Mag 17, 2019 | Sociale
Moltissimi sono i migranti venezuelani che lasciano la loro terra e si spostano in Perù, come in altri Paesi dell’America Latina, in cerca di condizioni di vita migliori. Irene Indriago Castillo è una psicologa clinica e cognitiva venezuelana che collabora con il Movimento dei Focolari e lavora in Perù come coach organizzativo internazionale. Le abbiamo chiesto quale è la sua esperienza umana e professionale in questo ambito.
Quali sono i dolori che i migranti portano con sé e quali le speranze? Le persone che arrivano in Perù hanno spesso lasciato il Venezuela con i mezzi più economici, distaccandosi dai beni materiali e dai loro affetti. Dopo il viaggio ed il passaggio dei controlli migratori inizia per loro un processo che definisco “dall’illusione alla delusione”: sono quasi senza risorse economiche, ma vorrebbero ottenere al più presto migliori condizioni di vita, trovare una casa ed un lavoro anche per aiutare le famiglie rimaste in Venezuela. Queste aspettative purtroppo ben presto crollano e inizia un percorso doloroso. Soffrono per la separazione dalle famiglie delle quali non hanno notizie, per la perdita della loro vita quotidiana e di quegli spazi in cui si sentivano sicuri. Spesso vivono in condizioni meno favorevoli che in Venezuela. L’adattamento quindi è difficile, a volte porta difficoltà anche nelle coppie. Si muovono in un mare di incertezze che minano la loro forza emotiva e spirituale. Solo chi viene con un obiettivo chiaro e una fede forte è in grado di superare queste circostanze in meno tempo.
Quali sono i loro bisogni più grandi e più urgenti? L’esigenza principale è di tipo economico per potersi mantenere. Hanno bisogno di legalizzare la loro presenza nel Paese di destinazione e di cure in caso di malattie. È molto importante anche che riescano a mantenere i contatti con la famiglia in Venezuela. E poi hanno bisogno di relazioni di aiuto e supporto, per gestire la frustrazione, l’incertezza e il dolore. Molti sono i minori che arrivano, quali sono i più grandi traumi che vivono e come cercate di aiutarli? I bambini e gli adolescenti non sfuggono agli shock emotivi, pur sapendo che l’obiettivo della migrazione è raggiungere una migliore qualità di vita. Non hanno gli stessi strumenti degli adulti per elaborare i cambiamenti. Nei laboratori che faccio con loro mi sono resa conto che per tutti la decisione di venire in Perù è stata presa dai genitori, loro non sono stati interpellati. Pur capendo infatti la prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita, non tutti volevano venire. Vedono poco i genitori, vivono preoccupati, comunicano meno, non hanno amici. Non tutti riescono ad entrare subito nelle scuole peruviane, ma quelli che le frequentano ricevono spesso parole offensive dai compagni di classe. La loro tristezza, rabbia e paura si manifestano con comportamenti a volte non comprensibili dai genitori, come ribellione, pianto, isolamento. È essenziale prestare loro attenzione, aprire la comunicazione e sostenere la formazione di gruppi di coetanei in modo che si sentano solidali. Pensa che ci sia ancora spazio per la speranza di ricostruire un futuro in questi bambini e ragazzi? Finché c’è vita, c’è speranza. Occorre promuovere la resilienza come strumento che rafforza cognitivamente ed emotivamente coloro che stanno attraversando grandi sfide della vita. Il Paese ospitante, nel quadro dei diritti umani, deve garantire l’accesso alla salute, al cibo e all’istruzione. È indispensabile fornire sostegno per costruire nuove relazioni affettive, mantenere la comunicazione familiare e stabilire ponti di adattamento ai nuovi luoghi e il rafforzamento spirituale. Così formeremo persone con valori più stabili, con una visione del futuro e con gli strumenti necessari per prendere decisioni che permettano di realizzare i loro sogni.
Anna Lisa Innocenti
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Mag 13, 2019 | Sociale
Dal 26 al 28 marzo 2020 Papa Francesco invita ad Assisi (Italia) giovani economisti di tutto il mondo per dar vita a un patto per cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella del futuro. “Vi scrivo per invitarvi ad un’iniziativa che ho tanto desiderato: un evento che mi permetta di incontrare chi oggi si sta formando e sta iniziando a studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda. Un evento che ci aiuti a stare insieme e conoscerci, e ci conduca a fare un “’patto’ per cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani”.
Sono queste le prime righe del messaggio che sabato 11 maggio scorso Papa Francesco ha indirizzato a giovani economisti, imprenditori e change-makers impegnati nel pensare e praticare un’economia diversa. Francesco li invita a partecipare e costruire insieme l’evento internazionale “The economy of Francesco”, che si terrà ad Assisi (Italia) dal 26 al 28 marzo 2020. Vuole avviare con loro un processo di cambiamento globale affinché l’economia di oggi e di domani sia più giusta, inclusiva e sostenibile, senza lasciare nessuno indietro. L’evento è promosso da un Comitato composto dalla Diocesi di Assisi, dal Comune di Assisi, dall’Istituto Serafico di Assisi e da Economia di Comunione. Li attende tutti, il Papa, senza distinzioni di credo o di nazionalità, per trattare con loro i problemi più complessi del mondo attuale, dalla salvaguardia dell’ambiente alla giustizia verso i poveri; questioni che hanno bisogno del coraggioso impegno a ripensare i paradigmi economici del nostro tempo. Il Prof. Luigino Bruni, direttore Scientifico del Comitato, dichiara che: “L’invito di Papa Francesco ai giovani economisti è un evento che segna una tappa storica, perché si uniscono due grandi temi e passioni del Papa: la sua priorità per i giovani e la sua sollecitudine per un’altra economia. Stiamo invitando, a suo nome, alcuni degli economisti e imprenditori più sensibili allo spirito dell’Oikonomia di Francesco (Francesco di Assisi e Papa Francesco), per poter dare ai giovani il meglio delle riflessioni e prassi economiche di oggi nel mondo. La parola Oikonomia evoca insieme tante realtà: la radice greca richiama le regole della casa, ma rimanda anche alla cura della casa comune, all’OIKOS. E ci riferiamo anche all’Oikonomia intesa dai Padri della Chiesa come categoria teologica di salvezza universale. Assisi è parte essenziale, perché è una città-messaggio di una economia diversa. I diversi luoghi della città di Assisi, ospiteranno il programma dell’evento costruito attorno ai tre pilastri dell’Oikonomia di Francesco: i giovani, l’ambiente, i poveri”. Molti i temi che troveranno spazio nella due giorni di Assisi: diritti delle generazioni future, accoglienza della vita, equità sociale, dignità dei lavoratori e salvaguardia del Pianeta. Dal 26 al 28 marzo 2020,” The Economy of Francesco” si articolerà in laboratori, manifestazioni artistiche, seminari e plenarie con i più noti economisti ed esperti dello sviluppo sostenibile e delle discipline umanistiche, che rifletteranno e lavoreranno insieme ai giovani. Le candidature per partecipare all’iniziativa si apriranno a giugno 2019. La lettera integrale di Papa Francesco e tutte le informazioni sono disponibili sul sito www.francescoeconomy.org
Stefania Tanesini
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Apr 30, 2019 | Sociale
Un negozio dove non circolano soldi ma beni, donati gratuitamente e riutilizzati da chi ne ha bisogno. Uno dei frutti più recenti dell’esperienza del Movimento Diocesano ad Ascoli Piceno, nel centro Italia.
È stato definito il “negozio del dono e del riuso”. Qui non si paga con le banconote o con la carta di credito, ma con un sorriso e una forte stretta di mano. Si entra per donare oggetti, vestiti, elettrodomestici o per ricevere ciò di cui si ha bisogno, secondo un preciso regolamento Si trova nel centro storico di Ascoli Piceno, città del centro Italia, puntellata di torri e campanili medievali in pietra di travertino. “Passamano”, questo il nome del negozio, è uno degli ultimi frutti, in ordine di tempo, dell’esperienza del Movimento Diocesano ad Ascoli Piceno. Diramazione del Movimento dei Focolari, profondamente radicato in sei diocesi del centro Italia, opera a servizio della Chiesa locale favorendo un’intensa vita di comunione all’interno della realtà ecclesiale. Alessia Giammarini, giovane mamma di due bambini di 9 e 6 anni, ne fa parte dai tempi della scuola elementare: «Ho cominciato a partecipare agli incontri in parrocchia quando ero in terza elementare, ogni sabato pomeriggio. In seguito ho scoperto che c’era un’intera comunità attorno al nostro gruppo, fatta anche di giovani e di adulti che si prendevano cura dei più piccoli. Ricordo ancora il primo campo-scuola, un momento di crescita fondamentale, dove ho capito che Dio mi chiamava ad impegnarmi in prima persona. Per tanti anni, oltre a portare avanti il gruppo dei giovani della parrocchia, mi sono impegnata nel catechismo e nel coro.
Tuttora è per me un cammino di crescita, insieme a tanti. Viviamo la parrocchia non solo come un luogo di servizio, ma soprattutto di comunione». La storia personale di Alessia si è ulteriormente arricchita quando questo impegno si è esteso a livello diocesano. «Alcuni di noi – spiega – si sono messi al servizio come diaconi o ministri dell’Eucaristia. Altri, come me, abbiamo proposto una trasmissione alla radio diocesana per parlare della comunità cristiana locale. In ogni puntata invitavamo persone dei vari movimenti e associazioni, comunità religiose, organi diocesani o il Vescovo stesso, per presentare iniziative ed eventi. La nostra presenza come Movimento Diocesano ha cominciato ad essere visibile anche a livello politico e delle istituzioni. Ad esempio, la prima edizione del Premio internazionale “Città per la Fraternità” è stato assegnato ad Ascoli, nella persona del Sindaco, per una iniziativa che abbiamo avviato coinvolgendo tutta la città. In questi ultimi anni abbiamo dato vita a momenti dedicati alla cittadinanza, come la “Festa della Fantasia”, inserita nel carnevale ascolano, o il “Capodanno di tutti”, con il coinvolgimento delle persone più svantaggiate». Come siete arrivati all’apertura di “Passamano”? «È stata la proposta fatta alla diocesi e alla Caritas per rispondere alle molteplici situazioni di indigenza causate dal recente terremoto in centro Italia. “Passamano” è diventato ora, in città, una realtà ben visibile, uno strumento per promuovere la cultura del dare, l’emancipazione dalle logiche del consumismo e la pratica del riuso».
Chiara Favotti
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Apr 24, 2019 | Sociale
La valorizzazione delle potenzialità educative della Rete: il lavoro di Daniela Baudino Il fenomeno non è nuovo ma non siamo ancora equipaggiati per affrontarlo. Da anni ormai le nostre relazioni amicali, familiari, professionali e affettive hanno luogo, oltre che negli ambienti di vita comuni, anche sul web. Attraverso i social, nelle chat e nelle community ci relazioniamo con chiunque, conoscenti e sconosciuti. Non una banalità, visto che pur navigando nel web non abbiamo ancora imparato a nuotare efficacemente. Non conosciamo le regole che ci servono per restare a galla, per tenerci alla larga dalle “trappole” che la Rete nasconde e beneficiare delle opportunità che offre. Vale per gli adulti ma soprattutto per i giovani, meno consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, e con sentimenti ed emozioni da gestire, una personalità in costruzione che ha bisogno di guida e orientamenti sicuri. Anche per evitare il rischio, concreto, di abusi e sopraffazioni. Educare all’affettività i giovani significa oggi esplorare anche l’universo delle relazioni digitali, che non sono virtuali ma reali, seppur limitate nel tempo e nello spazio. Indubbiamente internet ha cambiato la natura delle relazioni sociali. Ne abbiamo parlato con Daniela Baudino, esperta di educazione digitale, tutor nel progetto Up2Me per l’educazione all’affettività dei ragazzi, promosso dal Movimento dei Focolari in diversi continenti: “La cosa più evidente è che con l’ambiente digitale siamo diventati tutti ‘vicini di casa’, e quindi è più facile entrare in relazione, anche solo per una volta, con persone con cui forse non saremmo mai entrati in relazione in un altro modo. Questo però significa che spesso le relazioni rischiano di essere consumate più velocemente e quindi di essere più frammentate. C’è il rischio che questo si traduca in superficialità e che questo atteggiamento coinvolga anche relazioni nate al di fuori dell’ambiente digitale”. Quali sono le illusioni che questo ambiente regala? “Anzitutto l’idea che sia la quantità, quindi il numero di amici, i like, a dire quanto valiamo. Poi il credere che mantenere una relazione non richieda fatica, né di mettersi totalmente in gioco. Anche credere che attraverso un social possiamo conoscere e farci un’idea esatta di un’altra persona”.
Come si può vivere in maniera consapevole e positiva questa dimensione relazionale? “Dobbiamo diventare consapevoli di cosa ogni nostra azione digitale comporta, ad esempio in fatto di privacy, reputazione e a livello relazionale, e comprendere che l’ambiente digitale è solo una delle dimensioni relazionali che può potenziare le altre ma non deve sostituirle”. Ai pericoli del web sono esposti in particolare gli adolescenti, vittime di cyberbullismo, revenge porn e dell’adescamento da parte di adulti. Come si declina qui l’educazione ai media dei giovani? “Credo che dobbiamo riproporre i modelli che già conosciamo in altre dimensioni più “reali”, aiutando i ragazzi a comprendere che non tutti quelli che incontriamo vogliono il nostro bene e quindi che esistono anche dei pericoli, e che tutto quello che facciamo nell’ambiente digitale viene scolpito per sempre e quindi bisogna pensare molto bene prima di fare click”. Il sexting è una pratica diffusa fra i giovani e consiste nel farsi video e foto sexy e inviarli a fidanzati o amici. Un gioco che diventa pericoloso se chi li riceve, per vendicarsi o per divertimento, condivide queste immagini su piattaforme pubbliche, mettendo alla berlina il suo amico: è il revenge porn. Fenomeni come questi espongono all’attenzione di malintenzionati, non di rado adulti. Ma perché i ragazzi trascurano questi pericoli e come educarli anzitutto al rispetto della propria persona? Si trascurano i pericoli perché manca la percezione della materialità di questi luoghi e la consapevolezza che le nostre azioni in rete hanno delle conseguenze. Bisogna far capire ai ragazzi che l’interazione ci coinvolge interamente come persone e quindi le conseguenze delle azioni che compiamo sono molto reali e durature. Con loro dobbiamo lavorare molto sul significato delle azioni. Lei è impegnata in attività di educazione ai media, fra cui il progetto Up2Me promosso dal Movimento dei Focolari. Nella sua esperienza, il vivere online ha potenzialità educative o è solo una possibile trappola? Credo che la dimensione digitale sia un terreno fertile in ambito educativo, perché è un luogo d’incontro dove possiamo trovare persone diverse con idee diverse, e questo ci dà l’occasione di crescere nella nostra umanità. Ad esempio sviluppando un approccio critico o la capacità di mettere in discussione il proprio punto di vista, oppure scegliendo le parole giuste per non ferire l’altro che non può sentire la nostra voce. Sono cose che spesso gli adulti non sanno fare e quindi i giovani in questo possono diventare specialisti.
Claudia Di Lorenzi
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Apr 9, 2019 | Sociale
In Colombia una Fondazione per i bambini costretti a combattere o a lavorare nelle piantagioni di coca “Creare un luogo dove i bambini poveri trovano dignità, possono pensare a realizzare i loro sogni e fare un cammino in cui si formano con una mentalità di giustizia e di pace”. Con questi obiettivi Don Rito Julio Alvarez, sacerdote della diocesi di Ventimiglia-Sanremo, ha dato vita nel 2006, nel cuore della regione del Catatumbo, nel nord est della Colombia, alla Fondazione Oasi di Amore e Pace.
Sorta in una delle aree più povere della regione, dove don Rito è nato e ha vissuto per vent’anni, la ONG vuole offrire un’opportunità di riscatto ai tanti bambini che nel Paese sono arruolati fra le milizie di guerra o costretti a lavorare nelle piantagioni di coca. Un intento maturato dall’esperienza personale di don Rito, che – si legge sul sito della Fondazione http://www.oasisdeamorypaz.org/ – “da piccolo ha conosciuto la guerriglia, i gruppi rivoluzionari illegali che spesso passavano per il villaggio e cercavano di convincere i più piccoli ad arruolarsi. Alcuni suoi compagni, anche di 11 o 12 anni, hanno ceduto alle lusinghe dei rivoluzionari e sono morti uccisi negli scontri con l’esercito regolare. Anche il suo amico di infanzia è partito con i gruppi armati e a 14 anni è rimasto ucciso. Nemmeno del suo corpo, abbandonato, si è saputo più nulla”. “Negli anni 90 – racconta – i contadini del territorio si sono illusi che piantando la Coca avrebbero cambiato la loro vita, invece questo ha aggravato la situazione. Nel ‘99 entrarono i paramilitari e ci furono grandi massacri”. Divenuto sacerdote nel 2000, dall’Italia don Rito osservava il dolore della sua gente ferita dalla guerra scoppiata per il controllo delle piantagioni di coca, che vedeva contrapporsi paramilitari, gruppi armati filo governativi e guerriglieri. In un territorio di 250.000 abitanti furono circa 13000 i morti in pochi anni. Anche i suoi familiari furono costretti a sfollare e molti suoi amici rimasero uccisi.
Il bisogno di aiutare quelle persone era forte. Con i suoi familiari a Catatumbo decise di mettere in piedi una casa per i bambini-soldato e per quelli che provenivano dalle piantagioni di coca. “Abbiamo iniziato nel 2007 – ricorda – in una piccola baracca dove abbiamo accolto i primi 10 ragazzi. Non avevamo un soldo ma solo tanta buona volontà. Abbiamo sistemato i letti, mia sorella faceva da mamma e si occupava di far da mangiare. Mia mamma mi ha prestato le posate, i piatti, le pentole e le coperte. È iniziata così l’avventura”. Ad oggi la Fondazione ha due sedi, progetti che riguardano l’allevamento di pesci e bestiame e piantagioni di banane e caffè. Sono centinaia i ragazzi accolti: alcuni sono diventati loro stessi formatori e responsabili della ONG. Uno, che fra i parenti aveva un narcotrafficante della zona, è impegnato in politica. “Mi piace molto vedere alla Fondazione quei bambini che ho visto raccogliere le foglie di coca con le mani piagate – è il pensiero commosso di don Rito – qui crescono e vivono in un ambiente di pace, si sentono sicuri e possono pensare a un futuro diverso. Tutto questo mi spinge ad andare avanti senza paura. La fiducia nel Signore mi dà la certezza che questa opera potrà andare avanti”.
Claudia Di Lorenzi
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Mar 22, 2019 | Sociale
In famiglia o nei luoghi di lavoro la condivisione di quanto abbiamo e di quello che siamo può contribuire a creare nuove relazioni. Un cambio di regalo Si avvicinava il nostro anniversario di matrimonio e, a nostra insaputa, i figli ci stavano preparando una sorpresa. Sono sposata da 46 anni ed ho cinque ragazzi. Due giorni prima che festeggiassimo l’anniversario con mio marito ci siamo visti donare i biglietti per un viaggio: era una vacanza in albergo pagata da loro. Eravamo raggianti. Pochi minuti dopo, però, a casa nostra ha squillato il telefono: era una signora che conosco che, molto addolorata, ci informava che una persona gravemente malata aveva bisogno di un’operazione urgente, ma non aveva le possibilità finanziarie per pagarla. L’importo necessario per l’intervento era proprio quello dei biglietti del viaggio. Non ci abbiamo pensato due volte: abbiamo rinunciato alla vacanza per aiutare questa persona. L’intervento chirurgico è avvenuto proprio il giorno del nostro anniversario. L’operazione è andate bene, adesso questa persona sta meglio. (A. – Angola) Salvare l’azienda Lavoro nell’amministrazione di una struttura sanitaria nella quale, negli ultimi anni, il bilancio è stato chiuso in perdita. Tra i soci amministratori, fino a poco tempo fa, c’erano grosse difficoltà di dialogo e, nonostante i miei segnali di allarme, nessuno prendeva in considerazione la possibilità di rivedere la gestione dei conti aziendali. Un giorno ho sentito che non potevo più tacere davanti alla cattiva gestione e alle esose parcelle dei vari professionisti che lavorano per noi. Mi sono accordata con una delle socie con la quale c’è un bel rapporto di fiducia e abbiamo chiesto di fare analizzare costi e ricavi da un serio professionista. Un’azione che ha portato a fare piccoli passi di miglioramento e, dalla primitiva decisione di chiudere l’attività, il mio capo ha concesso un altro anno di prova. Fin dal primo esame dei conti è emerso un esubero di personale, perciò è stato deciso di licenziare una persona e di ridurre a part-time un’altra. Ho proposto una riduzione di ore per tutti, piuttosto che la perdita del lavoro per una persona. La proposta è stata accettata. I problemi sono ancora tanti, ma cerco di essere disponibile anche da casa per ascoltare tutti, accogliere incertezze e timori dei colleghi, soprattutto la paura di perdere il posto di lavoro. (R. G. – Italia) Ho iniziato dal mio palazzo “Un sabato pomeriggio sono sceso nell’androne del mio palazzo ed ho ordinato con cura in un piccolo tavolo tutto quanto avevo raccolto nella mia cameretta” racconta G. di 7 anni. Nei giorni precedenti infatti G. aveva scelto con cura fumetti, giornalini e la sua collezione di conchiglie per allestire un piccolo mercatino per i suoi vicini di casa. “Ho anche scritto un annuncio – continua – invitando le famiglie che abitano nel mio stabile a visitare la mia bancarella e fare acquisti, regalandomi qualche minuto del loro prezioso tempo. Per circa due ore ho accolto le persone e spiegato loro che il ricavato della vendita sarebbe andato per aiutare alcuni miei coetanei più poveri”. Molti hanno comprato vari oggetti ed alla fine il ricavato era una bella cifra, divenuta contributo per un progetto di solidarietà. (G.- Italia) (altro…)