Una scuola di vita per famiglie
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L’ubriaco Per caso avevo assistito ad una rissa tra un ubriaco e un gruppo di ragazzi che, disturbati da lui, gli si erano rivoltati contro pestandolo. Tutto era avvenuto in brevissimo tempo. Rialzatosi a fatica e sputando sangue (aveva perso due denti), l’ubriaco ha cominciato a inveire e a minacciare vendetta contro gli assalitori, che nel frattempo s’erano dileguati. Eravamo rimasti solo io e quell’uomo scartato, odiato e ridotto male, nel quale Gesù mi chiedeva di essere amato. Vincendo un certo timore (e se, infuriato com’era, se la fosse presa anche con me?), l’ho provveduto di fazzoletto per asciugarsi il sangue. Poi, interessandomi a lui, che mi enumerava i suoi problemi di salute ed altri guai, gli ho procurato la sigaretta di cui aveva bisogno; soprattutto ho cercato di distoglierlo dall’idea di vendicarsi. Non è stato facile calmarlo. Temevo, fra l’altro, il ritorno di quei ragazzi e il riaccendersi della violenza. Sono rimasto con lui ad ascoltarlo fin quando s’è deciso ad andarsene a casa. O. – Italia La pace Mio padre lavorava in un cantiere navale. Durante uno sciopero, negli anni Ottanta, è stato bastonato a morte. Da allora la nostra vita è cambiata, anche se ero troppo piccolo per rendermene conto. Ne riparliamo con la mamma soltanto quando arriva qualche riconoscimento o in occasione di qualche manifestazione storica. Lei ci ha insegnato il valore della pace e a non cercare mai la vendetta. Oggi, da adulto, so che il valore da trasmettere alle nuove generazioni è proprio questo bene che viene da Dio ma che comincia in me, da me. S. K. – Polonia Ammalata A volte provo dei momenti di ribellione, ma poi prevale il desiderio di credere all’amore di Dio e dei fratelli. Cerco di non lasciarmi abbattere dalla sofferenza, di non fermarmi mai su me stessa e di non pesare sugli altri. Quando a causa della chemio ho perso i capelli, la mia amica Bruna mi ha detto: «I tuoi capelli sono contati. Donali a Gesù come fiori in segno del tuo amore». Anche la mia malattia ha un senso, e per questo ringrazio Dio. Brigitte – Germania Serenità sorprendente Mi ero dimenticata di avvertire la reception della scuola che uscivo con i bambini e quando sarei tornata. Per questo, al ritorno, mi attendeva tutta una serie di rimproveri. È stato umiliante dover ammettere il mio errore davanti a colleghi e direzione, anche perché tutti mi guardavano con ostilità, perfino chi era stato sempre cordiale verso di me. Ma traendo forza dal Vangelo ho accettato la sconfitta cercando di trasformarla in amore verso tutti: immaginavo come si sarebbero sentiti nella mia condizione e comprendevo la loro disapprovazione. Perfino la bidella, che aveva cambiato modo di rivolgersi a me, è diventata oggetto di nuova stima. A una collega che mi ha chiesto come facevo a mantenermi serena dopo tutto quello che mi era capitato, ho spiegato che come cristiana trovo nella verità una forza e una fonte di pace che mi dà il coraggio di ricominciare. I giorni successivi ero sorpresa io stessa dall’atmosfera distesa che regnava fra tutti. J.L. – Ungheria (altro…)
Nuova fioritura «Come cristiani avevamo deciso, mia moglie e io, di adottare due sorelline. Purtroppo, a causa di amicizie sbagliate, entrambe sono finite nel giro della droga. Da allora è iniziato per noi un calvario: aborti, figli indesiderati, problemi con la giustizia. Ci siamo impegnati a essere per loro, ancor più di prima, uno spazio di accoglienza e di pace. Ora la più grande sta riprendendosi e oltre alla sua bambina vuole prendersi cura, con noi, anche del bambino della sorella, che è ancora dentro il tunnel della droga. Noi siamo spettatori di una delicatissima rifioritura». (M e D. H. – Svizzera) L’innocente assolto «Di professione sono avvocato. Diversi mesi fa ho preso le difese di un sudanese accusato di essere uno scafista e per di più parte integrante di un’associazione a delinquere. Era stato trovato alla guida di un barcone che trasportava 119 migranti, tra cui donne e bambini. Nei colloqui avuti con lui in carcere mi si è chiarito che si trattava di un profugo come gli altri ma, essendo stati abbandonati dallo scafista, aveva avuto il coraggio di mettersi alla guida del natante nonostante l’inesperienza, pur di salvare sé stesso insieme gli altri. Purtroppo non era stato creduto. Facendomi carico della sofferenza di questo giovane, mi sono proposto di dimostrarne l’innocenza al di là del fatto che a causa della sua condizione di indigenza non mi avrebbe potuto pagare. Certo, avrei potuto usufruire del patrocinio dello Stato, il quale però non sempre effettua i pagamenti o, se li effettua, non sono adeguati. Ma lui era un mio fratello. Durante il processo ho fatto del mio meglio per difenderlo. Fino a ottenere la sua assoluzione». (S. – Italia) La “congiura” «Come altre volte, papà aveva bevuto più del dovuto e c’era tensione in casa. Poiché nessuno parlava, mi son fatta coraggio e, fissandolo negli occhi, gli ho detto il dolore e lo smarrimento provocati in noi da questa sua debolezza. Dopo di me anche gli altri fratelli sono intervenuti. Le cose sono cambiate; in famiglia è nata una specie di congiura e ora papà fa di tutto per essere fedele al suo proposito di non bere. Far finta di niente non era stata una soluzione: per aiutarlo era stato necessario dirgli, per amore, la verità. E insieme ci siamo riusciti». (N.N. – America del Sud) La riconoscenza di un figlio «Più passa il tempo più cresce la mia riconoscenza verso mamma. Dopo che papà ci ha abbandonati, lei ha continuato a lavorare duramente senza far mancare nulla a noi quattro figli. Un giorno è andata al funerale del cognato ed è tornata a casa con un bambino di otto mesi tra le braccia. Sua sorella non era nelle condizioni di occuparsene. Siamo cresciuti così. Penso che il bene che ora anima le famiglie di noi figli sia un frutto della grandezza di nostra madre, che non ha badato a sé stessa ma è sempre stata in donazione». (C. A. – Polonia) (altro…)
La sala d’attesa del poliambulatorio era strapiena, poiché lì ricevevano vari medici. C’erano solo due sedie libere, una accanto ad una signora molto elegante e l’altra vicino ad un signore dal quale proveniva un odore molto forte – i suoi vestiti lasciavano intendere un’igiene molto precaria –. Forse era lì per ripararsi dall’intenso freddo della strada. Il mio primo impulso fu di sedermi accanto alla signora, perché quell’odore mi dava la nausea. Tuttavia, non potei evitare di pensare che se Gesù era presente in ogni prossimo, sicuramente lo era anche in quel povero. Non c’erano scuse: il mio posto era accanto a lui, quella era la persona che dovevo preferire, proprio per il suo aspetto impresentabile, perché era uno “scartato”. Così mi sedetti lì, vincendo il naturale ribrezzo che sentivo, sotto gli sguardi meravigliati della gente. Immediatamente quell’uomo cominciò a parlarmi:“Ma che bel pullover, che bei pantaloni! Che bello sarebbe avere vestiti così!”. Quando cominciò a toccare i miei pantaloni per apprezzarne la qualità ed a parlare con più entusiasmo dei miei vestiti, devo ammettere che cominciai a sentirmi a disagio. La gente guardava e si aspettava da me una reazione. Allora mi dedicai completamente a lui, trattandolo con dignità, senza giudicarlo, vedendo in lui un fratello. Poco importava se fosse o no verosimile ciò che mi raccontava della sua vita… Capivo che aveva bisogno di qualcuno che lo ascoltasse, lo valorizzasse e lo facesse sentire importante. Cercavo di non badare al fatto che, parlando, la sua saliva sprizzasse sui miei vestiti. Sentivo che questo sforzo mi traeva fuori da un vivere comodo e che così facendo sarei riuscito ad amare quella persona. Gli proposi di vederci il giorno seguente per un caffè. Il mio nuovo amico rimase sorpreso e contento. Ovviamente, molte persone ci ascoltavano. Alla fine, sentii chiamare il mio nome ed entrai per la visita medica. Quando ne uscii, il “mio” povero non c’era più. Nella sala d’attesa ormai quasi vuota rimaneva solo la signora elegante, che mi si avvicinò con un bel sorriso:“Scusi se la disturbo – mi disse –. Ho seguito tutta la sua conversazione con quel signore. Mi sembrava che la sua pazienza non avesse limite. Avrei voluto fare lo stesso, ma non ne ho avuto il coraggio. Ho ascoltato ogni sua parola, e pareva davvero interessato a quella conversazione così singolare. Quando lei è entrato dal medico, quel signore si è alzato, ci ha ringraziato per la pazienza e ci ha detto: ‘Lui sì che è un amico. Non l’avevo mai visto prima, ma mi ha voluto bene davvero. Per lui, sono davvero importante!’ Poi se n’è andato. Mi dica, perché ha agito così con lui?”. Le risposi che sono cristiano e che voglio amare e servire ogni prossimo, e specialmente coloro che più soffrono, come farebbe un padre con suo figlio. La signora si mostrò sorpresa. Rifletté un poco e poi, sorridendo, mi disse: “Se vivere come cristiano significa questo, forse posso ritrovarmi con quella fede che ho perso tanto tempo fa”. Il giorno dopo andai a prendere il caffè con il mio nuovo amico. Gli portai qualche vestito pulito. Quando ci lasciammo, mi abbracciò. Tra le lacrime mi confessò:“Era da tempo che nessuno mi trattava come un essere umano che ha bisogno di affetto e amore”. Tratto da Urs Kerber “La Vida se hace camino” (“La Vita si fa strada”) – Ed. Ciudad Nueva, Buenos Aires (RA) 2016, pagine 15 e 16. (altro…)
I-tornare, RI-conoscere, RI-vedere, RI-abbracciare, RI-cordare. Torno a Ostiense con le farfalle nello stomaco. Cerco i miei amici come una disperata. In questi mesi in cui ho lasciato Roma e la sua grande bellezza (quella ai bordi delle stazioni ferroviarie), per consolarmi, alcuni hanno usato delle espressioni rassicuranti tipo “ma tanto i poveri, gli ultimi, i senza tetto, li trovi ovunque…”. Io non ho amato i poveri e gli ultimi … Io ho amato Samir, Fulvio, Gian Paolo, Gabriele, Jazmin (…). Si chiama amicizia, signore e signori. Claudio mi tratta con la tenerezza di un soffio, essendo storicamente il più grezzo, scottante e aggressivo di tutti. A distanza di un oceano mi rendo conto che l’amicizia ha trasformato lui, ma soprattutto ha trasformato me. Parlo, ascolto, mi siedo, mi sento a casa davvero. Questo senso di ri-entro e ri-torno ha forse il sapore di quello che chiamiamo paradiso… ri-averci dopo esserci persi. Ri-sento le loro storie e assurdi. Io che in questi mesi ho acceso dentro me pressanti domande sul senso dei percorsi, il paradosso delle decisioni, l’interruzione dei progetti, il tremore sulla propria missione… io, che mi perdo in tutte queste pretese, vedo che i miei amici non hanno né percorsi, né missioni, né scelte, nemmeno sanno narrarsi. Io che mi sono persa in tutte queste borghesi richieste, io, qua e ora, smetto di perdermi. Loro sono i miei amici e non sarebbe giusto avere per me qualcosa che loro non possono permettersi. Si chiama amicizia, signore e signori. Mentre scendo dal mio io, dal mio volere, dal mio pretendere, non smetto di chiedere per loro, per me, per tutti, il filo … il filo che lega tutto sotto questo cielo, le proprie e tutte le storie in un Unico progetto. Lo chiedo umilmente. Ri-abbraccio me stessa, mi saluto con gli occhi umidi e mi dico: Ciao Paula, bentornata! (altro…)