26 Lug 2021 | Chiara Lubich
Stralcio del discorso di Chiara Lubich tenuto a Lucerna (Svizzera) il 16 maggio 1999, in occasione del 19° Congresso Internazionale per la famiglia. Se osserviamo la situazione internazionale della società che ci circonda, queste nostre brevi riflessioni su cosa è e dovrebbe essere la famiglia, possono apparire ingenua utopia. L’Occidente è pervaso da una cultura individualista, soprattutto attenta a sezionare e promuovere l’uomo e la donna a seconda dei bisogni e dei consumi. […] In un contesto culturale segnato dall’individualismo e dalla ricerca del profitto, la famiglia è diventata molto fragile. E sono soprattutto quelle socialmente marginalizzate che si disgregano»*. […] Davanti al grande mistero del dolore si resta come smarriti. […] C’è nella Bibbia un vertice del dolore, espresso da un «perché» gridato al cielo. Riferisce l’evangelista Matteo, nel racconto della morte di Gesù: «Verso le ore tre, Gesù gridò a gran voce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46). […] In quell’abbandono, segno ultimo e più grande del suo amore, Cristo raggiunge l’estremo annullamento di sé e riapre agli uomini la strada dell’unità con Dio e tra loro. In quel “perché”, rimasto per lui senza risposta, trova risposta ogni grido dell’uomo. Non è simile a lui l’angosciato, il solo, il fallito, il condannato? Non è immagine di lui ogni divisione familiare, tra gruppi, tra popoli? Non è figura di Gesù abbandonato chi perde, per così dire, il senso di Dio e del suo disegno sull’uomo, chi non crede più all’amore e ne accetta qualsiasi surrogato? Non c’è tragedia umana o fallimento familiare che non sia contenuto nella notte dell’Uomo-Dio. […] Attraverso quel vuoto, quel nulla, è rifluita la grazia, la vita, da Dio all’uomo. Cristo ha rifatto unità tra Dio e il creato, ha ricomposto il disegno, ha fatto uomini nuovi e quindi anche nuove famiglie. […] Il grande evento della sofferenza e dell’abbandono dell’Uomo-Dio, può dunque divenire il punto di riferimento e la sorgente segreta capace di trasformare la morte in risurrezione, i limiti in occasioni d’amore, le crisi familiari in tappe di crescita. Come? […] Se crediamo che dietro la trama dell’esistenza c’è Dio con il suo amore, e se, forti di questa fede, scorgiamo nelle piccole e grandi sofferenze quotidiane, nostre e altrui, un’ombra del dolore di Cristo crocifisso e abbandonato, una partecipazione al dolore che ha redento il mondo, è possibile comprendere significato e prospettiva anche delle situazioni più assurde. […] Possiamo accennare a due esperienze emblematiche. Claudette, una giovane sposa francese, è abbandonata dal marito. Ha un bambino di un anno. L’ambiente chiuso della provincia e della sua famiglia la spinge a chiedere il divorzio. Ma intanto conosce una coppia che le parla di Dio, particolarmente vicino a chi soffre: «Gesù ti ama – le dicono – anche lui come te è stato tradito e abbandonato; in lui puoi trovare la forza di amare, di perdonare». Lentamente cede in lei il risentimento e si comporta diversamente. Lui stesso ne è influenzato se, quando si trovano davanti al giudice per la prima udienza, Claudette e Laurent si guardano in modo nuovo. Accettano di ripensarci per sei mesi. Riprendono i contatti tra di loro e allorché il magistrato li richiama per sancire il divorzio, rispondono «no», e ridiscendono le scale del tribunale tenendosi per mano. La nascita di altre due figlie rallegrerà un amore che nel dolore ha messo profonde radici. E ancora. Una bella famiglia proprio della nostra Svizzera, una sera apprende dal figlio stesso la notizia della sua tossico-dipendenza. Tentano di curarlo. Invano. Un giorno non torna più a casa. Sentimenti di colpa, paura, impotenza, vergogna. È l’incontro con Gesù abbandonato, in una tipica piaga della nostra società. Lo abbracciano in questa loro sofferenza e sembra loro di avvertire in cuore: «L’amore vero si fa uno con l’altro, entra nella sua realtà…». I genitori si aprono alla solidarietà verso queste sofferenze. Organizzano un gruppo di famiglie che portano panini e tè ai ragazzi della Platzspitz, che allora era l’inferno della droga di Zurigo. Lì un giorno ritrovano il loro figlio, lacero e sfinito. Con l’aiuto anche di altre famiglie, è stato possibile iniziare e portare a termine il suo lungo cammino di liberazione. […] A volte i traumi si ricompongono, le famiglie si riuniscono; a volte no, le situazioni esterne restano come sono, ma il dolore viene illuminato, l’angoscia prosciugata, la frattura superata; a volte la sofferenza fisica o spirituale permane, ma acquista un senso unendo la propria alla “passione” di Cristo che continua a redimere e a salvare le famiglie e l’intera umanità. E allora il giogo diventa soave. La famiglia può dunque provare a ricomporsi nell’originario splendore del disegno del Creatore, attingendo alla sorgente dell’amore che Cristo ha portato sulla terra.
Chiara Lubich
Da Nuova Umanità, 21 [1999/5], 125, pp. 475-487 * Chiesa locale e famiglia (CLEF), «Agenzia di informazione e documentazione di pastorale familiare», 13 (1995), 49, p. 15. (altro…)
19 Lug 2021 | Chiara Lubich
È un lavoro a due in perfetta comunione, che richiede da noi grande fede nell’amore di Dio per i suoi figli. Questa reciproca confidenza opera miracoli. Si vedrà che, dove noi non siamo arrivati, è veramente arrivato un Altro, che ha fatto immensamente meglio di noi. È grande sapienza trascorrere il tempo che abbiamo vivendo perfettamente la volontà di Dio nel momento presente. A volte, però, ci assalgono pensieri così assillanti, sia riguardo al passato o al futuro, sia riguardo al presente, ma concernenti luoghi o circostanze o persone, cui noi non possiamo direttamente dedicarci, che costa grandissima fatica maneggiare il timone della barca della nostra vita, mantenendo la rotta in ciò che Dio vuole da noi in quel momento presente. Allora, per vivere perfettamente bene, occorre una volontà, una decisione, ma soprattutto, una confidenza in Dio che può raggiungere l’eroismo. «Io non posso far nulla in quel caso, per quella persona cara in pericolo o ammalata, per quella circostanza intricata… Ebbene io farò ciò che Dio vuole da me in quest’attimo: studiare bene, spazzare bene, pregare bene, accudire bene i miei bambini… E Dio penserà a sbrogliare quella matassa, a confortare chi soffre, a risolvere quell’imprevisto». È un lavoro a due in perfetta comunione, che richiede da noi grande fede nell’amore di Dio per i suoi figli. Questa reciproca confidenza opera miracoli. Si vedrà che, dove noi non siamo arrivati, è veramente arrivato un Altro, che ha fatto immensamente meglio di noi. L’atto eroico di confidenza sarà premiato; la nostra vita, limitata ad un solo campo, acquisterà una nuova dimensione; ci sentiremo a contatto con l’infinito, cui aneliamo, e la fede, prendendo nuovo vigore, rafforzerà la carità in noi, l’amore. Non ricorderemo più che significhi la solitudine. Balzerà più evidente, anche perché sperimentata, la realtà che siamo veramente figli di un Dio Padre che tutto può.
Chiara Lubich
(da Ogni momento è un dono, Città Nuova, 2001, pag. 12) (altro…)
12 Lug 2021 | Chiara Lubich
Nel giugno del 1944 Chiara Lubich si trova a Trento da sola dopo che la sua famiglia, in seguito al bombardamento del 13 maggio 1944 che aveva sinistrato la loro casa, era sfollata nelle montagne trentine. Chiara era rimasta in città per seguire le giovani che avevano seguito il suo ideale. Le lettere di quel periodo furono il primo legame nella nascente comunità del Movimento. Sorellina mia nell’Immenso Amore di Dio! Ascolta, ti prego, la voce di questo piccolo cuore! Tu sei stata con me abbagliata dalla luminosità infuocata di un Ideale che tutto supera e tutto riassume: dall’Infinito Amore di Dio! Oh! Sorellina mia: è Lui, Lui il mio e il tuo Dio che ha stabilito fra noi un comune legame forte più della morte, perché mai si corrompe; uno come lo spirito; immenso, infinito, dolcissimo, tenace, immortale come l’Amore di Dio! È l’Amore che ci fa sorelle! È l’Amore che ci ha chiamate all’Amore! È l’Amore che ha parlato profondo nei nostri cuori e ci ha detto così: “Guardati attorno: tutto al mondo trapassa; ogni giornata ha la sua sera, ed è subito qui ogni sera; ogni vita ha il suo tramonto, ed è qui subito anche il tramonto della tua vita! Eppure non disperare: sì, sì, tutto trapassa, perché nulla di quello che vedi e che ami t’è destinato in eterno! Tutto trapassa e lascia solo rimpianto e nuova speranza!». Eppure non disperare: la tua Speranza costante, che oltrepassa i limiti della vita, ti dice: «Sì, c’è quel che tu cerchi: c’è nel tuo cuore un anelito infinito ed immortale; una Speranza che non muore; una fede che rompe le tenebre della morte ed è luce a coloro che credono: non per nulla tu speri, tu credi! Non per nulla!”. Tu speri, tu credi – per Amare. Ecco il tuo futuro, il tuo presente, il tuo passato: tutto è riassunto in questa parola: l’Amore! Sempre hai amato. La vita è una continua ricerca di desideri amorosi che nascono in fondo al cuore! Sempre hai amato! Ma troppo male hai amato! Hai amato quello che muore ed è vano e nel cuore solo la vanità è rimasta. Ama ciò che non muore! Ama Colui che è l’Amore! Ama Colui che nella sera della tua vita guarderà solo il tuo piccolo cuore: sarai sola con Lui in quel momento: terribilmente infelice colui che avrà il cuore pieno di vanità, immensamente felice colui che avrà il cuore ricolmo dell’infinito Amore di Dio! […]
Chiara Lubich
(Chiara Lubich, C’è quel che tu cerchi, giugno 1944, in Lettere dei primi tempi, Città Nuova, 2010, pag. 48-50) (altro…)
5 Lug 2021 | Chiara Lubich
Chiara Lubich sottolinea che se vogliamo essere fedeli al carisma dell’unità, dobbiamo spalancare le porte del cuore a Gesù Abbandonato. Crescere nell’unità su tutti i fronti. Unità: parola chiave per tutti noi, parola sintesi di tutta la nostra spiritualità, conditio sine qua non per mantenere la vita che c’è ed incrementarla. […] L’unità, infatti, non si può concepire senza il dolore, senza il morire. Perché l’unità è un dono, ma è anche frutto del nostro autentico agire cristiano e non c’è espressione vera di vita cristiana senza la croce. Dobbiamo averlo sempre presente. […] Dobbiamo ricordarci sempre che abbiamo dato la vita ad uno solo: a Gesù Abbandonato. Non dobbiamo e non possiamo, quindi, barattarlo né tradirlo mai. Egli ci insegna l’immenso valore del patire proprio in vista dell’unità: è proprio per la sua croce, per il suo abbandono che ha riunito gli uomini a Dio e fra loro. Sta lì, quindi, a dirci che l’unità costa, anche se con Lui, facendo come Lui, si raggiunge. E allora, se vogliamo essere fedeli al carisma dell’unità, che lo Spirito ci ha dato, spalanchiamo ancora una volta le porte del cuore a Gesù Abbandonato e diamogli il posto migliore. […] per sottolineare un aspetto concreto di questo amore, amiamolo nelle difficoltà che comporta proprio l’unità fra noi […]. E ciò significa essere sempre pronti a vederci nuovi; vuol dire avere pazienza; sopportare; saper sorvolare; significa dare fiducia; sperare sempre; credere sempre. Soprattutto: non giudicare. Il giudizio verso gli altri, specie verso i responsabili, è terribile, è il varco attraverso il quale entra il demonio della disunità; con esso ogni bene dell’anima lentamente si dissolve, la vocazione stessa può vacillare. Curiamo dunque quest’amore per gli altri pieno di sfumature dolorose: sono l’aspetto concreto del nostro essere pronti a morire l’uno per l’altro; sono i piccoli o grandi ostacoli da superare con l’amore a Gesù Abbandonato perché l’unità sia sempre piena.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa 25 ottobre 1990) Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 412. (altro…)
28 Giu 2021 | Chiara Lubich
Siamo chiamati tutti ad operare in noi questa conversione ricominciando continuamente ad amare tutti, se ci fossimo fermati; dobbiamo sperimentare questa specie di rinascita, questa pienezza di vita. Occorre cercare perciò, il più possibile, di tradurre in amore verso il prossimo tutte le espressioni della nostra esistenza. Ecco di fronte ai miei occhi la pagina stupenda del giudizio finale: Gesù che verrà per giudicarci e ci dirà: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”*. Leggendo quelle parole sono rimasta colpita come fosse la prima volta che le leggevo. Riscoprivo che Gesù, all’esame finale, non mi avrebbe chiesto questa o quell’altra cosa che pure devo fare, ma avrebbe puntato proprio sull’amore al prossimo. Ho cominciato, come una persona che inizia ora la sua salita a Dio, ad amare tutti, tutti quelli con cui avevo a che fare durante la giornata. E, credetelo, mi sono sentita rinata. Ho avvertito che la mia anima ha soprattutto fame di amore, fame di amare; e che qui, nell’amore verso tutti, trova veramente il suo respiro, il suo alimento, la sua vita. Il fatto è che anche prima cercavo di compiere tanti atti d’amore, ma – ora me ne rendevo conto – alcuni erano più che altro espressione d’una spiritualità troppo individuale, che si alimenta di piccole o meno piccole penitenze, che, nonostante la nostra buona volontà, possono essere occasione per noi, chiamati all’amore, di un certo ripiegamento su noi stessi. Adesso, in questa nuova tensione ad amare tutti, potevo cogliere ancora tanti atti d’amore, ma tutti finalizzati ai fratelli, nei quali vedevo e amavo Gesù. E solo qui era per me la pienezza della gioia. Carissimi, siamo chiamati tutti ad operare continuamente in noi questa conversione; dobbiamo tutti sperimentare questa specie di rinascita, questa pienezza di vita. Occorre cercare perciò, il più possibile, di tradurre in carità verso il prossimo tutte le espressioni della nostra esistenza. È nostro dovere accudire alla casa? Non facciamolo solo per motivi umani, ma perché c’è Gesù nei fratelli da amare, vestendoli, sfamandoli, servendoli. Dobbiamo svolgere qualsiasi altro lavoro? C’è Gesù nei singoli e nelle comunità ai quali portare il nostro contributo. Dobbiamo pregare? Preghiamo sempre per la nostra persona come per le altre, usando quel “noi” che Gesù ci ha insegnato nel “Padre nostro”. Siamo chiamati a soffrire? Offriamo il nostro dolore per i fratelli. È volontà di Dio trattare con qualcuno? Sempre ci sia l’intenzione di ascoltare Lui, di consigliare Lui, di istruire Lui, di consolare Lui… in una parola: di amare Lui. Dobbiamo riposare, mangiare, svagarci? Diamo a tutte queste azioni l’intenzione di volere, con questi atti, riprendere le forze per servire meglio il fratello. Facciamo ogni cosa, insomma, in vista del prossimo. Per questo, anzi perché avvenga in noi tale riconversione, teniamo in mente nei prossimi […] giorni l’impegno: “Rinascere con l’amore»”
Chiara Lubich
*Mt 25, 35. (in una conferenza telefonica, Rocca di Papa 20 marzo 1986) Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 235. (altro…)
21 Giu 2021 | Chiara Lubich
Ogni giorno di fronte ad ogni azione possiamo scoprire quale volto di Gesù Abbandonato amare attraverso di essa. È questo il suggerimento di Chiara Lubich per compiere bene, perfettamente tutto quanto dobbiamo fare. Amare Gesù Abbandonato. È proprio a questo nome, che tocca così tanti aspetti della nostra vita di singoli e di comunità, che vorrei anche oggi accennare. Più precisamente, vorrei dirvi qualcosa su un modo particolare di amare Gesù Abbandonato, porta, via alla nostra santità. […] Dovunque abbiamo la possibilità meravigliosa di amarlo, di sollevarlo, di consolarlo, di porre rimedio a mali concreti, espressioni di Lui. E ciò è una grande grazia. Per questo lavoro siamo sempre in contatto con Lui, con Gesù Abbandonato, e amandolo possiamo costruire la nostra santificazione. Però c’è modo e modo di amarlo. Si può amarlo tanto, si può amarlo poco. E ciò significa: si può con questo amore contribuire ad una nostra grande santità o ad una piccola. […] I santi hanno cercato e cercano, per la gloria di Dio, quell’amore che dà il massimo rendimento. Scriviamo la nostra storia per donare la nostra esperienza? Facciamolo bene, benissimo, ascoltando con grande attenzione la sua voce dentro di noi che getta luce sul nostro passato e presente, quella luce che piace a chi ascolta e che attira. Prestiamo attenzione a quanto quella voce ci suggerisce e a quello che corregge. Facciamo ogni cosa con impegno, con il massimo impegno. Smettiamo di ritoccare il nostro lavoro solo quando quella voce non ha più nulla da dirci. Non strapazziamo mai l’Opera di Dio. Non facciamo mai opere imperfette. Facciamo dunque tutto bene, tutto benissimo. […] Di fronte a qualsiasi opera che intraprendiamo, cerchiamo di scoprire quale volto di Gesù Abbandonato possiamo amare con essa, e lanciamoci a farla perfetta. Opere, dunque, perfette per amore di Gesù Abbandonato e costruire così la nostra santità, la nostra grande santità.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Loppiano 20 febbraio 1986) Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 232. (altro…)