25 Mag 2020 | Chiara Lubich
Per fare fronte alla pandemia, singoli e associazioni, personale sanitario e comunità scientifiche, Governi e organizzazioni internazionali si stanno muovendo nei più vari modi. L’ingegno e la generosità, spesso anche eroica, non mancano. A tutti questi sforzi conviene aggiungere il contributo decisivo che viene da quella preghiera che è capace di spostare le montagne. (…) Come ogni bambino di questa terra ha fiducia nel proprio padre, crede in lui, a lui si abbandona totalmente, lascia a lui ogni preoccupazione, con lui è sicuro in ogni circostanza anche difficile, anche dolorosa, anche impossibile, così fa e deve fare il «bambino» del Vangelo nei confronti del Padre celeste. Un atteggiamento, il suo, importantissimo sempre, perché siamo spesso sovrastati da circostanze, da avvenimenti, da prove che non possiamo superare con le sole nostre forze e necessitano quindi di interventi superiori. Un bisogno poi tutto particolare di una grande fede nell’amore del Padre, nella sua Provvidenza, lo avvertiamo in questi giorni. (…) Siamo stati e siamo preoccupati; e abbiamo pensato (…) che cosa potevamo fare. La prima risposta che è fiorita in cuore è stata: pregare, unirsi tutti a pregare per scongiurare il flagello. E chi più, chi meno, ha senz’altro cominciato a fare così. (…) Pregare. Ma occorre pregare in modo da ottenere. Come? (…) San Giovanni, nella sua prima lettera, ha questa bellissima e incoraggiante espressione: «Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore in noi è perfetto»[1]. «Il suo amore in noi è perfetto». Ma se il suo amore in noi è perfetto, e finché il suo amore in noi è perfetto, siamo perfetti. La perfezione dell’amore si ha, dunque, nell’attuare l’amore reciproco. In questi giorni (…) abbiamo introdotto [nel Regolamento dei focolarini] una norma che è basilare ed essenziale per loro: il dovere (…) di formulare con gli altri focolarini un patto (…) di essere pronti a morire gli uni per gli altri, come esige il comandamento di Gesù. Ma questa decisione, questo patto non è certamente monopolio dei soli focolarini che vivono in comunità. È legge per tutti i membri della nostra Opera. Essa, attuata, fa sì che l’amore in noi sia perfetto e che noi siamo perfetti nell’amore, e così graditi a Dio, e quindi nelle condizioni di ottenere le grazie che desideriamo, anche quelle necessarie per spostare le montagne. Penso che sarà necessario in questi giorni, se vogliamo lavorare efficacemente al mondo unito, rinnovare fra noi e con quanti più incontriamo, che conoscono il nostro Movimento, una tale disposizione della nostra anima. Dobbiamo naturalmente creare prima le premesse necessarie, suscitare l’atmosfera adatta per poter poi dire all’altro, con coraggio: «Io – con la grazia di Dio – voglio essere pronto a morire per te», e potersi sentir ripetere: «E io per te». Poi dobbiamo agire di conseguenza, attizzando il fuoco dell’amore nei confronti di ogni prossimo. (…) Su questa base, possiamo pregare con la fiducia di ottenere.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Mollens, 13 settembre 1990) Tratto da: “Patto e time out”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 410. Città Nuova Ed., 2019. [1] 1 Gv 4, 12. (altro…)
18 Mag 2020 | Chiara Lubich
Il seguente pensiero di Chiara Lubich sconvolge il nostro modo abituale di leggere gli avvenimenti gioiosi o dolorosi che intessono la trama della nostra vita. Ci invita a fare un vero capovolgimento, a guardare tutto con altri occhi, quelli della fede in Dio, all’amore al quale nulla sfugge. Questa intima convinzione ci riempie di speranza e ci fa agire, di conseguenza, con coraggio. (…) Se amiamo Dio, la vita, la nostra vita, con tutte le sue circostanze, è una divina avventura nella quale non c’è un attimo in cui non ci si debba stupire per qualcosa di nuovo; una divina avventura piena di tesori da scoprire, di cui arricchirci momento per momento, come di tante piastrelle da aggiungere in continuazione al mosaico della nostra santità. [La Scrittura] (…) dice infatti: «Noi sappiamo che tutto concorre al bene per coloro che amano Dio»[1]. Tutto concorre… per quelli che amano Dio. Tutto. Perché nulla – lo dobbiamo credere – avviene a caso. Nessun avvenimento gioioso, indifferente o doloroso, nessun incontro, nessuna situazione di famiglia, di lavoro, di scuola, nessuna condizione di salute fisica o morale è senza senso. Ma ogni cosa: avvenimenti, situazioni, persone, è portatrice d’un messaggio da parte di Dio, che dobbiamo saper leggere e accogliere con tutto il cuore. Tutto concorre al bene per quelli che amano Dio. Il fatto è che egli ha un suo disegno d’amore su ognuno di noi, ci ama di amore personale, e – se crediamo a questo amore e vi corrispondiamo col nostro amore (ecco la condizione!), – porta ogni cosa al compimento del suo disegno su di noi. Basta guardare Gesù. Sappiamo come egli abbia amato il Padre. Ebbene, se si pensa anche solo un attimo a Lui, possiamo osservare come egli abbia realizzato [questa] Parola, durante tutta la sua vita. Nulla è successo a caso per Lui. Tutto ha avuto un significato. Ma si vede questa Parola impersonata in Lui in modo specialissimo soprattutto nell’ultimo tratto della sua esistenza: nulla è successo a caso nella sua passione e morte. Per Lui anche l’abbandono da parte del Padre, estrema prova, ha cooperato al bene perché con il suo superamento ha dato compimento alla sua Opera. Le cause erano magari cieche: quelli che l’hanno sottoposto a patimenti e poi alla morte non sapevano quello che facevano; e non solo nel senso che non conoscevano chi flagellavano e crocifiggevano, ma anche perché non conoscevano di essere autori d’un sacrificio, del sacrificio per eccellenza, che avrebbe fruttato la salvezza dell’umanità. I dolori arrivavano quindi a Gesù senza questa intenzione, ma egli, perché amava il Padre, li ha tradotti tutti in mezzi di redenzione, vedendo anzi in quei terribili momenti l’ora da sempre attesa, il compimento della sua divina terrena avventura. L’esempio di Gesù deve essere di luce per la nostra vita: tutto quanto arriva, quanto succede, quello che ci circonda e anche tutto quanto ci fa soffrire noi dobbiamo saperlo leggere come volontà di Dio che ci ama o una permissione di Lui che ancora ci ama. Allora tutto risulterà più che interessante nella vita; tutto avrà senso; tutto sarà estremamente utile. Coraggio: siamo ancora vivi. Siamo ancora in viaggio. La vita può ancora tradursi in una divina avventura. Il disegno di Dio su di noi può ancora compiersi. Basta amare e tener gli occhi aperti alla sua sempre splendida volontà.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 2 agosto 1984) Tratto da: “La divina avventura”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 159. Città Nuova Ed., 2019. [1] Rm 8, 28. (altro…)
13 Mag 2020 | Chiara Lubich
La mostra dedicata a Chiara Lubich nella sua città natale in Italia si arricchisce di un percorso virtuale multilingue che, attraverso immagini e documenti, permetterà di visitare l’esposizione da ogni parte del mondo. L’apertura sul web il 13 maggio, data significativa per Trento e per la Lubich. “Chiara Lubich Città Mondo”, la mostra allestita presso le Gallerie a Trento, città natale della Fondatrice dei Focolari, si trasforma e arricchisce da oggi con un percorso virtuale. L’esposizione, chiusa per un periodo a causa della pandemia e adesso prorogata fino all’inizio del 2021, e realizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con il Centro Chiara Lubich, si potrà infatti visitare anche via web (http://mostre.legallerietrento.it/chiaralubich). L’allestimento a Trento, che si inserisce negli eventi legati al Centenario della nascita di Chiara Lubich, continua così, con l’ampliamento sul web, ad attuare il motto del centenario: “Celebrare per incontrare”. Il percorso che si snoda tra storia, vita, immagini e colore, offre infatti un’occasione di “incontro” con la Lubich che si allarga adesso oltre la sola sede espositiva delle Gallerie, per offrire l’accesso a visitatori da ogni parte del mondo. Ed anche la data scelta per questo ampliamento sul web non è casuale: il 13 maggio 1944 la storia di Chiara Lubich si intrecciò in modo significativo con quella della sua città. Quel giorno in cui Trento subì il secondo grande bombardamento segnò una svolta anche per il nascente Movimento dei Focolari. Tra le persone sfollate dalla città verso il bosco di Gocciadoro dopo aver avuto la casa sinistrata c’era anche Chiara Lubich. “Ricordo di quella notte – scriverà anni dopo – passata all’addiaccio, sdraiata con gli altri per terra due sole parole: stelle e lacrime. Stelle, perché, lungo le ore, le ho viste tutte passare sopra il mio capo; lacrime, perché piangevo, capendo che non sarei potuta partire da Trento con i miei che tanto amavo. Vedevo ormai nelle mie compagne il movimento nascente: non avrei potuto abbandonarle. E mi sembrò che lo Spirito Santo, per farmi capire la sua volontà, mi suggerisse parole che avevo studiato a scuola: “Omnia vincit amor (1), tutto vince l’amore” (2). La mattina successiva Chiara Lubich comunicò ai genitori la decisione di rimanere a Trento e, di lì, a poco, con le prime compagne, dette vita al primo focolare. E proprio la casetta che ospitò il primo focolare, è una delle tappe del percorso virtuale “Chiara Lubich città mondo” che accompagna il visitatore dalla nascita della fondatrice dei Focolari nel 1920 fino all’attuale espansione mondiale del Movimento. Anche nell’allestimento virtuale è Chiara stessa, attraverso immagini e documenti, a “raccontarsi”: la sua vita di giovane maestra, la consacrazione a Dio il 7 dicembre 1943, lo sviluppo della prima comunità dei Focolari. E poi l’estate del 1949, inizio di un periodo illuminativo per Chiara Lubich dal quale sgorgherà la novità carismatica che darà vita ad una nuova Opera nella Chiesa. La luce ed i colori sono i protagonisti dell’ultima parte del percorso che, attraverso parole e immagini, permette di conoscere esperienze di unità, frammenti di fraternità nati dal Carisma della Lubich che continuano a crescere e svilupparsi nell’oggi della storia per contribuire a realizzare quello che lei considerava il “testamento” di Gesù: “Che tutti siano uno” (Gv 17,21). “Per quella pagina del Vangelo siamo nate – scriveva la Lubich – per portare l’unità nel mondo, l’unità con Dio e l’unità fra tutti i fratelli”.
“Pur consce – spiegava ancora – della divina arditezza del programma che solo Dio poteva attuare, inginocchiate attorno a un altare, abbiamo chiesto a Gesù di realizzare quel suo sogno usando anche di noi se fosse stato nei suoi piani”(3). Un sogno costruito anche in quella notte del 13 maggio 1944 quando, difronte al crollo di tutto, allo smarrimento, all’angoscia di un presente di inaspettata drammaticità, tra stelle e lacrime, aveva scelto di credere che “Omnia vincit amor, tutto vince l’amore”
Anna Lisa Innocenti
(1) Virgilio, Ecloghe, X, 69. (2) Chiara Lubich, Nascita di una spiritualità, in Michele Zanzucchi, Enzo Maria Fondi, Un popolo nato dal Vangelo, San Paolo, 2003, pp. 9-10. (3) Ibid., p. 17. (altro…)
11 Mag 2020 | Chiara Lubich
Il rapporto con la natura è divenuto sempre più centrale nella nostra vita personale e in quella delle organizzazioni e degli Stati, come pure il dovere di custodirla e riparare i danni che le abbiamo recato. La pandemia della quale stiamo ancora soffrendo, se da un lato ha ulteriormente evidenziato questo nostro dovere, dall’altro ha dato paradossalmente un attimo di respiro al creato. La seguente esperienza spirituale di Chiara Lubich ci riporta a Colui che è la radice di ogni cosa: Dio. (…) In un momento di riposo ho visto un documentario sulla natura. (…) A differenza di altre trasmissioni della TV (…) quel lungometraggio ha avuto un grande effetto sulla mia anima. Contemplando l’immensità dell’universo, la straordinaria bellezza della natura, la sua potenza, sono risalita spontaneamente al Creatore del tutto e ho avuto come una nuova comprensione dell’immensità di Dio. L’impressione è stata così forte e così nuova che mi sarei gettata subito in ginocchio ad adorare, a lodare, a glorificare Dio. Ho sentito un bisogno di far ciò, come se questa fosse la mia attuale vocazione. E, quasi mi si aprissero ora gli occhi, ho compreso come non mai prima, chi è colui che abbiamo scelto come ideale, o meglio colui che ha scelto noi. L’ho visto così grande, così grande, così grande che mi sembrava impossibile avesse pensato a noi. E questa impressione della sua immensità mi è rimasta in cuore per alcuni giorni. Ora il pregare così: «Sia santificato il tuo nome» o «Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo» è un’altra cosa per me: è una necessità del cuore. (…) Noi siamo in cammino. E, quando uno viaggia, già pensa all’ambiente che l’accoglierà all’arrivo, al paesaggio, alla città, già si prepara. Così dobbiamo fare anche noi. Lassù si loderà Dio? Lodiamolo allora fin da questo momento. Lasciamo che il nostro cuore gli gridi tutto il nostro amore, lo proclami, insieme con gli angeli, con i santi (…): «Santo, Santo, Santo». Esprimiamogli la nostra lode con la bocca e con il cuore. Approfittiamone per ravvivare certe nostre quotidiane preghiere che hanno questa finalità. E diamogli gloria anche con tutto il nostro essere. Sappiamo che più annientiamo noi stessi (sul modello di Gesù Abbandonato che s’è ridotto a nulla), più gridiamo con la nostra vita che Dio è tutto e quindi lo si loda, lo si glorifica, lo si adora. Ma, così facendo, muore anche l’«uomo vecchio» in noi e sulla sua morte vive l’«uomo nuovo», la nuova creatura. Cerchiamo tanti momenti durante la giornata per adorare Dio, per lodarlo. Facciamolo durante la meditazione, o in qualche [momento di preghiera]. (…) Lodiamolo al di là della natura o nel profondo del nostro cuore. Soprattutto, viviamo morti a noi stessi e vivi alla volontà di Dio, all’amore verso i fratelli. Siamo anche noi, come diceva Elisabetta della Trinità, una «lode della sua gloria»[1]. Anticiperemo così un po’ di Paradiso, e Dio sarà ripagato dell’indifferenza di innumerevoli cuori che oggi vivono nel mondo.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 22 gennaio 1987) Tratto da: “L’immensità di Dio”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 271. Città Nuova Ed., 2019. [1] Cf., per esempio, Lettera dell’8 ottobre [1905], in Elisabetta della Trinità, Scritti, Postulazione generale dei Carmelitani scalzi, Roma 1967, p. 380. (altro…)
4 Mag 2020 | Chiara Lubich
Il seguente scritto di Chiara Lubich ci conduce al cuore della fede cristiana. “Abbiamo creduto all’amore di Dio — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita”[1]. È una scelta che in questi tempi si rivela assai ardita, ma non per questo meno vera. Questa volta parleremo ancora di preghiera: è il respiro della nostra anima, l’ossigeno di tutta la nostra vita spirituale, l’espressione del nostro amore a Dio, il carburante di ogni nostra attività. Ma di quale preghiera tratteremo? Di quella che – con le infinite e divine ricchezze che contiene – è tutta racchiusa in una parola, in una sola parola, che Gesù ci ha insegnato e lo Spirito ha messo sulle nostre labbra. Ma veniamo alla sua genesi. Gesù pregava, pregava il Padre suo. Per lui il Padre era «Abbà» e cioè il babbo, il papà, cui egli si rivolgeva con accenti di infinita confidenza e di sterminato amore. Lo pregava essendo nel seno della Trinità, dove egli è la seconda divina Persona. È stato proprio anche per questa sua particolarissima preghiera che ha rivelato al mondo chi egli realmente era: il Figlio di Dio. Ma, giacché era venuto in terra per noi, non gli è bastato essere lui in questa condizione privilegiata di preghiera. Morendo per noi, redimendoci, ci ha fatti figli di Dio, fratelli suoi, e ha dato anche a noi, tramite lo Spirito Santo, la possibilità d’essere introdotti nel seno della Trinità, in lui, assieme a lui, per mezzo di lui. Cosicché anche a noi è stata resa possibile quella sua divina invocazione: «Abbà, Padre!»[2]: «Papà, babbo mio!», nostro – con tutto ciò che essa comporta: certezza della sua protezione, sicurezza, cieco abbandono al suo amore, consolazioni divine, forza, ardore; ardore che nasce in cuore a chi è certo di essere amato… È questa la preghiera cristiana, una preghiera straordinaria. Non si riscontra in altri luoghi, né in altre religioni. Al più, se si crede in una divinità, la si venera, la si adora, la si supplica stando, per così dire, all’esterno di essa. Qui no, qui si entra nel Cuore di Dio. E allora? Allora ricordiamoci anzitutto della vertiginosa altezza a cui siamo chiamati come figli di Dio e, di conseguenza, dell’eccezionale nostra possibilità di pregare. Naturalmente, si può dire «Abbà, Padre!», con tutto il significato che questa parola comporta, solo se lo Spirito Santo la pronuncia in noi. E, perché ciò sia, occorre essere Gesù, null’altro che Gesù. Il modo? Lo sappiamo: egli già vive in noi per la grazia. Ma occorre fare la parte nostra. Essa consiste nell’amare, nell’essere nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Con più pienezza poi lo Spirito la porrà sulle nostre labbra se saremo in perfetta unità coi nostri fratelli, dove Gesù è fra noi. «Abbà, Padre!», sia la nostra preghiera. (…) Per essa corrisponderemo in pieno alla nostra chiamata a credere all’amore, alla fede nell’amore che sta alla radice del nostro carisma. Sì, l’Amore, il Padre ci ama. È il nostro papà: di che possiamo temere? E come non vedere nel disegno d’amore che egli ha su ciascuno di noi, e che ci si rivela giorno dopo giorno, la più straordinaria avventura a cui potevamo essere chiamati? «Abbà» è la tipica preghiera del cristiano. E in modo speciale di noi focolarini. Se siamo dunque sicuri che stiamo vivendo il nostro Ideale, se siamo cioè nell’amore, rivolgiamoci al Padre così, come faceva Gesù. Le conseguenze? Le sentiremo nel nostro cuore.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 9 marzo 1989) Tratto da: “Abbà, Padre!”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 355. Città Nuova Ed., Roma 2019. [1] Benedetto XVI, Deus Caritas est, 1. [2] Mc 14,36; Rm 8,15. (altro…)
27 Apr 2020 | Chiara Lubich
Nella sua omelia del Venerdì Santo 2020 nella Basilica di San Pietro (Roma) il padre cappuccino, Raniero Cantalamessa, ha detto che “ci sono cose che Dio ha deciso di accordarci come frutto insieme della sua grazia e della nostra preghiera”. Il seguente scritto di Chiara Lubich è un invito a collaborare con Dio chiedendo grazie e mettendoci nelle migliori condizioni per ottenerle. «Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono»[1] (…). Gesù con questa Parola ci ha detto chiaramente che non c’è comunione con Dio, culto vero, preghiera autentica, senza la riconciliazione con i fratelli. Speriamo, dunque, che tale discorso sia entrato profondamente in tutti i nostri cuori. Ed è per questa speranza che vorrei ora parlarvi proprio della preghiera che, su queste basi, è senz’altro accetta a Dio. Vorrei parlarvi in particolare della preghiera di domanda, di richiesta d’aiuto e di grazie. Ho l’impressione, infatti, che qualcuno possa non sottolinearla abbastanza. Perché? Anche per un motivo assai nobile: essendoci accostati in maniera più profonda alla nostra fede, essendo diventati, in pratica, più religiosi, si è capito che la religione non consiste solamente nell’andare in chiesa a chiedere e chiedere, ma nell’amare Dio e quindi nel donare. E si impegna la propria vita ad attuare tutti quei principi che anche la nostra spiritualità evangelica suggerisce, per fare – come si dice – la nostra parte. È certamente questo un ragionamento più che valido. Tuttavia c’è da fare una considerazione: amare Dio implica osservare tutti i suoi comandamenti. Ebbene, un comandamento che Gesù ripete con insistenza è proprio quello di domandare: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto»[2]. Che dobbiamo fare allora? Chiedere di più e meglio perché Egli vuole così. E anche in questa maniera manifesteremo il nostro amore a Lui. (…) Certamente si prega e ciò vuol dire che non si poggia unicamente sulle proprie forze. Tuttavia possiamo migliorare in due direzioni. In primo luogo, non moltiplicando le preghiere, ma nel renderci meglio conto di ciò che già chiediamo. Riflettiamo un po’ e vedremo quante grazie si chiedono nelle preghiere [che già facciamo]. (…) In secondo luogo, potremo migliorare pregando, come dicono i santi, in modo da ottenere. Si ottiene, se si chiede con la coscienza che nulla possiamo fare da noi e quindi con l’umiltà, con la convinzione che tutto invece possiamo fare con Dio e quindi con la confidenza in Lui; e se si prega con perseveranza: chiedendo sempre con amorosa insistenza come Gesù desidera. Insomma è necessario mettere a fuoco sempre più queste domande, che già facciamo, ed esporle sempre meglio e in modo proporzionato allo sforzo che mettiamo nel vivere il nostro Ideale. Così tutto risulterà più fecondo. E preghiamo finché siamo in tempo. Ricordo sempre quello che ha raccomandato la mamma d’una delle prime focolarine prima di morire: pregate durante la vita perché alla fine non c’è più possibilità.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 16 febbraio 1984) Tratto da: “È amore anche domandare”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 145. Città Nuova Ed., Roma 2019. [1] Mt 5,23-24. [2] Mt 7,7. (altro…)