“Voi aspirate, voi lavorate per un mondo unito” (un mondo di pace e fraternità).
“E che cosa fate? Attività, che possono anche apparire piccole e sproporzionate, anche se significative nell’intenzione, di fronte all’obiettivo che vi siete proposti. Forse […] qualcuno di voi potrà pure lavorare direttamente nei vari organismi orientati al mondo unito.
Ma penso che – se tutto ciò sarà utilissimo – non sarà né questo né quello che vi contribuirà in modo decisivo.
Sarà piuttosto offrire al mondo […] un’anima. E quest’anima è l’amore. […]
Oggi occorre ‘essere l’amore’ e cioè sentire con l’altro, vivere l’altro, gli altri e puntare all’unità […] in tutto il pianeta. […]
Costruire, dunque, rapporti di unità” (di solidarietà) “che hanno la loro radice nell’amore.
E dovete vivere questo amore anzitutto fra di voi.
E così arrivare a realizzarlo con molti, […] fra il popolo, fra coloro che ne regolano i destini, nelle istituzioni, nelle organizzazioni piccole e grandi del mondo… Dovunque. Allora sì che le intenzioni di chi le ha messe in piedi, raggiungeranno lo scopo. E si lavorerà veramente per un mondo unito” (un mondo più pacifico).
Chiara Lubich
Questo pensiero è stato letto da Margaret Karram, Presidente del Movimento dei Focolari, durante Collegamento del 28 settembre 2024. Si può vedere facendo click qui.
Il Seminario, alla sua seconda edizione dopo la prima realizzata nel 2017 presso l’Università Federale di Paraiba a Joao Pessoa, ha riunito 15 lavori accademici realizzati da ricercatori di sei università, attorno alla Cattedra Chiara Lubich di Fraternità e Umanesimo presso l’Università Cattolica di Pernambuco (Unicap). Sono stati due giorni di presentazioni e dialogo, introdotti da un caloroso saluto del Vice-Rettore prof. Delmar Araújo Cardoso, e seguiti da una diretta streaming per un’audience complessiva di circa 350 persone.
L’evento, realizzato con il sostegno del Centro Chiara Lubich, si è svolto prevalentemente in lingua portoghese ed è stato apprezzato in modo particolare per l’apertura a una dimensione internazionale; per il consistente e qualificato contributo di relatori; per la prospettiva interdisciplinare che ha riunito, attorno al tema del linguaggio, relazioni non solo nell’ambito della linguistica ma anche del diritto, della pedagogia, della comunicazione, della sociologia, dell’architettura.
Ne emergeva, in estrema sintesi, come un linguaggio ispirato dall’amore, di cui Chiara Lubich ha saputo realizzare un modello efficace, può contribuire a costruire un mondo di pace e fraternità.
Anna Maria Rossi
(1) La Scuola Abbà è un Centro di vita e di studio voluto e fondato da Chiara Lubich nel 1990. E’ composto da membri del Movimento dei Focolari, uniti nel nome di Gesù ed esperti in varie discipline, il cui scopo è l’enucleazione e l’elaborazione della dottrina contenuta nel carisma dell’unità.
Link al II Seminario Linguistico, Filologia e Letteratura:
Sono passati 75 anni dal giorno in cui Chiara Lubich stilò lo scritto “Ho un solo sposo sulla terra”, qui riproposto. Uno scritto destinato a diventare fin dagli inizi un vero e proprio Manifesto programmatico per Chiara e per chi l’avrebbe seguita facendo propria la spiritualità dell’unità.
Il manoscritto autografo, conservato nell’Archivio Chiara Lubich (in AGMF) e vergato su un unico foglio fronte-retro, registra la data di composizione: 20-9-49. Pubblicato per la prima volta nel 1957 in modo non integrale e con alcune varianti sulla rivista “Città Nuova”, è stato poi riproposto in altre pubblicazioni di scritti chiariani, fino ad essere assunto, finalmente in modo integrale e corrispondente al manoscritto originario, in Il grido (Città Nuova, Roma 2000), libro che Chiara Lubich ha voluto scrivere personalmente “come un canto d’amore” dedicato proprio a Gesù Abbandonato.
Il brano nasce come una sorta di pagina di diario, scritta di getto. Considerando la particolare intensità lirica che lo permea, potrebbe essere definito un “inno sacro”. Tale definizione appare opportuna se si tiene conto che il termine “inno” ha origine nel greco hymnos. La parola, pur essendo di etimologia discussa, ha comunque una stretta relazione con l’antico Hymēn, il dio greco del matrimonio in onore del quale si cantava. D’altra parte, la dimensione sponsale in questo componimento è più che mai presente, anche se – e proprio perché – ci muoviamo in un contesto fortemente mistico. È proprio un “canto” d’amore a Gesù Abbandonato.
Il contesto di composizione ci riporta all’estate del 1949, quando Chiara, con le sue prime compagne, e i due primi focolarini, si trova in montagna – nella valle del Primiero, in Trentino-Alto Adige – per un periodo di vacanza. Si unisce alla comitiva, per alcuni giorni, anche Igino Giordani (Foco), che aveva avuto la possibilità di conoscere Chiara in Parlamento poco tempo prima, nel settembre del 1948, ed era rimasto affascinato dal suo Carisma.
Si tratta di un’estate definita da Chiara stessa “luminosa”, dal momento che – ripercorrendone le tappe – non esiterà ad affermare che proprio in quel periodo capisce meglio “molte verità della fede, e in particolare chi era per gli uomini e per il creato Gesù Abbandonato, che tutto aveva ricapitolato in sé”. “L’esperienza è stata così forte – rileva – da farci pensare che la vita sarebbe stata sempre così: luce e Cielo” (Il grido, pp. 55-56). Ma arriva il momento – sollecitato proprio da Foco – di “scendere dalle montagne” per andare incontro all’umanità che soffre, e abbracciare Gesù Abbandonato in ogni espressione di dolore, in ogni “abbandono”. Come Lui. Solo per amore.
Scrive allora: “Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abbandonato”.
Maria Caterina Atzori
20-9-49
Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abbandonato; non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità.
Perciò il suo è mio e null’altro.
E suo è il Dolore universale e quindi mio.
Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita.
Ciò che mi fa male è mio.
Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù). Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno… in una parola: ciò che non è Paradiso. Perché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio. Non ne conosco altri. Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di abandoni, di strazi, di … tutto ciò che è Lui e Lui è il Peccato, l’Inferno.
Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e – per la comunione collo Sposo mio onnipotente – lontani.
Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità.
Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita.
Chiara Lubich Il grido (Città Nuova, Roma 2000, pp. 55-56)
Chiara Lubich ne ebbe un’intuizione nel 1977, quando ricevette a Londra il Premio Templeton per il progresso della religione. Da allora la diffusione mondiale dello spirito dei Focolari ha contribuito ad aprire un dialogo con tutte le principali religioni del mondo. Una strada che neppure Chiara aveva immaginato all’inizio, ma che Dio le ha indicato, le ha svelato nel tempo, attraverso eventi, circostanze, quale strada per raggiungere l’unità. In questo breve stralcio, Chiara, rispondendo a una domanda sul rapporto con le altre religioni, rivela il segreto per costruire la vera fratellanza universale: il cercare ciò che ci unisce nella diversità. La domanda posta a Chiara è letta da Giuseppe Maria Zanghì, uno dei primi focolarini. (Da una risposta di Chiara Lubich all’incontro degli amici musulmani, Castel Gandolfo, 3 novembre 2002)
Giuseppe Maria Zanghì: La domanda è questa: “Vorrei chiedere – o vorremmo chiedere -: come si è trovata, come ti sei trovata tu, Chiara, con il rapporto con le altre religioni, e cosa senti dentro di te?”
Chiara Lubich: Con il rapporto con gli altri fedeli di altre religioni io mi sono sempre trovata benissimo! Perché anche se sono diverse c’è tanto in comune, abbiamo tanto in comune, e questo ci unisce; la diversità invece ci attrae, ci incuriosisce. Per cui, per due motivi sono contenta: perché vengo a conoscere altre cose, mi inculturo nella cultura dell’altro, ma anche perché trovo fratelli uguali, perché crediamo in tante cose uguali. La più importante – ve l’ho già detta l’altra volta – è la famosa “regola d’oro”, è questa frase: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.” Questa frase è presente in tutte le più importanti religioni, nelle loro scritture, nei loro libri sacri. E’ anche nel Vangelo per i cristiani. Questa frase vuol dire – non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te -: tratta bene i tuoi fratelli, abbi tanta stima dei tuoi fratelli, ama i tuoi fratelli. E allora quando loro scoprono questa frase nella loro Scrittura, io scopro la stessa frase nella mia Scrittura, io amo, loro amano, ecco che ci amiamo, e questa è la base per iniziare la fratellanza universale, la prima cosa, la “regola d’oro”. La seconda domanda: “Che cosa senti dentro di te quando incontri un fratello di un’altra religione o una sorella?”. Sento un grande desiderio subito di fraternizzare, di fare unità, di trovarmi in un rapporto fraterno. […]
È una tensione continua perché la nostra natura ama se stessa.
Spesso la cronaca registra sciagure, terremoti, cicloni che fanno vittime, feriti, senza casa. Ma una cosa è esser uno di loro e un’altra cosa è esser noi.
E anche se la provvidenza ci offre qualcosa per correre in loro soccorso, noi non siamo mai i danneggiati.
Domani potrà esser l’inverso: io su un letto (se mi è dato un letto!) di morte e gli altri fuori al sole a godersi, come possono, la vita.
Tutto quanto Cristo ci ha comandato supera la natura.
Ma anche il dono che egli ci ha fatto, quello menzionato alla samaritana, è di natura non umana. Così che l’aggancio col dolore del fratello, con la gioia e con le preoccupazioni dell’altro, è possibile perché abbiamo in noi la carità che è di natura divina.
Con questo amore, e cioè quello cristiano, il fratello può esser veramente confortato e domani io da lui.
E in tal modo è possibile vivere, ché altrimenti la vita umana sarebbe assai dura, difficile, anzi alle volte parrebbe impossibile.
(Da Diario 1964-1980, Chiara Lubich, Città Nuova, 2023)
L’edizione del Diario di Chiara Lubich è stata curata da Fabio Ciardi. Vi invitiamo a vedere l’intervista da noi realizzata al momento della presentazione.
In questi giorni ho visto alla televisione delle giovanissime atlete, per la maggior parte dei paesi dell’Est, che si esibivano in meravigliosi esercizi di ginnastica artistica. Erano magnifiche nei loro ripetuti salti mortali, negli avvitamenti, in ogni mossa. Quale perfezione! Quanta armonia e quanta grazia! Possedevano perfettamente il loro fisico, tanto che gli esercizi più difficili parevano naturali. Sono le prime del mondo.
Più volte, mentre le ammiravo, avvertivo dentro di me un pressante invito (forse dello Spirito Santo). Era come se Qualcuno mi dicesse: Anche tu, anche voi, dovete diventare campioni del mondo. Campioni in che cosa? Nell’amare Dio. Ma sai quanto allenamento è occorso a queste ragazze? Lo sai che, giorno dopo giorno, per ore e ore, ripetono gli stessi esercizi, senza arrendersi mai? Anche tu, anche voi, dovete fare altrettanto. Quando? Nell’attimo presente. Sempre, senza fermarsi mai. E mi nasceva in cuore un grandissimo desiderio di lavorare, momento per momento, per arrivare alla perfezione.
Carissimi, dice san Francesco di Sales che non c’è indole così buona che a forza di ripetuti atti viziosi non possa acquistare il vizio. E allora, si può pensare che non vi è indole così cattiva che a forza di atti virtuosi non possa acquistare la virtù. E quindi: coraggio! Se ci alleniamo, diverremo campioni del mondo nell’amare Dio.
(…)
Quale la Parola detta da Dio al nostro Movimento? Lo sappiamo: Unità. E allora, dobbiamo diventare campioni d’unità con Dio, con la sua volontà nell’attimo presente, e di unità col prossimo, con ogni prossimo che incontriamo durante la giornata.
Alleniamoci senza perdere minuti preziosi. Ci attende, non la medaglia d’oro, ma il Paradiso.