27 Ago 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Una malattia
Mio marito da due anni è malato. Un tumore al cervello lo ha trasformato. Talvolta si lamenta perché gli cadono gli oggetti dalle mani. Con i figli ci siamo accordati per non fargli mai sentire che è successo qualcosa di strano… Tante volte, osservando la delicatezza con la quale trattano il padre, rendendomi conto di quali sacrifici e rinunce fanno pur di aiutare in famiglia, vedo in loro una maturità più grande dell’adolescenza. Stiamo vivendo una stagione della famiglia come mai avevamo vissuto. Nonostante il dolore inconfessabile che pesa sulle nostre giornate, sperimentiamo una grande serenità (B.S. – Polonia) Il vecchietto Non c’era più nulla da mangiare in casa. Ho preso un sacco di granturco e 1000 franchi: metà per il trasporto e metà per il mulino. Fermo il primo taxi. Accanto all’autista un uomo anziano dormiva profondamente. Ho notato che il tassista cercava di sfilargli il borsellino dalla borsa, così quando sono arrivata a destinazione ho detto: «Questo è mio padre: deve scendere con me». L’autista continuava a ripetermi che non era questo il posto che lui gli aveva detto, ma dietro la mia insistenza, per far scendere quell’uomo, mi ha chiesto 1000 fr. Glieli ho dati subito e, presa la borsa, ho tirato fuori il vecchietto che continuava a dormire. Da noi capita spesso che gli autisti narcotizzano per derubare. Il vecchietto si è svegliato quando gli ho gettato dell’acqua sulla testa. Ha cercato la sua borsa e ha controllato se c’erano tutti i soldi. Mi ha detto: «Mi hai salvato la vita» e mi ha dato 5.000 fr. Ho cercato un tassista di fiducia che lo ha accompagnato sano e salvo al suo villaggio (M. A. – Camerun)
Pantaloni alla moda In classe venivo preso in giro perché non ero vestito alla moda come gli altri. La mia famiglia era numerosa e vivevamo in campagna. Un giorno ho aiutato un compagno che aveva difficoltà con la matematica e siamo diventati amici. Un altro giorno gli altri hanno cominciato a canzonarmi per i miei pantaloni e lui si è messo a difendermi. Da quel momento non ci sono stati più problemi. Bisogna essere almeno in due per lottare contro le idee sbagliate. Nel giro di poco tempo siamo diventati tutti più amici, e quando si è trattato di scegliere il nuovo capoclasse hanno scelto me (E.C. – Italia) Il mendicante In comunità ogni giorno chiediamo la benedizione di Dio sui nostri cibi e di saperli condividere con chi non ne ha. All’ora di pranzo bussa il solito mendicante e non avevamo altro che un po’ di polenta per il pranzo e per la cena. E soldi non ne avevamo. Dico al mendicante che purtroppo non abbiamo nulla. Quando mi siedo a tavola non ho appetito. Poco dopo mi gira nella testa «Date e vi sarà dato». Allora ho preso quello che avevamo e l’ho dato al mendicante che era sempre in attesa. Non molto tempo dopo bussano alla porta. Una ragazza recava un grande piatto di polenta: «Ve lo manda la mamma». Incredibile la puntualità di Dio (Suor Madeleine – Burkina Faso) (altro…)
22 Ago 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Dal 1994 sono impegnata nella Pastorale Penitenziaria dell’arcidiocesi di Santiago di Cuba che comprende anche la città di Guantanamo. Con altri volontari ci prendiamo cura di loro e dei loro famigliari, proprio perché sono i più poveri fra i poveri. Nel 2007, quando ho conosciuto la spiritualità dell’unità, un raggio di luce è penetrato dentro di me, che ha ancor più illuminato questo mio servizio in carcere e mi ha fatto comprendere che nella vita si deve ricercare ciò che unisce e non ciò che divide. Condividere con altri questo modo di vivere mi ha aiutato molto. Qualcuno mi dice: «Come fai a trattare con assassini e stupratori, sapendo che la maggior parte di loro nemmeno si accorge di chi li segue nel loro cammino…». È vero, a volte succede anche così, ma la spiritualità di Chiara Lubich mi aiuta a vedere in ciascuno di loro il volto di Gesù crocifisso e abbandonato. Noi dobbiamo soltanto seminare quel piccolo seme del Vangelo, senza aspettarci niente in cambio. Questa convinzione mi dà forza, mi sostiene e non mi fa sentire sola. Mi impedisce di cadere nella tentazione di lasciare questo servizio e scopro che alla fine sempre ricevo di più di quanto ho dato. Da qualche tempo, tutti i mesi abbiamo iniziato a portare il foglietto della Parola di Vita, per darlo sia ai carcerati che alle loro famiglie. Dopo un po’, grande è stata la sorpresa di sapere che nel settore a regime speciale è nata una piccola comunità di detenuti, guidata da un giovane. Insieme commentano il testo del foglietto e durante il mese cercano di metterlo in pratica per poi fare delle esperienze davvero significative. “Negli anni della gioventù – racconta Y, uno di loro – ho commesso dei reati che sto scontando con la reclusione a vita. Mi trovo nel carcere della città di Guantanamo (non lontano dal famigerato carcere americano di altissima sicurezza). Ho trovato la fede in Dio attraverso persone del Movimento dei Focolari che da diversi anni vengono regolarmente a trovarmi. Ho anche scritto la mia storia dove racconto del mio incontro con Dio e di come mi sia rinata la speranza nella Vita che non finisce. Ogni giorno m’impegno a mettere in pratica la Parola di Vita del mese». Y. un giorno al telefono ci diceva: «Ho la febbre e un forte mal di testa; avevo bisogno di sentirvi e ho sfruttato questo momento di permesso per farlo. Parlare con voi è un balsamo per me». Lo rassicuriamo che preghiamo per lui, che Gesù è venuto a salvarci per sempre, al di là della nostra vita terrena. Si dice certo di ciò e aggiunge che «è quello che ogni giorno mi dà le forze per andare avanti amando tutti». (Carmen, Santiago di Cuba) (altro…)
12 Ago 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria

Federico con suo papà
«Io sogno spesso e tanto. Un sogno ricorrente è una giornata di sole in cui i miei sentimenti e i miei pensieri si sciolgono in una sorgente di parole per tutti i miei amici. Che bello dev’essere poter parlare!». Federico non parla, anche se sa che la comunicazione non passa solo per il linguaggio. I primi sintomi sono evidenti già attorno al primo anno di età. Più cresce e più diminuisce la capacità di interazione con la realtà. A tre anni la diagnosi. È totalmente incapace di comunicare. Ha una delle forme più forti di Disturbo generalizzato di sviluppo, un disturbo gravissimo riconducibile all’ampio e variegato universo dell’autismo. A 8 anni avviene un fatto che cambia la traiettoria della sua incomunicabilità. Impara a scrivere con il computer e può finalmente digitare le sue prime parole, emozioni, sentimenti. È rotto il muro di silenzio con quelli che lui chiama i «neurotipici». Nell’agosto del 2002, la famiglia è in vacanza a Palinuro. Federico qualche parola l’ha sempre espressa, brevi frasi, ma intense. «Mamma cos’ho?». «Perché proprio a me?». E scrive sul suo computer la parola autismo. Ne è perfettamente consapevole. l 20 febbraio del 2010 scrive al suo amico Gabriele: «Ho bisogno che voi mi aiutate a uscire dalla mia prigione. Vedi, io sono molto solo perché non riuscire a comunicare a voce è un grosso limite. Non capisco come fate voi non autistici a trovare nella vostra testa al volo tutte quelle parole così giuste e a dirle così velocemente ed anche con espressioni del volto che contemplano ciò che voi volete comunicare. Per voi è normale ma a me sembra un miracolo. Io a fatica riesco a scrivere una lettera per volta e solo se papà mi è vicino».
Ora che sa scrivere, cresce l’autostima, fino a pubblicare un libro Quello che non ho mai detto dove per la prima volta possiamo vedere il punto di vista di un ragazzo che spiega con osservazioni rare e preziose la sua sindrome. Esce così dal suo isolamento, prova finalmente la gioia di condividere le sue emozioni, conclude con successo gli studi fino a raggiungere la Maturità scientifica. Ancora oggi Federico non dice quasi nulla. “Vi assicuro – scrive – che sono quasi incapace di parlare verbalmente, mi esprimo con parole singole, solo di rado con una piccola frase. So scrivere a mano solo in stampatello molto grande e incerto”. È grazie al computer che gioca per la prima volta con un amico, che si presenta ai suoi compagni di prima media e che, anni dopo, partecipa “attivamente” alle riunioni del gruppo cresima. “Piano piano – racconta – il mio pc portatile è diventato un compagno inseparabile. Con il mio computer e con il supporto di una persona preparata ad assistermi, posso veramente dire la mia in ogni situazione”. Oggi Federico studia percussioni, ha tanti amici, aiuta persone con autismo in famiglia con consigli di vita quotidiana, ha tanti progetti per il futuro. «Ora la mia vita ha trovato il suo corso», scrive, «grazie agli operatori che mi hanno insegnato il metodo, ai miei genitori che con entusiasmo si sono lanciati in questa avventura. Io oggi sono felice della mia vita e il merito, in gran parte, è loro». Ma non pensa solo a se stesso: «Quanti autistici mentalmente perduti avrebbero potuto essere altri Federico se diagnosticati presto, ben supportati nell’età dello sviluppo e molto amati?». Il suo sogno, quando sarà grande è: «Andrò in giro per il mondo a vedere donne incinte per capire se i loro bimbi sapranno parlare e curare l’autismo. Io giocherò con i loro bimbi per aiutarli a crescere e a imparare a parlare. Quando un bambino avrà bisogno di me, io sarò lì ad aiutarlo». Fonte: Città Nuova online (altro…)
8 Ago 2015 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Ginevra, rue de Montbrillant n.3 Come ogni venerdì, mi reco al “Jardin de Montbrillant”, un luogo d’accoglienza e d’incontro per persone bisognose di questa città cosmopolita, dove è possibile consumare dei pasti. Oggi, come di consueto, accogliamo a mezzogiorno circa 150 persone di ogni nazionalità. La sala è già piena e tutto sembra svolgersi nel migliore dei modi. Fra gli abitudinari di questa folla variegata noto sempre qualche volto nuovo. Il mio compito è trovare un posto per ciascuno, negoziare con l’uno o cl’altro perché accetti un nuovo vicino, evitare che le tensioni degenerino in modo che il pasto possa venire consumato con tutta tranquillità, cosa non sempre facile dato lo stato fisico e psichico della maggior parte dei nostri ospiti. Ma a me interessa soprattutto riuscire a creare un contatto fraterno, confortare chi appare triste, depresso, ascoltare chi si sente angosciato, ridare speranza … Insomma, creare un’atmosfera di famiglia affinché tutti si sentano amati così come sono, al di là della diversità di età, nazionalità e religione. Mentre siamo a tavola, la porta della sala si apre e arrivano tre nostri amici arabi accompagnati da due nuovi venuti. Noto subito l’espressione minacciosa e dura del loro volto. Appena entrati, urlano che vogliono sgozzare tutti i presenti e dare fuoco al locale. Il motivo: si sentono gravemente offesi dalle caricature del Profeta apparse sulla stampa nei giorni precedenti, notizia principale dei giornali. Subito l’atmosfera si fa tesa e circolano propositi violenti. Vedo già volare piatti e piovere colpi. Occorre intervenire senza indugio perché la situazione può degenerare pericolosamente. Ma che dire, cosa fare? Mi sento impotente, ma riconosco in questa acuta sofferenza e nella nostra società che difende la libertà assoluta, a scapito dei valori profondi, il grido dell’Uomo-Dio sulla croce: “Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. E’ lui che si presenta ora, attraverso la reazione dei due seguaci dell’Islam. Metto tutto nelle sue mani e mi alzo per andare loro incontro. Dichiaro di condividere la loro pena e propongo di parlarne, ma dopo aver mangiato, se lo ritengono importante. Al mio invito pacato, si lasciano convincere a sedersi a tavola; di colpo l’aggressività scema e ritorna la tranquillità come se ciascuno avesse capito le motivazioni che hanno determinato quello scoppio di rabbia. Il pranzo termina nella calma. Resto accanto ai due per far sentire loro tutto il calore di cui sono capace. Dopo il pranzo, si scusano per le parole pronunciate e manifestano rammarico per aver esternato propositi di vendetta. Segue ancora un momento di scambio sulla nostra rispettiva fede nel pieno rispetto e comprensione reciproca. Prima di partire mi abbracciano, grati per essere stati ascoltati. Ora i loro volti distesi esprimono tutt’altri sentimenti che all’inizio. (Paquita Nosal – Ginevra) Fonte: Città Nuova – n.13/14 – 2015 (altro…)
3 Ago 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Sociale
Baobab è uno dei tanti centri di raccolta profughi, nei pressi della stazione Tiburtina di Roma. Accoglie circa 400 eritrei, somali e sudanesi, giovani uomini e donne, cristiani e musulmani. «Li c’è un felice, caldo, libero, caotico e anarchico volontariato auto convocato – racconta S. –: ognuno va, vede cosa c’è bisogno, aiuta, chiama amici… E funziona benissimo! Ottenuto il consenso dei Responsabili del Banco Alimentare di Roma, insieme con un giovane che coordina tutto il volontariato del Centro Baobab, siamo andati a Fiano Romano ed abbiamo caricato una ventina di quintali di ottimo cibo (pasta, zucchero, carne in scatola, 600 yogurt, scatoloni di olio, 120 ananas, 30 cassette fra pesche e pesche noce, 100 pezzi di grana padano, e molto di più). Già alle 10 c’erano circa 40°! Siamo arrivati al Centro verso le ore 13 dove erano già in fila per il pranzo almeno 500 ragazze e ragazzi, ordinati e pazienti, nella maggioranza eritrei, tutti provenienti dagli sbarchi di quei famigerati barconi che vediamo al telegiornale. I gradi erano almeno 42° a quell’ora. Nell’arco di una decina di minuti, i ragazzi, senza nemmeno bisogno di chiederlo, si sono messi in fila ordinata ed hanno scaricato, molto ordinatamente, il ducato strapieno, portando tutto il materiale nel magazzino. Non un solo yogurt o una bibita è stata presa, tutto perfettamente riposto al posto giusto. Poi, sono tutti rientrati nella fila di attesa del pranzo. Anche a me è stato servito un piatto che ho condiviso con molta gioia con loro. Il Centro di accoglienza non punta alla assistenza soltanto, ma soprattutto al coinvolgimento ed alla integrazione dei rifugiati stessi. Questo garantisce il rispetto della dignità di ciascuna e ciascuno di coloro che vengono accolti. Molti poi, appena possono, raggiungono parenti ed amici in altri Paesi Europei. La fila dei cittadini romani che portano aiuti di ogni genere è costante e anche commovente. Arrivano tali e tanti aiuti che, spesso, portiamo scatoloni di roba ad altri centri di assistenza. Mentre ero lì a stringere mani, a fare delle conoscenze, è arrivata la prima bimba nata da una ragazza rifugiata accolta nel Centro. È arrivata dall’ospedale all’età di 20 giorni. Medici, infermieri, volontari, tutti intorno a farle un sorriso, volendo almeno vederla. Un segno di come la vita va avanti, sempre. Sono tornato a casa stanco, sudato come non mai … Ma nel cuore e nell’anima una gioia molto speciale, una serenità impagabile, la vera ricompensa per un piccolo gesto in favore di quelle bellissime creature che in questo momento vengono chiamati “rifugiati”… A fine mese siamo già d’accordo di fare un altro carico. Inoltre, attraverso un amico la cui famiglia gestisce cinque supermercati, organizziamo anche una raccolta periodica di quei prodotti che scadrebbero a breve e che, invece, portati al Centro possono essere consumati in un paio di giorni. Ringrazio i rifugiati eritrei ed i volontari del Campo Baobab per avermi dato l’opportunità di vivere un momento veramente bello, prezioso, che, sono certo, si ripeterà nei prossimi giorni e in futuro. Mi sento un privilegiato e lo sono veramente!» (S.D. Italia) (altro…)