Giu 26, 2019 | Sociale
27/06/2019 Il Centro Internazionale dei Focolari e tutto il Movimento si stringono attorno alla famiglia del Sindaco Emanuele Crestini e alla cittadinanza di Rocca di Papa (Roma, Italia). “Sindaco, amico, eroe”. Sulla pagina web del comune di Rocca di Papa (Roma, Italia) viene definito così il suo sindaco, Emanuele Crestini, rimasto ucciso nell’incendio causato da un’esplosione della conduttura del gas, durante dei lavori di manutenzione, il 10 giugno scorso. In tanti potrebbero chiedersi perché ne diamo notizia su questa pagina Web; il motivo è semplice: a Rocca di Papa ha sede il centro internazionale dei Focolari e i rapporti con il sindaco Crestini erano molto frequenti e altrettanto amichevoli, come pure con gli altri amministratori locali dei Castelli Romani. Con lui ha perso la vita anche il delegato cittadino Vincenzo Eleuteri. Sono usciti per ultimi dall’edificio in fiamme per assicurarsi che nessuno fosse rimasto intrappolato all’interno. Un gesto, quello di Crestini, di eccezionale coraggio e gratuità nei confronti delle persone che lavoravano con lui quel giorno, un amministatore che ha difeso con estrema dedizione, a costo della sua vita, la gente della sua città

A destra di Maria Voce, il sindaco Emanuele Crestini
Ha espresso profondo cordoglio per la prematura scomparsa del sindaco, Emmaus Maria Voce, Presidente dei Focolari, a nome del Movimento di tutto il mondo. Nel messaggio inviato alla vice-sindaco di Rocca di Papa, Veronica Cimino, la Presidente ricorda la figura di Emanuele Crestini come “esempio luminoso per tutti per la generosità che ha dimostrato negli ultimi momenti drammatici a testimonianza della sua grandezza d’animo e dei valori portanti che hanno animato il suo impegno e agire politico”. Ha espresso il suo cordoglio anche il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. Rocca di Papa, dove ha sede il Centro Internazionale del Movimento dei Focolari, ha avuto dagli inizi del Movimento un rapporto particolare con esso: è stata infatti la prima città a conferire la cittadinanza onoraria a Chiara Lubich. Nel tempo, si sono sempre susseguite attestazioni di affettuosa amicizia e collaborazione con le istituzioni locali. Tra le più recenti, la partecipazione del sindaco Crestini il 16 aprile 2019 al Centro Internazionale, insieme ad altri sindaci del territorio, per accogliere una delegazione trentina in occasione del prossimo centenario della nascita di Chiara Lubich. Per l’occasione, il sito del Comune aveva riportato un articolo con alcune dichiarazioni del sindaco e della vice-sindaco “È stato davvero un onore accogliere l’invito della presidente Voce ed è stato un grande piacere dare il benvenuto nel nostro paese alla delegazione trentina. – aveva detto Crestini – Abbiamo avuto modo di conoscerci, di scambiare esperienze e ricordi legati a Chiara Lubich, alcuni dei quali particolarmente toccanti e rivelatori dello spirito di questa grande protagonista della nostra storia contemporanea il tutto in un clima disteso e costruttivo, orientato a rendere le celebrazioni del Centenario il più coinvolgenti possibili. “Coinvolgere” è proprio una delle parole chiave dell’insegnamento di Chiara, che ci ha indicato come la migliore strada possibile sia l’unione degli intenti, l’unità delle comunità e dell’umanità. Un grande pensiero che bella nostra dimensione locale, di città, può e deve essere declinato attraverso l’ascolto reciproco e la volontà di venirsi incontro, sostenendo coloro che hanno bisogno, senza alcuna discriminazione sociale.”
Patrizia Mazzola
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Mag 30, 2019 | Nuove Generazioni
Abbiamo chiesto ad alcuni giovani dei Focolari di diversi Paesi di dirci una parola sull’ultima esortazione apostolica di Papa Francesco. Iniziamo con Noemi Sanches che ha partecipato all’incontro preparatorio del Sinodo.
Noemi ha 29 anni, è paraguaiana di origini brasiliane e sta concludendo un dottorato di ricerca in Filosofia all’Università di Perugia (Italia). Nel marzo dello scorso anno ha partecipato alla riunione pre-sinodale in cui il Papa ha chiamato a raccolta diversi giovani di tutto il mondo per ascoltarli in primise costruire con loro e per loro il successivo Sinodo sui giovani. L’esortazione apostolica “Christus Vivit” è uno dei risultati di questo percorso intergenerazionale. Tanti giovani ormai l’hanno letta e condivisa nei propri gruppi.
- In varie parti del documento il Papa insiste sull’ascolto dei giovani da parte della Chiesa. C’è stato questo ascolto?
Penso che tutto il percorso costruito per il Sinodo dell’ottobre 2018 sia un chiaro esempio del desiderio concreto della Chiesa di ascoltarci e accoglierci pienamente. Al pre-sinodo eravamo 300 da molti Paesi; eravamo liberi di dire tutto, come il Papa ci aveva chiesto; gli adulti ci ascoltavano e incoraggiavano il dialogo. L’idea ora è che questa esperienza di reciprocità tra le generazioni si realizzi nei diversi ambienti, le parrocchie e le comunità cristiane.
- Più volte nel documento il Papa fa riferimento all’inquietudine, caratteristica dell’età giovanile. Credi che in mezzo alle molte voci, alla cacofonia digitale, sia possibile ascoltare la voce di Dio?
Il Papa usa l’espressione “volare con i piedi” perché effettivamente noi giovani non stiamo mai fermi, siamo sempre alla ricerca di
qualcosa. Però ci imbattiamo anche nei nostri limiti, come la mancanza di esperienza e, di conseguenza, la paura di sbagliare nelle scelte decisive. Non basta la “velocità”, ci vuole un senso, ed è qui che la vicinanza e la spinta degli adulti è cruciale, soprattutto nel mondo di oggi, pieno di “false sirene”. Avendone fatto esperienza, credo che la voce di Dio si faccia sentire sempre grazie agli “amplificatori” dell’amore.
- Perché sono così pochi oggi i giovani che vogliono intraprendere un serio cammino di fede? Cosa manca e cosa cercano?
Sono molte le ragioni: a volte c’è una certa apatia perché mancano gli stimoli giusti; oppure tanti di noi non hanno la possibilità di crescere nella fede o ricevono una catechesi “teorica”, “moralista” o “meccanica”, poco collegata alla vita; altre volte manca una conoscenza profonda della fede, e quindi diventiamo vittime di quella società sradicata e sradicante che il Papa denuncia continuamente. Allo stesso tempo, in tutti noi, c’è il desiderio di impegnarci per cause sociali, una certa sensibilità per le cose belle, il desiderio di costruire rapporti veri e durevoli, di vivere per qualcosa di autentico che dia senso alla nostra vita, il bisogno di modelli di vita autentici. In definitiva il giovane di oggi cerca Dio, anche se non ne è pienamente cosciente.
- Qual è secondo te il vero contributo che il sinodo sui giovani e questa esortazione apostolica portano nella vita dei giovani e della Chiesa?
Questo Sinodo ha segnato, senza dubbio, un novumnella Storia della Chiesa a livello di metodologia e approccio della realtà. Mi pare sia emersa l’essenzialità e la ricchezza del dialogo intergenerazionale in modo attivo e continuo in tutte le istanze della Chiesa. L’esortazione, in particolare, è un vero tesoro per tutti i giovani, non solo quelli cattolici. Quando l’ho letta non ho sentito per niente che si trattasse di un documento del Magistero, ma la lunga lettera di un nonno, un amico più grande che, perché mi ama, riesce a parlare al cuore, a dire ciò di cui ho bisogno in questo momento della vita per non cadere, per alzarmi, per provarci ancora e continuare a credere nella bellezza, nel bene, nell’amore, nell’umanità più vera che è anche divina, nella possibilità di raggiungere la piena felicità nonostante i dolori e i problemi che fanno parte della vita e a saper affrontarli con coraggio e impegno, perché lo facciamo insieme.
a cura di Stefania Tanesini
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Mag 23, 2019 | Cultura
Intervista al prof. Pál Tóth:“Applicare all’Europa il principio della fraternità come categoria politica significa costruire istituzioni che mirino alla collaborazione fra tutte le diversità, per realizzare il bene comune”. Si avvicinano le elezioni europee per il rinnovo dei rappresentanti dei 27 Stati membri dell’Ue nell’Europarlamento: 400 milioni i cittadini chiamati a votare a fine maggio. In gioco ci sono due idee di Europa: una europeista, l’altra euroscettica. Una polarizzazione che segue – a grandi linee – i confini geografici del vecchio continente, e vede contrapposti l’Est e l’Ovest. Ne parliamo con Pál Tóth, per il Movimento dei Focolari, consigliere culturale del Comitato d’Orientamento di Insieme per l’Europa, una rete di oltre 300 Comunità e Movimenti cristiani che vuole essere un bozzetto di Europa unita, espressione di una “cultura della reciprocità”:
“Bisogna tenere presente che con l’allargamento dell’Unione si è arrivati abbastanza presto, nei nuovi Stati membri, all’applicazione dell’economia del mercato e del sistema giuridico democratico; ma una sincronizzazione fra le diverse realtà culturali avviene in una maniera molto più lenta. Parlo di “sincronizzazione” e non di semplice recupero o adattamento alle conquiste sociali e politiche dell’Ovest, perché sono convinto che l’Est sia portatore di valori che sono frutto di una sofferenza secolare e quindi di un valore fondamentale. Pensiamo all’amore alla verità del popolo ceco da Jan Hus fino a Vaclav Havel, alle piccole comunità nate nella Chiesa del silenzio che danno testimonianza sul Vangelo vissuto, alla Chiesa popolare della Polonia che riempie le chiese nel tempo della secolarizzazione, alle icone dell’Ortodossia che nell’era dell’immagine e della crisi della parola possono aprire nuovi accessi al mistero cristiano. A mio avviso l’Est non è ancora in grado di esprimere questi valori, e reagisce in maniera impulsiva a fenomeni che ritiene siano di decadenza e declino morale. Qui non si va avanti soltanto con le critiche; serve un cammino di crescita comune, un ‘processo sinodale’ –direi con papa Francesco –con accoglienza, comprensione, parole chiare ma non offensive, decostruzione di pregiudizi, discernimento comunitario”. La vicenda Brexit pone agli Stati dell’UE un interrogativo: le sfide del presente e del futuro si affrontano meglio stando da soli o in una formazione coesa? La trasformazione radicale del mondo in cui viviamo ci pone davanti sfide che non si possono gestire a livello nazionale. Il sociologo tedesco Ulrich Beck parla addirittura di una metamorfosi del mondo, che richiede un ragionamento nettamente diverso da quello precedente. Il cambiamento climatico, le migrazioni, la delinquenza organizzata, i “mali comuni” del capitalismo globale non possono essere affrontati efficacemente a livello nazionale, ma piuttosto con forze politiche integrate. Chiara Lubich e Igino Giordani, fondatrice e cofondatore dei Focolari, hanno avuto chiaro che un’Europa unita doveva farsi promotrice della pace mondiale. Alla luce del carisma dell’unità, cosa vuol dire adottare la fraternità come categoria politica? La democrazia nasce, nella modernità, come un sistema competitivo: distribuzione dei poteri, lotta fra i partiti, freni e contrappesi, la società civile come controllo del potere pubblico. Applicare il principio della fraternità come categoria politica significa costruire istituzioni che mirino alla collaborazione fra tutte le diversità, per realizzare il bene comune. I principi della libertà e dell’uguaglianza sono stati tradotti, negli ultimi due secoli, in categorie giuridiche e politiche. Ora si tratta di lavorare sulla categoria della fraternità, che riassume i valori della reciprocità e della mutua responsabilità. Nello scenario politico, accanto ai partiti come agenti di competizione, potrebbero venire in rilievo le istituzioni della società civile come realizzatori di compiti pubblici. I modelli non mancano e movimenti di rinnovamento spirituale e culturale, come quello dei Focolari, potrebbero avere un ruolo determinante in questo processo. Oggi l’impegno dei Focolari per un’Europa unita si esprime anche nel progetto Insieme per l’Europa. Ilona Tóth, membro del Comitato d’Orientamento di IpE,spiega come nasce l’iniziativa: Alla soglia del Terzo Millennio, fondatori e responsabili di Comunità e Movimenti cristiani (Chiara Lubich, Andrea Riccardi, Helmut Nicklas, Salvatore Martinez e altri) hanno deciso di mettere insieme i propri carismi sulla base dell’amore scambievole al servizio del Continente. Questo per far sì che accanto all’Europa geografica ed economica prenda vigore anche l’Europa dello spirito, fondata sui valori del cristianesimo. Quali risultati ha prodotto finora? Dalla rete di Insieme per l’Europa sta venendo fuori un lievito per un popolo europeo con una sua cultura basata sulla fraternità evangelica. Questi piccoli laboratori, sparsi in Europa, realizzano l’unità nella diversità. Nel proprio ambiente stanno avviando insieme iniziative per la pace, la famiglia, la cura dell’ambiente, per un’economia equa, per la solidarietà ecc., per rispondere così alle sfide di un continente in crisi.
Claudia Di Lorenzi
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Mag 13, 2019 | Cultura
Si è affrontato il tema della salvaguardia dell’Amazzonia, ecosistema fra i più ricchi del pianeta e insieme “foresta di culture”. Guardare l’Amazzonia con gli occhi di chi ci vive, “farsi uno” coi popoli indigeni che la abitano in un rapporto di scambio ed equilibrio perfetto: la terra è madre che dà vita e l’uomo ne ha cura e protegge la ricchezza delle sue creature, essendo esso stesso creatura nel Creato. E’ questo lo sguardo con cui i promotori e i partecipanti alla quarta edizione del Villaggio delle Terra, promosso a Roma dal Movimento dei Focolari con Earth Day Italia, dal 25 al 29 aprile, hanno affrontato il tema della salvaguardia dell’Amazzonia, ecosistema fra i più ricchi del pianeta e insieme “foresta di culture”. Dal parco di Villa Borghese, è stato rinnovato l’appello per la tutela della biodiversità ambientale ed etnico-culturale del “polmone” del pianeta, da troppo tempo sfruttato e depredato da multinazionali e governi che guardano a questa terra come fonte di guadagno. L’attività estrattiva di petrolio, gas e preziosi, e il disboscamento crescente di aree destinate all’agricoltura intensiva o alla costruzione di dighe e infrastrutture – denuncia Francesca Casella, Direttrice di Survivor International Italia – è un “attacco deliberato” che mette a rischio la sopravvivenza dell’ecosistema e delle tribù che lo popolano, sfrattate illegalmente dalle loro terre, private del sostentamento o addirittura sterminate. “Abbiamo fame e sete di giustizia per tutti coloro che sono morti lottando per il nostro popolo e per la nostra vita” ha detto commossa dal palco Hamangaì, studentessa indigena rappresentante del popolo Patax – nello stato brasiliano di B
ahia – chiedendo che “l’umanità si fermi e ascolti i popoli originari”, portatori di una saggezza millenaria. A questo grido hanno risposto le centinaia di organizzazioni, istituzioni e realtà – civili ed ecclesiali – che hanno preso parte all’evento, facendo fronte comune per la tutela della terra amazzonica. Una terra che costituisce un patrimonio ecologico inestimabile, ma che si offre anche come modello per la coesistenza di centinaia di popolazioni con culture, etnie e religioni diverse. Un modello da tutelare, dunque, secondo lo spirito indicato dal Signore a Mosè nella Bibbia: “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai, è suolo santo” (Es 3,5). Un brano biblico che Papa Francesco ha citato nel corso del suo viaggio apostolico in Amazzonia, nel 2016, e che il Card. Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, ha riproposto ai partecipanti al Villaggio, quale modello di relazione nell’incontro con gli indios e la loro terra. Proprio i vescovi del mondo si riuniranno in ottobre per discutere del tema amazzonico, ricercando “Nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”, come recita il titolo del Sinodo voluto dal Papa. La presenza della Chiesa in Amazzonia, ha ricordato il porporato, è in effetti significativa, con “7 Conferenze Episcopali, 106 vescovi e migliaia di sacerdoti e operatori pastorali”. Un’attenzione speciale che nasce dalla consapevolezza che tutto è connesso, come sottolinea il Santo Padre nella Laudato si’, dove invita ad una “conversione ecologica”, ovvero ad assumere l’interdipendenza di tutto il Creato, della natura con l’uomo e fra gli uomini, e dunque a modificare gli stili di vita per superare l’individualismo e adottare come criterio dell’agire la solidarietà globale. In questo senso si legge anche l’opera dei Frati Cappuccini in Terra Santa, presenti in 72 villaggi accanto ai popoli indigeni, impegnati anche nella lotta contro il pregiudizio verso gli indios, visti come popoli arretrati, e che invece molto hanno da insegnare. “Noi siamo schiavi del tempo, mentre stando con loro tu capisci quanto è sacro stare insieme, ascoltarsi” dice Padre Paolo Maria Braghini, missionario cappuccino da 20 anni in Amazzonia, che afferma “San Francesco sarebbe felice di vivere oggi in quella parte del mondo”. Un modello, quello amazzonico, che nella sua biodiversità può e deve essere replicato altrove, adattato però alle singole realtà, come evidenzia Rafael Padilha, docente dell’Università di Vale do Itajaì, in Brasile, che sottolinea anche l’importanza di promuovere un’economia che metta al centro la persona, per esempio attraverso progetti come quelli ispirati all’Economia di Comunione nata dal carisma del Movimento dei Focolari. La sfida, anche nei Paesi cosiddetti sviluppati – aggiunge Padre Laurent Mazas, Direttore esecutivo del Cortile dei Gentili – è passare dalla multiculturalità alla interculturalità, “dal duello al duetto, nel rispetto dei tesori di ogni cultura”. Al termine del talk, nel Viale delle Magnolie di Villa Borghese, come testimonianza dell’impegno comune per la salvaguardia della foresta e dei popoli che la abitano, è stato piantato un leccio utilizzando terra proveniente dall’Amazzonia.
Claudia Di Lorenzi
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Mag 12, 2019 | Centro internazionale
La presidente e il copresidente dei Focolari sono tornati in Libano dove hanno celebrato il cinquantesimo del Movimento con la comunità e diverse personalità civili e religiose. Capita che a volte i grandi percorsi storici si concentrino nella piccola storia di una persona. Così è successo sabato, 11 maggio, durante l’incontro dei membri dei Focolari in Libano, in occasione del cinquantesimo dell’arrivo del Movimento nel Paese dei Cedri. I 450 presenti avevano appena ripercorso alcune delle tappe principali di questi 50 anni, quando uno dei presentatori ha confessato: “Nella guerra dal ‘75 al ‘90 è morto mio fratello ed io sono stato uno di quelli che avevano un’arma in mano. Nel ‘93 ho conosciuto i Focolari e la spiritualità dell’unità ha cambiato la mia vita”. Queste poche parole sono, in realtà, un concentrato di realtà: c’è la ricchezza e bellezza del Libano come porta al Medio Oriente, dove si incontrano tre continenti e si incrociano tre grandi religioni; dicono un paese privilegiato dalla storia, che vive la sfida continua di una convivenza fraterna tra popoli, religioni, confessioni e riti cristiani e infine raccontano una nazione che non si rassegna mai e che trova sempre nuove risorse per ripartire. Questa confessione esprime anche il dramma e i traumi di una guerra che è durata ben 16 anni, le cui origini e radici non sono mai state veramente affrontate. E nella piccola storia di quest’uomo si nasconde il seme gettato dai primi focolarini arrivati nel 1969 a Beirut la cui testimonianza di una vita basata sull’amore è sopravvissuta alla guerra e che oggi si esprime nelle diverse espressioni del Movimento e in tante attività ecclesiali e sociali che si presentano in questo giorno di festa.
Maria Voce e Jesús Morán, presidente e copresidente dei Focolari, venuti per festeggiare con i libanesi, non si accontentano di un giubileo che parta dal passato per arrivare al presente. Nelle loro risposte ad alcune domande sfidando i Focolari libanesi a guardare il futuro: a non stancarsi di annunciare il Vangelo secondo lo stile tipico del carisma dell’unità che, a imitazione di Cristo, si fa uno con tutti. Li incoraggiano a non evitare contrasti e conflitti che possano mettere in discussione anche le proprie categorie culturali, per raggiungere una nuova mentalità evangelica e li spronano a non vivere un ecumenismo superficiale per testimoniare, anche davanti alle autorità ecclesiali, una vera unità nella diversità dei riti e delle confessioni. Insomma, chiedono loro di non farsi sfuggire la profezia insita nel dialogo interreligioso, soprattutto con i musulmani, così come l’ha portata Chiara Lubich. Tutte queste sfide Maria Voce le riassume nel suo saluto dopo la messa di domenica 12 maggio, nella cattedrale della risurrezione
di Antélias nei pressi di Beirut, l’atto ufficiale con il quale si è celebrato il cinquantesimo. La presidente esprime l’augurio “che il Libano possa essere per tutto il mondo quel ‘messaggio’ vivo di coesistenza e fraternità al di là di ogni frammentazione che Papa Giovanni Paolo II già negli anni ‘80 aveva visto come speciale caratteristica del popolo libanese, dove la diversità culturale e spirituale diventa ricchezza esemplare nel cammino di singoli e di popoli. Ripetiamo anche noi col Papa, oggi santo: ‘IlLibano è più di un Paese, è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente e l’Occidente’ ”[1]. I 50 anni dei Focolari in questo Paese dimostrano che la spiritualità dell’unità ha la capacità di mantenere vivo e attuale questo messaggio.
Joachim Schwind
[1]Giovanni Paolo II., Lettera Apostolica a tutti i vescovi della Chiesa cattolica sulla situazione nel Libano, 7 settembre 1989. (altro…)