Difficile quantificare le cifre – fonti Misna riferiscono 60 morti e 300 feriti – e descrivere il susseguirsi dei fatti in un Paese che da marzo 2013, quando un gruppo di ribelli ha rovesciato il presidente in carica, è sprofondato in una grave crisi politica che periodicamente mostra una recrudescenza. Come in questi giorni. «La situazione socio-politica è peggiorata – scrive Geneviève Sanzé, originaria della Repubblica Centro Africana – Famiglie cristiane vivono tra la casa e il bosco, per non farsi trovare in casa (si rischia la vita). Un sacerdote, che vive nel nord dove la situazione è molto tesa, ospita 12.000 rifugiati nella sua parrocchia, al riparo dai proiettili che fioccano da ogni dove. Non sa come curarli e dare loro da mangiare. Nella regione non c’è più nessuna autorità amministrativa, politica o militare e c’è anche il rischio di bombe nei posti affollati». E dal Focolare di Bangui scrivono: «Ci stavamo preparando a fare qualcosa di concreto per la mobilitazione per la pace di cui anche il nostro Paese ha tanto bisogno: una competizione sportiva con squadre miste composte da cristiani e musulmani insieme; una marcia per la riconciliazione, fatta da tutti i gruppi, di etnie, confessioni e religioni diverse; un concerto con vari gruppi musicali, tra cui il nostro, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’esigenza e la necessità della pace per il bene di tutti; proseguire le visite ai rifugiati qui a Bangui, e nella prigione. A queste azioni ad altre ancora, avevamo invitato i nostri amici musulmani, e di varie chiese cristiane per realizzarle insieme ed avevano aderito con entusiasmo». «Il primo appuntamento, fissato per il 26 settembre, non c’è stato, perché quel giorno qui a Bangui è scoppiato un massacro – racconta Bernardine, che lavora in Nunziatura -. Tutto è cominciato con la scoperta di un corpo senza vita di un giovane musulmano in un quartiere abitato dai cristiani. Ma finora non si sa chi l’ha ucciso, in quali condizioni. Nel giro di qualche ora, le case dei non musulmani sono state assalite e molte persone uccise». Morti, saccheggi, distruzione di case, chiese, scuole, uffici degli organismi internazionali, e tanti sfollati, tra i quali alcuni della comunità dei Focolari. C’è chi ha perso parenti vicini. «Ci incoraggiamo a vicenda – scrivono – a continuare ad amare, ognuno dove si trova, pronti a “morire per la nostra gente”. Pregate anche voi con noi, per noi e per tutti quelli che vivono nelle situazioni simili». Per giorni la città è sembrata morta. «Non si andava al lavoro – scrive ancora Bernardine – i negozi chiusi, le uniche macchine sulla strada, quelle delle nazione unite e dei militari francesi. La popolazione ha organizzato una manifestazione richiamando tutti alla disobbedienza civile, chiedendo il ripristino di un’armata nazionale che difenda la popolazione. Durante la manifestazione sono morte altre persone e si è fermato tutto. In questi giorni la situazione è migliorata un po’, abbiamo ripreso le attività, anche se le scuole sono ancora chiuse. Siamo nelle mani di Dio e crediamo sempre al Suo amore, presto o tardi ci sarà la pace anche nella RCA». E questa speranza è sostenuta dall’attesa della visita del Papa alla fine di novembre: «Tutta la popolazione infatti – racconta Fidelia, del focolare di Bangui – senza distinzione di etnie, religioni, aspetta con gioia la sua venuta. Si sente nell’aria che la gente lo attende come portatore di speranza. Tutti si stanno preparando materialmente e spiritualmente per avere il cuore disposto ad accogliere tutte le grazie che la visita di Francesco porterà».
Imparare e crescere per superare i limiti
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