Mar 4, 2022 | Famiglie
Vivere nello stesso palazzo ed essere estranei. È quello che succede nella maggior parte dei casi. Basterebbe un pizzico di coraggio e un semplice gesto per incontrarsi davvero, un po’ come ha fatto la famiglia Scariolo. “L’incontro con l’altro è un arricchimento reciproco, al di là delle culture, delle religioni e delle ideologie. Ogni volta facciamo la scoperta che l’altro è stato creato come dono d’amore per me ed io per lui”. Con queste parole Adriana e Francesco Scariolo, focolarini svizzeri, sposati da 42 anni, raccontano un’esperienza che, qualche mese fa, li ha particolarmente arricchiti. “Viviamo nel Canton Ticino, nella Svizzera italiana, e da un anno e mezzo abitiamo in un palazzo con 13 appartamenti. Nei giorni prima di Natale 2021, abbiamo pensato di fare un giro di auguri, porta a porta . La sorpresa e la gratitudine di tutti i vicini è stata grande: ‘Io sono stato il primo inquilino di questo stabile e non è mai successo che qualcuno a Natale ci venisse a fare gli auguri’ ha detto uno di loro. ‘Noi siamo musulmani, ma vogliamo augurare anche a voi Buon Natale’ ha aggiunto un altro. Abbiamo anche distribuito a tutti un invito per un momento di festa di fine Anno e di auguri per un Buon 2022 a casa nostra. Così il 29 dicembre abbiamo tenuto un aperi-cena con tre famiglie, una musulmana e due cristiane delle quali una evangelica ed una cattolica, rispettando le norme di sicurezza e rigorosamente in mascherina. È stato un bel momento in cui ciascuno si è fatto conoscere con spontaneità. ‘É bello sapere che ci sono dei vicini con cui darsi una mano, salutarsi- ha affermato il marito della signora musulmana- ci fa sentire meno soli’”. È una cosa che avevate già fatto in passato? “Sì, non è la prima volta che cerchiamo di creare rapporti con gli altri condomini. Tutto è partito tanti anni fa sentendo parlare della “festa dei vicini”, un’ iniziativa proposta per dare alle persone la possibilità di incontrarsi. Ci siamo accorti che ci voleva anche un po’ di coraggio e di fantasia per fare la nostra parte e così abbiamo provato. All’inizio, approfittando del nuovo anno, mettendo nelle cassette della posta un biglietto di auguri, poi, secondo la reazione delle persone, facendo più amicizia, provando ad organizzare prima dell’estate un pranzo in giardino tutti insieme. In seguito abbiamo lasciato quel caseggiato per un periodo di volontariato all’estero durato 7 anni, ma al rientro, da quando siamo in questo nuovo palazzo, abbiamo voluto mantenere la tradizione”. Cosa vi ha sorpreso delle loro reazioni? “Vedere i loro volti sorridenti. Non se lo aspettavano, soprattutto in un periodo delicato come questo a causa della pandemia. Inoltre ci è sembrato un dono poter terminare gli ultimi giorni del 2021 con un momento di socialità dopo tanto isolamento, un segno che dà speranza e non frena la voglia di amare gli altri e costruire rapporti fraterni. Il 2 gennaio 2022 aspettavamo altre famiglie che si erano prenotate e che, per il distanziamento, non potevamo ospitare insieme alle altre. Alcune sono state colpite dal covid e quindi non sono potute venire, ma la cena con loro è solo rinviata a tempi migliori”. Cosa vuol dire per voi andare incontro al fratello? “Vuol dire andare incontro all’umanità di oggi attraverso semplici e quotidiani gesti d’amore. Per esempio, aiutare la vicina di casa che ogni tanto ha problemi con la TV, ascoltare la coppia che ha appena avuto un figlio, sciogliere i muri di indifferenza, di anonimato di cui sono fatti i rapporti e che la pandemia ha ingigantito. La frase di Gesù “tutto quello che avrete fatto ad uno dei miei fratelli più piccoli l’avrete fatto a me” ci interpella. Allora ogni prossimo è veramente la persona che Lui ci mette accanto per essere accolto ed amato. E chi è più prossimo dei vicini di casa?”
Maria Grazia Berretta
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Ott 29, 2021 | Famiglie
“L’Amore familare: Vocazione e via di Santità” è il tema del X Incontro Mondiale delle Famiglie che si terrà a Roma dal 22 al 26 giugno 2022. Marcelo Chávez e Pia Noria, focolarini sposati cileni, responsabili del Movimento Famiglie Nuove del Cono Sud (Argentina, Cile, Uruguay e Paraguay), raccontano la loro storia e l’attesa di questo evento. “Fin da bambino, sentivo che Dio mi chiamava a seguirlo, malgrado non sapessi bene ancora quale fosse il cammino da intraprendere. Dopo un periodo di discernimento ho capito che la mia strada era il matrimonio”. Sono le parole con le quali Marcelo Chávez, marito di Pia e papà di tre splendide figlie, racconta del meraviglioso disegno che Dio aveva in mente per entrambi. Una vocazione, la loro, nata da un’amicizia decennale vissuta condividendo lo stesso ideale di vita; un bellissimo viaggio di fidanzamento che ha dato inizio ad una nuova grande avventura nel matrimonio. La loro è una famiglia che oggi si fa “Chiesa viva” attorno a molte altre, tutte protagoniste del X Incontro Mondiale delle Famiglie “L’Amore familare:Vocazione e via di Santità” che si terrà a Roma (Italia) dal 22 al 26 giugno 2022. Come vi state preparando a questo evento che, come Papa Francesco ha scritto nel suo messaggio di presentazione, data la pandemia assumerà una forma “multicentrica e diffusa”? Quando Papa Francesco ha inaugurato l’anno Amoris Laetitia nel marzo 2021, indicando che si sarebbe concluso con il X Incontro Mondiale delle Famiglie a Roma, ci siamo subito sentiti chiamati a partecipare all’evento in presenza. Poi, a luglio 2021, quando il Papa ha invitato tutti a vivere insieme questo evento attraverso una nuova modalità, ognuno con le proprie diocesi, abbiamo sentito che si trattava di vedere Roma che allargava le braccia verso il mondo, andando incontro a tutte le famiglie, fino alle periferie, affinchè nessuno rimanesse fuori. Abbiamo intuito che potevamo vivere questo miracolo dell’unità familiare essendone protagonisti, e non solo guardandolo da lontano. Per questo vivremo l’incontro dal luogo in cui siamo, aderendo alle iniziative che scaturiranno dall’Arcidiocesi di Santiago del Cile insieme ad altri movimenti. Cosa vuol dire, da famiglia, percorrere una via verso la santità? Il 6 settembre del 2021 abbiamo festeggiato 18 anni di matrimonio e, anche nei momenti difficili, non ci sono stati dubbi: la nostra chiamata è ed è sempre stata amare l’altro come vuole Dio. Dio ha preso in parola il nostro “sì” e ci ha aiutato ad andare avanti. Questo cammino di santità nel matrimonio, lo intendiamo come un cammino condiviso, fatto insieme, uniti, in cui ciascuno contribuisce anche alla santificazione dell’altro. In che modo Gesù è sostegno nella vostra vita e che ruolo ha giocato la preghiera soprattutto in questo tempo di pandemia? In questi 18 anni, giorno dopo giorno, ci siamo accorti che la misura dell’amore coniugale era davvero dare la vita per l’altro. Renderci disponibili a questo con la grazia di Cristo ci ha permesso di cogliere quanto le nostre differenze potessero assumere una dimensione diversa. Naturalmente ci sono state situazioni in cui non è stato facile affrontare i conflitti, alcuni più difficili di altri, ma è stato in quei momenti che abbiamo sentito il desiderio forte di essere fedeli al sacramento del matrimonio e continuare ad amare Gesù anche nella difficoltà. Questo richiede ed esige coraggio ed è con grande forza di volontà che ci affidiamo a Dio, alla Sacra Famiglia per affrontare le complesse situazioni che le sfide di oggi comportano. La preghiera ci ha sostenuti e ci sostiene in questo viaggio, ci dà forza e la certezza che tutto è Amore di Dio. In questo periodo di pandemia, in particolare, la preghiera in famiglia è stata importante quanto quella con la comunità dei Focolari e con le altre famiglie. Anche se non potevamo ricevere Gesù nell’Eucarestia, abbiamo capito che questo incontro con Lui sarebbe avvenuto comunque e che il Suo amore si sarebbe manifestato tra noi. Durante la conferenza stampa di presentazione dell’Incontro il Card. Kevin Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha detto: “Le famiglie sono il seme che può fecondare il mondo. Sono loro gli evangelizzatori che testimoniano al mondo la bellezza della vita familiare”. Come portare questa testimonianza fuori dalle mura domestiche? Questa realtà la troviamo riflessa nella Santa Famiglia di Nazareth. È questa la grandezza e l’importanza di essere famiglia anche oggi: essere il luogo dove Gesù nasce e viene donato al mondo. Noi sperimentiamo che l’amore di Dio che si è manifestato nella nostra vita non può rimanere solo nella nostra famiglia, ma deve irradiarsi ed essere la base per incontrare altre famiglie, coppie, fidanzati. Tutto è un’opportunità per amare e per donare l’amore di Dio. Camminare insieme ad altre famiglie significa fare comunità, condividendo i beni, le necessità, le preoccupazioni e facendo attenzione ai bisogni di tutti.
Maria Grazia Berretta
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Mar 23, 2020 | Famiglie
La storia di due coniugi della Croazia e la loro esperienza nell’ambito del progetto “Percorsi di luce” promosso dal Movimento dei Focolari “Come bambini piccoli che imparano dal nulla, così anche noi imparavamo a capire prima noi stessi, capire i sentimenti, riconoscerli, capire l’altro, imparare che il pensiero diverso non deve finire sempre e per forza in un conflitto. Abbiamo capito che le coppie che ci circondano arricchiscono i nostri rapporti e che bisogna evitare di isolarsi”. Melita e Slavko sono sposati da circa vent’anni, sono genitori e vivono in Croazia. La loro esperienza di coppia la raccontano con schiettezza, senza letture patinate, senza omettere quei momenti di prova che disegnano il loro percorso come una sfida, una “casa” da costruire ogni giorno, spesso senza sapere con quali strumenti. Non un’autostrada diritta da attraversare con una macchina potente, ma una strada sterrata da percorrere in bici col solo motore delle proprie gambe, dei polmoni e del cuore, con salite faticose e discese rigeneranti. Una storia, la loro, che forse somiglia a quella di tante coppie, ma che offre una chiave di lettura non scontata sulla famiglia. L’occasione di questo racconto è la loro partecipazione in Italia ad un incontro nell’ambito del progetto Percorsi di luce, che il Movimento dei Focolari dedica alle coppie, con un’attenzione particolare per quelle che vivono momenti di divisione. In uno dei passaggi più bui del loro rapporto – spiegano – è grazie a incontri come questo che hanno trovato gli strumenti da “usare ogni giorno, perché la nostra famiglia sia contenta e il nostro rapporto cresca”. Strumenti “che facilitano la salita che ci aspetta nella vita di coppia per realizzare i piani di Dio sulla nostra famiglia”. Nelle loro parole emerge chiaro che l’immagine della coppia “perfetta” è una dolorosa illusione. L’aspettativa di un percorso lineare e soleggiato, alimentata dall’entusiasmo che segue l’incontro con la persona “giusta”, si scontra con la realtà di una “partita” tutta da giocare e di cui non si conosce l’esito, dove il compagno di squadra si trasforma a volte nell’avversario e dove si vince solo se vincono entrambi. Una partita che non ha regole scritte ma che va giocata avendo chiaro l’obiettivo, o ritrovandolo se sfuma. Una partita dove ciascuno è chiamato a dare il proprio contributo e a fronteggiare le variabili avverse, senza scorciatoie: “Dalla prospettiva di oggi – dicono – possiamo testimoniare che il matrimonio non è una cosa fissa e statica, che un corso come questo non è una bacchetta magica che risolve tutti i nostri problemi per sempre”. Piuttosto, qui “abbiamo imparato che il nostro primo figlio – il matrimonio – ha bisogno della massima cura e importanza, perché solo quando siamo noi in pace e sintonia possiamo essere capaci di dare amore ai figli e alle persone che ci circondano. Solo così ci realizziamo come persone”. Tutto muove, in effetti, dal sentirsi già realizzati “ai nastri di partenza”. Melita racconta degli inizi: “Era un periodo molto bello, finalmente avevo realizzato il sogno di avere un ragazzo che sapeva ascoltarmi, consolarmi, capirmi. La persona con la quale condividere sguardi simili sulla vita, sulla fede, sull’amore. Presto abbiamo capito che volevamo sposarci coronando il nostro amore con il matrimonio”. A breve però si presenta la prima prova: la perdita di un figlio in arrivo costringe Melita e Slavko a rivedere i loro piani, a concentrarsi sull’organizzazione pratica della vita, sul lavoro e la casa. È un momento proficuo in effetti, dove sperimentano una crescente unità fra di loro e con le rispettive famiglie, condividono tutto – dice Slavko – trovando “la forza, la volontà e il desiderio per le cose comuni”. “Abbiamo idealizzato la nostra vita – aggiunge lei – completando i sassolini del nostro mosaico e aspettando che la famiglia si allargasse”. Dopo tre anni arriva la gioia del primo figlio, ma con essa anche la necessità di trovare un lavoro meno impegnativo e più remunerativo. L’impiego per Slavko arriva ma il nuovo contesto produce nella coppia tensioni, incomprensioni, ferite profonde. “La sicurezza che avevamo costruito e la fiducia dell’uno nell’altra sono spariti – racconta Melita – è iniziato un periodo di insoddisfazione nei nostri rapporti, di rimproveri per gli sbagli fatti. Slavko non si accorgeva della mia insoddisfazione e io non sapevo come fargli presente le cose che mi davano fastidio”. E lui: “Mi ero accontentato della vita, pensando: ma cosa vuoi di più, ci vogliamo bene, ci siamo sposati, la vita va su un binario dritto, perché dovrei ancora dimostrare la mia fedeltà e l’affetto? È lei che non capisce che le voglio bene e le sto accanto. Invece ero sordo alle sue grida e ritenevo che era lei a dover cambiare e accettare le nuove circostanze. In noi cresceva la sensazione di incapacità, di disperazione, cadevamo nell’abisso dal quale non vedevamo la via di uscita”. Li attraversa anche il pensiero di separarsi. Avevano toccato il fondo. Ma in quel deserto pian piano comincia a rifiorire la vita. “In quel momento il Signore ci manda sulla nostra strada i nostri padrini e amici, che come gli altri avevamo cancellato dalla vita, ci manda le indicazioni da seguire tramite loro” ripercorre Slavko. È nel confronto con le altre coppie che partecipavano ai Percorsi di luce che finalmente riescono a intravedere una via d’uscita. “Soli l’uno davanti all’altro e soli davanti a Dio abbiamo cominciato a capire e conoscere di nuovo l’altro, imparato che l’opinione diversa non significa che l’altro non mi ama, anzi abbiamo imparato di nuovo che la diversità arricchisce, ci completa come coppia”. Imparare, scoprire, crescere e consolidarsi come persone e come coppia. È forse questa la conquista inattesa di un cammino autentico e coraggioso, imprevedibile e ricco di prove, ma anche di traguardi e soddisfazioni. Melita e Slavko hanno scoperto che i piani di Dio sulla loro coppia e la loro famiglia non sono affatto scontati ma richiedono la loro determinazione nell’amore reciproco. E hanno imparato che è attraverso questo impegno che l’uomo e la donna realizzano se stessi come persone.
Claudia Di Lorenzi
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Ott 27, 2019 | Focolari nel Mondo
La storia di Dorotka e della sua famiglia “Qualcosa in più” è il titolo di un film che racconta la storia di Dorotka, una ragazza adolescente di Bratislava, in Slovacchia, affetta dalla sindrome di Down. Un’anomalia genetica che, nonostante le difficoltà, presto si rivela un “valore aggiunto” per tutti quelli che la circondano.
Sua mamma Viera racconta cosa succede nel cuore di una famiglia quando si scopre di aspettare un bambino con la sindrome di Down: È stato uno shock! Non ce l’aspettavamo e non avevamo mai visto una persona del genere prima d’ora. Ma Dorotka sembrava proprio come gli altri quattro figli, e sapevamo che di fronte a una situazione sconosciuta il panico non aiuta, serve mantenere il sangue freddo. Ma in segreto, da qualche parte nella mia anima, avevo paura che non saremmo stati in grado di amarla. Nel tempo, cominciarono ad accadere cose straordinarie. Molte persone preziose sono venute nella nostra vita, ci hanno aiutato molto e ci aiutano ancora oggi. I rapporti in famiglia sono diventati più forti. I nostri quattro figli più grandi sono diventati più sensibili, amorevoli e tutta la famiglia è unita come mai prima d’ora. Come si passa dalla sorpresa al sentire questo come un dono? Il nome Dorotka significa dono di Dio. Le abbiamo dato questo nome già durante la gravidanza, sicuri che Dio non fa mai doni cattivi. Avevamo ricevuto qualcosa che non capivamo ma lo sentivamo come una prova della nostra fiducia in Dio. Sentivamo chiaramente che questa era la volontà di Dio per noi. Un nostro amico ci ha inviato una nota con questo testo: “Questa è la vera felicità perché è costruita sul dolore”. Perché avete deciso di condividere la vostra esperienza con altre famiglie? Un medico ci ha presentato ad altre famiglie che avevano figli piccoli con la sindrome di Down. Insieme abbiamo fatto diverse terapie, abbiamo condiviso la nostra esperienza e fondato un’associazione chiamata “Up-Down syndrome”. Volevamo che i bambini crescessero insieme, in modo che non fossero legati solo alla loro famiglia, per prepararli verso una certa indipendenza. Così abbiamo fondato il teatro “Dúhadlo”, che apre nuovi orizzonti per i bambini attraverso la drammaturgia. Come è nata la collaborazione con l’Università di Bratislava? Un nostro amico insegna etica medica alla Facoltà di Medicina. Nove anni fa mi ha invitato a raccontare la nostra storia agli studenti e a far loro conoscere meglio la sindrome di Down. Sono molto grata per questa possibilità. Sentivamo che i giovani medici potevano ancora essere influenzati e nel corso degli anni abbiamo sempre avuto reazioni positive da parte degli studenti.
“Qualcosa in più” è il titolo del film che racconta la vita di Dorotka nella sua quotidianità, fra gioie e difficoltà. Perché questo titolo? All’inizio l’intenzione era di fare un breve video per la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Pavol Kadlečík, il regista, non aveva esperienza con queste persone e rimase così stupito che decise di fare un film più lungo. Nessuno di noi sapeva che alla fine sarebbe stato prodotto un documentario così bello. La sindrome di Down è una malattia genetica in cui il 21° cromosoma non forma una coppia, ma una terzina. Pertanto, questa diagnosi viene chiamata anche Trisomia 21. Questo significa che queste persone hanno un cromosoma in più e spesso viene indicato come il cromosoma dell’amore. C’è qualcosa in più in loro che hanno questa speciale capacità di amore incondizionato. Nel film non c’è nessuna finzione narrativa, si racconta la vita quotidiana della protagonista insieme alla sua famiglia, i compagni di classe, di teatro e di musica, con lotte, gioie, conquiste, delusioni. Una testimonianza dell’amore reciproco in questa famiglia e del sì alla vita. Dorotka, ti sei divertita a recitare in un film tutto dedicato a te? Quando ero in piedi davanti alla macchina fotografica a volte ero un po’ ansiosa e avevo paura del palcoscenico, quindi era difficile non guardare direttamente nella macchina fotografica. Ma il cameraman era fantastico e mi è piaciuto molto. Palko ha reso tutti felici dell’idea di questo film e vorrei continuare con uno nuovo. Cosa vorresti dire alle persone che leggono questa intervista? Sono diventata un’attrice per renderti felice. Cerca l’amore per gli altri.
Claudia Di Lorenzi
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Mar 22, 2019 | Sociale
In famiglia o nei luoghi di lavoro la condivisione di quanto abbiamo e di quello che siamo può contribuire a creare nuove relazioni. Un cambio di regalo Si avvicinava il nostro anniversario di matrimonio e, a nostra insaputa, i figli ci stavano preparando una sorpresa. Sono sposata da 46 anni ed ho cinque ragazzi. Due giorni prima che festeggiassimo l’anniversario con mio marito ci siamo visti donare i biglietti per un viaggio: era una vacanza in albergo pagata da loro. Eravamo raggianti. Pochi minuti dopo, però, a casa nostra ha squillato il telefono: era una signora che conosco che, molto addolorata, ci informava che una persona gravemente malata aveva bisogno di un’operazione urgente, ma non aveva le possibilità finanziarie per pagarla. L’importo necessario per l’intervento era proprio quello dei biglietti del viaggio. Non ci abbiamo pensato due volte: abbiamo rinunciato alla vacanza per aiutare questa persona. L’intervento chirurgico è avvenuto proprio il giorno del nostro anniversario. L’operazione è andate bene, adesso questa persona sta meglio. (A. – Angola) Salvare l’azienda Lavoro nell’amministrazione di una struttura sanitaria nella quale, negli ultimi anni, il bilancio è stato chiuso in perdita. Tra i soci amministratori, fino a poco tempo fa, c’erano grosse difficoltà di dialogo e, nonostante i miei segnali di allarme, nessuno prendeva in considerazione la possibilità di rivedere la gestione dei conti aziendali. Un giorno ho sentito che non potevo più tacere davanti alla cattiva gestione e alle esose parcelle dei vari professionisti che lavorano per noi. Mi sono accordata con una delle socie con la quale c’è un bel rapporto di fiducia e abbiamo chiesto di fare analizzare costi e ricavi da un serio professionista. Un’azione che ha portato a fare piccoli passi di miglioramento e, dalla primitiva decisione di chiudere l’attività, il mio capo ha concesso un altro anno di prova. Fin dal primo esame dei conti è emerso un esubero di personale, perciò è stato deciso di licenziare una persona e di ridurre a part-time un’altra. Ho proposto una riduzione di ore per tutti, piuttosto che la perdita del lavoro per una persona. La proposta è stata accettata. I problemi sono ancora tanti, ma cerco di essere disponibile anche da casa per ascoltare tutti, accogliere incertezze e timori dei colleghi, soprattutto la paura di perdere il posto di lavoro. (R. G. – Italia) Ho iniziato dal mio palazzo “Un sabato pomeriggio sono sceso nell’androne del mio palazzo ed ho ordinato con cura in un piccolo tavolo tutto quanto avevo raccolto nella mia cameretta” racconta G. di 7 anni. Nei giorni precedenti infatti G. aveva scelto con cura fumetti, giornalini e la sua collezione di conchiglie per allestire un piccolo mercatino per i suoi vicini di casa. “Ho anche scritto un annuncio – continua – invitando le famiglie che abitano nel mio stabile a visitare la mia bancarella e fare acquisti, regalandomi qualche minuto del loro prezioso tempo. Per circa due ore ho accolto le persone e spiegato loro che il ricavato della vendita sarebbe andato per aiutare alcuni miei coetanei più poveri”. Molti hanno comprato vari oggetti ed alla fine il ricavato era una bella cifra, divenuta contributo per un progetto di solidarietà. (G.- Italia) (altro…)