Nov 7, 2019 | Testimonianze di Vita
Le parole di San Paolo “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto” (Rom 12,15) sono un invito a “farsi uno”, a mettersi “nella pelle dell’altro”, come espressione concreta di una carità vera. Mettendole in pratica potremo vedere un cambiamento negli ambienti dove siamo, iniziando dalle relazioni nelle nostre famiglie, scuole, posti di lavori, comunità, e sperimenteremo con gratitudine che l’amore sincero e gratuito, presto o tardi, ritorna e diventa reciproco. Accoglienza Alla nostra comunità era stata affidata una donna dai trascorsi pesanti. Quando abbiamo appurato chi era, è diventato difficile il rapporto con lei. Infatti avevamo saputo che aveva ucciso il proprio figlio e non era stata in carcere, perché incinta e depressa. Anche se il parroco ci ricordava di non giudicare, era ugualmente difficile non avere davanti agli occhi il suo passato. Col tempo, aiutati anche dal parroco, quella donna è divenuta la misura della nostra capacità di accoglienza. In questo sforzo di “vedere con altri occhi’: la nostra comunità ha fatto un salto di qualità. Ci è parso che, proprio attraverso quella donna bisognosa anche della nostra misericordia, Dio ci stesse facendo una grande lezione di Vangelo. Ma il vero dono è stato quando un giorno, piangendo, lei ci ha raccontato la sua storia, i drammi che aveva vissuto e le violenze subite per poi ringraziarci perché le avevamo dato prova che l’amore esiste e che il mondo non è così cattivo come lei lo aveva conosciuto. (M.P. – Germania) Un istituto per bambini sordomuti Il nostro istituto è in parte sovvenzionato dallo Stato, in parte auto-gestito con piccole attività artigianali interne, ma i bisogni sono sempre tanti. Un giorno passa da noi il parente di un allievo dicendoci che non sa come e dove trovare il denaro per risolvere un problema. Prendo l’ultima somma che abbiamo in cassa e gliela consegno. Nel pomeriggio riceviamo la visita di una signora sconosciuta: “Ho visto nel giardino la statua della Madonna e mi sono fermata a pregare. Quello che voi fate merita ammirazione, rispetto. Non so cosa potrei fare per voi, ma forse questo vi può servire”. E ci offre due banconote che sono il doppio della somma data al mattino. (J. – Libano) In crociera Non ricordo mia madre sana, ma sempre sofferente e negli ultimi decenni sempre a letto. Mio padre, nonostante avesse una brillante carriera, piena di successi, passava il tempo accanto a lei, non facendole mancare nulla nell’assistenza e nelle cure. Un giorno, invitato ad una crociera, accettai, accampando mille scuse per pensare che me la meritavo. Durante il viaggio, mentre un collega mi raccontava della sua famiglia, mi resi conto che avevo poco da dire da parte mia, anzi mi vergognavo quasi di una situazione di dolore senza soluzioni. Quando lui mi chiese dei miei genitori e raccontai di come papà si fosse sempre prodigato con mamma, mi sentii fiero di un tale padre e capii il valore stesso del dolore. Tornato a casa, chiesi perdono ai miei, non tanto per la vacanza fatta, ma perché non avevo saputo intuire se loro avevano bisogno di me. Con quella “crociera” è cambiata la mia vita. Gli ultimi giorni di mia madre sono diventati un dono, per tutta la famiglia. (S.S. – Spagna) Chiedersi scusa Quel mattino, in cucina, mia moglie ed io eravamo agitati da problemi non risolti; ci sembrava tutto nero e destinato a far nascere tra noi, come già avvenuto altre volte, un litigio furibondo. Per un attimo mi sono fermato: tutte le promesse di ricominciare fatte davanti a Dio erano valide oppure erano andate in fumo? Mi sono avvicinato a mia moglie e, anche se mi costava, le ho chiesto scusa. Anche lei subito ha reagito col dire che la colpa era tutta sua … Quando sono arrivati i bambini, hanno trovato non soltanto la colazione pronta, ma dei genitori che crescevano assieme a loro, desiderosi di trasmettere ai figli la giusta chiave per vivere bene la vita. (R.H. – Slovacchia)
a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)
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Nov 5, 2019 | Collegamento
Un tuffo nella vita della comunità del Focolare a Bangalore: dalla storia di Angela e Louis, alle “serate-pizza” organizzate dai Gen in focolare, per raccogliere fondi per diversi progetti. https://vimeo.com/362958125 (altro…)
Nov 3, 2019 | Cultura
Si è concluso il 27 ottobre 2019 a Castel Gandolfo il laboratorio culturale dei Focolari. Obiettivo: creare sinergie tra discipline e professioni per comprendere come costruire un mondo più unito in una società in continua evoluzione. Provate a immaginare il mondo domani. Provate a proiettarvi in un futuro prossimo e fatevi delle domande su come sarà tra vent’anni il nostro pianeta. Provate a “osare” le idee più utopiche e a sognare di cambiare il mondo, oggi. L’ antico proverbio africano che recita: “Se volete andare in fretta, andate soli; se volete andare lontano, andate insieme” esprime bene la sfida accolta dal gruppo internazionale e multiculturale di adulti e giovani, accademici e professionisti, che si sono ritrovati a Castel Gandolfo (Italia): gestire le complessità del mondo insieme, non da soli, mettendo in rete le singole competenze. Provenienti da più di quaranta nazioni, i partecipanti si sono messi in gioco, accogliendo le proposte delle diverse testimonianze e riflessioni, ciascuno nel proprio campo d’azione e di lavoro, avviando un dialogo ampio, sostenendo e portando avanti proposte concrete. “Cambia il mondo che cambia” era il titolo dell’ultimo giorno e mezzo di programma, gestito dai giovani e rivolto ai loro coetanei. Alcuni hanno sottoscritto la richiesta di poter partecipare ad Assisi, dal 26 al 28 marzo 2020, all’appuntamento “The economy of Francesco”, che il papa rivolge a giovani economisti, imprenditori e change-makers. La proposta è di stringere con essi, al di là delle differenze di credo e di nazionalità, un patto per cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella di domani perché sia più giusta, sostenibile e con un nuovo protagonismo di chi oggi è escluso. E a proposito dell’essere protagonisti, Adelard Kananira, un giovane del Burundi, ha illustrato il progetto Together for a new Africa (T4NA) che ha l’ambizione di creare le basi per una nuova classe dirigente e un nuovo modello di leadership in Africa. Nel 2019 in Kenya è iniziata la prima scuola per questo progetto, con più di 150 tra giovani, tutor e docenti provenienti dall’Africa orientale, con l’obiettivo di fare crollare i muri che esistono tra tribù, partiti politici, etnie ed anche tra Paesi, per raggiungere lo scopo comune dello sviluppo e della pace. Giada e Giorgia vogliono invece cambiare attraverso il loro impegno la realtà dove lavorano. Giada, 23 anni, lavora nel campo del cinema come assistente alla regia, lavoro faticosissimo ma che non cambierebbe per nulla al mondo. Aspira un domani di poter anche realizzare film che trasmettano l’armonia, che lei si sforza di creare ogni giorno con i suoi colleghi, certa che il cinema sia un mezzo potentissimo che può davvero dare un contributo a cambiare il mondo. Giorgia, 32 anni, è assessore in un comune italiano con deleghe alle politiche giovanili, innovazione, partecipazione e distretto di economia civile. Il suo sogno è già diventato realtà: nel suo comune si attua il bilancio partecipato, si tengono presenti gli obiettivi dell’Agenda 2030, si cercano nuovi modelli di sviluppo, si portano avanti iniziative che salvaguardano l’ambiente come gli orti urbani. Attraverso il loro impegno giovani e adulti insieme già toccano il futuro con idee da realizzare e buone pratiche da diffondere e portare avanti, provando a cambiare, già da adesso, il mondo che cambia.
Patrizia Mazzola
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Nov 1, 2019 | Focolari nel Mondo
Una grave malattia ed il ricovero inaspettato in un Paese straniero sono l’inizio di un legame profondo di amicizia e condivisione tra due comunità dei Focolari in Colombia e Venezuela. Una telefonata una sera aprì un impensato capitolo nella nostra vita. Ci avvertivano che, in uno degli ospedali della città Bogotà (Colombia), era stato ricoverato il parente di un membro dei Focolari del Venezuela. Questa persona, venezuelana, era arrivata in Colombia come migrante, in condizioni precarie, e lavorava come muratore. Era stato ricoverato, perché gravemente malato. Due persone della comunità dei Focolari il giorno successivo si sono ritrovate in quell’ospedale, entrambe avevano sentito nel cuore che Dio le invitava a voler bene a questo fratello sconosciuto. Dopo essersi presentate, gli hanno assicurato che a Bogotà poteva contare non solo su loro due, ma su una famiglia più grande formata dalla comunità dei Focolari. Lui ha spiegato che era a Bogotà con un figlio che ora lo stava sostituendo nel lavoro. I medici hanno spiegato che le sue condizioni erano molto gravi. Contattando il figlio abbiamo saputo che vivevano in una capanna di fortuna. Attraverso un appello lanciato alla nostra comunità, abbiamo raccolto abiti e scarpe per loro. Qualche tempo dopo anche il figlio ha dovuto lasciare il lavoro per dedicarsi all’assistenza del padre. In quel periodo c’era tra noi chi lo invitava a colazione, a pranzo o a riposare per fargli sentire il calore di una famiglia. Altri facevano turni in ospedale per dargli un cambio e si continuavano a raccogliere beni di prima necessità per loro. Il papà intanto aveva espresso il desiderio di tornare in Venezuela. Ci aveva confidato che l’esperienza in Colombia gli aveva fatto sperimentare l’amore di Dio, portando in lui una vera conversione. Voleva rivedere la figlia piccola, salutare la moglie e morire con la pace nel cuore. Per questo viaggio occorreva però trovare il denaro per i documenti e per l’aereo, non poteva infatti viaggiare via terra. Anche i medici e gli infermieri, colpiti dalla situazione, hanno cercato di aiutarli in vari modi, raccogliendo anche una bella somma. Nell’attesa del viaggio, intanto si è reso necessario trasferirlo in un centro medico specializzato. Nonostante le difficoltà, dopo qualche mese, è stato ammesso. Qui i medici hanno spiegato che non c’era più nulla da fare, avrebbero dovuto dimetterlo, ma, vista la situazione, lo avrebbero tenuto ricoverato fino alla sua partenza per il Venezuela. Abbiamo anche chiesto ad un sacerdote di andarlo a trovare, in quell’occasione ha potuto confessarsi e ricevere l’unzione degli infermi. Il giorno in cui erano già all’aeroporto pronti per partire c’è stato un blackout a Caracas (Venezuela) e l’aereo è dovuto tornare a Bogotà. Ancora tre giorni di sospensione, alloggiati in un albergo vicino all’aeroporto, e poi finalmente la partenza. Poi il figlio ci ha fatto sapere, con gratitudine per l’amore ricevuto, che il papà era riuscito a tornare a casa e, qualche tempo dopo, era morto serenamente.
La comunità di Bogotà (Colombia)
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Ott 29, 2019 | Collegamento
Com’è la situazione a Fontem? Continuano ad arrivare richieste d’informazioni sulla prima cittadella sorta in terra africana, nella regione Sud-Ovest del Camerun, dove è tutt’ora in corso un conflitto armato. Pubblichiamo la recente lettera dei responsabili dei Focolari a Fontem Etiènne Kenfack e Margarit Long, che attualmente risiedono a Douala, a circa 300 chilometri a sud di Fontem. Carissimi amici di Fontem in tutto il mondo! Grazie del grande interesse con il quale state seguendo la nostra situazione. La vostra partecipazione ci dà gioia, conforto e coraggio per andare avanti. La crisi socio-politica in questa zona che ha provocato anche atti di violenza non è ancora risolta. Attualmente non ci sono più sparatorie, ma la situazione rimane tesa. Ciononostante la vita va avanti. Anche se possiamo offrire nel nostro ospedale solo un servizio ridotto, la gente continua a chiedere aiuto. Negli ultimi mesi, 1894 persone hanno chiesto consulenza. 644 di loro sono state ricoverate, tra cui 36 donne che hanno dato alla luce un bambino. Attualmente c’è la stagione della pioggia e si cerca di curare al meglio la manutenzione della centrale elettrica per assicurare l’elettricità alle strutture più importanti. Una piccola squadra è anche rimasta al nostro Centro Mariapoli. Assieme ad altri formano un’équipe meravigliosa che cura anche gli ambienti esterni per evitare che, a causa del clima tropicale la foresta invada tutto il territorio. Poco fa, con grande gioia di tutti, il vescovo Nkea ha mandato nuovamente un sacerdote a Fontem. È un segnale forte ed un segno tangibile della premura del Vescovo per il popolo Bangwa. Il sacerdote è in stretto contatto anche con i responsabili locali della nostra comunità focolarina. La sua presenza ha dato nuovo slancio alla partecipazione ai sacramenti, soprattutto alla S. Messa quotidiana e domenicale. In questi mesi si sono ricordati in modo solenne gli anniversari della morte di due dei pionieri di Fontem, Pia Fatica e Fides Maciel sepolte nel nostro cimitero. Spesso ci preoccupa chi cerca di sfruttare i media per motivi politici. A volte, ci rendiamo conto che girano informazioni non esatte, perciò vi chiediamo di accogliere con responsabilità e grande prudenza le notizie che girano su Fontem, anche attraverso canali personali sui social media, e di verificare le fonti di tali informazioni. La nostra “strategia” in questa crisi è quella di aumentare la comunione e la collaborazione tra tutti nella cittadella per arrivare a scelte condivise. Come potete immaginare non è sempre facile; a volte bisogna provare e riprovare, prendersi tempo per ascoltarsi reciprocamente. Alla fine però tutti si rendono conto che questo è l’unico modo per andare avanti insieme e per continuare la testimonianza della vita portata da Chiara Lubich in questa terra. __________________ Aracelis e Charles sono i responsabili della comunità dei Focolari della prima cittadella africana. Fanno il punto sulla situazione e raccontano come si svolge la vita oggi. https://vimeo.com/362734777 (altro…)
Ott 27, 2019 | Focolari nel Mondo
La storia di Dorotka e della sua famiglia “Qualcosa in più” è il titolo di un film che racconta la storia di Dorotka, una ragazza adolescente di Bratislava, in Slovacchia, affetta dalla sindrome di Down. Un’anomalia genetica che, nonostante le difficoltà, presto si rivela un “valore aggiunto” per tutti quelli che la circondano.
Sua mamma Viera racconta cosa succede nel cuore di una famiglia quando si scopre di aspettare un bambino con la sindrome di Down: È stato uno shock! Non ce l’aspettavamo e non avevamo mai visto una persona del genere prima d’ora. Ma Dorotka sembrava proprio come gli altri quattro figli, e sapevamo che di fronte a una situazione sconosciuta il panico non aiuta, serve mantenere il sangue freddo. Ma in segreto, da qualche parte nella mia anima, avevo paura che non saremmo stati in grado di amarla. Nel tempo, cominciarono ad accadere cose straordinarie. Molte persone preziose sono venute nella nostra vita, ci hanno aiutato molto e ci aiutano ancora oggi. I rapporti in famiglia sono diventati più forti. I nostri quattro figli più grandi sono diventati più sensibili, amorevoli e tutta la famiglia è unita come mai prima d’ora. Come si passa dalla sorpresa al sentire questo come un dono? Il nome Dorotka significa dono di Dio. Le abbiamo dato questo nome già durante la gravidanza, sicuri che Dio non fa mai doni cattivi. Avevamo ricevuto qualcosa che non capivamo ma lo sentivamo come una prova della nostra fiducia in Dio. Sentivamo chiaramente che questa era la volontà di Dio per noi. Un nostro amico ci ha inviato una nota con questo testo: “Questa è la vera felicità perché è costruita sul dolore”. Perché avete deciso di condividere la vostra esperienza con altre famiglie? Un medico ci ha presentato ad altre famiglie che avevano figli piccoli con la sindrome di Down. Insieme abbiamo fatto diverse terapie, abbiamo condiviso la nostra esperienza e fondato un’associazione chiamata “Up-Down syndrome”. Volevamo che i bambini crescessero insieme, in modo che non fossero legati solo alla loro famiglia, per prepararli verso una certa indipendenza. Così abbiamo fondato il teatro “Dúhadlo”, che apre nuovi orizzonti per i bambini attraverso la drammaturgia. Come è nata la collaborazione con l’Università di Bratislava? Un nostro amico insegna etica medica alla Facoltà di Medicina. Nove anni fa mi ha invitato a raccontare la nostra storia agli studenti e a far loro conoscere meglio la sindrome di Down. Sono molto grata per questa possibilità. Sentivamo che i giovani medici potevano ancora essere influenzati e nel corso degli anni abbiamo sempre avuto reazioni positive da parte degli studenti.
“Qualcosa in più” è il titolo del film che racconta la vita di Dorotka nella sua quotidianità, fra gioie e difficoltà. Perché questo titolo? All’inizio l’intenzione era di fare un breve video per la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Pavol Kadlečík, il regista, non aveva esperienza con queste persone e rimase così stupito che decise di fare un film più lungo. Nessuno di noi sapeva che alla fine sarebbe stato prodotto un documentario così bello. La sindrome di Down è una malattia genetica in cui il 21° cromosoma non forma una coppia, ma una terzina. Pertanto, questa diagnosi viene chiamata anche Trisomia 21. Questo significa che queste persone hanno un cromosoma in più e spesso viene indicato come il cromosoma dell’amore. C’è qualcosa in più in loro che hanno questa speciale capacità di amore incondizionato. Nel film non c’è nessuna finzione narrativa, si racconta la vita quotidiana della protagonista insieme alla sua famiglia, i compagni di classe, di teatro e di musica, con lotte, gioie, conquiste, delusioni. Una testimonianza dell’amore reciproco in questa famiglia e del sì alla vita. Dorotka, ti sei divertita a recitare in un film tutto dedicato a te? Quando ero in piedi davanti alla macchina fotografica a volte ero un po’ ansiosa e avevo paura del palcoscenico, quindi era difficile non guardare direttamente nella macchina fotografica. Ma il cameraman era fantastico e mi è piaciuto molto. Palko ha reso tutti felici dell’idea di questo film e vorrei continuare con uno nuovo. Cosa vorresti dire alle persone che leggono questa intervista? Sono diventata un’attrice per renderti felice. Cerca l’amore per gli altri.
Claudia Di Lorenzi
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Ott 25, 2019 | Collegamento
I Ragazzi per l’unità dell’Oceania sono andati a Lake Mungo per conoscere la vita e la cultura degli aborigeni. Un’esperienza unica che ha spalancato cuore e braccia. https://vimeo.com/362740446 (altro…)
Ott 23, 2019 | Sociale
Uscire dalla dipendenza dell’azzardo è possibile, ma non solo. La storia di Christian Rigor, filippino, che nella Fazenda da Esperança ha anche ritrovato Dio e il senso più profondo della propria esistenza. Quando pensiamo all’idea di “puntare in alto” ci vengono in mente mete diverse. Obiettivi di lavoro, progetti personali, sogni per cui lottare. Quelle “sfide” spesso totalizzanti a cui votiamo buona parte della nostra vita. Ma ci sono mete e mete, dal valore soggettivo o collettivo. Mete che per raggiungerle devi fare un percorso di crescita, metterti in discussione, sviluppare un senso di responsabilità per la collettività, aprire i tuoi orizzonti a mondi lontani. E mete che portano al ripiegamento su se stessi, che chiudono la persona all’interno dei propri interessi personali, che la isolano e talvolta diventano distruttive. Gli obiettivi che ci poniamo segnano il percorso della nostra vita. Ma cambiare strada si può. Lo sa bene Christian Rigor, 30enne delle Filippine. Un’infanzia serena in una famiglia benestante che gli ha assicurato studi universitari e specializzazioni in Europa. Un vita sociale piena da ragazzo, vissuta però col desiderio di “far soldi” facilmente, senza fatica. Una leggerezza che gli è stata fatale al primo ingresso in un casinò. È iniziato lì il suo percorso di dipendenza dal gioco d’azzardo, a 20 anni. Un ragazzino inebriato dalle prime vincite, presto vittima dell’esaltazione del gioco, intrappolato nel bisogno di recuperare le inevitabili perdite. Un capitolo buio della sua vita vissuto puntando alle mete sbagliate, lungo il quale ha perso amici, lavori, fidanzata, e la fiducia dei suoi familiari. Anche il bene per se stesso, dall’alto di un cornicione al 24° piano di un palazzo che ha segnato il punto più basso della sua esistenza. La svolta è arrivata quando, incoraggiato dalla madre, decide di entrare nella Fazenda da Esperança – un progetto con strutture diffuse in diversi paesi del mondo e che porta nel proprio DNA la spiritualità dell’unità, a cui i suoi fondatori si sono ispirati – per seguire un programma di riabilitazione dedicato alle persone che soffrono di vari tipi di dipendenze. “Nel corso del programma ho imparato a guardare oltre me stesso, oltre i miei egoistici e superficiali desideri mondani, a vivere per uno scopo superiore. Ho imparato a mirare in alto e ho trovato Dio… È così che ho imparato ad amare, Dio e gli altri, in tutto ciò che faccio nel momento presente, anche quando è difficile o doloroso”. Nella Fazenda da Esperança la vita è scandita secondo tre dimensioni: quella spirituale, quella comunitaria e quella lavorativa. Ognuna è occasione di maturazione personale. “Come cattolico, ho imparato ad approfondire il mio rapporto personale con Dio, ad ascoltare e vivere la sua Parola, a cercare l’unità con Lui nella Santa Messa, e a pregare come si parla ad un amico”. La vita comunitaria gli ha insegnato che “per amare pienamente Dio ho bisogno di amare le persone intorno a me, e vedere Gesù in loro”. Lo ha allenato ad andare al di là delle differenze per servire ogni fratello. A condividere il cibo, dare ascolto ai compagni tristi, sbrigare faccende domestiche. Nel lavoro, faticoso o ordinario, Christian ha imparato a dare il meglio di sé, “non importa quanto difficile, fisicamente impegnativo, noioso, sporco o sgradevole sia”. Lungo il percorso di recupero viene chiamato a fare da coordinatore ai suoi compagni. “E’ stato difficile per me modulare gentilezza e fermezza, soprattutto durante i litigi. Una volta sono stato accusato ingiustamente di un furto, non mi sentivo amato. Volevo arrendermi ma poi ho deciso di restare perché volevo guarire dalla dipendenza ed essere una persona nuova. Mi sono immerso nell’amare ogni momento, nonostante il giudizio altrui. Ho chiesto aiuto a Dio e l’ho sentito ancora più vicino”. Oggi Christian affronta la sfida della vita al di fuori del contesto protetto della Fazenda, e di fronte alle tentazioni del gioco d’azzardo trova rifugio in Dio. In effetti ha scoperto che la felicità autentica sta nel puntare ad altre mete: “Mi sono reso conto che trovo la felicità quando amo Dio, quando lo sento presente nella preghiera, nelle persone che incontro, nelle attività che svolgo, quando amo nel momento presente. Per puntare in alto non serve fare grandi cose, basta farle con amore. Questo è oggi il mio stile di vita”.
Claudia Di Lorenzi
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Ott 21, 2019 | Collegamento
Il video-blog di Ana Clara Giovani, giornalista brasiliana, che ha partecipato all’evento. https://vimeo.com/362740311 (altro…)
Ott 20, 2019 | Focolari nel Mondo
Dieci giorni ininterrotti di proteste con centinaia di arresti e 5 vittime. L’appello al dialogo dei vescovi e all’ONU/Ecuador che finalmente porta frutto. L’impegno dei Focolari per dare un contributo la pace. Dallo scorso 2 ottobre, giorno in cui il presidente dell’Ecuador Lenin Moreno ha annunciato un pacchetto di misure di austerità, cancellando tra l’altro i sussidi ai carburanti con il conseguente aumento di numerosi beni di consumo, in Ecuador le proteste non cessano ed è stato dichiarato lo stato di emergenza. Il Paese latinoamericano, con oltre 17 milioni di abitanti (il 71.9% metici, il 7.4% montubie, il 7.8 % afro-ecuadoriani, il 7.1 % indigeni e il 7 % bianchi), si trova in bilico tra le proteste pacifiche, ma basta un niente perché diventino violente e provochino l’azione repressiva delle forze dell’ordine. “È finita la pace”, mi ha scritto quel giorno un giovane ecuadoriano, mandandomi un video che mostrava i carri anti sommossa in piazza. Anche un’amica mi ha scritto pochi giorni dopo: “Ho sentito frasi xenofobe e alcune storie di meticci e indigeni ingannati e poi attaccati. Ho provato un grande dolore per la morte di donne e bambini. All’alba hanno bombardato a sorpresa e dicono che ci siano 5 morti. Nonostante il dolore ho trovato una popolazione pacifica, che durante la protesta usava queste armi: acqua in grandi secchi per spegnere gli incendi causati dalle bombe, bicarbonato, aceto, maschere per coprirsi il volto dai gas, rametti di eucalipto. In prima linea c’erano giovani tra i venti e i trent’anni che non avevano paura di morire. Alla sera non c’erano gli indigeni, ma sono arrivate in piazza persone di ogni età e colore, forse in 30 mila, delusi perché il Governo non risponde, anzi, l’Assemblea nazionale si è dichiarata in ferie. Per questo motivo manca un canale di dialogo”. In questo delicato scenario, i primi a farsi avanti sono stati i vescovi insieme all’ONU/Ecuador con una proposta di dialogo, in particolare tra gli indigeni e il Governo. Dopo aver incontrato le parti, hanno convocato una riunione domenica 13 ottobre. “Ci affidiamo alla buona volontà di tutti per stabilire un dialogo di buona fede e trovare una pronta soluzione alla complessa situazione che vive il Paese”, scrivono. Anche il Movimento dei Focolari è impegnato a costruire la pace. “In questi giorni viviamo questa dolorosa situazione facendo gesti di generosità, andando al di là dei timori e delle nostre convinzioni, cercando di metterci al posto dell’altro. Proviamo un senso di impotenza di fronte allo scontro tra fratelli. Vogliamo che il nostro agire sia un compendio di cuore, mente e mani, domandandoci: ciò che sento, penso e faccio è espressione di amore vero verso l’altro, qualunque sia l’altro? Il mio agire contribuisce al dialogo, alla pace? Crediamo che ogni cittadino abbia il diritto di manifestare in favore della giustizia e della democrazia, rifiutiamo ogni forma di violenza, da qualsiasi settore della società provenga, e vogliamo che il nostro agire metta in evidenza la predilezione per i meno privilegiati, come ci insegna il Papa. Nell’amore a Gesù nel suo abbandono, che oggi ci si presenta sotto il volto sofferente del fratello indigeno, del poliziotto colpito, del giovane con la faccia insanguinata, di coloro che soffrono per i propri cari ingiustamente uccisi, del giornalista aggredito, di chi attacca l’altro perché la pensa diversamente, dell’apatico che preferisce ignorare quanto succede, di chi diffonde notizie false, degli immigrati stigmatizzati, vogliamo vivere con più radicalità il Vangelo”.

Un pranzo condiviso, gente e militari, durante una marcia
In Ecuador i Focolari sono impegnati nel dialogo tra le numerose culture presenti nel paese. Un dialogo che oggi sembra compromesso. “Questa situazione difficile – continuano – potrebbe far pensare che tutti gli sforzi fatti, anche con fatica, a favore di un dialogo interculturale e dell’unità, siano stati vani. Invece no! Forse Dio oggi convoca ognuno di noi per intensificare la nostra vita cristiana e agire come costruttori di pace lì dove ci troviamo”. E concludono: “Chiediamo lo Spirito Santo perché ci illumini tutti per capire come procedere in questi momenti difficili”. L’appuntamento è ogni giorno per il “time-out” per la pace. Mentre scrivo (con più di 700 arresti e 5 vittime), le parti in conflitto sono arrivati ad un accordo ed è stato derogato il decreto annunciato il 3 ottobre, con l’impegno di redigerne uno nuovo che coinvolga ambedue le parti nella scrittura del testo. Ora c’è solo da sperare che si arrestino le proteste e che torni la pace sociale.
Gustavo E. Clariá
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