Giu 27, 2020 | Testimonianze di Vita
Tutti i cristiani hanno una missione, come i discepoli: testimoniare con mitezza, prima con la vita e poi anche con la parola, l’amore di Dio che essi stessi hanno incontrato, perché diventi una gioiosa realtà per tanti, per tutti. In una società spesso segnata dalla ricerca di successo e di autonomia egoistica, i cristiani sono chiamati a mostrare la bellezza della fraternità, che riconosce il bisogno l’uno dell’altro e mette in moto la reciprocità. Un progetto di legge Lavoro come geometra presso la prefettura della mia città e allo stesso tempo frequento un rione povero per una attività di promozione umana. Considerando le condizioni precarie di chi abita in quel posto, mi ero accorto che quando si trattava di allargare una strada o di demolire qualche edificio, il materiale recuperato spesso veniva semplicemente usato per livellare il terreno. Perché invece non sfruttarlo per migliorare le abitazioni dei più poveri? Occorreva però un’apposita legge comunale. L’idea è piaciuta al mio responsabile che, dopo essersi reso conto della cosa recandosi sul posto, si è attivato per i contatti necessari; e una volta che il prefetto della città ha accolto la nostra proposta, è stato presentato un progetto di legge, subito approvato. Grazie ad esso, oggi il sindaco viene autorizzato a donare alle istituzioni di assistenza sociale i materiali posti in disuso per motivi tecnici, materiali che risultano preziosi per chi vive nelle baracche senza possibilità alcuna di migliorare il proprio stato. (G. A. – Brasile) Saper perdonare La guerra civile nel mio Paese aveva arrecato lutti e sofferenze anche nella mia famiglia. Mio padre e mio fratello erano tra le vittime della guerriglia; mio marito subiva ancora le conseguenze di un pestaggio. Come cristiana avrei dovuto perdonare, ma in me dolore e rancore andavano crescendo. Solo grazie alla testimonianza ricevuta da alcuni autentici cristiani sono riuscita a pregare per quanti ci avevano fatto tanto male. Dio ha messo alla prova la mia coerenza quando, tornata la pace nel Paese, dalla capitale dove ci eravamo trasferiti abbiamo fatto ritorno alla mia città d’origine, rimasta per dodici anni in balìa di governativi e guerriglieri. Per i bambini, che più di altri avevano sofferto, abbiamo organizzato una festa a cui sono intervenuti in molti. Solo allora mi sono accorta che, fra le autorità presenti, alcune erano state coinvolte nella guerriglia. Forse fra loro c’erano i responsabili della morte dei miei. Vinto l’iniziale moto di ribellione, mentre in cuore mi calava una grande pace, sono andata ad offrire da bere anche a loro. (M. – San Salvador) Le sfumature del dolore Di ritorno in Italia dopo un’esperienza come medico in una vallata del Camerun, la mia attenzione è stata attratta dalle persone afflitte da mali incurabili e da malattie croniche debilitanti. Sono nate in me, con gli anni, alcune convinzioni profonde. Una prima riguarda le infinite sfumature del dolore, che non è mai monotono. Ogni dolore, come ogni uomo, è irripetibile. Un’altra impressione forte è quella delle piccole attese quotidiane inserite nella grande attesa per l’appuntamento finale. Ma la comprensione più importante nata in me è la seguente: questi pazienti, denudati dalla sofferenza, mi sono apparsi come pietre vive nella costruzione dell’umanità e dei suoi valori. Il loro vestito è la sfinitezza, ma anche la trasparenza; essi sono portatori di una luce particolare, la luce di Dio. Sembra che egli si incarni in quelle esistenze disgregate. Spesso le parole dei moribondi sembrano dettate da lui. Sempre più mi sono convinto che – come afferma Simone Weil – l’umanità, se fosse privata di tali persone, non avrebbe alcuna idea di Dio. (C. – Italia)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.3, maggio-giugno 2020) (altro…)
Giu 20, 2020 | Testimonianze di Vita
“Gesù è stato la manifestazione dell’amore pienamente accogliente del Padre celeste verso ciascuno di noi – scriveva Chiara Lubich – e dell’amore che, di conseguenza, noi dovremmo avere gli uni verso gli altri. (…) L’accoglienza dell’altro, del diverso da noi, sta alla base dell’amore cristiano. È il punto di partenza, il primo gradino per la costruzione di quella civiltà dell’amore, di quella cultura di comunione, alla quale Gesù ci chiama soprattutto oggi”[1]. Lavoro di ricerca Stavo lavorando ad una ricerca per la quale c’era una scadenza, quando ha bussato la vicina: mi chiedeva di far compagnia al marito, molto malato, mentre lei andava a fare la spesa. Conoscevo la situazione e non ho potuto dirle di no. Lui ha cominciato a parlarmi del suo passato, degli anni di insegnamento… Mentre ascoltavo, veniva di tanto in tanto a distrarmi il pensiero del lavoro interrotto. Finché mi sono ricordato del consiglio di un amico: riuscire ad ascoltare un prossimo per amore è un’arte che esige il vuoto di sé. Ho provato a fare questo esercizio essendo interamente presente all’altro. A un certo punto il malato si è interessato a sua volta a me, chiedendomi del mio lavoro. Saputo di cosa mi stavo occupando, mi ha suggerito di cercare nella libreria un suo quaderno di appunti presi a una conferenza proprio sul tema che stavo trattando. L’ho trovato e abbiamo cominciato a discutere sull’argomento. In breve, ho acquisito nuovi elementi per vedere più chiaramente come concludere la mia ricerca. E pensare che avevo temuto di perdere tempo! (Z. I. – Francia) Prepararsi a… vivere Quando il medico mi annunciò che ormai non c’era più niente da fare, fu come se si chiudesse ogni fonte di luce e restassi al buio. Tornando verso casa, presi la strada della chiesa. Lì sostai in silenzio, mentre i pensieri mi turbinavano nella testa. Poi, come una voce, si formò nella mente un pensiero: “Non devi prepararti alla morte, ma alla vita!”. Da quel momento provai a fare ogni cosa bene, ad essere gentile con tutti, senza farmi distrarre dal mio dolore ma pronto ad accogliere gli altri. Iniziarono giorni pieni. Non so quanto tempo mi resta, ma l’annuncio della morte è stato come svegliarmi da un sonno. E sto vivendo con insperata serenità. (J. P. – Slovacchia) Trasfusione diretta Sono infermiera. Per caso vengo a sapere di una ricoverata in condizioni disperate. Per tentare di salvarla occorre sangue di un gruppo che da vari giorni sembra introvabile. Mi metto all’opera fra le varie amicizie e conoscenze per poi continuare la ricerca nell’ambiente di lavoro. Niente da fare. Sto per cedere le armi. Nasce allora una richiesta a Gesù. “Tu lo sai che ho cercato di fare la mia parte, ma se vuoi, tu puoi tutto”. Finito l’orario di servizio del mio reparto, il medico che coadiuvo è appena andato via quando si presenta una giovane donna per farsi visitare. Non posso lasciarla andar via, chissà da dove viene. Mi precipito a chiamare il sanitario, che a differenza di altre volte trovo disposto a ritornare in ambulatorio. Comincio a intestare la ricetta e, chiesto un documento di riconoscimento, mi vedo porgere dalla signora un tesserino dell’Associazione dei volontari donatori di sangue. Col fiato sospeso, ho in mente una domanda: e se avesse quel gruppo sanguigno? Se fosse disponibile? È proprio così e, poche ore dopo, la donna è al capezzale della malata per la trasfusione diretta. (A. – Italia)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.3, maggio-giugno 2020) [1] Cf. C. Lubich, Parola di Vita dicembre 1992, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 513-514. (altro…)
Mag 27, 2020 | Testimonianze di Vita
Una strada per restare uniti a Gesù è l’accoglienza della sua Parola. Essa permette a Dio di entrare nel nostro cuore per renderlo “puro”, cioè ripulito dall’egoismo, adatto a portare frutti abbondanti e di qualità. Dare fiducia Era un uomo sulla quarantina, triste in volto, che si presentava male: vestiti malandati e sporchi, puzzo di alcol e nicotina… Non mi chiese soldi, ma lavoro, uno qualsiasi. Aveva chiaramente bisogno di aiuto. Cosa avrebbe fatto Gesù al mio posto? Decisi di invitarlo a casa mia dove avevo bisogno di alcune riparazioni. Prima ancora mi raccontò che era appena uscito di prigione e doveva pagare la libertà vigilata, ma non aveva nulla. Anche sua moglie lo aveva lasciato. Fece poi il lavoro indicato, che gli pagai. Prima di riportarlo nel luogo in cui passava la notte, mi chiese se avevo da proporgli qualche altro lavoretto. Sentiti alcuni amici, trovammo altre cose da fargli fare. Tornò diverse volte. Intanto fiducia e rispetto reciproci crescevano. Dopo circa un mese, non si fece più vivo. Temevo che fosse tornato in prigione. Poi, un giorno, mi chiamò al cellulare: “Grazie per tutto quello che hai fatto per me, per la fiducia che mi hai dato. Sono riuscito a pagare la libertà vigilata e ad acquistare un telefonino. Ora ho un lavoro fisso. Sono molto felice!”. (A. L. – Usa) Ciò in cui credo Sono parrucchiera e faccio servizio a domicilio. Un giorno sono stata chiamata da una giovane signora sposata da poco, che aspettava un bambino. Triste, mi ha confidato che aveva intenzione di divorziare perché la suocera le rendeva la vita impossibile. L’ho ascoltata a lungo, poi le ho consigliato di aspettare. Dopo alcuni giorni mi ha chiamato anche la suocera per farsi tagliare i capelli. E subito mi ha parlato male della nuora. “Che strano – ho replicato –, proprio due giorni fa ero a casa sua e l’ho sentita dire solo cose belle su di lei…”. Quando ho incontrato di nuovo la nuora, le ho detto: “Sua suocera mi ha parlato bene di lei, le vuole tanto bene…”. Alcuni giorni dopo la famiglia si è ritrovata in occasione di una festa. Suocera e nuora si sono riviste dopo mesi ed è stato un momento bellissimo, come loro stesse mi hanno poi raccontato. E ringraziandomi: “Chi ti insegna le cose belle che ci dici?”. Ho potuto così spiegare loro ciò in cui credo: quel Vangelo che insegna ad essere operatori di pace. (F. – Pakistan) Quasi per gioco Mio marito ed io avevamo notato nei nostri figli una scarsa conoscenza delle basi della fede cristiana. Allora ci siamo chiesti: perché non dar vita ad una sorta di corso di catechismo in famiglia? Ho incominciato io con Maria, Jutta e Ruben, badando a che i concetti fossero semplici e con riferimento alla vita quotidiana. Successivamente si sono aggiunti Jeroen e Rogier, Rose e Michel… Ne è nata un’esperienza originale, divertente e anche coinvolgente: si trattava infatti di preparare ogni settimana una specie di lezione che qualcuno dei bambini scriveva al computer e moltiplicava, mentre qualche altro preparava delle simpatiche cartelline dove conservare le dispense. I nostri figli erano così entusiasti che spesso, spontaneamente, invitavano i loro amichetti a partecipare; così si sono aggiunti altri. Quando abbiamo affrontato il tema dei sacramenti abbiamo avuto conferma di quanto poco fossero stati capiti, mentre ora sono diventati la ricchezza della nostra vita di fede. E questo corso di catechismo nato quasi per gioco va avanti… (P. W. – Olanda)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.3, aprile-maggio 2020) (altro…)
Mag 26, 2020 | Testimonianze di Vita
L’esperienza della comunità di Bangalore, in India, durante il lockdown per l’emergenza coronavirus “Quando ci si ritrova che improvvisamente tutto viene chiuso per 21 giorni e non sai come sarà il prossimo futuro. Quando il lavoro che ti ha mantenuto fino adesso è fermo e non sai come andrà avanti la situazione, cosa fare? Credo sia l’esperienza che in questo momento si vive non solo in India, ma in tanti paesi in tutto il mondo e in Italia sono stati fra i primi, purtroppo a fare questa esperienza di smarrimento. Anche qui, abbiamo avuto la stessa situazione. Solo che qui, come forse avete visto sui telegiornali, ci sono 450 milioni di persone che vivono con lavori a giornata, senza nessuna sicurezza, e la maggior parte senza nessun risparmio. Quindi non poter andare al lavoro vuole dire mangiare ogni giorno di meno e cercare di sopravvivere.
Nella nostra comunità del Focolare di Bangalore c’era questa domanda. Come aiutare le persone nel bisogno? Come coinvolgere altri standosene rinchiusi in casa? Tutto è partito da un messaggio su WhatsApp che uno di noi ha inviato a Kiran, un seminarista che vive in un villaggio che abbiamo visitato tempo fa. “Ci sono famiglie nel bisogno nel tuo villaggio?”. Nel villaggio, che si trova nello Stato indiano Andhra Pradesh, ci sono circa 4560 famiglie e una parrocchia con 450 famiglie cattoliche. Kiran (che vuole dire “raggio” nella lingua locale) proprio quella sera passeggiando si era fermato in varie famiglie che gli confidavano il loro timore per il futuro. Già mangiavano kanji (riso bollito con tanta acqua che si beve e per dare del gusto si mangia assieme un po’ di peperoncino verde) da alcuni giorni e non sapevano come avrebbero fatto per questi 21 giorni di lockdown. Non è normale che persone adulte parlino ad un giovane dei loro problemi e Kiran era tornato a casa un po’ preoccupato. Poi aprendo il cellulare ha visto il messaggio ed ha capito che Dio gli dava una risposta alla domanda di aiuto di quelle famiglie. Così, ci siamo messi al lavoro. Kiran ha capito quante erano le famiglie più in difficoltà e noi abbiamo preparato il messaggio da mandare a tutte le persone che conosciamo, con dettagli e conti correnti dove mandare gli aiuti. Ci siamo messi un target di aiutare almeno 25 famiglie, con un sacco di riso di 25 kg e una borsa di verdure, cibo sufficiente per circa 15 giorni per una famiglia, con un costo di 1500 rupie, circa 20 euro.
La risposta è stata immediata. Tante persone hanno partecipato, famiglie e anche tanti giovani. Chi mille, chi tre mila, chi cinque mila rupie. Nel giro di pochi giorni abbiamo raggiunto il target stabilito. Ma i contributi sono continuati e siamo arrivati ad aiutare più di 30 famiglie. La media di quattro persone per casa, vuol dire che questo aiuto è arrivato ad almeno 120 persone. Ma anche in tanti altri villaggi dove ci sono persone che conosciamo i bisogni sono molti. Così abbiamo iniziato ad aiutare anche in altri luoghi. Ora sono tre i villaggi che stiamo aiutando, sempre con persone del posto che conoscono bene la situazione e sanno aiutare nel modo più opportuno. Come Chiara Lubich ci aveva insegnato di amare le persone una alla volta, così ci sembra anche in questo caso: amare un villaggio alla volta, ma senza fermarsi! È poco, sono gocce ma tanti si sono mobilitati. Qui nella diocesi di Bangalore, dove abbiamo anche contribuito, lo sforzo dell’Arcivescovo tramite il centro sociale per aiutare tanti lavoratori bloccati qui per il lockdown è stato ed è molto grande. Da Bangalore ora passiamo l’iniziativa anche a Mumbai, Nuova Delhi e Goa, in modo che quello che abbiamo possa circolare il più possibile. Alla fine, come stiamo vivendo tutti, tutto passa e quelle poche gocce d’amore che riusciamo a donare restano e riempiono il nostro cuore e il cuore degli altri”.
La comunità del focolare di Bangalore – India
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Mag 20, 2020 | Testimonianze di Vita
La Parola vissuta ci fa uscire da noi stessi per incontrare con amore i fratelli, cominciando da quelli più vicini: nelle nostre città, in famiglia, in ogni ambiente di vita. È un’amicizia che si fa rete di rapporti positivi, puntando alla realizzazione del comandamento dell’amore reciproco, che costruisce la fraternità. Cercare le parole giuste I miei bambini di sette e cinque anni giocavano incuranti di ogni pericolo. Non feci in tempo a raggiungerli, dopo l’esplosione della granata, che giacevano tutti e due sanguinanti. Li raccogliemmo e via all’impazzata, verso l’ospedale. Dentro di me un accavallarsi di sentimenti: sgomento, paura, dolore… ma dovevo occuparmi dei bambini e trasmettere loro pace. Lui aveva delle schegge nel capo e fu operato d’urgenza, lei era meno grave. Di notte, vegliavo al loro capezzale. Ogni tanto si lamentavano, assaliti da incubi: “Perché ci hanno fatto questo?”. Cercavo le parole giuste per far capire che chi aveva sparato era certamente qualcuno che aveva molto sofferto, forse non aveva i genitori, forse voleva soltanto distruggere i cannoni che stavano dalla nostra parte… Quando i bambini si assopirono cominciai a pregare, ad affidarli a Dio e chiedere che non rimanesse in loro odio. Oggi, dopo decenni, a proposito di quell’episodio doloroso, mio figlio lo considera un incentivo a dare il suo contributo per la pace nel mondo. (R. S. – Libano) Cambio di appartamento Quando alla proprietaria dell’appartamento in cui eravamo alloggiati abbiamo chiesto il permesso di fare, a spese nostre, delle ristrutturazioni, lei non ci ha detto che aveva intenzione di venderlo: ovvio che dopo aver effettuato quei lavori, saputa la sua decisione, siamo rimasti male e ci siamo sentiti traditi. Per di più il nuovo proprietario ha avanzato richieste altissime qualora avessimo voluto rimanere. Così, da un giorno all’altro, ci siamo trovati per strada. Ci siamo però fidati della provvidenza, certi che Dio non ci avrebbe abbandonati. Infatti, non molto tempo dopo, si è presentata una possibilità che rispondeva ancora meglio alle esigenze della nostra famiglia. Ma la cosa più importante è stato mantenere con l’ex padrona di casa rapporti cordiali e non di rivalsa. Anche se lei non lo ha dichiarato espressamente, ci ha fatto avvertire il suo pentimento. L’amicizia ritrovata ha coperto ogni incrinatura. (E.V. – Turchia) Disordine Sono iscritto alla Facoltà di Psicologia e alloggio con altri colleghi in uno studentato dove possiamo usufruire di una cucina comune quando non ci rechiamo a mensa. Uno di noi, oltre ad essere disordinato per quel che lo riguarda, è solito lasciarla sporca dopo l’uso. Stamattina ero passato appunto in cucina per prepararmi un caffè ed ho trovato tutto sottosopra perché lui aveva ricevuto ospiti e lasciato le cose come stavano. Non sono stato l’unico a notare quel caos; qualcuno, indignato, ha suggerito di non toccare nulla, finché il colpevole non se ne sarebbe reso conto. Poco dopo però, nella mia camera, accingendomi a studiare, non ero in pace; il pensiero tornava sempre a quel disordine in cucina… Che fare? Dare una lezione all’altro o fargli un gesto di carità? Senza indugiare, sono tornato in cucina, mi sono messo a lavare bicchieri e piatti, ho portato fuori l’immondizia… In camera poi mi è sembrato di comprendere meglio quello che leggevo. La vita con gli altri è una forma di educazione che completa le lezioni che ascolto all’università. (G. T. – Francia)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.3, aprile-maggio 2020) (altro…)
Apr 29, 2020 | Testimonianze di Vita
Tutto dipende da come guardiamo “l’altro”, il fratello o la sorella: le situazioni possono ribaltarsi se scegliamo di amare. Tempi duri Krystyna mi parlava dei tempi duri della Polonia in stato di guerra: «Mancavano generi alimentari e prodotti per l’igiene, ricevevamo roba da amici dell’allora Germania Orientale. Invece i nostri vicini facevano feste con abbondante uso di alcolici. Un giorno però notammo nel loro appartamento un insolito silenzio e dalla bambina, rimasta sola, venimmo a sapere che la mamma era in ospedale. Andai a trovarla portando con me sapone e dentifricio, prodotti allora introvabili. Quando lei mi vide, rimase di stucco: “Proprio lei, a cui ho dato sempre disturbo, è venuta da me? Nessuno degli amici che ci frequentano è venuto: Una volta dimessa dall’ospedale, mi invitò a casa sua. L’accoglienza fu calorosa. Poi prese a confidarmi qualcosa della sua triste infanzia, il non senso della sua vita e il bisogno di uscire da un certo giro. L’ascoltai con amore e le assicurai la mia preghiera. In seguito, l’uomo che viveva con lei se ne andò e la rumorosa compagnia smise di frequentare quella casa. Ora quella mamma poteva offrire una vita “normale” alla sua bambina». B.V. – Polonia Giovane coppia del Sud Venuti dal Sud Italia, si erano trasferiti al Nord per uscire da un paesino dove dominava la mafia. Avevano necessità di trovare casa e lavoro per entrambi. La mia situazione economica non era delle più floride, ma con fede mi sono messa ad aiutarli a cercare un alloggio. Purtroppo, quando dicevo che erano del Sud, tanti chiudevano la porta. Ho pianto con loro e ancora una volta mi sono resa conto che soltanto un povero può capire un altro povero. Ho vissuto con quella giovane coppia tante umiliazioni e, quando alla fine abbiamo trovato la casa e il lavoro, mi sono scoperta arricchita da questa condivisione. V.M. – Italia Le tovaglie rubate Lavoro come cassiera in un ristorante. Non ho ritegno a chiedere in cucina gli avanzi per portarli ai bambini che vivono sulla strada. Sono sempre tanti quelli che tutti i giorni incontro lungo il tragitto verso casa. Un giorno, mentre sto scendendo dal bus, qualcuno mi strappa dalle mani la borsa e via! Rimango interdetta: dentro c’erano dieci tovaglie del ristorante appena ritirate dalla lavanderia. Come fare? Come lo dirò al mio datore di lavoro? Comprare la stoffa per rifarle è impensabile, date le mie possibilità, e non so come dirlo a mia madre e al direttore del ristorante. Sono certa però che l’Eterno Padre mi aiuterà. Il giorno dopo riferisco al mio datore di lavoro quello che mi è successo e lui, senza scomporsi, dice che attende le tovaglie prima possibile. A questo punto una cliente che ha ascoltato la nostra conversazione si avvicina e si dichiara disponibile a comprare la stoffa necessarie per confezionarne di nuove. Da non crederci! Il mio primo moto di gioia è stato pensando ai bambini che avrei potuto ancora aiutare con il cibo. D.F. – Filippine Fiducia Incontrai Alvaro in una trattoria: 35 anni, trasandato e con la barba incolta. Quando mi chiese di aiutarlo a compilare delle domande di lavoro, gli diedi appuntamento per il giorno dopo nel mio studio. Si presentò verso sera, dicendo che in realtà chiedeva solo amicizia. Mi fece compassione e, superando il disgusto per l’odore che emanava, gli offrii del brandy. Lui capì che non lo giudicavo e cominciò a raccontarmi i suoi problemi, da quando, bambino, era stato abbandonato dalla madre e il padre era finito in prigione. Le ore passavano e lui, come in confessione, continuava a dirmi di sé. Albeggiava quando si accorse che era giorno e, scusandosi, mi salutò. Lo rividi altre volte, gli feci conoscere i miei amici che lo accolsero con eguale familiarità. Lui ricambiava con vari lavoretti: un vero aggiusta-tutto. Riuscì poi a trovare un lavoro stabile, fece anche carriera, si sposò e divenne padre di due bambini. Quando, anni dopo, mi raccontò tutto questo, era un’altra persona. Aveva ritrovato la sua dignità, grazie alla fiducia che gli avevamo dimostrato. A.C. – Italia
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.2, marzo-aprile 2020) (altro…)