Mag 17, 2007 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
Siamo due sorelle di 11 anni ed abitiamo in provincia di Roma. Con tutti i gen 3 e le gen 3 del mondo quest’anno siamo impegnati a colorare con l’amore i nostri paesi e città, specialmente dove ci sono persone sole, tristi o ragazzi senza amici. Vi raccontiamo l’esperienza che stiamo facendo. Da qualche mese abbiamo cominciato ad andare a trovare una bambina poco più piccola di noi. Ha una grave malformazione e non può camminare, non muove un braccio e non parla. Fa solo qualche versetto e pronuncia poche parole. Noi andiamo a casa sua e giochiamo con lei. All’inizio non sapevamo neanche come fare, non capivamo se era contenta e se riusciva a capire quello che le dicevamo. Poi ci siamo conosciute meglio ed abbiamo scoperto i giochi che le piacciono. Per esempio, le piace fingere di telefonare o fingere di bere il the con le tazze di plastica. Allora ci mettiamo vicino a lei, giochiamo come le piace e l’aiutiamo a ripetere i nostri nomi o alcune parole semplici. Un giorno abbiamo scoperto che le piace la musica ed allora ogni volta mettiamo su una delle cassette con le nostre canzoni e balliamo per lei. Anzi, facciamo ballare anche lei, prendiamo la carrozzina a la facciamo girare veloce. In quei momenti lei è davvero felice e ci fa dei sorrisi grandissimi. Le abbiamo anche portato dei regalini, come un braccialetto o dei biscotti fatti proprio da noi. Una volta quando siamo state a trovarla, l’abbiamo portata fuori a passeggiare ed a farle vedere i fiori. Lei si divertiva tantissimo ad annusarli. Quando è stato il momento di tornare a casa si è messa a piangere, perché ormai si è molto affezionata a noi! E’ diventata la nostra amica prediletta perché è quella più sola e che più soffre. La sua mamma un giorno ci ha detto che la figlia sente tanto il nostro amore e che ha fatto più progressi da quando andiamo noi a casa sua, di tutti quelli che fa con la fisioterapia. Questa cosa ci ha dato tantissima gioia. Quando abbiamo compiuto gli anni, abbiamo deciso di fare la nostra festa di compleanno non a casa nostra, ma in un’altra casa senza gradini per poter invitare anche lei. Poi il regalo lo abbiamo fatto noi a lei in un bel pacchetto, perché eravamo felici di poter far festa con lei presente! Non possiamo descrivere la sua gioia. Anche alcune nostre amiche, e compagne di scuola che non la conoscevano sono rimaste colpite da come ci capivamo, eravamo unite tra noi e dal vedere la sua gioia. Così non solo coloriamo la vita della nostra amica, ma anche la nostra vita si colora di amore.
Mag 9, 2007 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
P. Hans Stapel vive un’infanzia difficile. La sua famiglia durante la guerra perde tutto. Cogli anni, vive una intensa ricerca di fede. Trova risposta nella spiritualità dei Focolari, sino ad arrivare a lasciare tutto per entrare nell’Ordine francescano. Ancor prima di essere ordinato sacerdote, viene inviato in Brasile e in seguito gli viene affidata una parrocchia a Guarantinguetà. E’ proprio qui che inizia la nuova divina avventura. “Una notte – racconta – qualcuno bussa alla porta. E’ una ragazza in attesa di un bimbo. Chiede da mangiare e un posto per dormire. Ma come può un prete accogliere nella sua casa, di notte, una ragazza giovane e bella? San Francesco, al mio posto, che cosa farebbe?” Fa entrare la ragazza che si rifocilla e dorme sino a tarda mattinata. Qualche tempo dopo torna per ringraziarlo. “Mi confida che se non le avessi aperto la porta quella notte, il suo bambino non sarebbe mai nato”. E’ la testimonianza di questo stile di vita che tocca il cuore dei parrocchiani. Da quell’episodio nasce una casa per ragazze madri, sostenuta dalla comunità parrocchiale. Un giovane parrocchiano, Nelson Giovannelli, che faceva parte del Movimento Gen (Generazione Nuova del Movimento dei Focolari), è particolarmente colpito dall’insegnamento di P. Hans. Tutti i giorni, dopo il lavoro, Nelson va a Messa. Sulla strada per tornare a casa, incontra un gruppo di giovani che si drogano. Ispirato dalle parole di San Paolo “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli”, Nelson prende il coraggio di avvicinarsi a quei giovani. E’ per mezzo di un semplice gesto – chiede che uno di loro gli insegni a fare braccialetti di artigianato – che Nelson viene introdotto nel gruppo, e messo alla prova nelle sue intenzioni. Un giorno un ragazzo gli chiede in prestito la bicicletta, che usava per andare a lavoro. Volevano venderla per avere in cambio un po’ di droga? Nelson decide di correre il rischio. Con sua grande sorpresa i giovani gli restituiscono la bicicletta perfino riparata e pulita. Ma questo era solo l’inizio. Durante una Messa, Nelson chiede a Dio qualcosa di più: che almeno uno di quei ragazzi cambi vita. Qualche tempo dopo, uno di quei giovani gli chiede aiuto per poter uscire dal mondo della droga. Nelson non ha nessuna esperienza nel recupero dei tossicodipendenti; può proporre come aiuto ciò che lui stesso sta vivendo: il Vangelo. Il giorno dopo si incontrano a Messa. Scelgono una parola di Dio da mettere in pratica. La sera dopo si comunicano com’è andata. Antonio a poco a poco è un’altra persona. Torna ad aver fiducia in se stesso, a ritrovare il gusto delle cose semplici, al punto da attirare altri amici della strada, che desiderano conoscere l’esperienza di Nelson e Antonio. Si cominciano ad intuire gli effetti anche terapeutici di un’esperienza di Vangelo vissuta nell’apertura all’altro. Qualche tempo dopo vanno ad abitare insieme, in un fattoria abbandonata ricevuta in dono. Mettono tutto in comune: lavoro, tempo, idee. Nasce così la prima “Fazenda da Esperança”, una comunità di giovani che desiderano uscire dal tunnel. “Noi non avevamo medici né medicine, non era facile procurarseli” – ricorda p. Hans, sempre presente con il suo accompagnamento spirituale. “Nello stesso tempo, dovendo andare incontro a chi non poteva attendere, ci siamo messi all’opera con l’unico mezzo a nostra disposizione: la spiritualità di comunione. Abbiamo cercato in primo luogo di risvegliare nei giovani il dinamismo dell’amore cristiano”. E a quest’avventura partecipano non solo i tossico-dipendenti, ma altri giovani della parrocchia, che sentono la spinta a mettersi a disposizione dei “piccoli”. La gioia derivante da questa esperienza funziona come “terapia” ed è il seme da cui fioriranno le prime consacrazioni a Dio in questo servizio alla Chiesa. Il primo è naturalmente Nelson: si era sempre lasciato guidare dallo Spirito Santo, e adesso sentiva di non poter abbandonare l’opera nata con lui per seguire progetti personali. L’idea di consacrarsi a Dio si fa strada dentro di lui. In una lettera a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, Nelson comunica questo suo desiderio. Chiara lo incoraggia in questo cammino, per continuare a vivere per Dio, in mezzo ai giovani emarginati. Dopo qualche anno, anche alcune ragazze – un’assistente sociale di 30 anni, e una giovane di 21 che decide di lasciare famiglia e fidanzato per dedicarsi ai “piccoli” – iniziano una comunità di recupero femminile. Nel 1992 anche Padre Hans può dedicarsi a tempo pieno alla Fazenda. I vescovi riconoscono sempre più in questa opera la mano di Dio, tanto da definirla “un santuario moderno di evangelizzazione”. Il card. Aloisio Lorscheider dirà: “Qui il Vangelo ha trovato casa, e con esso la speranza”. In continuo aumento il numero di giovani e famiglie che – attraverso il contatto con queste comunità – ritornano alla vita non solo liberi dalla droga, ma con fede rinnovata e viva. (altro…)
Apr 3, 2007 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Una sera del 2004 sono invitata alla presentazione d’un film sull’Associazione “Per un sorriso di bambino”, nata in Cambogia. Rimango sconvolta dalla testimonianza dei fondatori dell’Associazione, una coppia di pensionati francesi che ha salvato migliaia di bambini della capitale cambogiana. Hanno ridonato loro dignità e fiducia, creando una scuola pilota dove tutti si preparano ad un mestiere. Senza fortuna né sostegno, grazie solo alla fede, hanno realizzato un’azione umanitaria eccezionale. Mi tornano in mente le parole della Scrittura, quando Pietro dice al mendicante: “Non ho né oro, né argento ma quello che ho, te lo dono”. Ciò che ho è la mia professione, sono giornalista. Vengo a sapere che questa coppia vorrebbe scrivere un libro sulla loro storia ma non ha il tempo. Mi dico: sono in pensione e, malgrado i numerosi impegni, potrei provare. E poi, amare significa servire! Mi propongo, così, di aiutarli a scrivere il loro libro. Lavoro dunque sul fascicolo dell’associazione “Per un sorriso di bambino” in Francia e faccio conoscenza dei suoi responsabili. Poi m’imbarco per Phnom – Penh. Quando arrivo, questa coppia decide di abbandonare l’idea di “dettarmi” il loro libro per lasciarmi fare piuttosto un reportage. Torno in Francia. Annuncio ai miei che sarò indisponibile per un mese. Ho soltanto 5 settimane per scrivere, per rispettare i tempi della Casa Editrice: passo dalle otto alle dieci ore davanti al computer, quasi appiccicata allo schermo poiché ho rotto i miei occhiali in Cambogia. Malgrado queste condizioni di lavoro, durante il periodo di Natale, grazie anche alla comprensione di mio marito e dei miei figli, posso inviare il manoscritto in Cambogia il primo gennaio. Comincia un periodo di scambi quasi quotidiani di e-mail con i protagonisti del libro. Ho promesso che questo sarà il “loro” libro e che accettavo in anticipo tutte le loro osservazioni e modifiche. Certo, quando ciò avviene, non è sempre facile per me. Il libro esce, a oggi sono state vendute migliaia di copie e non ha finito, credo, di raggiungere e di toccare il pubblico francofono. L’associazione e i suoi fondatori sono ora molto più conosciuti e sono state raggiunte oltre 1000 sponsorizzazioni. Più di mille bambini sono stati salvati dalla miseria e dai maltrattamenti. I membri dell’associazione sono rimasti impressionati da questa mia esperienza. Ma, a dir la verità, io stessa mi sono trovata cambiata profondamente. (F. D. – Francia)
Mar 25, 2007 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Ero una ragazza frastornata da esperienze dolorose in famiglia e dalla mancanza di veri e stabili affetti, quando ho conosciuto delle persone che avevano una gioia che io credevo impossibile sperimentare nella vita e me ne hanno fatto dono. Attraverso di loro ho scoperto Dio e il Suo amore per me. Per me è stato come scorgere una luce nella notte, che con sicurezza mi indicava la strada, una strada d’amore, proprio quella che stavo cercando. Sono la più giovane di quattro fratelli e i nostri genitori hanno sempre avuto un rapporto difficile e conflittuale, segnato da liti e discussioni che spesso sfociavano nella violenza. Mio padre aveva, oltre alla nostra, anche un’altra famiglia: una donna e dei figli. Per questo, e per il suo atteggiamento aggressivo nei confronti di nostra madre, noi figli lo respingevamo come padre e, invece di amarlo, lo odiavamo sempre di più. Pian piano, i miei fratelli sono andati via di casa, chi per studiare, chi per sposarsi. Con i miei genitori sono rimasta solo io, la più piccola, fino al giorno in cui mio padre ha picchiato così forte la mia mamma che ho dovuto portarla in ospedale. Dopo, lei è andata a vivere con mia sorella e a casa siamo rimasti mio padre ed io. Il Vangelo mi sosteneva, ma dentro di me pensavo che mai e poi mai avrei potuto perdonare mio padre. Un giorno di questa difficile convivenza forzata, lui mi è corso dietro per picchiarmi ed io sono riuscita a sfuggirgli per un pelo. Sono rientrata in casa da una finestra, dopo che lui era uscito. È stato allora, in quei momenti di paura e di dolore, che ho deciso di vivere le parole di Gesù con radicalità. Era arrivata l’ora di vendicarmi di mio padre, ma la mia sarebbe stata una vendetta d’amore! Ho messo a posto tutta la casa, ho pulito, ho preparato il pranzo per lui e sono uscita per andare a lavorare. Al ritorno a casa, la sera, mio padre mi stava aspettando. Tremavo ma ero decisa ad amarlo qualunque fosse il suo comportamento. Mi ha chiesto di chiamare la mamma e mia sorella perché voleva parlare anche a loro. Ho fatto fatica a vincere le loro resistenze e a persuaderle a venire da noi, ma alla fine ci sono riuscita. Mio padre era scosso: ci ha chiesto di perdonarlo per il male che ci aveva fatto e ci ha promesso che mai più sarebbe tornato nell’altra famiglia. Però ci chiedeva il permesso di mantenere, con una quota mensile, i figli avuti fuori del matrimonio, che non avevano nessuna colpa degli errori commessi da lui. Anche se le nostre condizioni economiche non erano floride, noi siamo state subito d’accordo e, da allora, la situazione è veramente cambiata: la pace è tornata in famiglia. R. B. – (Brasile) (altro…)
Mar 16, 2007 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Chiara M. nel suo diario di alcuni anni fa annota: “Annaspo in questo buio doloroso, solitario e di lacrime d’anima, un urlo silenzioso che oltrepassa sconfinate galassie, rivolte lassù in un eco senza fine. Ma dove sei? Perché non parli? Che stai facendo mentre urlo il mio dolore, la mia impotenza, la mia solitudine? Stringi i denti, mi dicevo e credi, nonostante tutto. Credi al di là dell’incredibile, dell’impossibile, perdere tutto. Nulla, non deve restare nulla. Sentivo la mia anima piangere. Non mi è rimasto nulla, ma è un nulla riempito dal tutto, solo Dio”. Finiti gli studi, ho iniziato a lavorare nell’ospedale della mia città a Trento, nel nord Italia, come infermiera professionale. E mi piaceva tutto: viaggiare, suonare la chitarra, fotografare, leggere, studiare lingue, conoscere popoli e culture diverse, arrampicarmi in montagna, o contemplare il mare, cantare intorno a un fuoco di bivacco, oppure incantarmi davanti ai giochi di luce che fa il sole attraverso le foglie di un bosco. Poi avevo programmato di andare a Fontem, nel Camerun, la cittadella internazionale dei Focolari in quel Paese, per arricchirmi, perché avevo questo bagaglio culturale e umano appunto da ampliare. Solo che non avevo fatto i conti con l’imprevisto. A causa di un farmaco, ho avuto una reazione violenta, inspiegabile, tanto da dover essere ricoverata immediatamente nel mio stesso reparto. E da lì è iniziato un calvario fatto di esami, ricoveri, viaggi in varie città, ospedali diversi, cure o tentativi di cure di tutti i generi, speranze, attese, delusioni, impotenza, ma soprattutto tanto, tantissimo dolore che nemmeno la morfina non è mai riuscito a eliminare. La mia demolizione fisica è iniziata lentamente e continua costantemente in uno stillicidio quotidiano. Ricordo il momento in cui ho deposto per l’ultima volta la mia chitarra nel fodero. Piangevo perché intuivo che davvero era l’ultima. Le mani mi facevano troppo male e sapevo che ogni peggioramento era senza ritorno. Un’altra volta, poi, a causa di un gravissimo errore medico, ho rischiato di perdere una gamba. E lì davvero non ce l’avrei fatta da sola. La frase di una mia amica del Movimento mi ha aiutato davvero a non annegare in una disperazione totale. “Tu sai cos’è questo dolore. Lo portiamo insieme; ma se tu non ce la fai, non preoccuparti, lo portiamo noi per te”. E lì la realtà che io avevo sul mio corpo non è che cambiava, però io avvertivo dentro la forza dell’unità tra noi. Ci sono stati dei momenti in cui è stato tremendo dire di sì a Dio. Sì a perdere il lavoro che amavo moltissimo, sì a trovarmi definitivamente su questa carrozzina. Se ci pensi è da folli dirGli di sì, costantemente, tenacemente, continuamente. E’ da folli cadere nel vuoto, fidandosi unicamente di Lui, darGli carta bianca, lasciarLo agire. Eppure paradossalmente ogni caduta apparente nel vuoto, nel buio, diventa un tuffo nella luce; e il mio “socio” non finisce mai di sorprendermi. Un anno fa mi ha dato anche la possibilità di scrivere un libro dal titolo “Crudele dolcissimo amore” dove raccolgo questa esperienza. E ogni giorno ricevo e-mail, lettere di persone che si aprono, si confidano, e anche tornano a sperare, grazie a questo sì radicale che io dico a Lui, al mio socio. (C. M. – Italia) (altro…)