Movimento dei Focolari

Dal buio alla riscoperta del proprio carisma

Una religiosa, in un momento di buio, toccata dalla serenità con cui una consorella viveva la sua grave malattia, ne scopre il segreto: l’amore a Gesù crocefisso e abbandonato, cuore della spiritualità dell’unità, dei Focolari. “Per me – racconta – è una conversione”. Riscopre l’attualità del suo fondatore: “Di fronte alla miseria materiale e spirituale del suo tempo, San Vincenzo consacrò la sua vita all’evangelizzazione dei poveri che egli chiamava “i nostri padroni”. In Gesù abbandonato ora lei riconosce il volto del Signore trasfigurato nella povertà di oggi, in un quartiere malfamato, in una comunità a servizio dei tossicodipendenti, fra i rifiutati dalla società. C’è chi si riavvicina a Dio e “passa dalla morte alla vita”, perché inizia ad amare i fratelli. Sono una Figlia della Carità di S.Vincenzo de’ Paoli. La Compagnia di cui faccio parte è stata fondata nel XVII secolo da Vincenzo e Luisa Marillac. Ho conosciuto l’Ideale dell’unità in un momento di buio e di fatica, attraverso una consorella che ne viveva la spiritualità. Le era stato diagnosticato un tumore al cervello, tuttavia lei era rimasta serena e sempre aperta e pronta ad amare. Durante l’anestesia spesso ripeteva:”Per te Gesù, per te”. Dove trovava questa forza? Ne ho scoperto il segreto: l’abbraccio a Gesù Crocefisso e Abbandonato. Anch’io voglio vivere quest’avventura. Per me è un momento di conversione vera: lo Spirito santo mi aiuta a bruciare il tarlo che da anni toglie alla mia vita la freschezza e la generosità per Gesù. Dentro sento una voglia matta di amare. Inizio a frequentare il Focolare, partecipo agli incontri dove attingo la luce per vivere il carisma dei miei fondatori. Divento più libera, più gioiosa, più donna, più Figlia della Carità. Le regole e l’esperienza di S. Vincenzo de’ Paoli e di S.Luisa de Marillac mi sembrano più vicine. Il mio Fondatore, di fronte alla miseria materiale e spirituale del suo tempo consacrò la sua vita all’evangelizzazione dei poveri che egli chiamava i “nostri padroni”. Riscopro in Gesù Abbandonato il volto del Signore trasfigurato nella povertà d’oggi. Così, se nel 1600 le mie consorelle andavano ad evangelizzare, curare, nutrire, vestire i poveri, raggiungendoli sulle strade, sui campi di battaglia, nelle soffitte, negli ospedali, nelle galere…….Io scopro oggi la bellezza e l’attualità del nostro carisma vivendo in un quartiere malfamato di Milano. In questi anni capisco qual è il mio modo di contribuire alla realizzazione dell’Ideale dell’unità: essere il mio fondatore redivivo per realizzare l’unità. Anni dopo sono mandata in una comunità a servizio dei tossicodipendenti. Sperimento l’insicurezza e l’assurdo di abbracciare una realtà di fronte alla quale sono impreparata e inadeguata. Mi ribello al pensiero di essere confinata in una cascina su una montagna, senza un ruolo ed un’attività ben precisa. Ma è proprio nel vivere quest’esperienza, apparentemente senza colore, che il Signore mi libera da attaccamenti e sicurezze e rinnovo il mio “si” a Gesù. Così Lui che mi prepara a vivere un’altra avventura: sono trasferita in un monolocale, in un quartiere popolare di Torino, segnato dalle nuove povertà: etilisti, dimessi da ospedali psichiatrici, barboni, anziani, in altre parole gli ultimi, rifiutati dalla società. Ho la fortuna di condividere la spiritualità dell’unità con una consorella. Vivendo con i poveri 24 ore su 24 incontro Gesù Abbandonato ad ogni passo. Mi scontro con la diffidenza. La gente pensa che le suore siano lì a controllare e le guardano con disprezzo e indifferenza. Ma loro sono i “nostri padroni”, in loro riconosciamo il Volto di Gesù.  A poco a poco l’amore li conquista. I barboni diventano i nostri primi amici. C’interessiamo della vita dei nostri vicini e apriamo la porta della nostra casa a tutti. Certo, non è sempre facile, a volte subentra l’impazienza, il disagio, la ripugnanza e lo scoraggiamento di fronte all’ingratitudine e alla pretesa esigente dei più poveri.  Ma abbracciando il dolore, Gesù Abbandonato, ritrovo la capacità d’amare, ritrovo la forza e la gioia di vivere ciò che S.Vincenzo chiede alle sue suore di Carità: “I poveri sono i tuoi padroni, dei padroni terribilmente esigenti. Più loro saranno brutti e ingiusti, più dovrai amarli”. L’amore reciproco con la mia consorella genera Gesù in mezzo (cf. Mt 18,20) e la nostra casa diventa punto di riferimento per la gente del quartiere, per un gruppo di giovani che vogliono condividere la nostra attività caritativa. Alcuni si riavvicinano a Dio facendo l’esperienza della parola: “Siamo passati dalla morte alla vita perché abbiamo amato fratelli”. E alcuni capiscono che Dio li chiama a seguirLo. Durante l’inverno la nostra casa si apre anche agli extracomunitari che altrimenti vivrebbero all’addiaccio; alcuni sono musulmani. Rimangono stupiti di fronte al disinteresse, all’amore concreto e al rispetto con cui andiamo loro incontro. Chiara Lubich c’insegna ad amare “facendoci uno”. Durante il periodo del Ramadan facciamo trovare loro un pacchettino con del cibo, affinché dopo il tramonto possano avere qualcosa da mangiare. Anche i giostrieri diventano nostri amici; nelle loro carovane incontriamo i bambini per prepararli ai sacramenti e gli adulti per far conoscere loro che Dio li ama. Lo scorso anno il ridimensionamento della nostra Congregazione mi porta a trasferirmi altrove ma l’esperienza d’unità vissuta continua a dilatarsi in altri ambienti. Ritorno a Milano e provo un distacco doloroso di fronte al grido di tanti poveri con i quali ho condiviso la mia vita in questi anni. Sperimento così la frase di Chiara: “Ogni distacco dal ben che ho fatto è un contributo a edificare Maria” e ripeto: “Per te, Gesù”, che ora continuo a scoprire nei volti dei nuovi fratelli che mi mette accanto. Così nell’impegnarmi a incarnare nella vita il carisma che S.Vincenzo ha lasciato alla Chiesa, cerco, in unità con tutta l’Opera di Maria, di realizzare il testamento di Gesù: “Che tutti siano uno”. Questo mi dà un ardore nuovo e l’avventura continua con i nuovi fratelli nei quali riscopro ogni volta il Suo Volto”. (sr. R.R.) (altro…)

Il mosaico si ricompone

Da mesi, forse da anni, non riesco più a prendere un’ora di svago. Un pomeriggio mi lascio convincere da mia sorella ad andare al cinema. Entrando in sala il mio sguardo incrocia due occhi che mi fissano con insistenza. Un ragazzo sui diciotto anni mi viene incontro, chiedendo di parlarmi all’intervallo del film. Lì per lì non lo riconosco, ma poi iniziano a frullarmi in testa ricordi e immagini. Come ho fatto a non accorgermene subito? Quello è Roman, mio figlio, che non vedo da otto anni, da quando è andato a vivere con suo padre, dopo la nostra separazione. Aveva appena dieci anni allora, ed ora lo ritrovo un uomo. Ci abbracciamo in silenzio. Poi mi dice: “Mamma, posso venire a vivere con te?”. Dopo le lacrime di tutti e due, torniamo insieme a casa. Quella notte, per la prima volta, i miei 4 figli dormivano sotto lo stesso tetto: lui e suo fratello, nati dal mio primo matrimonio, e gli altri due più piccoli, nati dal secondo matrimonio.

Una vita in mille pezzi Ho avuto spesso l’impressione che la mia vita fosse come un vaso che cadeva in mille pezzi, e che più io cercavo di rimetterli insieme, più il vaso si rompeva. Dopo un’infanzia difficile e rapporti tesi in famiglia, il giorno del mio diciassettesimo compleanno mi ero sposata. Era un passo un po’ affrettato, ma ero convinta che il matrimonio mi avrebbe dato quella felicità che aspettavo. Invece non ho avuto un solo momento di tranquillità. Malgrado fossero nati due figli, la situazione è arrivata in breve a un punto di rottura, e dopo 10 anni di matrimonio ci siamo separati. A 27 anni con un bimbo piccolo (Roman era rimasto con il padre), e un matrimonio fallito alle spalle, non era facile ricominciare. Non avevo nessuno accanto, e anche quel Dio che avevo incontrato da bambina sembrava scomparso. In quella solitudine, quando un altro uomo mi ha dimostrato un po’ d’affetto, nel desiderio di offrire al bambino il calore di una famiglia, ho accettato di sposarlo. Sono nati due figli ed ho vissuto un periodo felice. Poi sopraggiunge un’altra prova durissima: il mio compagno viene colpito da un tumore. Si alternano momenti di speranza e di sconforto, sino a quando, per i dolori acutissimi, in un momento di crisi non ce l’ha fatta più e si è tolto la vita. E’ possibile ricominciare! Rimango di nuovo sola, con tre figli da mantenere. Questa morte tragica mi getta nella disperazione, e vorrei anch’io farla finita. Un giorno, non so perché, entro in una chiesa, dove non mettevo più piede da quando ero ragazza. Non riesco a dire niente, piango soltanto. Uscendo, sento dentro una grande pace: era lui, Dio… mi dava la possibilità di ricominciare. Riprendo a frequentare la chiesa, superando la vergogna iniziale. Lì trovo una comunità parrocchiale viva, trovo calore, accoglienza. A poco a poco scopro che dietro a questa vita c’è una scelta radicale del Vangelo. E’ loro stile di vita quell’amore scambievole, che è il comandamento nuovo di Gesù. Scopro un cristianesimo vivo. Inizia in me una vera, profonda conversione. Nelle parole di Gesù trovo la luce e la forza per superare i momenti difficili. Capisco che il passato non esiste più, e l’incontro con Dio rende tutto nuovo e luminoso. Ora, con quattro figli da mantenere, però, i problemi economici non mancano; eppure al momento opportuno è sempre arrivato quello di cui avevamo bisogno: un vestito, una riparazione gratuita, una somma per delle spese impreviste. Un amore più forte della morte Una sera, verso mezzanotte, bussano alla porta. Roman era fuori per lavoro e doveva tornare per quell’ora. Invece sono due poliziotti: Roman è stato investito da una macchina sulle strisce pedonali ed è morto sul colpo. “Mio Dio, questo è troppo”, grido. Arrivano subito i miei nuovi amici. Presenti accanto a me tutta la notte, condividono in silenzio l’abisso di dolore, mi aiutano a non disperare, trasmettendomi una forza non solo umana. Ho finalmente trovato la famiglia che da sempre ho cercato, quella dei figli di Dio. Affrontiamo insieme i momenti più difficili: all’obitorio, il funerale. Pian piano si fa strada una certezza: anche questo è amore di Dio. Gli ripeto il mio sì. La vita riprende. Mi ritrovo nuova. Quell’abisso di dolore ha scavato in me una nuova capacità d’amore. Ora mi è chiaro più che mai: solo l’amore resta. (L. M.) (altro…)

Il cammino di unità

Dal 1968, nel cuore della Baviera, vicino Augsburg, sorge ad opera di Pfarrer Hess e Chiara Lubich, la cittadella ecumenica di Ottmaring, testimonianza dell’unità già in atto tra evangelici e cattolici. In questo cammino di unità si inseriscono anche le religiose, che offrono una comune testimonianza di vita del Vangelo. Alle porte di Augsburg, 11 kilometri dal centro della città, si trova la cittadella ecumenica di Ottmaring. E’ sorta nel 1968, come frutto di uno stretto rapporto tra Pfarrer Hess, fondatore della Bruderschaft von gemeinsamen Leben evangelica e Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari. Il tutto si svolge con l’incoraggiamento del vescovo cattolico di Augsburg, Joseph Stimpfle, e del vescovo evangelico della Baviera, Hermann Dietzfelbinger e dal suo successore Johannes Hanselmann. La cittadella è divenuta così importante punto di riferimento e un autentico modello di come si possa realizzare il testamento di Gesù “Che tutti siano uno”. Nel 1988 è stato conferito a Chiara, dal sindaco della città di Augsburg, il premio per la festa della Pace. Si tratta della pace religiosa tra le confessioni cattolica e luterana, con la motivazione: «Per meriti speciali, per la promozione di azioni comuni a livello interconfessionale». In quell’occasione noi, come gruppo ecumenico di religiose, ci siamo sentite particolarmente coinvolte, poiché il gruppo è sorto nel 1971 su iniziativa di entrambi i vescovi amici del movimento. In quell’anno si organizzò un convegno ecumenico a Pentecoste, ad Augsburg. Cristiani cattolici ed evangelici, religiose e religiosi, hanno collaborato alla preparazione di esso, al quale sono convenuti 20.000 cristiani provenienti da tutta la Germania, spinti dal desiderio di giungere all’unità. Sia nel periodo di preparazione, sia durante il convegno, si è radicata in noi, religiose di entrambe le confessioni, la certezza che avremmo continuato insieme il nostro cammino verso l’unità. Da 25 anni ci incontriamo circa 6-8 volte l’anno e sempre sperimentiamo in modo nuovo l’agire di Gesù tra noi. Di solito siamo 20 o 30 consacrate, di 12 diverse comunità, sia cattoliche che evangeliche. Fanno parte del gruppo suore di Maria Ward, le sorelle evangeliche della Bruderschaft e del Casteller Ring, le diaconesse, ma anche le suore vincenziane, francescane, domenicane, di don Bosco…

Un racconto a due voci

«Nei nostri incontri impariamo a conoscere ed amare la comunità delle altre, a conoscerci ed a stimarci reciprocamente. Preghiamo insieme, meditiamo le verità della fede, leggiamo la Parola di Vita e ci scambiamo le nostre esperienze sul Vangelo. E’ un dono per noi partecipare dei vari carismi e dei diversi compiti nella comunità, riconoscendo così in tutto l’unico Signore che opera tutto in tutti. Per me questo gruppo è una cellula viva e costato come la comunità dell’altra è anche la mia». Sr. C.H., cattolica «Anch’io in questo gruppo faccio l’esperienza di far parte di una vera famiglia, dove vedo realizzato un pezzo di unità che cresce sempre più. Percorriamo insieme un tratto del cammino comune ed ogni volta si uniscono a noi sempre nuove suore, che desiderano condividere que-sta esperienza. Nell’impegno comune prepariamo quella che noi chiamiamo la “Parola di riflessione”, che si svolge in un parco pubblico di Augsburg in estate ed il giorno di Pentecoste. Nel periodo di avvento e per la giornata mondiale di preghiera per la donna, viene realizzata in una chiesa. E’ un’occasione per offrire a tutti la nostra comune testimonianza. Vogliamo continuare ad impegnarci in modo radicale affinché l’unità tra le Chiese sia presto realtà». Sr. I.A., diaconessa evangelica (altro…)

Dal Vangelo una linfa nuova

In ospedale un ritmo di lavoro senza tregua, pesantezza spirituale, poi un’ondata di luce, sgorgata dalla testimonianza dell’Amore evangelico che si fa vita con radicalità. Sr. V. riscopre l’amore di Dio, la sua vocazione. Nuovo slancio nel mantenere vivo giorno per giorno l’amore scambievole nella sua comunità. Cambiamento che non passa inosservato da parte di medici, infermieri, in un ambiente prevalentemente ateo. La vita attorno rifiorisce. Poi gli anni della guerra, la resistenza pacifica del convento: dall’unità una forza di pace che si irradiava all’esterno più forte delle persecuzioni e violenze. Quando molti anni fa ho conosciuto questo Ideale dell’unità, nella mia vita è entrata una nuova luce. Sono stata toccata dall’Amore che subito si traduceva in vita, mi sono sentita amata personalmente da Dio e profondamente grata perché mi aveva chiamata a seguirlo come religiosa. Potevo ricambiare questo amore cominciando da chi mi stava più vicino, nella mia comunità, e poi portarlo a chiunque avrei incontrato nel lavoro… Noi religiose eravamo oberate dal lavoro negli ospedali statali con turni molto impegnativi; io lavoravo giorno e notte e questo non facilitava il vivere tra di noi una vera vita comunitaria. I ritiri, ad esempio, non si tenevano con regolarità; così pure non approfondivamo la conoscenza della nostra fondatrice o delle nostre regole e costituzioni: questo portava ad una pesantezza spirituale. Con questa nuova luce del carisma dell’unità, che aveva preso me e altre consorelle, abbiamo cominciato a vivere l’amore scambievole, sperimentando la presenza di Gesù promessa a chi vive nell’amore: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo ad essi». Questo ci dava ogni volta la forza e la gioia per ripartire a testimoniare il suo amore anche nel lavoro e con chiunque ci capitava di incontrare in un ambiente ateo. Dopo un po’, nell’ospedale, infermieri e medici mi hanno chiesto quale fosse la radice di questa mia felicità; ho potuto comunicare loro come cercavo di mettere in pratica il Vangelo insieme a molte altre persone e che questo mi aiutava anche nei momenti più difficili. Col tempo ci siamo trovati in molti: cattolici, ortodossi, luterani, persone indifferenti, non credenti… non solo a leggere insieme la Parola di vita, ma anche a scambiarci le esperienze, a condividere le difficoltà scoprendo nell’amore il movente di ogni azione. Questa esperienza andava oltre l’ospedale e coinvolgeva parenti, amici, conoscenti. Ogni volta rimanevo sbalordita di fronte a ciò che Dio operava nelle persone che incontravamo. Ricordo a esempio il cambiamento radicale di una personalità importante nel campo politico. Sono trascorsi gli anni e, per la situazione difficile che si è venuta a creare a causa della guerra, molte persone di altre nazionalità hanno dovuto lasciare il Paese. Anche le religiose di diversi ordini, per motivi di sicurezza, hanno dovuto abbandonare le case abitate da decenni e quelle che rimanevano si dovevano riunire formando nuove comunità. Proprio in questo momento mi è stato chiesto di prendere la responsabilità di un nuovo convento. Non mi era facile lasciare la realtà costruita per anni, a volte con fatica, ma ho sentito che dovevo dire il mio «sì» fino in fondo alla nuova volontà di Dio ed obbedire ai superiori, credendo nella forza dell’unità. L’impatto è stato duro; mi sono trovata in un nuovo convento dove mi sembrava non si riuscisse a creare una vera armonia: ognuna aveva abitudini diverse, ognuna viveva come era abituata precedentemente. Mi mancavano quei momenti di scambio fraterno in cui ci si accordava sui programmi da fare, ci si consigliava o ci si comunicavano i frutti di un’esperienza. Mi sono chiesta come poter fare. Ho iniziato a pregare e pian piano a parlare personalmente con l’una e con l’altra, ma i risultati erano scarsi. Lì mi sono ricordata di Gesù abbandonato ed ho capito che il mio amore doveva avere la misura del suo: «Amatevi… come io ho amato voi» (Gv 13,34). L’ho riscelto con nuovo impegno. Ho capito che dovevo accettare le altre consorelle così come erano, senza volerle cambiare, ma amando io per prima. A poco a poco il clima mutava, vedevo come l’amore ritornava, si costruivano tra noi rapporti profondi, altri si consolidavano. Abbiamo iniziato ad aiutarci concretamente, ad essere più aperte tra noi, a vedere il positivo in ognuna. Un giorno, una consorella spontaneamente ha chiesto in prestito una macchina per accompagnarmi ad un incontro, un’altra l’ha sostituita nel suo compito, e in questa atmosfera di amore scambievole tutte eravamo più felici e la diversità era diventata contributo all’unità. Uno dei momenti più belli è quando ci incontriamo con le religiose di altri ordini. Nonostante le difficoltà a muoverci a causa dei molti impegni che ognuna ha, è sempre una festa il ritrovarci insieme. L’unità che si costruisce acquista una dimensione ancora più profonda e scopriamo la bellezza di ogni Famiglia Religiosa come fiori diversi di un unico giardino della Chiesa. Sperimentiamo che le esperienze delle altre sono un prezioso arricchimento, che ciascuna porta poi alle proprie comunità. E tutto diventa più vivo. Troviamo la forza di superare le inevitabili difficoltà anche in un ambiente come il nostro, che si trova in piena diaspora. Ricordo l’estate del ’95, quando nel Paese del Sud-est europeo in cui eravamo, sono iniziati ad arrivare migliaia di profughi e la situazione è diventata molto tesa poiché le forze estremiste volevano occupare con la violenza le case e i conventi cattolici. Di giorno in giorno le notizie erano sempre più allarmanti. Alcune religiose di vari istituti volevano fuggire ed eravamo in un incubo continuo. Ci siamo messe in contatto col focolare e lì, con Gesù fra noi, abbiamo ritrovato vigore. E’ nata in noi una nuova certezza: solo l’amore può vincere le situazioni più assurde. Abbiamo comunicato questa certezza anche alle suore degli altri conventi e insieme abbiamo riversato questa nuova forza sui laici e su chiunque incontravamo. Ora le condizioni di vita sono più tranquille, ma ringraziamo Dio per ciò che abbiamo vissuto e per averci dato la possibilità di sperimentare che la fraternità, l’unità, è l’avventura più bella che si possa vivere, avventura che si costruisce solo con l’amore esclusivo a Gesù abbandonato, unico Ideale della nostra vita. Sr. V. M. (altro…)

Non solo parole, ma fatti

La difficile conquista del dialogo vero, base per azioni concrete di solidarietà. Un gruppo di amici, alcuni cristiani e altri di convinzioni non religiose, animato dallo spirito dei Focolari, racconta la genesi di alcune attività di solidarietà internazionale, portate avanti insieme: un percorso che passa attraverso il superamento di non poche difficoltà… Mettersi in gioco – Sono insegnante di matematica e vivo con la mia famiglia in una città del nord Italia. Qualche anno fa sono venuta a sapere che il Movimento dei Focolari da qualche tempo promuove il dialogo tra persone di convinzioni diverse, anche non religiose, e decido di partecipare. In questi incontri scopro, da parte di tutti, il desiderio di mettersi in gioco: una sfida a mantenere ciascuno la propria identità, con l’apertura e il rispetto verso quella dell’altro. Ci troviamo a condividere valori universali quali il bisogno di giustizia, di pace, di fraternità. Al tempo stesso ci accorgiamo però che già il linguaggio usato per esprimere questi stessi valori mette in luce soprattutto le differenze, creando a volte tensioni e malintesi e mettendo a dura prova la nostra capacità di comunicare. Uno sguardo al mondo – Nel 2001, durante un Convegno a Castelgandolfo (Roma), conosciamo una persona impegnata in un’azione sociale con “bambini di strada” a Quito (Ecuador). Anche lei non credente, è in contatto col focolare di quella città. Ci fa partecipi dell’estrema povertà in cui  numerose famiglie vivono in questa terra dell’America Latina e del pericolo per i loro figli di cadere nella droga, nella prostituzione, nella violenza. Decidiamo di conoscere più da vicino quella realtà; uno di noi si reca in Ecuador e insieme alle persone del Movimento progetta alcune attività utili alle famiglie del posto; lo scopo è di offrire un lavoro autonomo, stabile, con reddito dignitoso, che consenta loro di vivere una vita più serena, e trasmettere dei valori ai propri figli. La fantasia supplisce alle nostre tasche vuote – Per sostenere questo progetto occorrono risorse, circa 12.000 dollari, tanti per noi. Cerchiamo comunque di renderci operativi nel concreto. Iniziamo ad incontrarci con più regolarità, una volta al mese; non manchiamo di inventiva e il nostro lavoro dà vita ad una sorta di solidarietà a cascata che coinvolge amici in tutta la Lombardia e non solo! Tortellini fatti in casa, gustose marmellate, lotterie, cene, buffet, gite in battello, visite culturali: troviamo la collaborazione di persone che ci fanno dono della loro esperienza oltre che della loro professionalità. Per incrementare i nostri guadagni, raccogliamo anche oggetti nelle nostre case, che poi vendiamo in mercatini di Bergamo, Brescia, Mantova e Milano. Riceviamo anche alcune donazioni! Nascono piccole attività – Un anno più tardi, nasce in Ecuador una piccola azienda per il riciclaggio della carta. Ora è fiorente, occupa tre o quattro persone ed è attualmente capace di dare nuovi posti di lavoro; viene attivato un allevamento di galline che è in rapido sviluppo: attualmente vi lavorano due persone; viene attrezzato con il collegamento a internet l’ufficio di una scuola. Temporali e arcobaleno – Ma nell’attuare queste iniziative veniamo sopraffatti da esigenze di tipo organizzativo e non mancano temporali, incomprensioni, che ci fanno mettere in discussione il nostro stesso essere in dialogo. E’ un momento di crescita. Dopo aver passato tanto tempo a progettare, a valutare lavori, a renderci utili, scopriamo di avere bisogno di un più autentico contatto interiore con l’altro; ci impegniamo ad essere più aperti e più attenti all’ascolto ed in modo quasi inatteso l’ambiente cambia; il commento “laico”, che noi prepariamo, alla frase del Vangelo che nel Movimento si cerca di mettere in pratica mese per mese, ci dà l’occasione di andare più in profondità. Così, ad es., una di noi vede nella parola del Vangelo “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, la necessità che ha l’essere umano di essere sfamato non solo materialmente, perché per crescere, camminare e vivere ha bisogno di coltivare con i suoi simili la parte immateriale ed interiore di sé, affinché possa evolversi appieno. Diventiamo consapevoli del fatto che l’essenza del dialogo risiede nel bisogno che ciascuno di noi ha di comunicare, di essere accettato ed amato per quello che è; e che esso è per noi un’occasione di incontro anche con chi, pur essendo spinto dallo stesso nostro desiderio di condividere ciò che unisce, è così diverso da noi. Stiamo imparando a diventare più pazienti, a mettere da parte, se occorre, le nostre idee, per ascoltarci reciprocamente. Nuove richieste di collaborazione – In Brasile, in favore di adolescenti, inviamo il nostro contributo di 6000 dollari, nel momento in cui ne avevano più necessità: i contributi statali erano venuti meno; in Palestina, a favore di un gruppo di giovani, per creare un ufficio di servizi. Siamo consapevoli che le speranze che contribuiamo a costruire e che avremo l’opportunità di donare sono un’espressione del nostro stesso essere in dialogo. Alcuni di noi s’incontrano con una certa assiduità, altri con ritmi che sono loro più confacenti. Ciò che più conta è sapere che il dialogo non può essere racchiuso in un gruppo, ma ha un respiro più ampio, che ci coinvolge in una pratica quotidiana; per questo  acquista  forma di volta in volta, da persona a persona, nel nostro lavoro, nella nostra famiglia, con i nostri figli. (A. F. – Italia) (altro…)