Set 16, 2009 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
Dopo la laurea in odontoiatria desideravo subito mettere a frutto quanto avevo studiato per anni. La mia professione mi piace e la vedo come una possibilità concreta di costruire una società più umana. Ho ricevuto presto un’offerta di lavoro, ma mi sono resa conto che aderire a quel progetto significava adeguarsi a comportamenti contrari all’etica professionale. Lo stipendio era davvero conveniente, e ne avevo bisogno, ma era più forte la certezza di non poter tradire la mia coscienza. Ho deciso di non accettare l’offerta. In quello stesso tempo, mi hanno invitato a dar vita ad un progetto socio-educativo: avrei lavorato come insegnante in un asilo per bambini. Questa mia decisione ha causato stupore. Familiari e amici pensavano che stessi perdendo tempo e forze e non capivano perché rifiutavo un’offerta vantaggiosa nel mio campo professionale per dedicarmi a “cambiare pannolini”. Ma io ero felice: era una possibilità concreta per costruire la fraternità. Infatti, l’esperienza è stata bellissima: eravamo diverse persone, motivate per realizzare un progetto che ci appariva un seme di qualcosa di grande: dare risposta alle necessità di quel quartiere che volevamo servire. A sorpresa, poi, mi è stato offerto un altro lavoro proprio come odontoiatra. L’esperienza dell’asilo mi aveva dato un’apertura nuova; la professione non era più solo un modo di realizzarmi come persona, ma uno spazio per ‘dare’, per amare. Le occasioni per essere coerente con le scelte fondamentali della mia vita continuavano a non mancare. Per esempio, mi si è presentata un’altra possibilità di guadagnare una somma notevole, ma con metodi non del tutto leciti. In una società come quella in cui vivo, con tanti bisogni ed una mentalità di corruzione generalizzata, la cosa poteva apparire addirittura “normale”. Ma ancora una volta per me era chiaro che non potevo cedere ad una simile proposta. Un’altra volta, invece, è venuto nello studio dentistico un povero, che nessuno dei miei colleghi voleva curare. Ma io sapevo che in quella persona c’era Gesù, e non ho potuto fare a meno di accoglierlo come curassi Gesù stesso. Poco tempo fa è sopraggiunta l’incredibile possibilità di costituire uno studio insieme ad una persona con i miei stessi ideali. Potremo lavorare in proprio, offrendo a tutti un servizio giusto e degno e aderire al progetto Economia di Comunione! Mi sembra il ‘resto che arriva in aggiunta’ per aver cercato il regno di Dio! Sono felice di poter intraprendere questa strada nuova, per dare tutto di me nella costruzione di una nuova società. (E. Venezuela) (altro…)
Lug 15, 2009 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Un racconto a due voci: Tom, che ci ha lasciato da qualche anno, e Jeanne, la moglie, che ha condiviso con lui questa esperienza. “Il mio settore di attività si stava riducendo, ed avendo risparmiato qualche soldo, ho pensato che era il momento di iniziare una attività in proprio. Proprio allora avevo saputo dell’economia di comunione, e con mia moglie Jeanne siamo stati subito attratti dalla possibilità di renderci responsabili non solo di provvedere alla nostra famiglia ma anche alle necessità di tanti nel mondo”. “Il saper preparare e condividere il cibo era da generazioni tradizione della famiglia Petrucci, così abbiamo deciso di aprire un ristorante a Camarillo, in California: il Petrucci’s”. Jeanne, che ha lavorato negli ultimi anni al ristorante, così descrive come Tom gestiva l’azienda: “Voleva dare a ciascuno dei suoi collaboratori la possibilità di migliorarsi: se qualcuno era stato assunto come lavapiatti o autista ma voleva imparare un lavoro di livello superiore,Tom gli dava sempre la possibilità di farlo; se poi uno diventava esperto nel nuovo lavoro e non vi era per lui un posto adeguato, non cercava di trattenerlo in azienda. Molti avevano una famiglia a cui provvedere e Tom voleva che potessero migliorare ed avere successo”. Tom scriveva: “Nel nostro ristorante cerchiamo di lavorare come se tutto dipendesse da noi, ma sapendo che in realtà tutto dipende da Dio. Jean ed io ben sappiamo che non faremo mai grandi profitti, ma sentiamo che riuscendo a dare lavoro a dieci persone, assicurando così un’entrata a dieci famiglie, ed in più contribuendo a ridurre il problema della povertà, abbiamo raggiunto obiettivi più grandi, che sanno di eterno”. “Nel breve momento di meditazione del mattino scegliamo un pensiero chiave da mettere in pratica durante il giorno. A volte sono bombardato da migliaia di idee su come gestire meglio il ristorante, su come guadagnare di più, e così via, ma l’unità degli altri mi permette di rimanere orientato a ‘quello che conta veramente’. Il momento insieme del mattino rafforza nella mia anima la decisione che con Jeanne abbiamo preso quando abbiamo iniziato questa avventura: e cioè di amare il momento presente e cercare la volontà di Dio, non la nostra. Quando abbiamo iniziato l’attività sapevamo ben poco su come gestire un ristorante. Se ha successo, è perché è nei Suoi piani”. “Fin dal primo mese di apertura del ristorante, abbiamo deciso di dare comunque una somma mensile per i poveri. Un atto di fede che ci ha aiutato a tenere sempre al primo posto l’importanza del dare”. (Tom e Jeanne Petrucci, da L’amore come piatto principale in Economia di Comunione, Periodico quadrimestrale, Anno X/n.2, novembre 2004) (altro…)
Mag 18, 2009 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
Il mio Paese è da poco uscito da una guerra che è durata molti anni. Ora la situazione politica è stabile, c’è un grande sviluppo, e la vita è tornata alla normalità. Ma non per tutti. Da qualche tempo alcuni ragazzi, rimasti senza famiglia, si radunavano vicino alla chiesa per chiedere l’elemosina. Ormai era un punto di ritrovo, dormivano e vivevano li. Col tempo si sono create situazioni sempre più difficili, furti, litigi fra loro, giro di droga, ed era diventato pericoloso girare la sera. Il sacerdote aveva parlato con loro per cercare una soluzione, ma alcuni erano molto ribelli e rifiutavano qualunque rapporto. Con altri giovani ci siamo chiesti cosa potevamo fare: abbiamo deciso di provare a conoscerli. Ci siamo presentati, e ogni volta che andavamo a messa ci fermavamo a salutarli. Pian piano si è creato un rapporto con alcuni di loro ed è venuta l’idea di fare qualcosa insieme. Abbiamo così organizzato una partita di calcio. Abbiamo cercato il campo e siamo riusciti ad avere in regalo bellissime divise per tutte e due le squadre. Nel giorno stabilito siamo andati sul campo, portando una merenda con bibite, sandwich, torte e panini. E’ stato un momento molto forte, l’amicizia è cresciuta tantissimo. La festa più grande è stata la loro vittoria! Da allora abbiamo cominciato ad invitarli ai nostri incontri. La loro risposta ha superato ogni aspettativa. Il rapporto che è nato ha riacceso in loro una nuova speranza, il desiderio di parlare con il sacerdote per trovare un lavoro (e tanti lo hanno trovato) e reinserirsi nella vita normale. Ci siamo accorti che la cosa più importante non è dare soldi, ma più attenzione. Dovevamo dare il nostro tempo, il nostro affetto, l’amicizia e i frutti di questo amore sono stati molto più grandi. (T. P. – Angola) (altro…)
Apr 23, 2009 | Focolari nel Mondo
Molto più della solidarietà
«Nella polvere dell’Aquila si è respirata tanta umanità” – ci racconta Umberto, volontario del Soccorso alpino e speleologico impegnato nei soccorsi tra le macerie. “Erano crollati pregiudizi, presunzione, arroganza e sembrava fosse rimasta solo la “purezza” dell’uomo, come fossimo stati appena creati. C’era molto più della solidarietà: l’umanità di tutti era emersa nella sua splendida grandezza».
Un’esperienza che cambia
Marta, diciannovenne studentessa di ingegneria edile all’università aquilana, non sa trattenere la commozione: «È un’esperienza che cambia. Solo Dio resta. Lo sapevo, ci credevo, ma adesso l’ho sperimentato. Cosa è servito programmare la vita? Vivo adesso un giorno alla volta, anzi, un attimo alla volta». Domenica 5 aprile la scossa di poco prima delle 23.00 è accompagnata da un boato. Marta si prende un grande spavento. Con le colleghe non sa cosa fare, anche se la casa in affitto, costruita negli anni Novanta, sembrava sicura. Telefonano ai rispettivi genitori. Sembra che avessero concordato la risposta: non preoccupatevi, non è il caso di esagerare, pensate piuttosto a studiare. Chissà quanti rimorsi, anche se le figlie sono riuscite a salvarsi. Chiara, 24 anni, corso di odontoiatria, ricorda bene la scossa delle 22,45. Era al telefono con Lisa: che spavento! Le altre studentesse delle rispettive abitazioni avevano già lasciato L’Aquila. Sole in due case. Decidono di dormire insieme. «Vengo da te? Vieni da me?». Meno male che Chiara andò dall’amica. La sua casa era situata in una delle aree più disastrate.
Ricostruire. Anche dentro
Un’altra ricostruzione non va dimenticata. Quella delle numerosissime persone traumatizzate dal sisma. Le crisi di panico, lo stato d’ansia e d’insicurezza, la difficoltà a gestire la quotidianità e a progettare sono accompagnate spesso da insonnia e mancanza di reattività. I sintomi del trauma dureranno mesi, quando non resteranno permanenti. «Saperli gestire – ci spiega Giuseppe Riccio, neurologo, dirigente di psichiatria della Asl di Teramo, che opera con gli sfollati – è comunque possibile, ma non basta il supporto della psicoterapia e delle medicine. Servono contesti ricchi di relazioni. Allora, i danni del trauma possono diventare reversibili». In questa cruciale ricostruzione interiore, la generosità e il calore umano di gruppi, movimenti e associazioni possono fare molto. Come già si sta vedendo mentre ancora la terra trema. Le testimonianze sono pubblicate su Città Nuova n. 8 del 25.04.2009 (altro…)
Gen 22, 2009 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Sono libanese, ortodossa, di padre ortodosso e di madre cattolica. I miei genitori sono credenti. In famiglia non si è mai posto l’accento sulla parola ‘cattolico’ o ‘ortodosso’. Era naturale festeggiare le due Pasque insieme alle due famiglie. A 15 anni ho cominciato a rifiutare ogni religione, anche perché in Libano, religione e politica sono in stretto nesso fra di loro. Pensavo che gli uomini avessero mescolato tutto e non distinguevo più niente. Per me Dio non poteva esistere e permettere guerra e ingiustizia. Fu così che persi la fede, già un po’ incrinata. Dopo alcuni anni siamo giunti al culmine della guerra in Libano. I miei partono per Parigi. Io volevo rimanere per difendere il mio Paese. Cerco di entrare nell’esercito; nauseata però dalla vanità dei miei sforzi e da me stessa, ubbidisco alla volontà dei miei genitori e li raggiungo in Francia. Ma la mia vita lì non aveva più nessun senso: avevo il mio Paese da liberare… Per non pensare mi sono buttata nei divertimenti della vita. Nel frattempo mio fratello aveva conosciuto e iniziato a vivere il vangelo. La sua vita mi affascinava: era così trasparente. Mi ha invitato ad incontrare altre persone e sono andata. Era tutto un altro mondo. Vedevo gente che mi accoglieva con tanto amore, molto sorridente. Sono tornata a casa felice, l’amore stava rinascendo dentro di me. Ho incominciato a frequentare la mia Chiesa, a scoprirla ed amarla. Ho letto la sua storia, ho frequentato un corso di teologia. Ho capito che dovevo essere unita ad essa, sperimentando l’aiuto di questa spiritualità evangelica, che ti fa andare al di là delle divisioni nel rispetto delle differenze. Era questa la vera rivoluzione! (S. W. – Libano)