Movimento dei Focolari

La salute integrale della persona

Io nella proposta dell’Economia di comunione ho intuito una potenzialità nuova, perché riguarda l’uomo nella sua integralità. Tutta l’attività economica e produttiva deve essere orientata al “dare”, un dare che coinvolge i rapporti con le persone. Volli subito partecipare a questo progetto e aderii di slancio all’idea di far nascere una clinica nella città di Vargem Grande con altri professionisti dell’ambito sanitario. Sentivo che il progetto mi riguardava e così ne parlai con mio marito. Anche lui desiderava dare la vita per fare di questo progetto una realtà. Sei mesi dopo ci siamo trasferiti con i nostri cinque figli a Vargem Grande, a circa 140 km dalla città dove abitavamo, per iniziare l’attività dell’impresa: la Policlinica Ágape. Abbiamo lasciato alle spalle tutto: il nostro lavoro, la casa, gli amici. Non è stato facile e le difficoltà sono state tante, ad esempio l’adattamento dei ragazzi nella nuova scuola. All’inizio l’azienda è partita con un laboratorio d’analisi cliniche, perché questa era la  necessità più urgente della comunità locale. Poi, per rispondere al crescere dei bisogni della città, è stata creata una clinica, con tutte le specialità mediche. Oggi la “Policlinica Agape” offre 17 specialità mediche, oltre al laboratorio di analisi cliniche, con diagnostica d’immagine, e ambulatori di psicologia, fonologia, fisioterapia. Vi sono occupate 54 persone. La principale caratteristica della nostra azienda è riassunta nel suo nome: agape, amore fraterno. Vorremmo che tutti i pazienti vi trovassero non soltanto la soluzione di un problema sanitario ma qualcosa in più. Per offrire questa accoglienza ai nostri pazienti, c’è bisogno di formarsi continuamente all’idea di salute integrale, che ha come suo fondamento il rapporto interpersonale, ed è questo il nostro primo impegno. Tra di noi, non tutti hanno una fede religiosa, però tutti credono nell’uomo e nei suoi valori e cerchiamo sempre di vivere la “Regola d’oro” – “fai agli altri quel che vorresti fosse fatto a te” – a cominciare dai rapporti di équipe e poi con tutti i pazienti. Questa azienda non ha ancora un modello ben definito, ma lo stiamo costruendo, nuovo, giorno per giorno secondo i principi dell’Economia di Comunione, che non significa, però, soltanto dare gli utili. Sarebbe un’incoerenza fare la comunione degli utili e non trattare bene i dipendenti o i clienti, considerandoli solo un mezzo per il profitto. Fedeli a questo stile, dedichiamo tempo sia ai collaboratori sia ai pazienti, perché questo serve a costruire rapporti veri e autentici. Un medico che aveva lavorato con noi e poi si era dimesso per fare la specializzazione, quando ha finito il corso è ritornato a chiederci di assumerlo, perché, diceva: “Ho lavorato in tanti posti diversi e ho sentito la mancanza del rispetto, dell’onestà e della gioia che c’è qui”. C’è stato il caso di un collega medico che si mostrava molto chiuso e scostante con le persone e allora mi sono chiesta se l’avevamo amato veramente fino in fondo. Ho proposto agli altri dell’équipe una citazione che sentivo adatta al caso nostro: “Ogni essere umano ha almeno dieci qualità e quando non si riesce a riconoscerle, il problema non è lui, siamo noi”. Ci siamo allora sfidati a trovargli queste qualità. Mesi dopo, questo medico è venuto a dirmi: “Ero una bestia e voi state facendo di me un uomo”.  Da allora ha cominciato ad aprirsi con noi e con i pazienti. La nostra cafeteria  si è trasformata in un luogo d’incontro che abbiamo chiamato: “Spazio culturale Agape”. E’ un luogo aperto alla città e, recentemente, ad un gruppo di artisti che ne fanno lo spazio espositivo per le loro opere, con beneficio per i nostri pazienti. La clinica ha ospitato persino  il primo concerto di musica lirica di Vargem Grande, alla presenza delle personalità pubbliche più importanti. Un’esperienza importante che stiamo portando avanti in collegamento con un progetto del Governo dello Stato di São Paulo, riguarda l’inserimento lavorativo di alcuni giovani. Si é cercato sempre di tenere un rapporto corretto e coerente con il potere costituito (Comune, Camera comunale e Segreteria della sanità) e quindi anche con i politici di tutti gli schieramenti. Abbiamo partecipato attivamente all’elaborazione del Piano Direttivo per la città, nel quale si prevede la sua attuazione nei prossimi dieci anni. Con ciò percepiamo che la Policlinica Agape sta diventando un’azienda di riferimento nella città. (D. B. – Brasile)

Studi dedicati all’Economia di Comunione

Finita l’Università, volevo iniziare un Dottorato di Ricerca in Scienze Sociali. Sin da piccola, infatti, cercavo una risposta alla sofferenza e all’ingiustizia sociale. Mi sono ricordata che Chiara, proprio nel 1991, aveva consegnato ai giovani il compito di studiare l’Economia di Comunione. Ho deciso di prendere sul serio la proposta di Chiara. Si trattava veramente di una sfida, perché il mondo accademico è sempre molto diffidente verso ciò che non conosce e sentivo che mi sarei trovata di fronte questo ostacolo. Non mi sbagliavo: il mio professore non credeva per niente al mio progetto di studio. Lavoravo con lui da 7 anni, lo stimavo molto come docente e come studioso. Ha reagito fortemente e mi ha detto: “Cosa ti hanno fatto questi, ti hanno svuotato la testa? Ti sei dimenticata di tutto quello che hai imparato e studiato finora?”. È stato un duro colpo: davo molto peso alla sua valutazione e mi accorgevo che non sarebbe stata un’impresa facile portare avanti questa idea: stavo rischiando molto, perché si sarebbero potute chiudere tante porte nell’ambiente accademico. Ancora oggi, come avevo temuto, la mia carriera risente di questa scelta. Eppure, allora come oggi, continuo a notare che l’adesione a questo progetto alimenta con luce sempre nuova la mia professione e mi sostiene. Ho concluso il dottorato e assisto, come tanti, ai progressi del progetto di Economia di Comunione. Ora vedo concretamente la possibilità di contribuire alla formazione culturale delle persone, a vari livelli, per portare una visione del mondo che ha come punto di partenza e d’arrivo l’unità. La mia esperienza non è isolata: sono numerose le tesi di laurea e di dottorato dedicate all’Economia di Comunione. Addirittura in alcune università del mondo si insegna questa materia accanto ai nuovi modelli di economia sociale e civile per le numerose novità culturali che introduce. Tra queste: la reciprocità come metodo di sviluppo fraterno; la comunione, non la filantropia; il profitto come mezzo per un mondo più giusto e più umano, non come scopo dell’attività d’impresa, e la fraternità come proposta di gestione aziendale. L’economia torna a essere amica dell’uomo e della società, il mercato si umanizza, la ricchezza condivisa diventa una strada di felicità e di fioritura umana. (K. L. – Brasile)

L’«altro» Paraguay

Il Paraguay ha una ricca storia, con grandi potenzialità. Un paese segnato da forti differenze tra campagna e città,  tra sviluppo e povertà. La mia storia personale – racconta Cesar Romero – ha attraversato vari momenti. All’inizio la “passione” per l’umanità: il primo lavoro a 14 anni, poi i corridoi dell’Università e l’incontro con i giovani del Movimento dei Focolari. Poi le marce contro la lunga dittatura e i primi passi nella politica di partito. In seguito, la seconda tappa, quella della “delusione”: i tradimenti, le incoerenze, la mia stessa incapacità nell’attività politica. La sensazione di non poter fare niente per cambiare davvero le cose. La terza tappa, fondamentale, è stata quella della “scelta”: la scelta di amare sempre, che mi spingeva verso una politica attiva, intesa come mezzo di trasformazione della società. Nel 2000, dopo un lungo travaglio, insieme ad un gruppo di amici già impegnati nell’ambito dello sviluppo sostenibile, abbiamo costituito un’organizzazione. E’ nata così la “Fundación Yvy Porã” (Terra Bella) che, in sei anni di vita, ha promosso lo sviluppo di decine di progetti in tutto il Paraguay, sostenendo comunità di piccoli impresari, contadini, artigiani e indigeni, in centri urbani e rurali. Io però non ero ancora soddisfatto. Desideravo poter fare qualcosa di più. Così, insieme ad altri politici, mi sono impegnato nella preparazione dell’Incontro latino-americano dei sindaci che si è tenuto a Rosario in Argentina, il 2 e 3 giugno 2005, promosso dal Movimento Politico per l’unità. Ci sembrava l’occasione giusta per presentare alla società paraguaiana la fraternità come dottrina politica. Abbiamo scorso l’elenco dei sindaci per invitarli a questa manifestazione. Dalle risposte, dalle adesioni e dagli echi ottenuti, ci siamo detti: “E’ un Paraguay nuovo, un Paese risuscitato, che lavora in silenzio e noi vogliamo portarlo alla luce!”. Come un fatto che confermava questa scoperta, in quei giorni è apparso e si mantiene fino ad oggi, una pagina nuova in un giornale di grande diffusione che si intitola: “L’altro Paraguay”. All’incontro hanno partecipato, provenienti anche da altri Paesi dell’America del Sud, oltre 1000 politici, di cui 119 sindaci, 168 assessori e membri di consigli comunali, parlamentari, funzionari locali e nazionali. Contagiati dallo spirito di questo incontro, i 16 sindaci del Paraguay che avevano partecipato hanno proposto ad altri sindaci un progetto di collaborazione tra i vari Comuni. In occasione della “Giornata dell’amicizia in Paraguay”, il 30 luglio 2005, hanno stabilito un Protocollo d’intesa e di gemellaggio fraterno per sostenere e promuovere uno scambio di politiche di sviluppo locale. Questo accordo, senza precedenti in Paraguay, è stato firmato da 22 Comuni. In seguito, abbiamo dato vita ad appuntamenti periodici di approfondimento della dottrina della fraternità tra politici e stiamo costruendo la scuola paraguaiana di formazione civica e politica per giovani. (C. R. – Paraguay) (altro…)

“Concedimi solo un’eccezione…”

Arriva una richiesta di aiuto non prevista dai grandi progetti di una banca internazionale di sviluppo del Sud America: in risposta  nasce il “ Piano Speranza”, progetto sociale che assumerà vaste dimensioni. Dieci anni fa ho cominciato a lavorare in una Banca internazionale di sviluppo, che ha un raggio di azione in tutto il Sud America, compreso il Brasile. All’inizio la Banca era specializzata in credito per infrastrutture: costruzione di strade, di centrali idroelettriche e altri grandi progetti. Con i fondi provenienti dagli utili si concedevano crediti non rimborsabili per studi macroeconomici e per la valutazione di impatto ambientale. Dopo un anno di lavoro, ho ricevuto la visita di alcune persone molto umili, sfinite,  dopo un lungo viaggio. Ho letto il loro progetto con la richiesta di finanziamento, ma subito mi sono resa conto che non corrispondeva al tipo di progetti previsti dalla banca.  Semplicemente avevano bisogno di un aiuto per sopravvivere. Vivevano in una zona vicina alla frontiera con il Perù. A causa della guerra nessuno prestava loro attenzione. Guardandomi con gli occhi pieni di speranza, mi hanno detto: “Sappiamo che lei può aiutarci”. Mi è nata dentro una preghiera: “Dio mio, aiutami ad aiutarti in questi fratelli”. Non sapevo da che parte incominciare. L’unica persona che avrebbe potuto fare qualcosa era il Presidente Esecutivo. Veniva spesso in Ecuador. Alla sua prima visita gli ho mostrato, come sempre, i grandi progetti realizzati e alla fine gli ho detto: “Ho qualcosa di specialissimo da proporti”. Gli ho mostrato le due pagine e gli ho parlato del progetto. Alle sue obiezioni gli ho lanciato una proposta: “Facciamo un’eccezione. Fammi lavorare su questo progetto. E’ un progetto sociale, ma piccolo, piccolo”. “Ma questo vuol dire che devo assumere persone che lo seguano e questo non posso farlo” ha replicato. “Me ne occupo io” – ero decisa – “Dammi solo il permesso per l’eccezione e al resto ci penso io”. “Va bene” – ha concluso – “che sia un’eccezione”. Molto contenta, sono partita verso la frontiera e abbiamo cominciato a lavorare sul progetto. Poi sono andata a parlare con il Presidente della Conferenza Episcopale e con tutti i Vescovi. Hanno accettato immediatamente.  Ho proposto loro: “A questo punto dobbiamo parlare con il Presidente della Repubblica”. Ci siamo messi d’accordo, abbiamo chiesto un appuntamento e siamo andati a presentargli la proposta del progetto sociale. E’ rimasto un po’ sorpreso, ma ha approvato. Grazie ai fondi ricevuti, abbiamo potuto realizzare ospedali psichiatrici, un altro ospedale per persone con malattie incurabili, abbiamo lavorato molto con gli indigeni per procurar loro l’acqua, siamo intervenuti nelle scuole su tutto il territorio nazionale. E’ nato così il “Piano Speranza”. A breve è seguito il “Piano Speranza 2”. Ultimamente, l’esperienza vissuta è andata oltre, e un governo europeo ha affidato alla nostra istituzione il fondo per la conversione del debito estero per sviluppare progetti nell’area educativa e sociale. Nel 2000 le Nazioni Unite hanno proposto come obiettivi da realizzare per l’infanzia nei prossimi dieci anni l’alfabetizzazione e l’educazione dei bambini tra gli 0 e i 15 anni in tutti i Paesi sottosviluppati. Stiamo continuando a lavorare perché questa meta si raggiunga davvero. (C. C. – Ecuador) (altro…)