Apr 19, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
«Sono passati 18 anni, ma l’onda di quell’evento ancora muove tutti noi che vi abbiamo partecipato. Qualche mese prima, nel dicembre del ‘99, ero arrivato a Roma. Cominciava per me un periodo in cui avrei lavorato, come grafico, al Centro gen internazionale, in preparazione al Genfest. Non potevo ancora immaginare quali sorprese mi avrebbe riservato quell’anno! Un giorno di febbraio, mentre mi trovavo solo con la mia chitarra, pensavo a Chiara “Luce” Badano: era una gen come noi, morta dieci anni prima, e nei suoi ultimi momenti di vita aveva offerto il suo dolore per la riuscita del Genfest. Mi venne l’ispirazione, tuttora non so spiegarmi come, di una canzone dedicata proprio a lei: “Corri, corri, dimmi che non c’è nulla da temere. Corri, corri, brilla, brilla che la tua luce ora è in me”. Non potevo che intitolarla: “Luz”, luce. Il giorno dopo, a Loppiano, era in programma il primo di una serie di appuntamenti con il gruppo che doveva curare le musiche. Si trattava di scegliere le quattro canzoni ufficiali del Genfest. Un po’ teso, proposi anche quella, cantandola davanti a tutti. “Luce” venne scelta, e da allora in poi, fino a oggi, è stata cantata e tradotta in diverse lingue, divenendo il simbolo di un’esperienza fatta propria da tantissimi giovani, dietro l’esempio di Chiara Badano, che nel 2010 è stata proclamata beata. Tempo dopo i suoi genitori, Maria Teresa e Ruggero, mi hanno detto, abbracciandomi: “Hai trovato il modo migliore per farla conoscere, perché chi canta prega due volte!”.
Quel Genfest, il primo organizzato completamente da noi giovani, era una vera sfida, un’esperienza di unità tra noi e di maturità. Arrivato il momento della scelta di un logo, feci una proposta, il segno di un’onda che sarebbe rimasta incessante nel tempo. E, altro grande regalo, anche quel logo venne scelto! Tutto era pronto il 17 agosto. Di buon mattino eravamo già sul palco per il sound check e gli ultimi preparativi. Prima dell’inizio, 25 mila persone erano in attesa di entrare nello Stadio. Tre, due, uno…con una percussione dai ritmi diversi e un suono sottile e incessante, come un battito cardiaco, finalmente ebbe inizio quello che stavamo preparando da mesi. Un programma ricco, per mostrare ai giovani di tutto il mondo che l’unità era possibile. Intorno alle 18,30 era il mio turno, con una canzone che avevo composto in Costa Rica quattro anni prima (“Basta un sorriso”).
La storia di Chiara “Luce” Badano, presentata come un esempio di santità a soli 18 anni, mentre scorrevano le immagini del suo volto luminoso e sorridente sul grande schermo, venne accolta in un silenzio assoluto. Sembrava di vivere un attimo di eternità. Subito dopo, i primi accordi di “Luce”. Infine il momento più atteso, la proposta di Chiara Lubich: “L’idea di un mondo più unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani”. Quindi il lancio del “Progetto Africa”. Ma non era finita, ancora ci aspettava il grande appuntamento della GMG, il 19 e 20 agosto, nella vicina spianata di Tor Vergata, con Giovanni Paolo II. Un’altra giornata storica, con due milioni di giovani, a cui nemmeno il caldo del giorno e il freddo della notte avevano spento la gioia di stare insieme. Indimenticabile la consegna del Papa: “Non abbiate paura di essere i santi del Terzo millennio”. Prima di ritornare nel Costa Rica, nel dicembre di quell’anno, ho avuto la possibilità di salutare personalmente Chiara Lubich e di lasciarle un ricordo di quella magica esperienza che avevo vissuto quell’anno: un piccolo libretto. Ma i regali per me non erano finiti: dopo tanti anni, ho incontrato una ragazza austriaca che come me aveva partecipato a quel Genfest, Tina. Ora è diventata mia moglie!».
Sandro Rojas Badilla
Ascolta: “Basta un sorriso” Ascolta: “Luz” Foto: Sandro Rojas Badilla (altro…)
Apr 19, 2018 | Cultura
El lector que se adentre en estas páginas comprenderá porque le hemos dado este título, que para algunos podría resultar extraño, a este libro.
«Turbada» por el anuncio del ángel, María personifica el desconcierto inicial que envuelve a quien busca la verdad, y por eso abre sus puertas a la escucha y al descubrimiento de significado. De María se aprende ante todo la certeza de que existe un significado en la vida que hemos de captar. En su ¿cómo es posible? (Lc 1, 34) asume el dato que constituye el núcleo del interrogante propio de cada ciencia. Aquello que «se anuncia» ha de ser acogido y «aceptado». Solo la total e incondicional apertura nos hace capaces de formular preguntas, de dialogar, de «soportar el peso de la novedad», de «perder» y de «permanecer en pie» en silencio. Una apertura hacia lo real que es viable solo en el marco de una dinámica de amor.
Editorial Ciudad Nueva
Apr 19, 2018 | Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Siamo nati in due famiglie tradizionali e conservatrici di Tlemcen, città molto antica, culla della cultura arabo-musulmana – racconta Farouk. Siamo sposati da 42 anni, abbiamo tre figli e due nipoti. Durante il primo anno di matrimonio, come molte coppie, abbiamo scoperto che avevamo caratteri diversi e questo causava degli attriti tra noi. L’incontro con il Movimento dei Focolari ci ha fatto capire che dovevamo intraprendere una via di amore vero. Questa esperienza ci ha colmato dell’amore di Dio e ci ha permesso di fare i primi passi l’uno verso l’altra. Avevamo un tale desiderio di conoscere a fondo la spiritualità dell’unità, che la nostra vita ha cominciato a svolgersi tra Orano, dove abitiamo, e Tlemcen, dove si trova il centro del Movimento dei Focolari. Abbiamo cominciato a condividere la nostra fede musulmana e a comprendere come incarnare la spiritualità dell’unità nel nostro credo. A Orano si è formata attorno a noi una piccola comunità e la nostra casa è diventata un luogo di incontro, un “Faro”, come la stessa Chiara Lubich ha voluto chiamarla. Molti musulmani hanno conosciuto il focolare e tra noi abbiamo cominciato a condividere tutto, nutriti e arricchiti di un amore soprannaturale. Agli inizi degli anni ‘90 la guerriglia nel nostro paese ci ricordava le analoghe circostanze della nascita del Movimento, e la scoperta di Dio come unico ideale».
«Con i nostri figli – continua Schéhérazad – durante il periodo dell’adolescenza abbiamo vissuto una fase abbastanza turbolenta. Abbiamo cercato con loro il confronto e il dialogo e, soprattutto, l’amore filiale. Possiamo dire che con i due maggiori siamo riusciti a creare un rapporto basato sulla sincerità. Nella comunità del focolare sentivo delle testimonianze in cui si parlava di Dio Amore. Imparavo piano piano ad abbandonarmi fiduciosa in Dio, nella sua misericordia. Intraprendendo questo cammino spirituale mi sono liberata dal mio io, dalle mie paure nei rapporti con le persone. L’impegno di mettere Dio al primo posto è certamente personale, ma abbiamo scelto di viverlo come famiglia. Riconoscere i propri limiti e quelli dell’altro è una ginnastica senza fine, bisogna ricominciare sempre, chiedersi perdono e ricominciare». «La preghiera nell’Islam – spiega Farouk – è un momento solenne. Le nostre preghiere prima non erano regolari, e ognuno le faceva da solo. Ora cerchiamo di farle insieme, per amore, non come un obbligo. In Algeria vengono a studiare molti giovani sub-sahariani. Tra questi alcuni frequentano il focolare. Cerchiamo di andare incontro alle loro necessità, anche perché spesso non si sentono socialmente integrati. Uno di questi giovani, cristiano, è vissuto con noi per un anno e mezzo, e con lui abbiamo costruito un rapporto così profondo che ci considerava come secondi genitori; spesso gli prestavamo la macchina per andare a messa». «Nella comunità dei Focolari – è nuovamente Schéhérazad – c’è uno scambio sincero, senza ambiguità sulla fede. Abbiamo imparato a conoscere la fede cristiana. Ogni conoscenza è fatta nel rispetto di ciascuno, con un amore disinteressato, che non vuole convertire l’altro, ma lo aiuta ad essere di più se stesso. Quando incontro un cristiano è per noi naturale vedere in lui un fratello da amare. Non siamo nati per competere, ma per costruire un progetto comune. Costruire l’unità non è una cosa scontata, ma un impegno che va continuamente rinnovato. Insieme, musulmani e cristiani, possiamo avanzare verso l’”Uno che unifica”. Nella nostra vita, grazie a Chiara Lubich, abbiamo capito che questo Uno unificatore si realizza se due fratelli, due sorelle, si amano, pronti anche a dare la via l’uno per l’altro». (altro…)