Ott 4, 2016 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

Marco Desalvo (a destra)
«Siamo venuti non per insegnare, ma per imparare, non per parlare, ma per ascoltare . Vorremo poi, tornando ai nostri Paesi, dire a tanti quanto abbiamo visto e vissuto. Siamo arrivati da diversi paesi europei, dal Medio Oriente, dalla Nuova Zelanda, Stati Uniti e Argentina. Cercare di entrare nella cultura dell’altro, capire il suo punto di vista, è già iniziato tra noi, in modo profondo e sincero», spiega Marco Desalvo, presidente di New Humanity, al termine dei giorni vissuti a Madaba (Giordania). Si è recato nel Paese dal 7 al 19 agosto insieme 55 giovani di diversi Paesi europei e mediorientali per cominciare la prima fase del progetto “Host Spot”, presso un centro di accoglienza per i rifugiati siriani e iracheni. «Qui ci sono luoghi significativi per le tre grandi religioni monoteiste – racconta Desalvo – . Visitando il fiume Giordano, nel luogo dove è stato battezzato Gesù, mi ha colpito sapere che è il punto più basso della terra. Mi è sembrato un segno dell’atteggiamento che avremmo dovuto assumere davanti ad ogni persona che avremmo poi incontrato. Abbiamo iniziato ogni giornata con un motto da vivere, il nostro “daily input”. Il primo giorno: cercare di capire l’altro, mettendoci a suo servizio, con la coscienza che abbiamo tanto da imparare. Poi, l’incontro con i rifugiati siriani e iracheni: storie di grande dolore, famiglie, bambini… Condividere la sofferenza ci ha unito di più con loro e tra noi. Mai potrò dimenticare Saheed e il suo racconto: un 6 agosto di due anni fa, con tutta la sua famiglia, la mamma che non era in condizioni di camminare, hanno dovuto lasciare di corsa la propria casa, il loro Paese, senza poter prendere nulla con sé: posso solo intuire quanto abbiano sofferto e vissuto in tutti questi mesi, la loro speranza di ritornare e, ora, l’attesa infinita della telefonata che comunicherà loro la possibilità di essere accolti o no in un altro Paese». 
Il team di Host-Spot
Il presidente di New Humanity confessa di essere molto colpito dal lavoro dei volontari della Caritas Giordania: «Insostituibile, prezioso, discreto, fonte di speranza, di vita, di amore concreto, medicina per chi li incontra. Senza di loro migliaia di rifugiati non avrebbero un tetto e mezzi di sostentamento, ritrovando la speranza. Insieme a loro, abbiamo toccato con mano il senso più profondo della parola “Caritas”: amore concreto. Due settimane fa mi trovavo in Polonia, alla Giornata Mondiale della Gioventù e ho ancora molto vivo quanto ha augurato Papa Francesco ai due milioni di giovani presenti: “Non andate in pensione a 25 anni, (…) non siate persone da poltrona, (…) puntate in alto. (…) Potranno giudicarvi dei sognatori perché credete in una nuova umanità, che non accetta l’odio tra i popoli, non vede i confini dei Paesi come delle barriere e custodisce le proprie tradizioni senza egoismi e risentimenti. Non scoraggiatevi! Col vostro sorriso e con le vostre braccia aperte voi predicate speranza e siete una benedizione per l’unica famiglia umana”. Qui, in Giordania, ho conosciuto giovani che queste parole le mettono in pratica. Il loro impegno è certamente una goccia davanti ai problemi che stiamo affrontando. Ma con giovani così, ne sono certo, il mondo sarà diverso. Questi giorni ci hanno trasformato in ambasciatori dei rifugiati, della loro sofferenza, di un mondo di Pace».
Il Progetto “Host Spot” è promosso da New Humanity ed altre associazioni di 9 Paesi, e co-finanziato dal programma Erasmus+ . L’obiettivo: diffondere una cultura della promozione dei diritti umani. Giovani con background differenti, disposti ad acquisire competenze e conoscenze per difendere il diritto alla libertà di espressione, e ad essere coinvolti nella produzione di documentari che raccontano le storie di vita dei rifugiati. Dopo la Giordania, il progetto prevede anche un corso di formazione in Germania (marzo 2017) per sviluppare competenze tecniche nella produzione di documentari sociali; ci sarà l’incontro con i rifugiati nei campi profughi tedeschi e si farà una comparazione tra diversi sistemi di accoglienza. Leggi anche: Volontariato nei campi profughi in Giordania Facebook: www.facebook.com/hostspot9/ (altro…)
Set 24, 2016 | Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo
Unità, dialogo, comunione. Questi tre obiettivi, tipici dei Focolari, riassumono anche l’impegno del Dr. Tarunjit Singh Butalia, lo scienziato della Ohio State University di Columbus, che il 18 settembre ha ricevuto l’onorificenza Luminosa 2016 a Hyde Park (New York). “Il suo decennale e instancabile sforzo – ha dichiarato nel suo messaggio la presidente dei Focolari Maria Voce – merita la nostra ammirazione e il nostro profondo apprezzamento. Ci sentiamo solidali con lei e la comunità Sikh nel promuovere, insieme ad altri, la pace e la cura per la nostra casa comune”. Butalia, mosso dalla convinzione che le religioni svolgono un ruolo cruciale nella costruzione della pace, è un pioniere delle relazioni cattolico-sikh negli Stati Uniti. Ed è proprio per il suo grande impegno nel dialogo interreligioso che nel dicembre 2011 ha partecipato alla Preghiera per la pace ad Assisi invitato da papa Benedetto XVI. Nel suo discorso di accettazione, lo scienziato ha ricordato gli amichevoli inviti a cena e a picnic interreligiosi che hanno segnato l’inizio dei suoi contatti con il Movimento dei Focolari. Un’amicizia, ha spiegato, che nel tempo è diventata fiducia. Ha poi sottolineato che la fede ha sempre avuto un ruolo particolare nella società americana, proprio perché è una nazione di immigrati, gente che ha potuto integrarsi abbastanza e che negli ultimi 50 anni sta sempre più manifestando il desiderio di mantenere la propria identità religiosa. “Musulmani, buddhisti, sikh, indù, Jain e Baha’i, portando qui la loro religione – ha affermato Butalia – hanno reso gli Stati Uniti una nazione fra le più cosmopolite del mondo. Rilevava inoltre l’importanza di riconoscere il pluralismo come valore “nel quale ogni componente mantiene la sua identità e tuttavia rimane parte del tutto armonico”. “Dobbiamo concentrarci sulla costruzione di relazioni”, ha detto; “dobbiamo riuscire a parlare delle nostre differenze”.
Butalia ha poi proposto a se stesso un ulteriore passo avanti rispetto alla regola d’oro (“Fai agli altri come vorresti fosse fatto a te” Mt 7,12), definendo tale sua versione “regola platinum”: “Fai agli altri ciò che essi vorrebbero che tu faccia per loro”. Andare cioè oltre l’ipotesi di trattare gli altri col proprio metro, ma trattarli assumendo il loro. Ha poi invitato i 130 partecipanti a costruire un dialogo “ascoltando, più che parlando” e a non fare mai confronti su quale sia la religione migliore. Riferendosi alla islamofobia, Butalia ha sottolineato che dobbiamo lavorare contro la discriminazione nei confronti di qualsiasi fede. In chiusura ha citato il detto di un discepolo del fondatore Sikh Guru Nanak, “Nessuno è mio nemico, e nessuno è straniero. Vado d’accordo con tutti”.

Dr Tarunjit Butalia con la delegazione Sikh
La premiazione era stata preceduta dal 7° ritiro cattolico-sikh, organizzato dal Segretariato per gli Affari ecumenici ed interreligiosi della Conferenza Episcopale Statunitense e del Consiglio Sikh per le relazioni interreligiose. 25 rappresentanti della Chiesa cattolica e dei Sikh provenienti da varie parti degli USA si erano infatti riuniti alla “Mariapoli Luminosa” per una più profonda conoscenza all’insegna del dialogo. “Questo incontro – ha detto il direttore del Segretariato cattolico Antony Cirelli – è stato l’esempio di quel dialogo auspicato da Papa Francesco, il dialogo dell’amicizia”. Destinatari del Premio Luminosa, istituito dal 1988: il compianto card. O’Connor, Arcivescovo di New York; Norma Levitt, ex presidente delle Religioni per la Pace (RFP) e presidente onorario di Women of Reform Judaism; il rev. Nichiko Niwano, presidente dell’organizzazione buddista laica giapponese, Risshō Kōsei Kai; il Fon di Fontem Lukas Njifua, re del popolo Bangwa (Camerun); e Imam Warith Deen Mohammed, leader musulmano americano. (altro…)
Set 20, 2016 | Cultura, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

Membri della comunità dei Focolari ad Atlanta
La città di Atlanta, in Georgia, è la nona area metropolitana degli Stati Uniti, sede della Coca Cola e città natale di Martin Luther King. I have a dream, ho un sogno, gridava nel ‘63 il leader della non violenza, chiedendo l’uguaglianza tra bianchi e neri, e sperando che un giorno s’avverasse il credo della nazione americana “che tutti gli uomini sono stati creati uguali”, come si legge nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776. Da allora tanti passi sono stati fatti, ma rimangono sfide aperte. Lo testimonia Celi Fuentes Montero, costaricense, “bianca”, che ha vissuto per 20 anni a Los Angeles e ora è nel focolare di Atlanta. «Sentivo dire che nel sud degli Stati Uniti c’erano episodi di discriminazione razziale, ma mi sembravano racconti esagerati. Ma purtroppo mi sono dovuta ricredere». Di recente, negli Stati Uniti vari sono stati gli scontri con la polizia in cui i giovani afroamericani non armati sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco. Le proteste sono state particolarmente intense a Baltimora e a Ferguson, degenerando in episodi di violenza che hanno dato slancio al Black Lives Matter, un movimento che denuncia la povertà e il disagio delle comunità nere e la violenza della polizia.Purtroppo l’estate scorsa a Dallas e in Louisiana, in seguito ad attacchi di cecchini, l’odio ha ucciso dei poliziotti e – le vittime erano sia bianchi che neri. La tensione è palpabile anche ad Atlanta, dove la popolazione afroamericana supera il 50%. Lì la comunità dei Focolari, che rispecchia la demografia, s’impegna per tessere reti di riconciliazione e ricostruire dal di dentro il tessuto sociale. «I nostri amici afroamericani temono di uscire di casa – continua Celi Fuentes – perché dicono che hanno paura di rischiare la vita. Quando gli scontri erano più frequenti, un’amica temeva di andare a fare la spesa. “Ma poiché credo al mondo unito, mi sono fatta coraggio e sono uscita per amare quanti avrei incontrato”, mi ha detto. Al supermercato ha trovato una donna bianca che presentava un prodotto e si è fermata ad ascoltare. La donna ha capito il suo gesto e si sono scambiate un abbraccio». Nonostante le leggi anti-discriminazione messe in atto sin dal “Civil Rights Movement” degli anni ‘60, nel sud si sperimenta ancora disparità sociale ed economica. «Alcuni dei miei giovani amici afroamericani – continua Celi – si sentono svantaggiati, rispetto ai giovani bianchi, per l’accesso all’Università e al lavoro». «Arrivata in Georgia mi metto a cercare lavoro insieme a una amica nera – racconta ancora Celi –. Andiamo in una agenzia per l’impiego, lei è più qualificata di me per questo lavoro specifico. Ma a me dicono che mi chiameranno in prossimo futuro, a lei invece, di tornare a studiare e prepararsi meglio. Era chiara la discriminazione per il colore della pelle. Provo sgomento: apro gli occhi su quello che tanti subiscono ogni giorno. Faccio mio questo dolore e, almeno per quanto sta a me, cerco di dare un contributo a costruire ponti al di là della tensione che sperimentiamo». Una opportunità ci viene data mediante la collaborazione ad Atlanta in progetti comuni della comunità dei Focolari e quella dei musulmani afroamericani. «Con tanti amici afroamericani e musulmani lavoriamo insieme in piccole azioni che mettono in moto sempre più persone. Prepariamo il cibo o le coperte per i senza tetto della città, o gli zaini per queste persone, utili quando, per legge, devono essere evacuate da certi luoghi della città. Sono azioni che possono sembrare insignificanti, ma che testimoniano l’amore concreto. per questa collaborazione i nostri amici musulmani ci hanno detto: finora dialogavamo, adesso siamo fratelli. Tra noi della comunità dei Focolari avvertiamo di aver raggiunto un livello di comprensione reciproca molto più profonda insieme ad un maggior supporto tra persone di diversi background sociali e raziali. Il giorno in cui ci sono state le sparatorie ci siamo trovati per l’incontro della Parola di Vita: ci siamo scambiati le paure, l’incomprensione, ci siamo detti l’un l’altro “sono qua per te!”». «Nel cuore ho tanta speranza – conclude Celi –. È vero che siamo pochi in mezzo a questi problemi di cui la tensione razziale è solo uno ma non l’unico. Mi viene da chiedere l’aiuto di Dio per entrare più profondamente in questa cultura per dare, insieme, il nostro tipico contributo: quello dell’unità, lì dove c’è tanta divisione». (altro…)
Set 8, 2016 | Cultura, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
La settimana della gentilezza nella scuola di Yvonne, a Toronto, ha ricevuto a sorpresa la visita di un ministro del governo canadese, interessato a capire come gli studenti attraverso il dado dell’amore avevano cambiato l’atmosfera delle classi e incrementato il servizio e l’attenzione verso gli altri, smorzando il bullismo. Il Peace Project (progetto per la pace) è stato premiato come una delle pratiche più esemplari del distretto ed è stato adottato anche da altre scuole con l’approvazione del ministero dell’educazione. A North Riverside, una cittadina a pochi chilometri da Chicago, Carol ha ideato un progetto sociale, l’Arte di prendersi cura, che è stato sposato dalla pubblica amministrazione e che ha trasformato vicini estranei e diffidenti in una comunità con uno stile di vita improntato all’accoglienza e alla condivisione.
Sono queste alcune delle buone pratiche che il Movimento Umanità Nuova, espressione sociale dei Focolari ha presentato al Social Forum mondiale di Montreal che, nella seconda settimana di agosto, ha riunito oltre 25mila attivisti di 125 Paesi. Progetti, studi, azioni sociali, performance artistiche hanno contribuito ad immaginare “Un altro mondo è necessario, insieme è possibile”, che è il titolo scelto per la 12ma edizione di questo laboratorio mondiale, nato nel 2001 a Porto Alegre in Brasile come risposta al forum economico tenuto dai potenti della terra a Davos, in Svizzera. Il forum sociale offre uno spazio autogestito alle diverse espressioni della società civile che dal basso provano ad imprimere un cambiamento nell’ambito dei diritti umani, dell’ambiente, delle economie alternative, delle energie rinnovabili, della democrazia partecipativa. I tre laboratori aperti, gestiti da Umanità Nuova sono stati un’expo delle buone prassi in campo sociale, economico e politico sorte dal carisma dell’unità di Chiara Lubich, attraverso tre laboratori pubblici all’università McGill di Montreal e a quella del Quèbec. Jean Charles Bitorirobe, burundese di origine e cittadino canadese, attraverso la sua associazione “Burundi coeur d’Afrique” ha voluto sanare i conflitti etnici che dividevano Hutu e Tutsi in patria e che si erano trasferiti allo stesso modo, in Quebec. “Il nostro voleva essere un centro culturale dei burundesi senza guardare alle etnie e abbiamo riunito in febbraio oltre 420 persone per scambiarsi esperienze, bagagli tristi del passato, consuetudini culturali che non potevano continuare a dividere il nostro popolo. Ci ha ispirato il carisma dell’unità”. Jean Charles ha dato vita ad una squadra di calcio, ad un corso di lingua kirundi e di danze, ad una raccolta fondi per 150 bambini con deficit mentali in Burundi e ad una cena con piatti tipici e musiche tradizionali . “Qualcuno ha subito pensato che volessimo costituire un partito, ma noi vogliamo lavorare per l’unità e anche l’ambasciata ha apprezzato e riconosciuto il nostro lavoro”. A chiudere questo laboratorio pubblico è stata Patience Lobè, politica camerunense e referente per le migliaia di volontari del Movimento dei focolari. Minacciata di morte e vittima di diversi attentati per aver denunciato la corruzione nel sistema dei lavori pubblici del suo Paese, Patience non ha mollato. “Sentivo di dover lottare per la giustizia. Non so se questa tenacia è frutto della mia natura, ma penso che Dio ci usa come suoi strumenti”. Come ingegnere civile riceveva un ottimo stipendio, ma la povertà che la circondava non le dava tregua e così questa donna coraggiosa ha creato dei centri professionali di avviamento al lavoro e delle cooperative, tra cui una di allevamento organico di polli che è diventato un fiore all’occhiello nel distretto industriale del Paese. “La fame, la povertà è prima di tutto un problema di valori, ma se ci mettiamo insieme possiamo creare il cambiamento ed essere persone che sanno sviluppare il nuovo”. Tutto in sintonia con la carta dei lavori del Social forum. (altro…)
Set 5, 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
https://www.youtube.com/watch?v=3wzfcd1Gwtk&feature=youtu.be