, ma non mi sono pentita di averlo voluto fare, il mio cuore era sollevato e contento. Inoltre, dentro di me, c’era una piccola gioia. Mi è venuta in mente una frase del Vangelo che dice: “Chi rimane nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”, ed ho pensato: “Forse Dio avrà preso dimora in me?” Rosa (Corea)Tra guerra e speranza Studio ingegneria Informatica. È da bambino che cerco di vivere la spiritualità dei Focolari. Nell’ultimo periodo sentivo lontano il rapporto con Gesù e Maria. Mi chiedevo dove è Dio e come mai Egli permetta le difficoltà che viviamo qui in Siria, come la mancanza di corrente, i prezzi alti e la dura situazione economica. Inoltre, tutto questo aveva un effetto nel mio rapporto con gli altri. Recentemente sono andato a Londra per un mese per visitare le mie sorelle e lì ho partecipato ad un weekend con i gen, i giovani dei Focolari. Questa esperienza mi ha aiutato a trovare molte risposte e a ritrovare me stesso vivendo la spiritualità dell’unità. Non mi dimenticherò mai dell’amore che ho trovato tra i gen, un amore che mi ha riempito il cuore… era come se ci conoscessimo da molto tempo. Queste esperienze mi hanno colpito tanto e ho sentito di conseguenza che qualcosa cominciava a cambiare dentro di me. Appena rientrato in Siria c’era anche qui un congresso gen al quale ho partecipato. Per la prima volta dopo 10 anni riuscivamo a trovarci, a causa delle situazioni difficili della guerra. È stata una ricca esperienza segnata dall’amore reciproco e vissuta come in un’unica famiglia. Ho sperimentato che la pace interiore cresceva in me giorno dopo giorno. Le esperienze vissute nei due weekend con i gen e le persone che ho incontrato, hanno lasciato un tocco profondo nel cuore e mi hanno aiutato ad essere nuovamente quella persona positiva che guarda in avanti con coraggio. Ci sono periodi in cui, per via delle pressioni a cui siamo sottoposti nella vita, perdiamo la speranza… come se fosse la fine del mondo e non ci esistesse più niente. Se proviamo tuttavia Dio, con la Sua grazia, ci permette di ritornare a Lui e scopriamo che le cose difficili vissute sono state come una nostra piccola partecipazione alle sofferenze di Gesù in croce. Ci rendiamo conto che i nostri dolori erano piccoli dinanzi alle Sue sofferenze vissute per redimerci. Una cosa che sento di dire è che quando viviamo momenti dolorosi nella vita, che sembrano non aver fine, essi possono finire nella luce, ma sta a noi chiedere nella preghiera l’aiuto di Dio. Lui è sempre pronto ad aiutarci e con grande speranza possiamo ricominciare e anche avere un rapporto sempre più forte con Lui. Paolo (Aleppo, Siria)All’incontro dei più sofferenti Dopo il terremoto di due anni fa in Croazia abbiamo deciso di fare un’azione andando nei luoghi dell’epicentro. Cercando il modo migliore di essere utili, il parroco di Sisak ci ha sorpreso, chiedendoci di collaborare con lui per preparare un gruppo di ragazzi rom alla prima comunione. Ci siamo messi d’accordo di andare ogni settimana per alcuni mesi nel villaggio di Capranske Poljane dove vivono rom musulmani e cristiani (ortodossi e cattolici). Con loro facevamo catechismo, scenette, giochi… Da questo incontro sono nati bellissimi rapporti che continuano e crescono ancora oggi. Tramite i focolarini abbiamo anche conosciuto e visitato una famiglia di Petrinja, che vive in una situazione molto difficile (sia per via del terremoto che della realtà socio-economica in cui si trovano) Con l’aiuto anche della Caritas siamo riusciti a comprare materiale e strumenti sia per riparare la casa che per riprendere il lavoro. E’ rinata in loro la speranza! In un incontro con i gen ho sentito che dovevo fare un passo per uscire fuori dalla mia zona di confort – ispirato dall’esempio di tanti in tutto il mondo – ho voluto “scendere in strada” per cercare di amare gli altri come se stessi. Un giorno siamo stati a Sisak per parlare col parroco di come andare avanti con i rom e abbiamo, poi, visitato questa famiglia di Petrinja e portato loro varie cose di prima necessità. Abbiamo visto come hanno usato i soldi che avevamo raccolto per sistemare il loro soggiorno che adesso è veramente accogliente! Abbiamo portato anche un laptop per permettere ai bambini di seguire la scuola online. Mi sono sentito come a casa. C’era una bellissima atmosfera familiare. Anche se fino a quel momento non avevo fatto niente di concreto per la loro situazione, ho dato quello che potevo: me stesso con la mia buona volontà e un po’ del mio tempo. Sono grato a Dio che mi ha dato questa occasione di amare e voglio continuare ad amare perché ho ritrovato la gioia centuplicata che voglio condividere con gli altri ed ora con voi. Thiana e Peter (Croazia)(altro…)
Un’iniziativa che unisce la voglia di fare ai tanti bisogni che ci sono nel mondo. È il desiderio che nel 2016 ha generato“Milonga”, un programma di volontariato internazionale interculturale e fraterno.Una nuova opportunità, una proposta rinnovata per portare aiuto dove necessario. È la mission che ancora oggi, a distanza di 5 anni, “Milonga” porta avanti. Nata dal contributo di New Humanity, Giovani per un Mondo Unito e la Rete Latinoamericana delle organizzazioni sociali ispirate al carisma dell’unità, con la collaborazione di Sociedade Movimento dos Focolares-Brasile, Sumà Fraternidad e Promoción Integral de la Persona, questa piattaforma di volontariato internazionale è frutto di un desiderio sempre più diffuso tra i giovani di fare esperienze sociali globali. I primi volontari sono partiti nel 2016 con destinazione Bolivia e Brasile. In seguito, oltre 200 giovani hanno seguito i loro passi, attraversando le frontiere per offrire il loro tempo, i loro talenti, le loro professionalità. Un piccolo ma importante contributo al superamento delle disuguaglianze nel mondo. Ma cosa ha di caratteristico “Milonga” rispetto ad altri programmi di volontariato? Per Virginia Osorio, uruguaiana dell’Equipe di Coordinamento, “Milonga è stata l’opportunità di mettere in rete diversi attori e così generare un sistema di cooperazione internazionale diverso, che mette la fraternità al centro, in cui il servizio viene potenziato dall’interculturalità e la formazione alla cittadinanza globale e locale, intessendo dei legami non solo dal nord verso il sud, ma in tutte le direzioni”. Ragazzi tra i 21 e i 35 anni, collaborano così, ancora oggi, in sinergia col lavoro delle ONG che, ogni giorno, si spendono nelle diverse periferie del pianeta. Marco Provenzale, italiano, dice: “Per queste ragioni il programma prende il nome di una danza latinoamericana con radici africane e gioca con l’acronimo ONG: Mille ONG in Azione”. A tale iniziativa hanno aderito anche le comunità e le cittadelle del Movimento dei Focolari quali significativi spazi di azione e formazione per giovani motivati e desiderosi di impegnarsi nel sociale. In questi cinque anni, “Milonga” ha constatato quanto questo percorso abbia segnato la vita di tanti ragazzi. “L’esperienza che fanno fra loro si riflette sul ruolo che ognuno svolge come cittadino del mondo – continua Virginia Osorio –, e li stimola a voler agire sul posto, lì dove nasce la sofferenza”. Ai tanti che hanno svolto volontariato in presenza in questi anni, durante la pandemia se ne sono aggiunti oltre un centinaio che hanno realizzato un’esperienza interculturale virtuale. Questa possibilità ha permesso di sostenere delle azioni quali raccolta fondi, aiuto ai bambini in età scolare, preparazione di esami, pratica delle diverse lingue e tanto altro. Antonella, una giovane argentina, ha svolto volontariato virtuale in Brasile e ora si prepara a farlo finalmente di persona: “Prima non partecipavo a cose simili. Oggi, invece, se non faccio qualcosa di concreto, mi sento come vuota. Questa coscienza nuova me l’ha trasmessa l’esperienza fatta con Milonga”.
Janeth Lucía Cárdenas e l’equipe di MilONGa
(assistente sociale, impegnata con Milonga e nel progetto globale di comunicazione)
Il viaggio della band internazionale Gen Rosso nella rotta balcanica dove migliaia di migranti vivono situazioni drammatiche cercando di raggiungere l’Europa in cerca di futuro migliore. Da questa esperienza nasce anche il loro prossimo concerto di Natale dal titolo “Refugee” che sarà trasmesso gratuitamente in streaming. “Siamo stanchi, molto stanchi di vivere in queste condizioni, ma oggi abbiamo ritrovato e sperimentato la gioia”. Queste le parole di Mariam, visibilmente emozionata, nel ringraziare il gruppo internazionale Gen Rosso al campo rifugiati in Bosnia, dopo una giornata trascorsa insieme. Mariam è iraniana e insieme ad altri migranti oggi vive in quel campo profughi perché è in cerca di un futuro migliore, dove non ci sono guerre, odio e persecuzioni. Migliaia di rifugiati come lei sono bloccati al freddo e al gelo, nella cosiddetta “rotta balcanica”, con la speranza di raggiungere l’Europa. Il Gen Rosso nel mese di ottobre 2021 è andato in Bosnia per portare sollievo e speranza a questi migranti anche attraverso l’arte, la musica, il ballo. Un campo profughi gestito dalla Jesuit Refugee Service (Jrs), il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati che fornisce alloggi e aiuti essenziali ai richiedenti asilo e ai migranti che tentano di superare il confine croato. “Non avevamo la minima idea di cosa e chi avremmo incontrato – spiegano dalla band -, ma avevamo il desiderio di fare sentire la fraternità a queste persone forzate ad un doloroso peregrinare di anni”. I migranti hanno bisogno non solo di cibo e vestiti ma anche di momenti di accoglienza e serenità. All’inizio “ci siamo ritrovati sotto lo sguardo interrogativo e un po’ diffidente di famiglie che si tenevano a distanza. Non era semplice iniziare con persone provenienti da diverse culture e tradizioni, abituate all’indifferenza, se non all’ostilità, di tanti” spiegano dalla band. A rompere il ghiaccio iniziale sono stati i bambini. Incoraggiati, si sono avvicinati per provare a suonare un tamburello brasiliano di Ygor del Gen Rosso. Piano piano tutti si sono fatti coraggio. “Chissà cosa hanno vissuto questi bambini e cosa portano nel cuore – racconta Michele, cantante solista della band -. Si è creata subito una bella atmosfera. Il fatto che i bambini fossero presenti, con la loro immediatezza e semplicità, ha aiutato molto”. Così sono cominciati i primi dialoghi. Come ti chiami? Da dove vieni? E la diffidenza ha iniziato a lasciare spazio alla fiducia. “Avevamo previsto di dividerci in gruppetti – raccontano i musicisti -, ma abbiamo capito che loro tutti desideravano rimanere insieme e dopo tanto tempo, fare festa, con canti e danze di singoli e di popolo, secondo le proprie tradizioni. Alcune mamme, per mostrarci una danza tipica, ci hanno lasciato i loro bimbi in braccio con la fiducia che si ripone in fratelli”. Un rifugiato con una gamba ferita “ha afferrato il mio tamburo – racconta Helânio – i suoi occhi brillavano, era quasi il suo unico modo di esprimersi. Ero felice di dargli questa opportunità”. “Una donna ha chiesto se poteva ballare. – racconta Raymund, ballerino -. Sentiva che qualcuno la stava apprezzando. Ho capito cosa significa andare loro incontro attraverso la musica, capace di ricostruire l’anima delle persone, ed era evidente nei loro occhi lucidi, che erano felici”. Un’esperienza indelebile che ha ispirato anche il prossimo Concerto di Natale che il Gen Rosso ha intitolato appunto “Refugee”. Si svolgerà il 18 dicembre 2021, alle ore 21:00 (UTC+1), presso l’auditorium di Loppiano – puoi acquistare i biglietti qui o presso l’auditorium – e sarà trasmesso gratuitamente in streaming sulla piattaforma web publica.la. Una serata dedicata in particolare a tutti coloro che in questo momento si trovano in situazioni di sofferenza e disagio, con il desiderio di portare sollievo, pace e speranza.
L’8 ottobre 2021 si è conclusa a Genova (Italia) la fase diocesana del processo di beatificazione di Alberto Michelotti e Carlo Grisolia. La loro è la storia di un cammino condiviso, di un amicizia vera capace di superare tutto. Come si fa a “farsi santi insieme? Non è semplice. Serve del tempo e soprattutto è necessario camminare nella stessa direzione, guardare alla stessa fonte di luce. È questa la storia di Alberto Michelotti (Genova 1958- Monte Argentera 1980) e Carlo Grisolia (1960 Bologna- Genova 1980), due giovani di Genova (Italia) per alcuni aspetti molto distanti tra loro, eppure legati da una grande amicizia e da un unico desiderio: mettere Dio al centro della propria vita. L’ideale e il carisma del Movimento dei Focolari li attrae fortemente e li unisce in un rapporto fatto di vera condivisione e fratellanza. Entrambi partono per il cielo nel 1980, a distanza di 40 giorni l’uno dall’altro, Alberto durante una gita in montagna, Carlo per un tumore. Due amici ed un unico processo di canonizzazione, avviato dal cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova nel 2005, che lo scorso 8 ottobre ha visto conclusa la sua fase diocesana. Ma chi sono davvero questi due ragazzi? Alberto ha la stoffa del leader, del vincente, ma la sua è una leadership di “servizio” che lo avvicina sempre di più al prossimo, soprattutto ai più bisognosi e ai giovani. Nato e vissuto con la sua famiglia alle porte di Genova, frequenta con i suoi genitori la parrocchia di San Sebastiano. Partecipa in maniera attiva alla vita parrocchiale e, dopo un iniziale coinvolgimento nell’Azione Cattolica, conosce grazie ad un sacerdote, Mario Terrile, la spiritualità di Chiara Lubich che lo travolge. È proprio durante la Mariapoli del 1977, meeting del Movimento dei Focolari, che Alberto riceverà in dono una notizia nuova, qualcosa che cambierà per sempre la sua vita: “Dio amore”. Lo stesso anno entra a far parte dei Gen (Generazione Nuova), la diramazione giovanile del Movimento, ed è qui, che conosce Carlo con il quale sperimenterà una profonda unità, capace di superare le differenze caratteriali che li contraddistinguono. Carlo, a differenza di Alberto, è un ragazzo più introverso e poetico. Studia agraria e gli piace leggere, suonare la chitarra e scrivere canzoni. È un sognatore, un tipo con le ali ai piedi, nulla a che vedere con la grande passione di Alberto per la montagna e la razionalità matematica, tipica di uno studente di ingegneria quale è. Eppure, ad unirli, c’è qualcosa di grande, il desiderio di portare agli altri l’ideale evangelico del mondo unito con gioia ed entusiasmo e, soprattutto, la voglia di mettere sempre in pratica il messaggio di Gesù “dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 15-20). Dai Focolari, che conosce fin da piccolo grazie ai suoi genitori, Carlo impara la strategia del “farsi santi insieme”, un invito lanciato da Chiara in un suo messaggio che diventa come un chiodo fisso per lui, in particolare dopo essersi trasferito a Genova per via del lavoro del padre. Vir, “vero uomo, uomo forte” non è solo l’appellativo che la Fondatrice del Movimento dei Focolari gli attribuisce, ma diventa nel tempo un programma di vita per Carlo che trae la sua forza da Gesù, l’unica fonte di energia possibile, come scrive in una sua canzone: “E respira nell’aria l’amore che ti dona questo nuovo sole che nasce su di te”. L’amicizia tra questi giovani dura tre anni, eppure tra le due anime sembra intravedersi davvero la maturità di chi ha condiviso molto, di chi ha fatto esperienza vera della vita, sviscerandola, quella maturità che, generalmente, è dei sapienti. Nel cammino di ricerca dell’Amore autentico scoprono la purezza come strumento per raggiungere insieme la vera libertà e condividere questo ideale con gli amici. Pensieri profondi si intrecciano in una trama tutta colorata, su pezzi di carta che un tempo sostituivano i nostri messaggi whatsapp. “Probabilmente per te sarà l’anno del militare – scrive Alberto a Carlo nel giorno del suo diciannovesimo compleanno – Forse nuove difficoltà, nuove gioie. Un po’ come la giornata di oggi cominciata con un sereno fantastico e ora, alle 16, trasformatasi in un grigio invernale (…). Ma tanto sappiamo che dietro queste nuvole c’è il sole”. Alberto e Carlo, si specchiano l’uno nell’altro, riconoscendo gioie e paure, lotte e conquiste e, fiduciosi in quell’Amore che tutto può, sono pronti a vivere la frase del Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (GV 15,13). Alberto perde la vita sulle montagne cuneesi, il 18 agosto del 1980, cadendo durante una scalata in un canalone ghiacciato sulle Alpi Marittime. Carlo non riesce a partecipare al suo funerale. Il 16 agosto rientra dal militare per degli accertamenti dopo una serie di svenimenti e di paralisi agli arti. In poche ore e, dopo il consulto di un medico che non nasconde la gravità della situazione, viene ricoverato. Si tratta di neoplasia. Gli raccontano della morte di Alberto, ma il tempo è poco e bisogna correre all’ospedale. Saranno questi i 40 giorni che separano i due amici prima di ritrovarsi ancora, uniti per sempre. Negli ultimi giorni trascorsi in ospedale Carlo, pur senza forze, accoglie tutti con un grandissimo sorriso: “So dove vado – dice a un’infermiera – Vado a raggiungere un mio amico che è partito giorni fa in un incidente in montagna. Carlo sente forte la presenza di Alberto al suo fianco e non vede l’ora di compiere quel “salto in Dio” di cui parla alla mamma in ospedale. Un tuffo nell’immenso che lo riporta alla casa del Padre il 29 settembre del 1980. Oggi, a 40 anni di distanza, quell’invisibile patto suggellato nell’amicizia di Alberto e Carlo è più forte che mai e vive una nuova fase. Ciò che in realtà stupisce è la straordinarietà dell’evento. Nella storia della Chiesa non è mai accaduto che l’esame canonico di due cause distinte venisse condotto in parallelo e che riguardasse due amici. Affinchè Alberto e Carlo siano definiti prima beati ed in seguito santi sono necessari due miracoli avvenuti per loro intercessione, ma visto che la preghiera è unica per entrambi, saranno, ad ogni modo, “santi insieme”. La conferma di un’amicizia spirituale come possibile via della santità; la realizzazione nella loro vita di quel “come in cielo cosi in terra” e di quella gioia vera, frutto di una profetica ispirazione di Chiara: “Vi auguro di farvi santi, grandi santi, presto santi. Sono sicura di darvi in mano la felicità”[1].
[1] Messaggio di Chiara Lubich in “GEN”, Anno XV (1981), n. 4, p. 2-3
Cosa accomuna un gruppo di capi di Stato e alcuni ragazzi in Serbia? Tutti cercano soluzioni ad un problema comune: proteggere il nostro pianeta che soffre. Mentre i grandi della Terra sono radunati nel Regno Unito per la COP26, alcuni giovanissimi serbi ci raccontano di una giornata ecologica che hanno vissuto.“È così che la nostra Storia dovrebbe finire? Il racconto della specie più intelligente condannata dall’essere troppo umana per riuscire a vedere il panorama globale e dal voler perseguire obiettivi a breve termine.” Con voce grave e potente David Attenborough, naturalista e divulgatore scientifico 95enne, ha pronunciato queste parole di fronte ai grandi della Terra durante la COP26. La “Conferenza delle Parti”, organizzata delle Nazioni Unite e iniziata lo scorso 31 ottobre, è incentrata come sempre sul tema del cambiamento climatico. Quest’anno in particolare è percepita da molti come la grande occasione per prendere importanti decisioni riguardo al tema dell’ecologia ed ecologia integrale. Secondo tanti esperti, se non si agisce subito in maniera decisa, sarà troppo tardi. I capi di Stato radunati a Glasgow hanno un grande potere di decisione; ma è anche vero che si respira la necessità di un cambiamento che veda tutti come protagonisti. Un cambiamento fondato da un lato sulla collaborazione tra Stati, dall’altro sulle azioni concrete a livello locale. Interessando ciascuno di noi. Proprio nel corso di questa seconda settimana di accordi e negoziati internazionali, abbiamo deciso di farvi conoscere una breve storia, inviataci da alcuni ragazzi del Movimento dei Focolari in Serbia. Durante una giornata ecologica organizzata alcune settimane fa, questi giovanissimi si sono messi al lavoro per cercare soluzioni intelligenti a problemi concreti, nel rispetto del Creato. “Siamo i più grandi problem solvers (risolutori di problemi) mai esistiti sulla Terra. – ha continuato Attenborough nel suo discorso alla COP- (…) e la natura è il nostro alleato principale.” Anche questi ragazzi hanno ideato nuovi modi di risolvere i problemi che vivono, cercando di essere ecologici, sostenibili e rinnovabili. Uno dei primi giorni di lavoro della COP26, Papa Francesco ha twittato: “Non c’è più tempo per aspettare; sono troppi, ormai, i volti umani sofferenti di questa crisi climatica. Bisogna agire con urgenza, coraggio e responsabilità per preparare un futuro nel quale l’umanità sia in grado di prendersi cura di sé stessa e della natura.” Ognuno di noi può fare la propria parte, chi all’interno di una conferenza internazionale, chi attraverso un cambiamento della propria routine quotidiana. L’importante è iniziare, da subito, e insieme. Ecco il video della giornata ecologica organizzata da alcuni ragazzi del Movimento dei Focolari in Serbia. Attiva i sottotitoli in italiano o inglese!