Movimento dei Focolari

La nostra penitenza

Una spiritualità comunitaria conosce anche una “purificazione” comunitaria, come spiega Chiara Lubich nel seguente testo. Come il fratello amato nello stile evangelico, è causa di enorme gioia, così l’assenza di rapporti e di unità con gli altri può causare sofferenza e dolore.     Giacché anche la via comunitaria non è e non può esser solamente tale, ma anche pienamente personale, è esperienza generale che quando ci si trova soli, dopo aver amato i fratelli, si avverte nell’anima l’unione con Dio. […] Per cui si può dire che chi va al fratello […], amando come il Vangelo insegna, si ritrova più Cristo, più uomo. E, poiché si cerca di essere uniti con i fratelli, si ama in modo speciale, oltre il silenzio, la parola, che è mezzo di comunicazione. Si parla per farsi uno con i fratelli. Si parla, nel Movimento, per comunicarsi le proprie esperienze sulla pratica della Parola di vita o sulla propria vita spirituale, consci che il fuoco non comunicato si spegne e che questa comunione d’anima è di grande valore spirituale. San Lorenzo Giustiniani diceva: “(…) Nulla infatti al mondo rende più lode a Dio e più lo rivela degno di lode, quanto l’umile e fraterno scambio di doni spirituali…”[1]. […] E quando non si parla si scrive: si scrivono lettere, articoli, libri, diari perché il Regno di Dio avanzi nei cuori. Si usano tutti i mezzi moderni di comunicazione. […] Anche nel (nostro) Movimento si praticano le mortificazioni indispensabili ad ogni vita cristiana, si fanno le penitenze, specie quelle consigliate dalla Chiesa, ma si ha una stima particolare per quelle che offre la vita d’unità con i fratelli. Essa non è facile per “l’uomo vecchio”, come lo chiama san Paolo[2], sempre pronto a farsi strada dentro di noi. L’unità fraterna poi non si compone una volta per tutte; occorre sempre ricostruirla. E se, quando l’unità esiste, e per essa c’è la presenza di Gesù in mezzo a noi, si sperimenta immensa gioia, quella promessa da Gesù nella sua preghiera per l’unità, quando l’unità vien meno subentrano le ombre e il disorientamento. Si vive in una specie di purgatorio. Ed è questa la penitenza che dobbiamo essere pronti ad affrontare. È qui che deve entrare in azione il nostro amore per Gesù crocifisso e abbandonato, chiave dell’unità; è qui che per amore di Lui, risolvendo prima in noi ogni dolore, si fa ogni sforzo per ricomporre l’unità.

Chiara Lubich

Da: Una spiritualità di comunione. In: Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Milano 2001, pag. 69. [1] S. Lorenzo Giustiniani, Disciplina e perfezione della vita monastica, Roma 1967, p.4. [2] Uomo vecchio: nel senso paolino di uomo prigioniero dal proprio egoismo, cfr. Ef 4,22. (altro…)

Si va a Dio attraverso l’uomo

Le insicurezze nate dalle sfide mondiali come la globalizzazione, il cambiamento climatico e la pandemia del coronavirus sembrano svegliare in tanti un nuovo bisogno di una vita spirituale. Ma una spiritualità per l’oggi – afferma Chiara Lubich nel seguente testo – si caratterizza da una decisa dimensione comunitaria.   Una delle caratteristiche più originali della spiritualità dell’unità risiede nella sua dimensione comunitaria. Si sa come in questi duemila anni dalla venuta di Gesù, la Chiesa abbia visto fiorire nel suo seno, l’una dopo l’altra, e a volte contemporaneamente, le più belle, le più ricche spiritualità, sicché la Sposa di Cristo si è vista adorna delle perle più preziose, dei brillanti più rari che hanno formato e formeranno ancora tanti santi. In tutto questo splendore una nota è sempre stata costante: è soprattutto la persona singola che va a Dio. […] Ma oggi i tempi sono cambiati. In quest’epoca lo Spirito Santo chiama con forza gli uomini a camminare accanto ad altri uomini, anzi ad essere, con tutti quanti lo vogliono, un cuor solo e un’anima sola. E lo Spirito Santo ha spinto il nostro Movimento, fin dai suoi inizi, a fare questa solenne sterzata verso gli uomini. Secondo la spiritualità dell’unità si va a Dio proprio passando per il fratello. “Io-il fratello-Dio”, si dice. Si va a Dio insieme con l’uomo, insieme con i fratelli, anzi si va a Dio attraverso l’uomo. […] È un’era, dunque, la nostra in cui la realtà della comunione viene in piena luce, in cui si cerca, oltre il Regno di Dio nelle singole persone, anche il Regno di Dio in mezzo alle persone. Le spiritualità più propriamente individuali inoltre manifestano in genere delle precise esigenze in coloro che vi sono più impegnati: la solitudine e la fuga dalle creature per raggiungere la mistica unione con la Trinità dentro di sé. Per custodire la solitudine si esige il silenzio. Per tenersi separati dagli uomini si usano il velo e la clausura, oltre ad un particolare abito. Per imitare la passione di Cristo si fanno le più svariate penitenze, a volte durissime, digiuni, veglie. Nella via dell’unità si conosce pure la solitudine e il silenzio, per attuare, ad esempio, l’invito di Gesù a chiudersi nella propria stanza a pregare, e si fuggono gli altri se portano al peccato, ma in genere si accolgono i fratelli, si ama Cristo nel fratello, in ogni fratello, Cristo che può essere vivo in lui o può rinascere anche per l’aiuto che noi gli offriamo. Ci si vuole unire con i fratelli nel nome di Gesù, onde aver garantita la sua presenza in mezzo a noi (cfr. Mt 18,20). Nelle spiritualità individuali si è quindi come in un magnifico giardino (la Chiesa) e si osserva e si ammira soprattutto un fiore: la presenza di Dio dentro di sé. In una spiritualità collettiva si amano e si ammirano tutti i fiori del giardino, ogni presenza di Cristo nelle persone. E la si ama come la propria. […]

Chiara Lubich

Da: Una spiritualità di comunione. In: Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Milano 2001, pag. 69. (altro…)

Il coraggio del perdono

Le restrizioni causate dalla pandemia, in particolare i momenti di lockdown, hanno spesso causato o aumentato tensioni nei rapporti personali. Ci vuole il perdono. Ma il perdono richiede forza, coraggio e allenamento. Spesso le famiglie si sfasciano perché non ci si sa perdonare. Odi antichi mantengono la divisione tra parenti, tra gruppi sociali, tra popoli. A volte c’è addirittura chi insegna a non dimenticare i torti subiti, a coltivare sentimenti di vendetta… Ed un rancore sordo avvelena l’anima e corrode il cuore. Qualcuno pensa che il perdono sia una debolezza. No, è l’espressione di un coraggio estremo, è amore vero, il più autentico perché il più disinteressato. “Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?” – dice Gesù – questo lo sanno fare tutti: “Voi amate i vostri nemici.”[1] Anche a noi viene chiesto di avere, imparando da Lui, un amore di padre, un amore di madre, un amore di misericordia nei confronti di quanti incontriamo nella nostra giornata, specialmente di chi sbaglia. A quanti poi sono chiamati a vivere una spiritualità di comunione, ossia la spiritualità cristiana, il Nuovo Testamento chiede ancora di più: “Perdonatevi scambievolmente”[2]. L’amore reciproco domanda quasi un patto fra noi: essere sempre pronti a perdonarci l’un altro. Solo così potremo contribuire a creare la fraternità universale.

Chiara Lubich

Tratto da: Parola di Vita, Settembre 2002, in: Chiara Lubich, Parole di Vita, pag. 666. Città Nuova Ed., 2017. [1] Cf. Mt 5,42-47. [2] Cf. Col 3,13. (altro…)

La direttissima

I cristiani sanno a quale esame saranno sottoposti alla fine della loro vita. Gesù, infatti, hi rivelato le domande che ci rivolgerà quando ci presenteremo a lui. Sono più attuali che mai – come spiega Chiara Lubich. È urgente trasformare tutti i nostri rapporti coi fratelli, genitori, parenti, colleghi, conoscenti, uomini di tutto il mondo in rapporti cristiani. E, spinti e illuminati dall’amore, dar origine ad opere individuali e sociali, ricordando che, sei un bicchiere d’acqua avrà la ricompensa, un ospedale, una scuola, un orfanotrofio, un istituto di rieducazione e così via, fatti come mezzi per esprimere la nostra carità, ci prepareranno ad un esame finale della vita brillante. Dio infatti ci chiederà: “Avevo fame nel tuo marito, nei tuoi figli, come nelle popolazioni dell’India e tu, vedendo me in essi, mi hai dato da mangiare”. “Avevo sete, ero ignudo nei tuoi piccoli ogni mattina, come nei tuoi fratelli di molte nazioni, in cui le condizioni di vita erano disumane, e tu, vedendo sempre me in tutti, mi hai rivestito con quanto avevi”. “Ero orfano, affamato, malato nel bimbo del tuo quartiere come le popolazioni del Pakistan travolte da cataclismi, e tu hai fatto ogni sforzo per soccorrermi”. “Hai sopportato la suocera o la moglie nervosa, come i tuoi operai minacciosi o il tuo datore di lavoro ancor poco comprensivo, perché sei convinto che una perfetta giustizia sociale non ci sarà se non fiorita da una carità sociale; e questo l’hai fatto perché hai visto me in tutti”. “Hai visitato il parente carcerato, hai pregato e portato un possibile soccorso a coloro che vivono oppressi e violentati nell’intimo dello spirito …”. Allora noi, attoniti, lasceremo uscire dal nostro il labbro una sola parola: grazie. Grazie, mio Dio, di averci aperto in terra una via, la direttissima, la più breve per giungere presto e dritti alla celeste destinazione.

Chiara Lubich

Tratto da: Chiara Lubich, Per un nuovo umanesimo, in: Chiara Lubich, L’essenziale di oggi. Scritti spirituali /2, ed. Città nuova, Roma 21997, p. 139.   (altro…)

Le esigenze dell’amore vero

La pandemia non solo comporta delle gravi conseguenze immediate, ma spesso fa emergere anche tanti problemi pre-esistenti di tipo personale, sociale e politico. Nel seguente testo Chiara Lubich sottolinea il primo passo imprescindibile per chi vuole cambiare veramente il mondo. Ha detto un grande psicologo del nostro tempo: “La nostra civiltà molto raramente cerca d’imparare l’arte di amare e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni nostra energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l ‘arte di amare”[1]. La vera arte di amare emerge tutta dal Vangelo di Cristo. E metterla in pratica è il primo imprescindibile passo da compiere per poter scatenare quella rivoluzione pacifica, ma così incisiva e radicale che cambia ogni cosa. Tocca non solo l’ambito spirituale, ma anche quello umano, rinnovandone ogni espressione culturale, filosofica, politica, economica, educativa, scientifica, ecc. È il segreto di quella rivoluzione che ha permesso ai primi cristiani di invadere il mondo allora conosciuto. […] Quest’amore non è fatto solo di parole o di sentimento, è concreto. Esige che ci si faccia “uno” con gli altri, che “si viva” in certo modo l’altro nelle sue sofferenze, nelle sue gioie, nelle sue necessità, per capirlo e poterlo aiutare efficacemente

Chiara Lubich

  Da: Chiara Lubich, L’arte di amare, Roma, Città Nuova Ed. 52005, p. 23-24. [1] E. Fromm, L’arte di amare, Milano 1971, p.18. (altro…)

Chiara Lubich: La fratellanza universale

L’8 maggio 2004 a Stoccarda, in Germania, Chiara aveva davanti a sé circa 9000 persone nel primo appuntamento di “Insieme per l’Europa”. Un momento storico, in cui ha offerto la chiave per costruire la pace del continente-mosaico che è l’Europa e nel mondo intero: costruire brani di fraternità universale. La fratellanza universale è ed è stata un’aspirazione profondamente umana presente, ad esempio, in grandi anime. Martin Luther King rivelava: “Ho un sogno: che un giorno gli uomini (…) si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli (…); e che la fratellanza (…) diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo.”2 Il Mahatma Gandhi, a proposito di sé, affermava: “La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. (…) Ma, attraverso l’attuazione della libertà dell’India, spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini.”3 La fratellanza universale è stata anche il programma di persone non ispirate da motivi religiosi. Il progetto stesso della Rivoluzione francese aveva per motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”. Ma, se poi numerosi Paesi, nel costruire regimi democratici, sono riusciti a realizzare, almeno in parte, la libertà e l’uguaglianza, non è stato certo così per la fraternità, più annunciata che vissuta. Chi invece ha proclamato la fraternità universale, e ci ha dato il modo di realizzarla, è stato Gesù. Egli, rivelandoci la paternità di Dio, ha abbattuto le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici, e ha sciolto ciascun uomo dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo, in tal modo, un’autentica  rivoluzione, esistenziale, culturale e politica. Molte correnti spirituali, poi, nei secoli, hanno cercato di attuare questa rivoluzione. Una vita veramente fraterna fu, ad esempio, il progetto audace e ostinato di Francesco d’Assisi e dei suoi primi compagni4, la cui vita è un esempio mirabile di fraternità che abbraccia, con tutti gli uomini e le donne, anche il cosmo, con fratello sole e luna e stelle. Lo strumento che Gesù ci ha offerto per realizzare questa fraternità universale è l’amore: un amore grande, un amore nuovo, diverso da quello che abitualmente conosciamo. Egli infatti – Gesù – ha trapiantato in terra il modo di amare del Cielo. Questo amore esige che si ami tutti, non solo quindi i parenti e gli amici; domanda che si ami il simpatico e l’antipatico, il compaesano e lo straniero, l’europeo e l’immigrato, quello della propria Chiesa e quello di un’altra, della propria religione e di una diversa. […] Quest’amore chiede che si ami anche il nemico e che lo si perdoni qualora ci avesse fatto del male. […] Quello di cui parlo è, dunque, un amore che non fa distinzione e prende in considerazione coloro che stanno fisicamente accanto a noi, ma anche quelli di cui parliamo o si parla, coloro ai quali è destinato il lavoro che ci occupa giorno per giorno, coloro di cui veniamo a conoscere qualche notizia sul giornale o alla televisione. Perché così ama Dio Padre, che manda sole e pioggia su tutti i suoi figli: sui buoni, sui cattivi, sui giusti e sugli ingiusti (cf Mt 5,45). Una seconda esigenza di quest’amore è che si ami per primi. L’amore portato da Gesù in terra è infatti disinteressato, non aspetta l’amore dell’altro, ma anzi prende sempre l’iniziativa, come Gesù stesso ha fatto dando la vita per noi quando eravamo ancora peccatori e quindi non amanti. […] L’amore portato da Gesù non è poi un amore platonico, sentimentale, a parole, è un amore concreto, esige che si scenda ai fatti, e ciò è possibile se ci facciamo tutto a tutti: ammalato con chi è ammalato; gioiosi con chi è nella gioia; preoccupati, privi di sicurezza, affamati, poveri con gli altri. E, sentendo in noi ciò che essi provano, agire di conseguenza. […] Quando poi questo amore è vissuto da più persone, esso diventa reciproco ed è quello che Gesù sottolinea più di tutto: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 13, 34); è il comandamento che egli dice suo e “nuovo”. A questo amore reciproco non sono chiamati solo i singoli, ma anche i gruppi, i Movimenti, le città, le regioni e gli Stati. I tempi attuali domandano, infatti, ai discepoli di Gesù di acquistare una coscienza “sociale” del cristianesimo. E’ più che mai urgente e necessario che si ami la patria altrui come la propria: […] Questo amore, che raggiunge la sua perfezione nella  reciprocità, esprime la potenza del cristianesimo perché attira su questa terra la stessa presenza di Gesù fra noi uomini e donne. Non ha forse egli detto: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20)? E non è questa sua promessa una garanzia di fraternità? Se egli, il fratello per eccellenza, è con noi, come potremmo infatti non sentirci fratelli e sorelle gli uni degli altri? […] Che lo Spirito Santo aiuti tutti noi a formare nel mondo, lì dove siamo, brani  di fraternità universale sempre più estesi, vivendo l’amore che Gesù ci ha portato dal Cielo.

Chiara Lubich

2 Cf MARTIN LUTHER KING, Discorso della Vigilia di Natale 1967, Atlanta, cit. in Il fronte della coscienza, Torino 1968. 3 M.K. GANDHI, Antichi come le montagne, Milano 1970, p.162. 4 Cf card. R. Etchegaray, Omelia in occasione del Giubileo della Famiglia francescana, in «L’Osservatore Romano», 12 aprile 2000, p.8. https://vimeo.com/464141004 (altro…)