Movimento dei Focolari
Tre città, un unico fine: il bene comune

Tre città, un unico fine: il bene comune

Cosa hanno in comune Medellin, Katowize e Kingersheim? Nonostante la distanza culturale, ciò che le accomuna è il progetto sociale e civile. Sono geograficamente situate in due continenti diversi e in tre aree culturali distanti. Si tratta di Medellin (Colombia), Katowize (Polonia) e Kingersheim (Francia). Sono città che hanno accolto la sfida di porre al centro il bene comune nel senso più autentico e non come somma di interessi privati. Amministrazioni e cittadinanza hanno lavorato per trovare una via per rompere egoismi, povertà, solitudini e riconoscersi fratelli. I protagonisti sul campo sono rispettivamente Federico Restrepo, Danuta Kaminska e Jo Spiegel che al Convegno “Co-Governance. Corresponsabilità nelle città oggi” hanno raccontato le loro tre storie, diverse ma con un unico leitmotiv. La prima storia è raccontata da Federico Restrepo, ingegnere e già direttore dell’EPM – Imprese Pubbliche di Medellin (Colombia) che, insieme ad altri amici, non si è arreso dinanzi all’ineluttabilità della situazione che sembrava più grande delle sue forze. Medellín – città che conta quasi tre milioni di abitanti –, come tante altre città sudamericane dimostra una forte tendenza di crescita delle aree urbane a scapito della popolazione rurale. In alcuni quartieri di Medellin si trovano popolazioni che cercano di costruire una loro città nella periferia della città”racconta Restrepo. Da alcuni anni è partita un’esperienza-pilota nei quartieri nati da migrazioni forzate per attuare progetti urbani integrali. L’immigrazione, in aumento in Colombia anche a causa della crisi venezuelana, non si risolve costruendo muri: “Abbiamo la responsabilità  – continua – di costruire relazioni tra le città per poter risolvere questo problema sociale che la nostra società sta attraversando”,. Ma non è soltanto una questione di urbanistica, altre sfide si presentano per riscoprire il cuore della città e farlo pulsare. L’esperienza che racconta Danuta Kaminska fa da tramite tra il continente americano e l’Europa. Amministratrice pubblica nel Consiglio della Slesia Superiore, in Polonia, lei presenta storie quotidiane, ma nello stesso tempo straordinarie, di accoglienza da parte dei cittadini di Katowize per favorire l’inserimento immigrati dei migranti, in maggioranza ucraini. Soltanto lo scorso anno essi hanno raggiunto il numero di 700.000. “Per attivare la co-governance nella nostra città abbiamo capito che occorre sostenere i cittadini. Si collabora con le comunità religiose e le organizzazioni non governative per l’integrazione, come ad esempio il sostegno alle comunità ebraica e musulmana”. Katowize, due milioni di abitanti, ha subìto in questi anni una profonda mutazione, trasformandosi da città industriale a sito UNESCO, ed è stata sede della La Conferenza delle Parti sul Clima del 2018 (COP24) . Se la città è uno spazio di trasformazione, se la democrazia deve essere fraterna, occorre coltivare la partecipazione e la spiritualità. Stiamo parlando di amministratori che diventano facilitatori dei processi decisionali e Jo Spiegel, sindaco di Kingersheim, cittadina francese di circa 13.000 abitanti, continua a spendersi con tutte le forze per restituire alla sua città un volto multiforme dove possano coesistere culture e generazioni diverse. “Venti anni fa – racconta il sindaco – abbiamo fondato un ecosistema democratico partecipato, dando vita alla “Casa della Cittadinanza, un luogo privilegiato dove di impara a vivere insieme, cittadini e politici”. Più di quaranta i progetti portati a termine come la revisione del piano urbanistico locale, la pianificazione del tempo del bambino, la creazione di un luogo di culto musulmano. “La fraternità non si delega, non si decreta. È dentro di noi, è tra noi. Si costruisce

Patrizia Mazzola

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Gen Verde in tour a Panama e in Centro America

Gen Verde in tour a Panama e in Centro America

Il complesso racconta l’esperienza in Gran Bretagna e Lussemburgo e poi in Panama per la GMG. Il loro viaggio continua Cuba, Guatemala ed El Salvador. Nel vostro ultimo album “From the inside outside” emerge uno sguardo positivo sulle persone: ognuno ha la possibilità di trovare in sé quella luce che può portare agli altri. È così? Adriana: Spesso sentiamo dire che oggi la società sta passando una notte culturale, dove c’è tanto “buio” e le divisioni vengono più in risalto. Vogliamo che il messaggio di questo album sia un invito a tirare fuori quella speranza che magari è nascosta sotto la cenere, riaccendendola. L’album nasce dall’esperienza fatta con migliaia di giovani durante i nostri tour. Grazie al progetto “Start Now”, un programma con laboratori artistici e un concerto conclusivo, abbiamo la possibilità di vivere a stretto contatto con le nuove generazioni. Ci rendiamo conto delle sfide che affrontano, ma anche delle loro bellezze. Spesso offriamo la nostra esperienza, ma mai dall’alto come qualcuno che ha già risolto tutto. Piuttosto insieme a loro guardiamo in faccia le sfide, cerchiamo di affrontarle e dare una risposta. Diversi ci hanno detto: “Quando torno a casa le circostanze esterne non saranno cambiate, ma sarà diverso come io le affronto”. Secondo voi la musica, il canto, la danza funzionano per entrare in contatto con i giovani? Sally: Le discipline artistiche hanno proprio queste caratteristiche: facilitano il dialogo, l’apertura e i risultati spesso sorprendono. Una volta in una scuola un’allieva era affetta da mutismo selettivo, aveva cioè deciso di non parlare più. Quando si è iscritta al gruppo di canto ci siamo chieste: che cosa farà? Il primo giorno non ha aperto bocca. Il secondo ha ringraziato, il terzo si è offerta lei stessa per cantare una seconda voce. Tornando a casa in lacrime ha confidato alla madre: “Ho ritrovato la mia voce”. Anche le insegnanti erano commosse: “È da non credere, stava sempre sola, adesso comincia a parlare con gli altri e raccontarsi…”. Questo è solo un esempio, ma come questo ce ne sarebbero tantissimi altri. Nella canzone “Not in my name” affrontate i rapporti tra cristiani e musulmani. Come è nata? Adriana: Abbiamo voluto esprimere solidarietà ai nostri amici musulmani e mettere in luce i valori che condividiamo, sapendo che tanti di loro soffrono, perché si sta diffondendo una rappresentazione sbagliata dei mussulmani e perché il cuore della loro religione non è quello che viene diffuso dai media. Inoltre la stessa esperienza di creare la canzone è stata all’insegna del dialogo: ci siamo anche ispirate alle parole del Dr. Mohammad Ali Shomali, Direttore dell’Istituto Internazionale per gli Studi Islamici di Qum (Iran) che abbiamo conosciuto a Loppiano. Egli afferma che siamo tutti gocce che riflettono il volto di Dio e insieme possiamo essere un oceano d’amore. Quando lui ha letto le parole della canzone ha detto di sentirsi espresso. Per l’arrangiamento del brano abbiamo coinvolto Rassim Bouabdallah, membro dei Focolari di religione musulmana, che nella registrazione ha suonato il violino. Adesso vi trovate in Centro America dove avete partecipato anche alla GMG, come sta andando il vostro viaggio? Alessandra: A Panama nelle città di Chitré e di Colón abbiamo realizzato il concerto con i giovani per migliaia di pellegrini in occasione della GMG: essere sul palco con loro è stato sentire e dire a tanti che si può sperare insieme. Forte anche l’esperienza nell’Istituto Penale femminile di Panama City. Le donne lì vivono veramente una vita difficile, ma c’era un ascolto incredibilmente profondo: quanti applausi spontanei, quante lacrime durante le canzoni…Alla fine tante ci hanno detto che sembrava avessimo vissuto le stesse esperienze e che insieme potevamo rialzarci e guardare al futuro, in un posto nel quale sembrerebbe impossibile. È stato sperimentare la misericordia di Dio che opera nelle nostre vite al di là di qualsiasi circostanza.

a cura di Anna Lisa Innocenti

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Vangelo vissuto: sperimentare la pace vera

Agire in prima persona e ridare vita a rapporti feriti nel tessuto della città.  Pestaggio Da quando in Messico è cominciata la lotta al narcotraffico si contano moltissime vittime, e non si tratta sempre di delinquenti. Tempo fa tornavo a casa da scuola, quando si è avvicinato un ragazzo per chiedermi una sigaretta. Proprio in quel momento sono sopraggiunti degli agenti di polizia e ci hanno perquisito. Poi hanno cominciato a picchiare il ragazzo e ad insultarlo, lasciandolo in mezzo alla strada ferito e sanguinante. Io avevo assistito impotente. Quindi l’ho aiutato ad alzarsi e gli ho dato i pochi spiccioli che tenevo in tasca. E lui, abbracciandomi, mi ha detto: “Con questi soldi oggi la mia famiglia mangerà”. (Abraham – Messico) Scambio di lettere Con i ragazzi ai quali faccio un percorso di  catechesi,  ho trattato le opere di misericordia. Per metterle in pratica abbiamo pensato di scrivere a delle donne detenute. Ho esposto il progetto al direttore del carcere, che subito si è detto contrario. In seguito, però, consultandosi con altri, si è convinto della bontà del progetto, che avrebbe potuto avere effetti positivi su quelle donne. Così lo scambio è stato approvato e da allora i ragazzi si sono messi all’opera, preparando disegni e letterine da consegnare alle detenute. (Prisca – Svizzera)  Bazaar I knew a few poor families and wanted to help them.  In the office, a colleague asked me if I was interested in some good quality clothing she no longer needed and toys that belonged to her children who were now grown up.  I told her about the families I wanted to help and she decided to get others involved.  Very soon we had collected a great many things that we kept in a garage. Some we gave away and the rest we sold at a bazaar.  With the proceeds we were able to help a lot of families in difficulties.  After this experience another colleague, who is often very grumpy, said we couldn’t stop there so we keep looking around to see who else we can help. (R.A.R. – Brasile)  

A cura di Chiara Favotti

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Siria, generazione di speranza

Siria, generazione di speranza

Molti progetti umanitari cercano di alleviare le difficoltà della popolazione. Dal 2012, anche il Movimento dei Focolari offre sostegno e assistenza attraverso il lavoro delle onlus AMU e AFN. Forte svalutazione della moneta, aumento inarrestabile del costo della vita a fronte di una costante contrazione dei servizi pubblici. Sono solo alcune delle voci che vanno a comporre il bilancio sociale e civile di sette anni di guerra in Siria. Tra la popolazione gli effetti sono sempre più pesanti. Chi ha perso il lavoro è stato costretto a spendere tutti i propri risparmi per sopravvivere e curarsi, in un Paese dove medici, insegnanti e molti professionisti sono dovuti emigrare all’estero. In questa situazione di estrema difficoltà, come scrivono i referenti dei progetti portati avanti in Siria dalla comunità dei Focolari, attraverso le onlus AMU e AFN  fioriscono “valori meravigliosi come la solidarietà, l’accoglienza, la generosità, la fraternità. Dio è all’opera portando ad ognuno sostegno e coraggio”. Grazie al progetto “Emergenza Siria”, più di 200 famiglie sfollate di Damasco, Homs, Aleppo, Kafarbo e del litorale, sono state visitate con regolarità da “squadre” di volontari che nei vari momenti, dalle nascite ai compleanni e alle varie fasi della vita scolastica, hanno fatto arrivare il loro sostegno, sempre nel rispetto della loro sensibilità e dignità. Con l’aiuto del progetto, hanno potuto pagare le spese scolastiche, acquistare degli elettrodomestici necessari, coperte, cibo. Ma soprattutto si sono sentite accompagnate in questa difficile fase della loro vita. Ai programmi nei campi dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione e del sostegno al reddito famigliare, già attivi da oltre sei anni, altri si sono aggiunti più recentemente, specie nel settore della formazione professionale e dell’istruzione. “Questo impegno nasce, oltre che per venire incontro alle necessità materiali urgenti delle persone assistite, anche per offrire occasioni di lavoro a tante altre, specialmente giovani che, altrimenti, nell’attuale situazione del Paese sarebbero disoccupate”. A Dueilaa, durante lo scorso anno, oltre 90 bambini hanno frequentato il dopo scuola conseguendo ottimi risultati. Nei mesi estivi, il centro è rimasto aperto per accogliere fino a 115 bambini. “Alcune mamme ci dicono che i loro figli, anche se sono malati o hanno un altro programma famigliare, preferiscono venire qui”. A Homs un altro centro per bambini e ragazzi ha preso il nome “Generazione della speranza”. Gli studenti che lo frequentano hanno superato brillantemente gli esami nelle loro scuole di provenienza. Qui viene offerta anche la possibilità di un accompagnamento psicologico rivolto sia ai bambini che ai loro genitori. “Lavoriamo in particolare sui traumi subiti a causa della guerra. Questi momenti aiutano a far rinascere la fiducia e a trovare soluzioni a tanti problemi”. Sempre a Homs, ma anche a Kafarbo, da più di due anni un progetto di assistenza sanitaria ha consentito di avvicinare finora oltre un centinaio di persone con necessità di cure mediche specialistiche. “Cerchiamo di collaborare con altri organismi per poter aiutare i pazienti anche quando il costo delle cure o degli interventi chirurgici supera le nostre possibilità”.

Chiara Favotti

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Una Mariapoli europea

Una Mariapoli europea

A 70 anni dalla prima Mariapoli ritorna l’evento sulle Dolomiti in Italia, per tutto il continente europeo. Intervistiamo Peter Forst, delegato del Movimento dei Focolari per la zona dell’Europa centrale e uno degli organizzatori dell’evento L’Europa di oggi appare molto divisa (Brexit da un lato, muri contro l’accoglienza dall’altro). Che senso ha fare una Mariapoli europea? È stata proprio la costatazione di quanto sia divisa l’Europa che ha fatto nascere l’idea della Mariapoli Europea. Ci siamo resi conto che abbiamo opinioni molto diverse, in parte contrarie, sugli sviluppi in Europa, sulle migrazioni, sui valori, …e il primo scopo della Mariapoli è di rinsaldare i rapporti, creare spazi di comunione e di condivisione, incoraggiare l’umanità ad andare decisamente sulla strada della fraternità universale e dell’unità di uomini e popoli. Speriamo così di poter dare una testimonianza che è possibile rimanere uniti anche se le differenze sono tante. Dalla prima nel 1949 ad oggi: come sono cambiate le Mariapoli? Le prime Mariapoli erano molto spontanee. Forse oggi ci vuole un po’ più di organizzazione logistica e di preparazione del programma. Ma lo spirito della Mariapoli europea vuole essere lo stesso di quello di 60 o 70 anni fa: sperimentare e testimoniare che l’umanità è una famiglia. La via per arrivarci? Un amore incondizionato. Perché proprio sulle Dolomiti? L’idea di fare la Mariapoli nello stesso posto dov’è nata ha subito convinto tutti. Lì Chiara Lubich 70 anni fa, faceva le vacanze con le prime e i primi focolarini, ed è proprio lì dove con loro e con il parlamentare italiano Igino Giordani nell’estate del ’49 hanno vissuto un’esperienza di luce, di particolare unione con Dio e di profonda unità tra di loro che ha segnato la fondazione del Movimento nascente. Non è la nostalgia che ci ha spinti a scegliere le Dolomiti, ma la convinzione che proprio nel “dopo Chiara” è importante tornare alle radici per poter trovare i modi e le risposte per oggi. Chi vi parteciperà? Quale il programma? Cosa intendete con il titolo “Puntare in alto”? La Mariapoli è aperta a tutti. Ci sono 600 posti ogni settimana. L’iscrizione è possibile fino al 31 gennaio (www.mariapolieuropea.org). Nel programma ci saranno gite, sport, giochi, musica, spiritualità, preghiere, workshop creativi e forum tematici – tutto vuole essere un’occasione d’incontro vero. “Puntare in alto” ci sembrava un’immagine adatta per lo scopo di vivere rapporti di alta qualità spirituale ed umana. E poi: essendo in montagna automaticamente si punta in alto.

Lorenzo Russo

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Vangelo vissuto: “Cerca e persegui la pace”

La Parola di Vita di questo mese è un invito all’accoglienza e alla generosità verso tutti Ascoltare Ultimamente, a causa di una malattia, ho delle difficoltà nell’uso della parola, e per me comunicare è vitale! Non posso fare più di tanto ma, questo sì, posso accogliere e ascoltare profondamente chi viene a trovarmi. A volte le persone mi raccontano tanti dolori, ma andandosene sembrano sollevate. E allora ringrazio Dio di questa mia condizione. (Marisa – Italia) Pullover Mio marito si stava preparando a partire per un congresso e aveva bisogno di un paio di scarpe e di un pullover. Le scarpe siamo riusciti a comprarle, ma per il pullover non c’era stato il tempo, perché ci è sembrato più importante andare ad un incontro con un gruppo di famiglie, dove condividiamo le nostre esperienze di vangelo vissuto. Ebbene, proprio lì, nel gruppo, una signora ha portato due pullover per chi ne avesse bisogno. Provandoli, con nostra grande sorpresa, sono toccati entrambi a mio marito. (D. M. – Serbia) Preghiera Mio marito ed io stavamo cercando un alloggio per mio fratello che doveva sposarsi, ma prezzi e condizioni rendevano difficile la scelta. Il tempo passava e in me cresceva la preoccupazione. Come avrei voluto aiutarlo! Un giorno il nostro bambino più piccolo ci ha suggerito una cosa a cui non avevamo penato: chiedere a Dio ciò che ci stava tanto a cuore. Così abbiamo fatto. Poche ore dopo mio fratello mi ha chiamato tutto contento: aveva trovato l’appartamento giusto! (M. N. – Libano) (altro…)

In Nepal per creare legami

In Nepal per creare legami

Quello che li spinge a partire per dar vita ad un focolare temporaneo è il desiderio di condividere la scoperta che ha dato senso e gioia alla loro vita. Perché altri possano sperimentare che vivere per la fraternità universale è la più bella delle avventure. Sono giovani, adulti e famiglie, che in piccoli gruppi partono verso paesi lontani, dove li aspettano comunità e villaggi per percorrere insieme un pezzo di strada e fare l’esperienza dell’accoglienza e dello scambio fra culture diverse, del donarsi all’altro e “farsi uno” nelle gioie e nei dolori. Perché – ne sono certi – l’uomo realizza pienamente sé stesso amando il suo prossimo. E la fraternità è possibile anche fra persone di fedi e convinzioni differenti: “Fai all’altro ciò che vorresti fosse fatto a te” è la Regola d’oro che tutti gli uomini possono far propria. Questi piccoli gruppi sono i cosiddetti “focolari temporanei”, traduzione itinerante dei tradizionali focolari, centri nodali del Movimento sul territorio e cuore pulsante della vita al suo interno. Negli ultimi anni ne sono nati a decine. Nel solco dei “pionieri” del Movimento dei Focolari, che a partire dagli anni ’50 furono inviati da Chiara Lubich nei diversi continenti per portare il carisma dell’unità. Come moderni apostoli. In Nepal, punto di incontro tra le popolazioni mongole dell’Asia e quelle caucasiche delle pianure indiane, con una spiritualità profonda che al buddismo affianca il cristianesimo e l’induismo, un gruppo di focolarini ha compiuto il suo viaggio. Dal 20 ottobre al 7 novembre, dalla capitale Kathmandu a Dharan, nel sud, e poi più a nord fino a Pokhara. Soprattutto creando legami. Provenienti da India, Italia e Gran Bretagna, fin da subito i membri del focolare si sono immersi nella cultura nepalese. Al loro arrivo era in corso il Dashain Hindu festival, il più grande festival indù che coinvolge l’intero Paese, e hanno partecipato al rito della Tika, ricevendo la tradizionale benedizione. A Daharan il gruppo è stato accolto in alcune parrocchie, ha raccontato della storia del Movimento e dell’impegno per la fraternità universale. Grande l’entusiasmo delle persone incontrate come dei sacerdoti. Nella capitale, al gruppo si sono uniti due giovani nepalesi che hanno partecipato al Genfest 2018 di Manila, condividendo la loro esperienza con gli studenti di una scuola guidata da padri gesuiti. A Pokhara l’incontro con alcune famiglie indù, povere e senza mezzi: armonia e dignità riempivano quelle case. I focolarini hanno parlato dell’ideale dell’unità, prima di essere invitati a pranzare insieme ascoltando musiche tradizionali. Il gruppo ha poi fatto visita al Vescovo Paul Simick, Vicario apostolico del Nepal, che si è detto felice per la loro presenza nel Paese e li ha invitati ad incontrare i sacerdoti. Un viaggio di arricchimento reciproco, quello in Nepal, dove l’ideale dell’unità ha incontrato la cultura locale. Un detto buddista lo descrive efficacemente: Coloro che hanno pensieri “alti”, non sono felici di restare nello stesso posto, ma come i cigni lasciano la loro casa e volano verso una casa più alta.

Claudia Di Lorenzi

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Corea: un ospite di eccezione alla Sung Sim Dang

Corea: un ospite di eccezione alla Sung Sim Dang

Il 24 gennaio Moon Jae-in, Presidente della Repubblica di Corea, ha fatto visita alla Panetteria Sung Sim Dang che aderisce al progetto Economia di Comunione. Per un imprenditore la visita del Presidente della Repubblica nella propria azienda è un evento a dir poco eccezionale, ma se la visita avviene proprio nel giorno del suo compleanno, ancora di più!  È quello che è successo a Daejeon ad Amata Kim e Fedes Im, imprenditori dell’Economia di Comunione (Edc) coreani della nota Panetteria Sumg Sim Dang.   Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud dal maggio 2017 noto in occidente per esser riuscito a dare il via al processo di pace con la Corea del Nord dopo quasi 70 anni di guerra fredda, ha festeggiato il suo compleanno alla Sung Sim Dang con una magnifica torta ed ha potuto conoscerne da vicino la storia e la realtà. Il suo post su Instagram ha raccolto in poche ore oltre 76.000 like. Interessante il suo commento alla foto: “Sono stato sorpreso oggi di festeggiare il mio compleanno al panificio Sung Sim Dang di Daejeon. Durante la guerra del 1950 mio padre e il fondatore della panetteria (padre di Fedes ndr) erano sulla stessa nave di evacuazione, la Victoria, per fuggire dal Nord Corea. È per noi oggi molto caro e prezioso ricordare questo momento di storia. Il giorno del mio compleanno è un giorno come un altro ma oggi mi ricarico di nuova forza per gli auguri di molti. Grazie!” L’evento ha avuto una grossa eco sui media, anche per il grande valore – riconosciuto universalmente – che l’ azienda Edc Sung Sim Dang rappresenta per l’intera città di Daejeon. Clicca qui per vedere le immagini video dei momenti salienti della visita. Fonte:   www.edc-online.org

Antonella Ferrucci

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Migranti: oltre l’assistenzialismo

Migranti: oltre l’assistenzialismo

A Trieste (Italia) storie di accoglienza nel quotidiano. Il racconto di chi la vive in prima persona. “Insieme a Caritas e al Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) ci occupiamo soprattutto di famiglie di migranti e profughi con i loro bambini, ospiti presso una struttura di prima accoglienza nella nostra città, Trieste, e in provincia. Da tre anni, ogni settimana, con continuità, abbiamo attivato delle azioni concrete: un gruppetto di noi insegna italiano alle mamme in modo da far loro completare i corsi di studio per aiutarle ad affrontare meglio la quotidianità; altri giocano con i bambini e li seguono nei compiti. Sono passate dal centro ormai tante famiglie e con quasi tutte è rimasto un rapporto, anche dopo il loro trasferimento in altre case. In collaborazione, poi, con AFN – Associazione Famiglie Nuove, abbiamo avviato un progetto, autofinanziato da alcune persone della comunità, per aiutare in particolare una famiglia di nazionalità curda in difficoltà che, dopo due anni di sostegno, ora ha raggiunto la sua autonomia, permettendo loro di abitare in un appartamento in affitto grazie al lavoro che ha finalmente adesso il padre. Con altri piccoli progetti stiamo sostenendo le esigenze di altre famiglie, facendo in modo che le mamme possano seguire dei corsi di specializzazione per un possibile lavoro e i bambini possano integrarsi nelle varie attività con i loro compagni, per esempio nelle attività sportive. Li seguiamo nelle visite e cure mediche, nella ricerca della casa, abbiamo trovato alcuni lavoretti per le mamme, abbiamo potuto iscrivere un papà alla scuola guida e oggi lavora guidando i camion presso una ditta del porto. Con l’aiuto di alcune famiglie abbiamo potuto far partecipare ad una “vacanza famiglie” anche una mamma vedova africana con due bambini, che ne aveva necessità. Cerchiamo di vivere con loro momenti di vita quotidiana come i compleanni, le gite ai parchi la domenica, una gita in barca, il capodanno, il carnevale ma anche momenti di preghiera come in occasione del Ramadam con chi è di religione musulmana. Domenica 25 novembre 2018 abbiamo voluto rispondere concretamente all’appello di Papa Francesco che ha indetto la giornata mondiale dei poveri: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta” e invitava così ogni cristiano e le varie comunità ad ascoltare questo grido e a cercare di offrire risposte con gesti concreti. Aggiungeva: “Affinché questo grido non cada invano”. Abbiamo pensato di organizzare così un pranzo – denominato “Festa dell’Amicizia” – all’insegna della condivisione con persone in difficoltà: rifugiati, profughi, disoccupati, poveri della nostra città. Si è riusciti a coinvolgere anche la nostra comunità dei Focolari chiedendo un aiuto concreto sia per il pranzo che per l’aiuto in sala e anche agli amici stessi che sono stati invitati è stato richiesto, per chi poteva e disponeva di una cucina, di contribuire con un pugno di cibo tipico dei loro paesi di provenienza. Eravamo un’ottantina: dal Camerun, Nigeria, Egitto, Tunisia, Russia, Pakistan, Kurdistan, Kossovo. Con nostra sorpresa, per la Caritas stiamo diventando un punto di riferimento, un “progetto” che va oltre l’assistenzialismo. Ci chiamano per condividere programmi, progetti e, in alcune occasioni anche per cercare soluzioni. Ci sembra siano rimasti coinvolti da questo nostro modo di fare accoglienza che, conclusa la fase di emergenza, punta alla reciprocità. Sentiamo che, in mezzo a questo caos, dove ciascuno magari non trova un punto di riferimento valoriale, quale quello dell’accogliere gli ultimi, non possiamo fermarci ma dobbiamo continuare a dare speranza”.

Paola Torelli Mosca, a nome del gruppo accoglienza migranti Trieste

Fonte: www.focolaritalia.it (altro…)

Una giornata straordinaria

Una giornata straordinaria

Ricordare Alberta Levi Temin attraverso il racconto della sua storia, parlare della Shoah con i ragazzi di una scuola media e lanciare la Regola d’oro per costruire da subito un mondo più in pace, più unito.

Alberta Levi Temin

Il sole splendido ha fatto da cornice ad una giornata speciale ad Ischia – un’isola del golfo di Napoli (Italia) – dove il 23 gennaio scorso alcuni ragazzi della Scuola Media “Giovanni Scotti” hanno potuto conoscere la storia di Alberta Levi Temin, ammiratrice di Chiara Lubich e testimone diretta della tragedia dell’olocausto, attraverso la presentazione del libro “Finché avrò vita parlerò”(Ed. L’Isola dei Ragazzi). Alla presenza di un gruppo di amici dei Focolari tra docenti, alunni e genitori, ma anche dell’autore del libro Pasquale Lubrano Lavadera e della prof.ssa Diana Pezza Borrelli (legata ad Alberta da un rapporto fraterno, alimentato anche nell’Associazione “Amicizia Ebraico-Cristiana” di Napoli), i ragazzi hanno ascoltato il racconto emozionante della sua storia. “Alberta un giorno venne a parlare nella mia scuola, – dice Pasquale – lei, di religione ebraica, insieme alla sua carissima amica Diana, di fede cattolica. Era stata invitata a raccontare a tutti i ragazzi e a noi docenti l’orrore della Shoah, ma anche a testimoniare che il dialogo è possibile fra tutti gli uomini senza distinzione di razze, di fedi o di convinzioni. Mi colpì la sua frase: –La famiglia umana è una e siamo tutti fratelli.” Alberta è morta nel 2016, ma durante la sua vita ha sempre avuto un unico pensiero che l’ha sorretta e le ha dato sempre gioia: è la Regola d’oro “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Si è sempre battuta per il dialogo nella società a tutti i livelli. “Oggi più che mai capisco che bisogna avere un amore più grande – sosteneva Alberta – e, come dice Chiara Lubich, bisogna Amare la patria altrui come la propria. Dobbiamo avere amore per tutta l’umanità, solo in questo humus può nascere il dialogo”. “Ogni scuola dovrebbe dedicare in ogni classe una o due ore a settimana per insegnare il bene relazionale, quel bene che può aiutare i ragazzi a stare tra loro con serenità e a studiare insieme in uno spirito di collaborazione e di ricerca comune. Puntare a fare dell’esperienza scolastica, che è la prima e fondamentale esperienza sociale dell’uomo, una vera esperienza di aiuto reciproco”. Di tutto questo Alberta era convinta. Al termine del racconto, ai ragazzi è stato proposto di vivere la Regola d’oro,  strumento di pace e di dialogo, comune a tutte le religioni. A sigillo della giornata, la Dirigente Scolastica, prof.ssa Lucia Monti, ha posto una targa all’ulivo della pace dedicato a lei, per dirle grazie e perché la sua testimonianza continui a parlare. “Grazie – ha detto anche Chiara, un’alunna della scuola – per il messaggio di fratellanza che ci avete trasmesso, mi ha colpito molto che i cattolici si incontrano con ebrei e persone di altre religioni per costruire il mondo unito.” “Sento di ringraziare Alberta per la sua vita, la sua sapienza – ha affermato Pasquale Lubrano – e vorrei che ciascuno di noi, leggendo la sua storia, ora che lei non è più tra noi, possa partecipare pienamente a quella ‘bellezza’ interiore che l’ha resa unica, per poterla poi donare a tanti.” E ha concluso: “Ho provato oggi una grande emozione nell’ascolto attento dei ragazzi, nella loro vivace reazione, nei loro sguardi indagatori, nell’avere intravisto in ogni studente l’esigenza di vivere l’Amore per ogni uomo nella consapevolezza che la famiglia umana è una sola.”

Lorenzo Russo

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