Movimento dei Focolari

La scelta di Vincenzo: prendersi cura dei pazienti più piccoli

Set 7, 2015

Un giovane infermiere pediatrico scopre nell’arte di amare un valore aggiunto. Per avvicinare il mistero del dolore innocente.

Vincenzo«Da oltre 3 mesi faccio tirocinio in oncoematologia pediatrica, un reparto dove non sai mai se quei bambini di cui oggi ti stai prendendo cura, domani li ritroverai ancora. Non è per niente facile vivere a continuo contatto col dolore innocente, al punto da mettere costantemente alla prova la scelta di studiare infermieristica pediatrica. Il primo giorno mi sento pronto a tutto. Ma, appena metto piede nel reparto, mi si presenta una bambina meravigliosa. È affetta da un tumore maligno fra i peggiori, allo stadio terminale. Non ho la più pallida idea di come affrontare la cosa. Mai come in questo momento mi sento inutile ed incapace, convinto di non poter fare nulla di buono per lei. Ci sono anche tanti altri bambini nel reparto, e la giornata sembra passare velocemente, ma ogni volta che entro nella stanza di quella bambina provo lo stesso senso di impotenza e di inadeguatezza. Si fanno le 14,00, l’ora di finire il turno. Non posso andare via senza aver fatto qualcosa per lei. Ma che cosa? Nel cercare di mettere in pratica la spiritualità dell’unità, avevo sperimentato che nell’amore ciò che vale è amare. Che non occorre fare gesti eclatanti, basta iniziare da una piccola cosa, senza avere grandi pretese. Ma tutto ciò che potevo fare per quella bambina l’avevo già fatto. Come mai sento di dover fare di più? Al mattino, entrando in ospedale, avevo visto una piccola cappella. Forse, intuisco, amare quella bambina significa pregare per lei. Mi siedo in uno degli ultimi banchi, ma non so come e cosa chiedere. Rimango lì, in silenzio, con in cuore solo un grande dolore che mi opprime. E piano piano sento che Gesù prende su di sé tutta la mia sofferenza. Col cuore libero posso ora affidare la bambina a Lui e poi andare ancora una volta a salutare lei e la mamma per far sentire loro la mia vicinanza, la mia forte condivisione. Da allora in quella cappella continuo ad andarci spesso. È lì che trovo la luce per affrontare, e anche un pochino comprendere, il mistero del dolore innocente, quello che qui si presenta così frequentemente. Ed è in Gesù crocifisso e risorto che trovo la forza e il giusto atteggiamento per avvicinarmi ai bambini e ai loro familiari. Spesso non capisco cosa fare per loro, ma poi la risposta arriva sempre puntuale. Un giorno viene ricoverata una bambina di 10 anni che era stata sballottata da un ospedale all’altro. I sospetti che aleggiavano di una grave malattia del sangue, vengono confermati e tutto ad un tratto, addosso a lei e alla madre, crolla, come un macigno, una diagnosi senza speranza. Sento l’importanza di stare loro vicino, di immedesimarmi con la loro situazione, aiutandole come posso, anche a costo di rimanere qualche ora in più in ospedale. Durante il giorno non mi è consentito di fare molto, ma quando ho un attimo libero dagli impegni del reparto, vado nella loro stanza, un po’ per ascoltare la mamma e rassicurarla, un po’ per far svagare la bambina. Ed ogni volta vedo nei loro occhi un velo di serenità che prima non c’era, un nuovo moto di speranza nell’affrontare la difficile prova che le attende. Ed è così in tante altre situazioni, cogliendo ogni occasione per stare un po’ di tempo con i ‘miei’ bimbi, non solo per somministrare loro la terapia, ma per vederli sorridere e affrontare con un po’ più di serenità il loro difficile percorso».

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