Movimento dei Focolari

Intervento di Chiara Lubich alla preghiera ecumenica di inizio Avvento

Nov 28, 1998

Augsburg, Chiesa di Sant'Anna, 29 novembre 1998

Un supplemento d’amore perché le Chiese siano ognuna dono per le altre

Come vediamo la situazione delle nostre Chiese ora, alle soglie del Terzo Millennio? Se noi cristiani diamo uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non rimanere ancora addolorati nel costatare come essa è stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte. Colpa certamente di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali… Ma anche del venir meno fra i cristiani di quell’elemento unificatore loro tipico: l’amore. Proprio così. E allora, per poter tentare oggi di rimediare a così grave male, dobbiamo tener presente il principio della nostra comune fede: Dio. Egli, perché Amore, chiama pure noi ad amare. Non si può, infatti, pensare di poter amare gli altri se non ci si sente profondamente amati, se non è viva in tutti noi, cristiani, la certezza che Dio ci ama. In questi tempi mi sembra che è proprio Lui, Dio Amore, che, in certo modo, deve nuovamente tornare a rivelarsi non solo a noi singoli cristiani, ma anche alle Chiese che componiamo. Ed Egli ama la Chiesa per quanto si è comportata nella storia secondo il disegno che Dio aveva su di essa. Ma anche – e qui è la meraviglia della misericordia di Dio – la ama pure se non vi ha corrisposto, permettendo la divisione, solo nel caso però che ora ricerchi la piena comunione con le altre Chiese. E questa consolantissima convinzione emerge da un testo di Giovanni Paolo II, che ha fiducia in Colui che trae il bene dal male. Alla domanda: “Perché lo Spirito Santo ha permesso tutte queste divisioni?”, pur ammettendo che può essere stato per i nostri peccati, ha aggiunto: “Non potrebbe essere (…) che le divisioni siano state (…) una via che ha condotto e conduce la Chiesa a scoprire le molteplici ricchezze contenute nel Vangelo di Cristo e nella redenzione da Lui operata? Forse tali ricchezze non sarebbero potute venire alla luce diversamente…” (Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, 1994, p.167) Dobbiamo dunque credere che Dio è Amore anche per le Chiese. Ma, se Dio ci ama, noi non possiamo certo rimanere inerti di fronte a tanta divina benevolenza. Da veri figli e figlie dobbiamo contraccambiare il suo amore anche come Chiesa. Ogni Chiesa nei secoli si è, in certo modo, pietrificata in se stessa per le ondate di indifferenza, di incomprensione, se non di odio reciproco. Occorre perciò in ognuna un supplemento d’amore. Amore verso le altre Chiese, dunque, e amore reciproco fra le Chiese, quell’amore che porta ad essere ognuna dono alle altre, poiché si può prevedere che nella Chiesa del futuro una ed una sola sarà la verità, ma espressa in varie maniere, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni. Amore reciproco però che è veramente evangelico, e quindi valido, se praticato nella misura voluta da Gesù: amatevi gli uni gli altri – Egli ha detto -, come io vi ho amato. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15,13).

Gesù in croce nel culmine del dolore: chiave, luce e forza per ricomporre l’unità

E Lui l’ha data per noi, nella sua passione e morte, dove ha sofferto con l’agonia nell’orto, con la flagellazione, l’incoronazione di spine, la crocifissione, ma anche con quel culmine del suo dolore, che ha espresso nel grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Teologi e mistici affermano che questo patire fu la sua prova più alta, la sua tenebra più nera. Ora, sembra che, allo scopo di edificare pienamente la comunione nell’amore vicendevole, sia necessario oggi contemplare e riconoscersi particolarmente in quel dolore estremo. E si capisce. Se Gesù si era offerto a porre rimedio al peccato del mondo e quindi alla divisione degli uomini staccati da Dio e, di conseguenza, disuniti fra loro, non poteva compiere questa sua missione se non sperimentando in sé un’abissale separazione: quella di Lui, Dio, da Dio, sentendosi abbandonato dal Padre. Gesù però, riabbandonandosi al Padre (“Nelle tue mani consegno il mio spirito” – Lc 23,46), ha superato quell’infinito dolore e ha riportato così gli uomini in seno al Padre e nel reciproco abbraccio. Ma, se le cose stanno così, non sarà difficile vedere in Lui, proprio in Lui, Gesù abbandonato, la stella più luminosa che deve illuminare il cammino ecumenico. Sembra che un lavoro ecumenico sarà veramente fecondo in proporzione di quanto, chi vi si dedica, vedrà in Gesù crocifisso e abbandonato, che si riabbandona al Padre, la chiave per capire ogni disunità e per ricomporre l’unità. Questi trova in Lui la luce e la forza per non fermarsi nel trauma, nello spacco della divisione, ma per andare sempre al di là e trovarvi rimedio, tutto il rimedio possibile.

Effetto dell’unità vissuta: la presenza del Risorto nella comunità….

L’amore reciproco con questa misura porta così ad attuare l’unità. E l’unità vissuta ha un effetto, che è pure esso, per così dire, un pezzo forte per un ecumenismo vivo. Si tratta della presenza di Gesù fra più persone, nella comunità. “Dove due o tre – ha detto Gesù – sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.” (Mt 18,20). Gesù fra un cattolico ed un evangelico che si amano, fra anglicani e ortodossi, fra un’armena e una riformata… Quanta pace sin d’ora, quanta luce per un retto cammino ecumenico. Gesù in mezzo a noi è un dono, fra il resto, che rende meno penosa l’attesa del tempo in cui sarà condiviso da tutti noi sotto le specie eucaristiche. E necessita ancora un grande amore per lo Spirito Santo, Amore fatto Persona. Egli lega in unità le Persone della Santissima Trinità, ed è il vincolo fra le membra del Corpo di Cristo. Un solo popolo cristiano si compone, in certo modo, sin d’ora, lievito per la piena comunione tra le Chiese. So, anche per esperienza, che, se noi tutti vivremo così, ci saranno frutti eccezionali. Si avrà soprattutto un particolare effetto: vivendo assieme questi diversi aspetti del nostro cristianesimo, avvertiremo di formare, sin d’ora, in certo modo, un solo popolo cristiano che potrà essere un lievito per la piena comunione tra le Chiese. Sarà quasi l’attuarsi di un altro dialogo, dopo quello della carità, quello teologico e della preghiera: un dialogo della vita, il dialogo del popolo di Dio. Dialogo più che urgente ed opportuno se è vero, come la storia insegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando non vi è coinvolto il popolo. Dialogo che farà scoprire con maggior evidenza e valorizzare tutto il grande patrimonio già comune fra noi cristiani, costituito dal battesimo, dalla Sacra Scrittura, dai primi Concili, dai Padri della Chiesa, eccetera. Attendiamo di vedere realizzarsi questo popolo, popolo che già qua e là sta apparendo. Sarà senz’altro utile, anche in questo momento, rinnovare l’impegno di vivere così come Gesù vuole. In verità niente è più urgente nel mondo di una potente corrente d’amore, se vogliamo sperare in quella civiltà dell’amore, che il Terzo Millennio sembra si aspetti da noi.  

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