Feb 22, 2020 | Sociale
Con un comunicato del 1 marzo il Comitato Organizzatore di “The Economy of Francesco” ha rimandato l’evento a novembre. Il Side Event, prefissato a Perugia per fine marzo, slitterà, dal 20 al 22 novembre.
Perché un evento parallelo? Quando si ha a che fare con “appuntamenti con la storia”, la missione in qualche modo va sostenuta! Dietro ai CV dei giovani che hanno risposto con entusiasmo all’invito del Papa non ci sono solo profili brillanti, ricerche e progetti innovativi, ma anche il chiaro obiettivo di ridisegnare, insieme, teoria e prassi del sistema economico, invertendo trend mondiali. E ciò rappresenta una sfida globale troppo seria ed importante per restare spettatori passivi. L’ incontro parallelo che si svolgerà a Perugia dal 20 al 22 novembre 2020, è dunque una possibilità per tutti coloro che non possono partecipare direttamente a “The Economy of Francesco” (per limiti di età e logistica) ma vogliono esser parte di questo processo innescato, seguendo e sostenendo da vicino il lavoro degli under 35 riuniti ad Assisi. Si manterrà la stessa struttura prevista per marzo, riprogrammando l’incontro, a sostegno del lavoro dei giovani, da venerdì 20 novembre a domenica 22 novembre 2020 (dalla notte del giovedì 19 al pranzo di domenica 22): sono nuovamente aperte le iscrizioni, per procedere al meglio con l’organizzazione dei lavori e proseguire nel nostro cammino con l’energia e la responsabilità riposte finora. Promosso dall’Economia di Comunione, il Side Event è uno spazio aperto a chiunque crede nella necessità di un’economia diversa: un luogo, inclusivo, portavoce di molteplici realtà. Nella consapevolezza che l’economia attuale spesso fallisce, poiché può funzionare bene per alcuni, ma non funziona affatto per (molti) altri, minacciando l’ecosistema sociale ed ambientale, si dialogherà tra giovani e senior, tra culture ed ambiti diversi, vivendo 3 dimensioni generative: sentire-ideare-agire. Alternando momenti di plenaria a sessioni parallele / di gruppo, si vuole testimoniare quanto sia importante lasciar fiorire reti, imparare dai fallimenti, convertire idee in azioni. Sotto la guida di facilitatori (in maniera simile a quanto accadrà ad Assisi) e con il contributo di alcuni importanti keynote speakers, si affronteranno i 12 macrotemi su cui lavoreranno in contemporanea i giovani nella città Francescana, ponendo il focus su alcuni concetti chiave in tensione tra loro, quali ricchezza/povertà ed altri. Come per Assisi, anche i giorni a Perugia vogliono far incontrare visioni, desideri, competenze ed impegno: personale e collettivo. Sì, perché l’economia, prima che di profitto, è fatta di vocazione e se si crede in qualcosa di alternativo, va fatta sentire la propria voce, poi messa in relazione -potenziandola- con quella di altri. Affinché essa si converta in collaborazione e crei, a sua volta, comunità. Una comunità in grado di generare impatto, avviando un processo necessario: a questo si punta con Economy of Francesco ad Assisi, è questa la causa che si sostiene a Perugia. E per raggiungere l’obiettivo, non basta far diventare di moda parole come etica e sostenibilità, ma occorre compiere un passo di discontinuità con ciò che è il pensiero dominante. Economy of Francesco lascerà il segno per la sua natura giovane, ma attorno ad essa ci sarà un’eco eterogenea che rafforza l’apertura del varco, alimentando, tutti insieme, il terreno del cambiamento.
di Francesca Giglio
fonte www.edc-online.org
_______________________________________ Scarica il volantino
Per maggiori informazioni: edcperugia2020@gmail.com
Per richieste di iscrizione: Richieste di iscrizione Side-Event EoF Perugia 2020
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Gen 10, 2020 | Sociale
Il Movimento Politico per l’Unità e New Humanity promuovono l’istituzione di un comitato trilaterale ad alto livello fra rappresentanti speciali degli Stati Uniti, dell’Unione europea e dell’Iran con il mandato di ristabilire il dialogo tra USA e Iran. L’appello è stato inviato a Josep Borrell, (Alto rappresentante EU), a Seyed Mohammad Ali Hosseini (Ambasciatore dell’Iran a Roma) e a Lewis M. Eisenberg (Ambasciatore USA a Roma). Di seguito il testo: Il Movimento politico per l’unità esprime la sua grave preoccupazione per l’intensificarsi del conflitto tra Iran e Stati Uniti. La politica internazionale, con le proprie istituzioni, ma anche con le proprie organizzazioni non governative, ha una responsabilità speciale nel mettere la sua azione al servizio della pace e dei diritti dei popoli. Solo il dialogo internazionale e la diplomazia – quella residua, quella che fa sperare contro ogni speranza – possono ancora assumere iniziative nella logica della pace. Questa è una delle nostre maggiori sfide del ventunesimo secolo. La strada per la soluzione ci deve essere e ci viene indicata dai valori dell’uomo e dalla docilità dei cuori. “Il volto dell’uomo non lo vediamo più: l’uomo che soffre, che è limitato, tormentato e alla fine macellato sui campi di battaglia”, declamava l’On. Igino Giordani, in un accorato discorso nel Parlamento Italiano. Siamo chiamati a vedere, a riscoprire il volto dell’uomo per dire no alla guerra, ad ogni atto di guerra. Per arrivare alla pace occorre però soprattutto diplomazia e negoziazione, senza stancarsi, perché guerra e terrorismo sono la grande sconfitta dell’intera umanità. Questo è il motivo per cui proponiamo e sollecitiamo l’istituzione di un comitato trilaterale ad alto livello fra rappresentanti speciali degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e dell’Iran, con il mandato di ristabilire un dialogo significativo e, in definitiva, raggiungere una soluzione pacifica al conflitto. Mario Bruno Marco Desalvo President – Mppu Movement President – New Humanity NGO contact: Mario Bruno +39 334 998 0260 Appello in pdf (altro…)
Dic 28, 2019 | Sociale
Una onlus che opera da tredici anni nella capitale italiana, recuperando alimenti in eccedenza o rimasti invenduti, prepara ogni giorni 250 pasti per i poveri e lavora anche per favorire la loro inclusione sociale
Accumulo e spreco sono piaghe del nostro tempo e di molte delle nostre società, ma c’è anche chi, silenziosamente, raccoglie il cibo che andrebbe buttato e lo dona alle persone più povere. E lo fa non solo per offrire assistenza, ma come gesto concreto di accompagnamento verso un percorso di riscatto. È la storia di Dino Impagliazzo e di Romaamor, la onlus a cui ha dato vita nella capitale in risposta all’invito di Chiara Lubich, che nel 2000, ricevendo la cittadinanza onoraria di Roma, chiedeva di cooperare per una “rivoluzione d’amore” nella città. Da 13 anni Romaamor offre 250 pasti al giorno ai senzatetto che si trovano alle stazioni Tuscolana e Ostiense e in piazza San Pietro. E Dino, che ha ormai 90 anni, ogni giorno sperimenta la stessa gioia nel donarsi agli altri: “Nell’aiutare queste persone ci sono a volte tante difficoltà – spiega – bisogna sacrificarsi, ma poi senti una grande gioia per aver fatto del bene. Cristo ci ha insegnato che l’essenza del cristianesimo è amare Dio e il prossimo, e Chiara Lubich ci invita a vivere per la fratellanza universale: questo è il fondamento del nostro servizio ai poveri”. Per il suo impegno Dino ha ricevuto il premio internazionale Cartagine 2018, perché “La sua opera di sensibilizzazione e formazione restituisce etica alla città e concretamente crea alternative valide che ridanno giusto valore alle persone e alle cose”. Inoltre, il 20 dicembre scorso, il fondatore di Romaamor ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, l’onorificenza al merito della Repubblica, conferita “per l’impegno nella solidarietà, nel soccorso (…) nella promozione della coesione sociale e dell’integrazione”. Lo abbiamo intervistato:
Come è iniziata l’esperienza di Romaamor? Ho cominciato da solo, per caso, portando un panino ad una persona povera che ho incontrato alla stazione, e pian piano ho pensato di coinvolgere il maggior numero di persone possibile. A partire da mia moglie, poi i miei condomini, il quartiere. Da sempre ci rapportiamo ai poveri nella consapevolezza che nel prossimo, che sia ricco, povero, sano o malato, c’è mio fratello e quando mio fratello è in difficoltà va aiutato e considerato come tale. Per la Giornata dell’Alimentazione 2019, il Papa ha sottolineato come sia necessario un ritorno alla sobrietà negli stili di vita, per coltivare un rapporto sano con noi stessi, i fratelli e il Creato… E’ una scelta essenziale. Se sei cristiano e sai bene che ciascuna persona è tuo fratello, perché te l’ha detto Gesù, se vivi non solo per te stesso ma in relazione agli altri e sai che tra di noi c’è gente che sta bene e gente che sta male, allora come puoi pensarla diversamente? La tua disponibilità deve essere sempre piena e offerta con gioia. Di fronte al predominio della “cultura dello scarto”, voi che scegliete di servire i poveri andate controcorrente… Questo è importante, ma noi non ci limitiamo a raccogliere il cibo in scadenza, cucinarlo e portarlo alle persone in difficoltà. Cerchiamo anche di entrare in rapporto con loro per fare qualcosa in più del semplice sfamare. Cerchiamo di adeguare i pasti alle persone che aiutiamo: bambini, anziani, donne, malati hanno esigenze diverse, e per i nostri ospiti musulmani prepariamo pasti senza utilizzare carne di maiale. Il nostro obiettivo è poi favorire l’inclusione: invito i volontari a cercare di instaurare un rapporto stretto almeno con qualcuna di queste persone. Nell’offrire il pasto chiedo che portino due vassoi, uno per il povero e uno per loro, per sedersi e mangiare insieme. Qual è il valore del gruppo? È fondamentale, siamo insieme in tutto, nel decidere il menù, cucinare, dividere i compiti. Se uno pensa a vedere se ci sono malati, un altro si dà da fare per chi ha bisogno di relazionarsi con gli enti pubblici, e l’uno dà forza all’altro. Le ore che passiamo insieme sono tante: cominciamo a cucinare nel pomeriggio, finiamo alle otto, usciamo e stiamo fuori per due ore. Si condivide tutto, anche le gioie e le difficoltà. Qualcuna delle persone che aiutate è poi diventata volontaria? Certo! Tra i volontari un terzo sono stranieri che, per esempio, sono nei centri di accoglienza e aspettano di essere riconosciuti come rifugiati politici. Alcuni ci vengono segnalati dai giudici per fare servizi sociali, e ci sono seminaristi inviati dalle diocesi. Siamo di provenienza diversa ma tutti operiamo per lo stesso fine. Perché un giovane dovrebbe venire a Romaamor? Tra i volontari c’è una marea di giovani che cresce in continuazione. Fanno questa esperienza con gioia, sono felici, e cercano di portare i loro amici.
Claudia Di Lorenzi
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Dic 26, 2019 | Sociale
Firmato un accordo di partnership tra la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e New Humanity, la ONG internazionale del Movimento di Focolari. Obiettivo: continuare a lavorare insieme per sconfiggere la fame nel mondo entro il 2030.

©FAO/Giulio Napolitano.
Un accordo che rafforza una collaborazione già in atto, un documento che conferma il comune impegno per far sparire la fame e la povertà dal nostro pianeta. E’ questo il senso dell’accordo di partnership firmato il 19 dicembre scorso a Roma tra la FAO, la più grande agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura, e New Humanity, la ONG internazionale del Movimento di Focolari. L’accordo è indirizzato alla promozione, in particolare con le nuove generazioni, di azioni, attività, iniziative per realizzare il progetto Fame Zero, secondo degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. “Grazie per il lavoro che avete già svolto con noi come New Humanity collaborando per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), per Fame Zero e per il futuro del pianeta e del mondo”. Con queste parole la Dott.ssa Yasmina Bouziane, Direttrice dell’Ufficio per la Comunicazione Istituzionale della FAO, ha accolto nella sede della FAO di Roma il dott. Marco Desalvo, Presidente della ONG New Humanity insieme ad una piccola delegazione di giovani dei Focolari. “Sappiamo che abbiamo solo altri 10 anni per raggiungere gli Obiettivi. Ciò che voi fate con i giovani di ogni estrazione è estremamente importante, perché i giovani sono l’innovazione, il cambiamento, sono quelli che si aspettano le informazioni, senza di esse non possiamo arrivare alle azioni concrete che vogliamo fare”. “Quello che firmiamo oggi – ha aggiunto – è un’altra conferma che è solo in partnership che possiamo andare avanti. Già apprezziamo molto ciò che il Movimento dei Focolari e New Humanity hanno fatto con le proprie iniziative, quindi, insieme, penso che possiamo sicuramente andare avanti e sostenere veramente i Paesi e l’intero pianeta per raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030” . “Grazie. Anche per noi, questa firma significa molto – ha detto Marco Desalvo parlando dell’accordo – Penso alle migliaia di giovani che stanno già lavorando per il progetto Fame Zero. Ma questo è anche un nuovo impegno per noi. Pensavo ieri che Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari ha iniziato andando verso coloro che avevano fame, a Trento, pensando di risolvere il problema sociale della città. Ora siamo in tutto il mondo e vogliamo continuare e raggiungere l’obiettivo”. La collaborazione tra la FAO e New Humanity è già iniziata da qualche tempo. Raccogliendo l’invito della FAO ai ragazzi e giovani ad impegnarsi in particolare per Fame Zero, molte sono state le iniziative alle quali si è dato vita. Un gruppo di ragazzi di 11 Paesi ha elaborato la “Carta d’Impegno” (http://www.teens4unity.org/cosa-facciamo/famezero/) dei Ragazzi per l’Unità verso Fame Zero. Ogni anno in maggio, la “Settimana Mondo Unito” e la staffetta mondiale “Run4Unity” sono dedicate anche alla sensibilizzazione e azione sul fronte Fame Zero. La rivista bimestrale Teens ha una rubrica dedicata a queste tematiche Fame Zero (https://www.cittanuova.it/riviste/9772499790212/).- Nel giugno 2018 sono state accolte nella sede FAO di Roma 630 giovani ragazze (dai 9 ai 14 anni) del Movimento dei Focolari (https://www.focolare.org/news/2018/06/26/prime-cittadine-famezero/). A fronte del loro impegno per questo obiettivo è stato consegnato a ciascuna un passaporto e sono divenute “le prime cittadine Fame Zero”. Recentemente è stato realizzato un libro (http://new-humanity.org/it/pdf/italiano/diritto-allo-sviluppo/214-new-humanity-e-fao-libro-generazione-fame-zero-ragazzi-in-cammino-verso-un-mondo-senza-fame/file.html), frutto della collaborazione tra FAO e New Humanity per i ragazzi (12-14 anni) dal titolo “Generazione #FameZero. Ragazzi in cammino verso un mondo senza fame”. In esso si propone, partendo da testimonianza vere, un nuovo stile di vita che possa concorrere a realizzare un mondo unito e, quindi, vincere anche la fame e la povertà. Una copia è stata consegnata anche alla Dott.ssa Bouziane “Custodirò questo libro, grazie!”. Ha continuato affermando che, come giovani e ragazzi, devono valutare insieme quali sono le priorità sulle quali si vogliono impegnare. Di esse, hanno spiegato i giovani presenti, si parlerà anche nei prossimi incontri internazionali di formazione per le nuove generazioni a Trento ad inizio 2020 e nei Cantieri dei Ragazzi per l’unità in Kenya e Costa d’Avorio. “Il nostro impegno – ha concluso la Dott.ssa Bouziane – è lavorare con voi sulle vostre priorità per poter raggiungere Fame Zero, perché la nostra priorità è raggiungere Fame Zero con voi, insieme”.
Stefania Tanesini
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Dic 15, 2019 | Sociale
Il fenomeno delle migrazioni forzate verso l’Europa resta uno dei temi irrisolti del dibattito tra i paesi UE. Troppo divisi da interessi particolari per individuare una politica comune, ispirata a principi di solidarietà e sostenibilità. Ne abbiamo parlato con Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano in Algeria. Secondo l’UNHCR*, dal 1 gennaio al 21 ottobre 2019 sono sbarcati via mare sulle coste Europee di Italia, Malta, Cipro, Spagna e Grecia 75.522 migranti. A questi si aggiungono i 16.322 arrivati via terra in Grecia e Spagna per un totale di 91.844 persone, di cui 9.270 in Italia, 2.738 a Malta, 1.183 a Cipro, 25.191 in Spagna, 53.462 in Grecia. Dati che seguono un trend in calo e archiviano la fase d’emergenza, ma non bastano all’Europa per avviare un dialogo allargato e costruttivo sul tema: la prospettiva della creazione di un sistema europeo di gestione dei flussi resta assai remota, e in generale il confronto a livello istituzionale non tiene conto della prospettiva dei paesi africani. Ad Algeri abbiamo raggiunto l’Ambasciatore italiano, Pasquale Ferrara: (2° PARTE) Si dice da tempo che è necessario strutturare una collaborazione con i paesi del Nord Africa, ma anche con quelli di transito. Buoni propositi ma pochi fatti concreti…. Per passare ai fatti concreti bisogna prendere atto della realtà, del fatto che i paesi africani, soprattutto quelli del Nord, che consideriamo paesi di transito sono essi stessi paesi di destinazione dell’emigrazione. L’Egitto ospita oltre 200 mila rifugiati sul proprio territorio, mentre in tutta Europa nel 2018 sono arrivate poco più di 120 mila persone. Le poche centinaia di migranti irregolari che arrivano dall’Algeria sono tutti algerini, non subsahariani che transitano dall’Algeria, perché spesso questi migranti restano qui. Inoltre questi paesi non accettano programmi tendenti a creare “hotspot” (centri di raccolta) per i migranti subsahariani. Qui non funziona il modello della Turchia, alla quale l’Unione Europea ha dato 6 miliardi di euro per gestire campi dove ospitare oltre 4 milioni di profughi siriani e non solo. Con la Turchia l’operazione funzionò perché c’era la guerra in Siria e per gli interessi strategici della Turchia. In Africa i fenomeni sono molto diversi bisogna trovare altri modi. Quali potrebbero essere le forme di collaborazione? Non servono collaborazioni asimmetriche ma partenariati alla pari. Dobbiamo considerare che non siamo solo noi europei ad avere il problema migratorio, e dunque è necessario rispettare questi paesi con le loro esigenze interne, anche in fatto di migrazione. Solo poi si può cercare insieme di gestire il fenomeno. Per esempio esistono già accordi di cooperazione fra l’Italia e l’Algeria che risalgono al 2000 ed al 2009 e che funzionano bene. Cosa prevedono? La gestione congiunta del fenomeno migratorio in termini di lotta allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani, alla criminalità trans-nazionale che utilizza il fenomeno per finanziarsi, al pericolo di infiltrazioni terroristiche. Vi sono anche disposizioni per il rimpatrio concordato, ordinato e dignitoso dei migranti irregolari. Si parla del fatto che i paesi occidentali debbano sostenere quelli africani per creare condizioni di vita migliori, tali da scoraggiare le partenze. Quanto è praticabile questa strada? Nelle condizioni attuali dell’economia e della cultura politica internazionale lo vedo poco praticabile e tutto sommato poco efficace. In primo luogo, parliamo già di un miliardo di africani: nessun “piano Marshall” europeo o mondiale potrebbe affrontare tali dimensioni demografiche. Tra l’altro l’Africa è molto diversificata, ci sono paesi in condizioni di sviluppo avanzate: il Ghana ha un tasso di innovazione tecnologica superiore a vari paesi sviluppati; l’Angola è un paese ricchissimo di risorse che sta tentando di riorganizzare la sua struttura economica in modo più partecipativo. Abbiamo dei leader, come il neo premio Nobel per la pace, il Primo Ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, che ha 42 anni e guarda alle nuove generazioni. Ha già fatto piantare 350 milioni di alberi in un programma di riforestazione mondiale chiamato “Trillion Tree Campaign”. L’Uganda vive una fase di forte sviluppo. Il problema piuttosto sono le disparità economiche, drammatiche e ingiuste, e qui l’Occidente può intervenire aiutando a migliorare la governance di questi paesi, perché sia più inclusiva e partecipata. Ma ricordiamoci che sono gli stessi problemi di polarizzazione socio-economica che abbiamo in Europa: purtroppo, non possiamo dare molte lezioni in questo campo. Nelle riflessioni sul fenomeno migratorio a livello istituzionale in primo piano c’è la dimensione economica, mentre viene trascurata quella umana. Cosa significa mettere l’uomo al centro del problema migratorio? Dietro ogni migrante c’è una storia, una famiglia, un percorso accidentato, la fatica di procurarsi il denaro e forse debiti con organizzazioni criminali. Certamente non possiamo ammettere l’immigrazione irregolare perché tutto deve svolgersi nel rispetto delle leggi, ma dare valore alla dimensione umana significa tenere conto di questo passato e non vedere in queste persone dei numeri che arrivano a bordo di barconi o via terra. Mi ha profondamente colpito la storia di quel ragazzo di 14 anni, proveniente dal Mali, trovato in fondo al mare con una pagella cucita dentro il giubbotto, con ottimi voti. Quella è una storia che ci lascia senza parole. E dietro c’è una tragedia familiare, umana, un tessuto sociale lacerato. Consiglio il bel libro di Cristina Cattaneo, “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo”. Non dimentichiamo però anche le storie della nostra Marina militare – in particolare quella della comandante Catia Pellegrino – che ha salvato migliaia di naufraghi. Persone, volti, eventi reali. * https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean (leggi la 1° parte dell’intervista)
A cura di Claudia Di Lorenzi
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Dic 1, 2019 | Sociale
Che visione si ha dal Nord Africa del fenomeno migratorio verso l’Europa? In che modo è possibile mettere l’uomo al centro, passando così da una visione puramente economica a quella umana delle migrazioni? Intervista a Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano ad Algeri. Secondo l’UNHCR*, dal 1 gennaio al 21 ottobre 2019 sono sbarcati via mare sulle coste Europee di Italia, Malta, Cipro, Spagna e Grecia 75.522 migranti. A questi si aggiungono i 16.322 arrivati via terra in Grecia e Spagna per un totale di 91.844 persone, di cui 9.270 in Italia, 2.738 a Malta, 1.183 a Cipro, 25.191 in Spagna, 53.462 in Grecia. Dati che seguono un trend in calo e archiviano la fase d’emergenza, ma non bastano all’Europa per avviare un dialogo allargato e costruttivo sul tema: la prospettiva della creazione di un sistema europeo di gestione dei flussi resta assai remota, e in generale il confronto a livello istituzionale non tiene conto della prospettiva dei paesi africani. Ad Algeri abbiamo raggiunto l’Ambasciatore italiano, Pasquale Ferrara: Ambasciatore, che visione si ha dal Nord Africa del fenomeno delle migrazioni verso l’Europa? Visto dall’Africa si tratta di un fenomeno storico e strutturale, soprattutto infra-africano, perché la stragrande maggioranza dei movimenti di migranti e rifugiati avviene tra paesi africani: oltre 20 milioni di persone vivono in un paese diverso da quello di origine. Altra cosa è la migrazione verso l’Europa, che teme un afflusso incontrollato. Qui il quadro entro cui leggere il fenomeno è solo parzialmente quello del differenziale di sviluppo. In Europa spesso si fa la distinzione fra rifugiati politici e migranti economici. Ma spesso i migranti economici africani sono il risultato di una pessima gestione politica degli stati, perché c’è un problema di governance, di appropriazione delle risorse da parte di oligarchie, di inclusione sociale. Quindi in qualche modo anch’essi sono qualificabili come rifugiati politici. Al di là delle migrazioni irregolari, per ciò che riguarda l’Africa del nord, bisognerebbe ripristinare nel Mediterraneo quella mobilità circolare delle popolazioni che nella storia si è sempre osservata. Significa per esempio la possibilità di venire in Europa per un periodo di studio o lavoro, per poi tornare nel paese di origine. Al momento questi spostamenti sono subordinati alla concessione del visto, che però è molto difficile ottenere per via dei molti e necessari controlli. Per molti rappresenta un dramma, per cui la tentazione di chi riceve il visto, anche se si tratta di persone di buone intenzioni, è spesso quella di non tornare nel paese di origine. Il visto va mantenuto, ma, nell’ottica di favorire la mobilità circolare, è necessario pensare ad un sistema più strutturato. C’è poi un altro fattore che dà impulso alla migrazione, ed è la differenza nella qualità dei servizi che una società offre: quelli sanitari e quelli previdenziali in genere, la cui scarsa disponibilità e qualità influisce anch’essa, assieme ad altri fattori come la violenza endemica, sul senso di sicurezza, o quelli scolastici per cui anche chi non è in una situazione di miseria assoluta tenta di approdare in Europa per dare un’educazione migliore ai figli. Quindi dovremmo investire di più nella formazione delle classi dirigenti, dei professionisti, degli educatori. Ad Algeri, pur con numeri ridotti, stiamo cercando di farlo, aumentando le borse di studio per i giovani algerini che vanno in Italia a studiare musica, arte, restauro, come investimento per il loro futuro professionale. C’è una responsabilità dell’Occidente nell’impoverimento dei Paesi africani? “Sarei molto prudente. Questa è una narrazione che fa comodo a certe oligarchie afro-africane per scaricare le proprie responsabilità anche rispetto ad una governance che è dubbia nella sua legittimazione e nei suoi risultati. Il periodo coloniale ha segnato molto l’Africa e le responsabilità passate dell’Occidente sono accertate, ma dalla decolonizzazione sono trascorsi almeno 50 anni ed è difficile imputare all’Occidente le problematiche delle società africane di oggi. La qualità della governance ha un grande peso. Piuttosto oggi in Africa c’è una presenza forte della Cina con programmi legati alle risorse naturali e minerali in quasi tutti i paesi. La Cina considera l’Africa un grande mercato, ma lo scambio è asimmetrico a favore di Pechino. Tuttavia, per compensare questo squilibrio la Cina realizza a proprie spese opere infrastrutturali, stadi, teatri, centri culturali per miliardi di dollari. Nella gestione del fenomeno l’Europa fa passi incerti. Mancano politiche comunitarie e sembra che il principio di responsabilità condivisa non scaldi i cuori in Europa.. La scelta della solidarietà non può dipendere dalla buona volontà dei singoli governi e dal variare degli orientamenti degli stessi. La questione migratoria deve diventare una competenza esclusiva dell’Unione europea in quanto tale, come avviene per le politiche commerciali per le quali gli stati dell’UE hanno dato a Bruxelles la responsabilità esclusiva di negoziare accordi con paesi extraeuropei. Oggi invece da un lato, per una questione di sovranità nazionale, gli stati vogliono mantenere il controllo sulle migrazioni e sulle frontiere, ed è comprensibile. Dall’altro accusano di inerzia l’Europa a cui però non danno le competenze necessarie per operare efficacemente. Ma passare a questa dimensione decisiva mi sembra improbabile ora, considerando la resistenza che questo tema incontra rispetto alle politiche interne. * https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean Fine 1° PARTE
A cura di Claudia Di Lorenzi
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