Movimento dei Focolari
Farsi benedizione gli uni per gli altri

Farsi benedizione gli uni per gli altri

Come un grande canto di lode a Dio e con l’anima in festa, si è aperto e si è chiuso il Convegno internazionale del Rinnovamento Carismatico Cattolico, indetto “per interrogarsi sulla sfida della maturità e farsi benedizione gli uni per gli altri”, svoltosi dal 18 settembre presso il Centro Mariapoli a Castel Gandolfo. Sono venuti in più di mille da 72 Paesi di tutto il mondo, per partecipare con il tipico entusiasmo carismatico a questo evento.

Sulla sfida impegnativa della santità per il Rinnovamento Carismatico, alla luce della Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II, “Novo millennio ineunte”, ha parlato il padre Raniero Cantalamessa, che ha guidato il ritiro spirituale. Il predicatore della Casa Pontificia ha pure risposto ad una serie di domande sul rapporto tra fedeltà allo Spirito e istituzione, sottolineando anche il profondo cambiamento che il Rinnovamento Carismatico continua a produrre nella vita di tante persone: Vedo gli stessi effetti in tantissime persone, con un cambiamento radicale che naturalmente suppone poi di essere coltivato attraverso i Sacramenti e il Magistero, per poter arrivare alla perfezione della vita cristiana. Ho visto gente trasformata, abbiamo sentito qui la testimonianza di una coppia: venivano entrambi da una vita disperata, rotta, perduta, e adesso è un matrimonio santo, in cui risplende proprio la santità che ci ha incantato tutti quanti. Le stesse cose nei sacerdoti, negli sposati e non si può negare che questo sia l’opera dello Spirito Santo. Il mio desiderio per tutti noi è che questa grazia sia condivisa da tutti, che la Chiesa non guardi al Rinnovamento Carismatico come un’isola di alcune persone particolarmente prone all’emozionalismo, ma che vedano che questa è la norma della vita cristiana. Gesù ha concepito la sua vita, la vita che ci ha dato sulla Croce, per essere vissuta nello Spirito. “Dodici giorni di benedizioni” era il tema promettente dell’incontro, in un clima di profonda comunione spirituale, ad esprimere quasi palpabilmente che, in Cristo Signore e Salvatore, l’Amore si è fatto carne in mezzo a noi. E’ la benedizione più grande quella che si incarna nella “spiritualità di comunione”, tanto incoraggiata dal Papa e testimoniata anche da Chiara Lubich, ospite del convegno carismatico. Una testimonianza dell’amore che si fa aiuto per i poveri l’ha recata il prof. Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio. da Radiogiornale Radiovaticana, 26 settembre 2003 (altro…)

Vivere la speranza nella società globale del rischio

Vivere la speranza nella società globale del rischio

Ogni anno le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, organismo dell’associazionismo cattolico italiano, impegnato nel sociale, organizzano un convegno nazionale per approfondire le sfide culturali, economiche e politiche del mondo attuale e preparare una risposta specifica per i cattolici. L’appuntamento di quest’anno: “Vivere la speranza nella società globale del rischio”, ha raccolto ad Orvieto, dal 5 al 7 di questo mese, 400 esponenti del mondo della cultura e della politica internazionale. Il presidente Luigi Bobba ha invitato Chiara Lubich: “Pensando alla speranza, non poteva non venirmi in mente una donna che incarna questa virtù della speranza.” Il video con il suo messaggio registrato ha aperto la sessione dedicata alla sfida multiculturale. “Il paradigma dell’unità – ha detto Chiara tra l’altro – se attuato, appare un’enorme risorsa per la globalizzazione oggi in atto, poiché contiene in sé il germe di ogni forma di integrazione tra i popoli e il metodo per raggiungerla: l’amore scambievole. (…) Ne conseguirà l’esigenza di porre a disposizione di tutti i popoli i beni della creazione quali doni di Dio, e superare così il sottosviluppo di alcuni e l’ipersviluppo di altri: è l’idea della ’comunione’, della fraternità universale in atto.”

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Vivere la speranza nella società globale del rischio

Vivere la speranza nella società globale del rischio

Carissimo Presidente Bobba, carissimi amici delle ACLI,

in questi giorni avete riflettuto sulla globalizzazione e sui suoi rischi, ma in particolare vi siete posti la domanda su quale possa essere lo specifico contributo di noi cristiani in questo tempo, quale sia la speranza che possiamo donare agli altri uomini, nostri fratelli. E’ stato chiesto anche a me di dirvi qualcosa su questo tema e sono qui a portarvi la mia testimonianza. Per poterlo fare, dovrò parlarvi di quel dono dello Spirito che è la “spiritualità dell’unità”, dato per l’oggi a me e poi a tanti altri. Essa è una spiritualità che, ovunque sia messa in pratica, suscita e promuove un nuovo stile di vita, personale e comunitario insieme, e coincide in pratica con la “spiritualità di comunione” proposta dal Santo Padre nella Novo millennio ineunte a tutta la Chiesa perché sia vissuta. Il mondo nel quale viviamo – nonostante le fortissime tensioni a cui tuttora è soggetto – tende all’unità, ad un’unità globale, universale. Nessuno, grazie ai media, è più estraneo all’altro e quindi tutti alla stessa maniera chiedono di essere soggetti della loro storia. I nostri interessi, a Nord e a Sud, sono intrecciati in una interdipendenza che non è più una scelta, ma che, se non governata, rischia solo di aumentare le differenze. Molti problemi interessano ormai l’umanità nel suo insieme, e richiedono quindi categorie di lettura e modelli di risposta globali. Il mondo va innegabilmente verso il villaggio globale. E’ per questo che oggi, in questo contesto, non basta più un cristianesimo individuale fatto di coerenza e ascesi personale: testimonianza questa non più sufficiente. Occorre andare al cuore del messaggio che Gesù ci ha lasciato, al cuore del Vangelo, al comandamento che Gesù dice suo e nuovo: il comandamento dell’amore reciproco (Gv 13,34) che impegna più di una persona. Esso, vissuto da molti, genera la fraternità universale. Categoria questa che, pur non assente dalla mente di qualche spirito forte, è stato il dono essenziale fatto all’umanità da Gesù, che prima di morire ha pregato: “Padre (…) che tutti siano uno” (Gv 17,21), rivelando così, con la paternità di Dio, l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana”. Noi, membri del Movimento dei Focolari, quando sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, a Trento, abbiamo letto nel Vangelo questa pagina del testamento di Gesù, abbiamo capito, per la prima volta, non solo che per la realizzazione di essa eravamo nati, ma che dovevamo cominciare da noi ad amarci fino a consumarci in uno e nell’uno ritrovare la distinzione. Altri e altre poi ci hanno seguito e l’amore reciproco creava un circolo virtuoso che ristabiliva la fiducia, riapriva la speranza, ricomponeva legami personali e civili lacerati. E nell’assenza di leggi causata dalla guerra, siamo ripartiti dall’amore: la legge delle leggi, valore supremo, principio e sintesi di tutti i valori. Ricordo ancora – a conferma – un ragionamento che si faceva allora: quando un emigrante si trasferisce in un Paese lontano, s’adatta certamente all’ambiente che trova, ma continua spesso a parlare la sua lingua, a vestire secondo la moda del suo Paese, a costruire edifici simili a quelli della madre patria. Così, quando il Verbo di Dio si è fatto uomo, si è adattato al modo di vivere del mondo, ed è stato bambino e figlio esemplare e uomo e lavoratore; ma ha portato quaggiù il modo di vivere della sua Patria celeste, ed ha voluto che uomini e cose si ricomponessero in un ordine nuovo, secondo la legge del Cielo: l’amore. E, con la grazia di Dio, nonostante la nostra piccolezza, facendo anche noi così, ci siamo accorti che Egli aveva veramente portato in terra il modo di vivere del Cielo. Ma ciò è stato possibile perché, per il carisma che lo Spirito ci aveva dato, abbiamo potuto comprendere quel “come” del comandamento di Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi”. Quel “come” era stato espresso compiutamente da Gesù crocifisso che, dopo aver visto i discepoli dileguarsi, dopo essersi privato della Madre, mentre stava perdendo persino la vita, al culmine del suo immenso dolore, si era sentito separato, abbandonato dal Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 24,46). E aveva sofferto tutto ciò per poter riunire il genere umano al Padre, da cui era staccato per il peccato, e per riunire gli uomini fra loro. Gesù, in croce e nel suo abbandono, aveva dato veramente tutto, si era completamente annullato. E tutto ciò per amore nostro. Quella era la misura del suo amore. Misura che dovremmo imparare ad avere anche noi di fronte ai nostri fratelli: “Amatevi (…) come io vi ho amato”: essere cioè completamente vuoti di noi per accogliere i dolori e le gioie degli altri. Questo è l’amore che ci è richiesto da Dio che è amore. L’amore, infatti, non è un attributo di Dio, è il suo stesso Essere, di Lui uno e trino. Il Padre, uscendo del tutto, per così dire, da sé, si fa in certo modo “non essere” per amore, e genera il Figlio; ma è proprio così che è Padre. Il Figlio, a sua volta, quale eco del Padre, torna per amore al Padre, si fa anch’Egli in certo modo “non essere” per amore, e proprio così è, Figlio; lo Spirito Santo, che è il reciproco amore tra il Padre e il Figlio, il loro vincolo d’unità, si fa, anch’Egli in certo modo “non essere” per amore, quel non essere, quel “vuoto d’amore”, in cui Padre e Figlio si incontrano e sono uno: ma proprio così è, Spirito Santo. Sono tre le Persone della Trinità, eppure sono Uno perché l’Amore non è ed è nel medesimo tempo, in un eterno donarsi. E’ questo il dinamismo della vita intratrinitaria, che si manifesta come incondizionato reciproco dono di sé, mutuo annullamento amoroso, totale ed eterna comunione. Analoga realtà è stata impressa da Dio nel rapporto tra gli uomini: lo abbiamo avvertito da quando Dio ci ha donato la sua luce. Ho sentito anch’io stessa, anni addietro, d’essere stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono a me, come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio e il Figlio è tutto per il Padre. E per questo anche il rapporto tra noi può essere lo Spirito Santo, lo stesso rapporto che c’è tra le Persone della Trinità. E’ la vita della Trinità che possiamo imitare, amandoci fra di noi. Allora quella vita non sarà più vissuta soltanto nell’interiorità della singola persona, ma diventerà liberamente vita dell’intera famiglia umana. La nostra esperienza di decenni ci dice che il mettere questa logica a base della vita personale e sociale, porta un notevole rinnovamento nei più vari ambiti del vivere umano. Il Concilio Vaticano infatti insegna che il comandamento nuovo della carità non è soltanto “la legge fondamentale dell’umana perfezione”, ma anche “della trasformazione del mondo” . E ciò si è verificato da noi in parecchi campi: quello politico, economico, culturale, artistico, della medicina, dell’educazione, delle comunicazioni sociali, ecc. E’ sempre stata nostra convinzione che, se il rapporto fra i cristiani è il mutuo amore, il rapporto fra i popoli cristiani non può non essere anch’esso il mutuo amore. Il Vangelo, infatti, chiama ogni popolo ad oltrepassare il proprio confine e a guardare al di là. Anzi spinge ad amare la patria altrui come la propria. I politici che fanno propria la spiritualità dell’unità vivono per questo, e cercano anche di praticare l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché sono convinti che il bene del loro Paese ha bisogno dell’opera di tutti. Inoltre, essi intravedono nell’amore reciproco vissuto tra l’eletto, fin da quando è candidato, e i cittadini del proprio territorio, la strada per superare la separazione tra società e politica. E’ in questa reciprocità, infatti, che si può costruire il bene della comunità, perché alla politica vissuta dai governanti come servizio di verità e di amore, deve corrispondere da parte dei cittadini una loro sempre più piena partecipazione alla “cosa pubblica”. Per quanto riguarda l’economia, nel Movimento, sin dall’inizio, l’amore che circola tra i membri, per la legge di comunione che vi è insita, ha portato, direi naturalmente, a rendere comuni i beni dello spirito e i beni materiali. E ciò è sempre stato una testimonianza fattiva e visibile d’un amore unitivo, il vero amore, quello della Trinità. Ma nel 1991 è nato un nuovo progetto: l’Economia di Comunione. Esso intende far sorgere delle aziende affidate a persone competenti in grado di farle funzionare con efficienza e ricavarne degli utili. Questi vanno messi in comune, usati in parte per aiutare i poveri onde dar loro da vivere finché abbiano trovato un posto di lavoro; in parte per sviluppare strutture di formazione per persone animate dall’amore e capaci così di realizzare un’economia che sia comunione; in parte, infine, per incrementare le aziende stesse. Nella visione “trinitaria” dei rapporti interpersonali e sociali, che deriva dalla spiritualità dell’unità e che sta alla base dell’Economia di Comunione, alcuni economisti intravedono una nuova chiave di lettura del fatto e della teoria economici, chiave di lettura che potrebbe arricchire anche la comprensione delle interazioni economiche, e quindi contribuire a superare l’impostazione individualistica oggi ancora prevalente nella scienza economica. Ma la stessa luce può illuminare, come dicevo, tutti gli altri campi del vivere umano: la scuola, l’arte, la sanità, i mass-media… La nostra esperienza ci dice che in un clima d’amore scambievole, si gode di una luce che guida alla verità sempre più piena, dà capacità di novità, e informa un dialogo con tutti, rispettoso della diversità. E tutto questo è destinato a diventare patrimonio della famiglia umana. Il paradigma dell’unità, se attuato, appare un’enorme risorsa per la globalizzazione oggi in atto, perché contiene in sé il germe di ogni forma di integrazione tra i popoli e il metodo per raggiungerla: l’amore scambievole. La conseguenza è il rifiuto di discriminazioni, di guerre, di controversie, di nazionalismi, di rivendicazioni di interessi nazionali. Ne conseguirà l’esigenza di porre a disposizione di tutti i popoli i beni della creazione quali doni di Dio, e superare così il sottosviluppo di alcuni e l’ipersviluppo di altri: è l’idea della “comunione”, della fraternità universale in atto. L’unità immessa nella famiglia umana porta a compimento il disegno di Dio su di essa: essere una cosa sola. In tal modo le diversità di popoli, di razze, di appartenenze, non vengono annullate, ma armonizzate in reciprocità. Che il Signore ci dia, alla luce della sua preghiera per l’unità (Gv 17), di concorrere a realizzare la fraternità dove e come possiamo. Potremo così essere per l’umanità, accanto a tutti gli uomini di buona volontà, quel contributo che solo può generare futuro. (altro…)

Vivere la speranza nella società globale del rischio

Nuovo slancio al cammino di comunione

L’Assemblea nazionale straordinaria dell’Azione Cattolica Italiana, con 837 delegati, da 214 diocesi, ha rappresentato una svolta verso una maggiore comunione e una rinnovata spinta missionaria, mantenendo sempre il carattere diocesano della sua attività e della sua struttura. Sono queste le linee tratteggiate nel nuovo Statuto, approvato dall’Assemblea. Il Papa, nel suo messaggio, ha sottolineato che “La Chiesa ha bisogno di voi, ha bisogno di laici che nell’Azione Cattolica hanno incontrato una scuola di santità, in cui hanno imparato a vivere la radicalità del Vangelo nella normalità quotidiana”. La presidente nazionale, Paola Bignardi, in un’intervista a “Città Nuova”, ha specificato tra l’altro che il rapporto con i Movimenti e le Comunità ecclesiali necessita di un rinnovamento, in modo che non solo si “viva in pace gli uni con gli altri, ma si sappia trovare la strada per vivere gli uni per gli altri, gli uni con gli altri.” Perciò Paola Bignardi e l’assistente generale, il vescovo Francesco Lambiasi, hanno invitato Chiara Lubich e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, a dare un saluto all’Assemblea. Chiara, invitata al tavolo della presidenza, ha iniziato: “Conosco l’Azione Cattolica per aver trascorso buona parte della mia giovinezza fra le sue fila. Anni speciali quelli per l’Associazione, che godeva ancora della presenza di Armida Barelli e delle sue compagne. Anni gioiosi per me, per aver partecipato a tanti incontri a Trento, la mia città, e a convegni per la gioventù studentesca, dove ho ricevuto una solida formazione cristiana di base.” Chiara ha poi voluto ripercorrere le tappe della comunione fra Movimenti e Nuove Comunità iniziata a Pentecoste ’98, chiedendosi infine: “Sarà questo il momento per dar inizio a ciò che il santo Padre vuole dall’Azione Cattolica, dal Movimento dei Focolari e dagli altri Movimenti? A nome del Movimento dei Focolari, che rappresento, posso dire che noi siamo a disposizione. Lo Spirito Santo indichi il tempo ed il modo a voi, fratelli e sorelle carissimi.” Le parole di adesione della presidente e l’ applauso dell’assemblea hanno dato subito una risposta positiva. Andrea Riccardi ha poi parlato del “debito che abbiamo verso questo grande laboratorio cristiano che è l’Azione Cattolica”, auspicando una “comunione più profonda, vissuta nella coscienza della missione di oggi.” Salutando gli ospiti, Paola Bignardi ha detto: “Grazie per l’amicizia che ci avete portato in questa nuova stagione di comunione e di dialogo, che non è mortificazione delle differenze, ma anzi arricchimento delle nostre ricchezze.”

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Intervento di Chiara Lubich

Signori Vescovi, Dott.ssa Paola Bignardi, Presidente dell’Azione Cattolica italiana, Eccellenza, mons. Francesco Lambiasi, Assistente generale, Signori e Signore, fratelli e sorelle, ringrazio anzitutto la Presidente e l’Assistente generale dell’invito rivoltomi il 2 luglio scorso a partecipare alla presente loro Assemblea nazionale straordinaria, per un breve intervento, invito che ho accettato con gioia. Sperando di far cosa gradita, vorrei cogliere quest’occasione per dire qualche parola sul rapporto che vi è o vi potrebbe essere fra le realtà ecclesiali (Associazioni, Movimenti, Nuove Comunità) oggi presenti nella Chiesa, secondo la mia esperienza. Dovrò quindi partire da lontano. Conosco l’Azione Cattolica per aver trascorso buona parte della mia giovinezza fra le sue fila. Anni speciali quelli per quest’Associazione, che godeva ancora della presenza di Armida Barelli e delle sue compagne. Anni gioiosi per me, per aver partecipato a tanti incontri a Trento, la mia città, e a convegni per la Gioventù Studentesca, in più parti d’Italia, dove ho ricevuto una solida formazione cristiana di base, di cui sono tuttora grata. Ebbene, è stato proprio in uno di questi convegni che è avvenuto in me – avevo allora 19 anni – qualcosa di nuovo: un primo accenno d’una chiamata tutta particolare da parte di Dio. Ero a Loreto quando, pur seguendo il corso, sono stata fortemente attirata alla “casetta” nella chiesa-fortezza, dove mi recavo ogniqualvolta potevo. Non avevo tempo di rendermi conto se storicamente quello fosse l’ambiente dove era vissuta la Sacra Famiglia. Inginocchiata accanto al muro annerito, qualcosa di nuovo e di divino mi avvolgeva e quasi mi schiacciava. Immaginavo e contemplavo la vita verginale di Maria e di Giuseppe con Gesù in mezzo a loro. Allora non capivo ciò che mi è stato chiaro in seguito: Dio mi chiamava a rivivere, in certo modo, quella vita, assieme ad altre compagne. E, se per le giovani d’allora erano possibili in pratica tre strade: il matrimonio, il convento, la verginità nel mondo, qui si apriva una quarta strada, quella che più tardi è stato il focolare: una piccola comunità di vergini, donne o uomini, che, in mezzo al mondo, per il costante reciproco amore vissuto e sempre rinnovato, hanno Gesù spiritualmente presente fra loro, secondo la sua promessa: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Si svelerà così in quel luogo quello che sarà il primo nucleo organizzativo dell’intero Movimento, il focolare, appunto, ma anche uno dei cardini principali, “Gesù presente in mezzo a noi”, di un nuovo stile di vita cristiana, di una spiritualità comunitaria e personale insieme, la “spiritualità dell’unità”. Spiritualità che si vive da quasi sessant’anni nel Movimento dei Focolari ed in ogni sua parte. “Spiritualità dell’unità” che il santo Padre, nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, con il nome di “spiritualità di comunione”, propone ora a tutta la Chiesa perché venga vissuta a tutti i livelli. “Spiritualità dell’unità” e “spiritualità di comunione” sono, infatti, praticamente, la stessa cosa, come ha pure scritto il santo Padre ai Vescovi amici del nostro Movimento . Poco a poco, dopo Loreto, per seguire la mia strada e dedicarmi al Movimento nascente, ho dovuto lasciare l’Azione Cattolica, senza mai perdere, però, la certezza che un giorno avrei ripreso contatto: se Dio ci distingueva era senz’altro per un Suo disegno d’amore. E sono passati tanti, tanti anni. Come loro ricorderanno, poi, nella vigilia della Pentecoste 1998, Giovanni Paolo II, pensando maturo il tempo, ha radunato 60 Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità in Piazza San Pietro, mettendo in rilievo, nel suo discorso, queste realtà della Chiesa che, con le altre sorte nel passato, rappresentano l’aspetto carismatico di essa, aspetto coessenziale – come ebbe a dire – all’aspetto istituzionale. In quel giorno, io stessa, essendo venuta a conoscenza del desiderio della Chiesa e del Papa che i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità siano in comunione fra loro, rivolgendo la parola al santo Padre, mi sono detta completamente disponibile a questo scopo. Disponibilità che Egli – come mi ha scritto – ha apprezzato molto. Si è così attuata subito la comunione, dapprima fra alcuni Movimenti, fino ad arrivare ora ad una quindicina e, fra questi, molti dei più importanti. Ci si incontra fra dirigenti due volte all’anno, ora in una sede, ora in un’altra. La comunione fra noi e i nostri Movimenti e Comunità è caratterizzata dalle più varie espressioni della carità: si attua il cosiddetto “scambio dei doni”, dove, pur rimanendo ben saldo e preciso il carisma di ognuno, si può sempre arricchirsi di ciò che i fratelli portano; si prega gli uni per gli altri, si condividono le gioie per le conquiste, i dolori per le prove; si offrono a chi è nella necessità i propri ambienti per convegni, ecc.; si presentano sulla propria stampa gli avvenimenti più significativi degli altri Movimenti, perché siano meglio conosciuti; si collabora in manifestazioni comuni, anche a livello europeo, per raggiungere scopi particolari, ecc. Subito dopo il 1998 ogni anno sono fiorite in tutto il mondo delle “Giornate” (200 finora) sostenute dai membri di diversi Movimenti, presenti i Vescovi del luogo o convocate da loro stessi. In esse, oltre ad assistere alla santa Messa ed ascoltare la voce dei Pastori, si presentano i propri carismi, si donano le proprie esperienze, con tavole rotonde, interviste, testimonianze, contributi artistici, ecc. In seguito, in molte diocesi del mondo, i più vari Movimenti hanno preso l’abitudine di presentarsi uniti, per attuare, ad esempio, programmi previsti dal piano pastorale delle singole chiese. Le “Giornate” e queste varie attività hanno rivelato, in genere, ai singoli Vescovi la grande ricchezza che i Movimenti e le Nuove Comunità portano, e fanno loro intravedere, per essi, la possibilità di rendere la Chiesa più unita, più bella, più viva, più dinamica, più familiare. Durante questi anni si è costatata la partecipazione spontanea alle nostre manifestazioni di persone appartenenti ad altre realtà ecclesiali, come all’Azione Cattolica, ad esempio, spesso perché sollecitate dai Vescovi. In seguito a tutto ciò Famiglie religiose, nate da antichi o meno antichi carismi, costatata la vitalità dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità, hanno desiderato anch’esse conoscerci e iniziare con noi una comunione. Così è stato, ad esempio, con l’intera famiglia francescana ad Assisi, con quella benedettina a Montserrat in Spagna, con la Congregazione di Madre Teresa a Calcutta, con le Piccole sorelle di Gesù a Roma, ed altri. Recentemente ci ha dato grande gioia un documento della “Congregazione per gli Istituti di vita consacrata” intitolato: Ripartire da Cristo. In esso si consigliano i e le religiose, come “un compito dell’oggi delle comunità di vita consacrata”, “di far crescere la spiritualità di comunione prima di tutto al proprio interno” e poi “oltre i suoi confini”, favorendo così la comunione fra i diversi Istituti. Mentre “nei confronti delle nuove forme di vita evangelica (i Movimenti, ad esempio), si domanda dialogo e comunione” , e si parla dei vantaggi della comunione per gli uni e per gli altri. Il documento ammonisce: “Non si può più affrontare il futuro in dispersione” . Tutto quanto ho riferito fin qui ci sembra voglia dire che lo Spirito Santo sta soffiando sulla Chiesa perché si compia, anche attraverso di noi, il grande desiderio del santo Padre: far sì che essa sia “la casa e la scuola della comunione” . Ed ora siamo qui insieme e non possiamo non chiederci: ci può, ci deve essere un rapporto fra l’Associazione di Azione Cattolica italiana, nel suo insieme, ed i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità? Mi sembra si possa trovare la risposta già nella Novo millennio ineunte al n. 45 dove Giovanni Paolo II scrive: “Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello (…). La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, presbiteri e diaconi, tra Pastori e intero Popolo di Dio” ed aggiunge: “tra associazioni e movimenti ecclesiali”. Nella più recente Esortazione Apostolica, poi, post-sinodale: Ecclesia in Europa, Giovanni Paolo II all’art. 16 sottolinea: “(…) mentre esprimo (con i Padri Sinodali) la mia grande stima per la presenza e l’azione delle diverse associazioni e organizzazioni apostoliche e, in particolare, dell’Azione Cattolica, desidero rilevare il contributo proprio che, in comunione con le altre realtà ecclesiali e mai in via isolata, possono offrire i nuovi Movimenti e le nuove Comunità ecclesiali”. “In comunione con le altre realtà ecclesiali e mai in via isolata”. Sono parole queste che svelano ai nostri Movimenti una precisa volontà di Dio: cercare l’unità anche con le Associazioni ed in particolare con l’Azione Cattolica. E’ un’Esortazione quest’ultima del giugno scorso che mi ha fatto, fra il resto, apprezzare doppiamente l’invito della vostra Presidente e del vostro Assistente a venire oggi fra voi. Sarà questo il momento per dar inizio a ciò che il santo Padre vuole dall’Azione Cattolica, dal Movimento dei Focolari e dagli altri Movimenti? A nome del Movimento dei Focolari, che rappresento, posso dire che noi siamo a disposizione. Lo Spirito Santo indichi il tempo ed il modo a voi, fratelli e sorelle carissimi. Sia Maria Santissima, così presente nell’Azione Cattolica e nel Movimento dei Focolari, chiamato pure “Opera di Maria”, a consigliarci. E’ evidente che tutto non potrà essere che a gloria di Dio ed a vantaggio della Chiesa. Grazie dell’ascolto.

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Madre Teresa di Calcutta, “maestra eccelsa nell’arte di amare”

Madre Teresa di Calcutta, “maestra eccelsa nell’arte di amare”

Di Madre Teresa, m’è rimasto impresso il calorosissimo abbraccio finale che ci siamo date a New York, l’ultima volta che l’ho incontrata, nel maggio del 1997. Era ammalata, a letto. Ero andata con l’intenzione di trattenermi qualche momento. Poi cominciò a parlare, a parlare della sua opera. Era il suo canto del Magnificat, una cosa meravigliosa! Era felicissima. Quell’abbraccio è rimasto per me come un segno, una promessa: che avrebbe continuato ad amarci con predilezione, perché così ci amava quando era in vita. Ed è perciò che sin dal momento della sua partenza, l’avevo annoverata tra i nostri protettori, certa sin da allora, come tutti, che sarebbe stata presto proclamata santa.

Madre Teresa ha realizzato in pienezza quello che il Papa definisce “genio femminile’ che sta proprio in ciò che Maria aveva di caratteristico: non era investita da un ministero, ma era investita dall’amore, dalla carità che è il più grande dono, il più grande carisma che viene dal cielo. Per noi è un modello. E’ infatti una maestra eccelsa nell’arte di amare. Amava veramente tutti. Non chiedeva al suo prossimo se era cattolico o indù o musulmano. A lei bastava che fosse uomo o donna, in cui riscopriva tutta la sua dignità. Madre Teresa amava per prima: era lei che andava a cercare i più poveri per i quali era stata inviata da Dio. Madre Teresa vedeva, come forse nessun altro, Gesù in ognuno: ‘L’hai fatto a me” era appunto il suo motto. Madre Teresa “si faceva uno” con tutti. S’è fatta povera con i poveri, ma soprattutto “come” i poveri. E’ qui che si differenzia dalla semplice assistente sociale o da chi è dedito al volontariato. Non accettava nulla che non potessero avere anche i poveri. E’ nota, ad esempio, la sua rinuncia e quella delle sue suore ad una semplice lavatrice, rinuncia che molti non comprendono – dicono: in questi tempi! -, ma lei faceva così perché i poveri non ce l’hanno e quindi nemmeno lei. S’è addossata, ha fatto propria la miseria dei poveri, le loro pene, le loro malattie, le loro morti. Madre Teresa ha amato tutti come se stessa, sino ad offrire loro il proprio ideale. Invitava, ad esempio, i volontari che prestavano per un certo tempo servizio alla sua Opera, a cercare la propria Calcutta là dove ognuno tornava. “Perché i poveri – diceva – sono un po’ dovunque”. Madre Teresa ha senz’altro amato i nemici. Non s’è mai fermata a contestare le accuse assurde che le si rivolgevano, ma pregava per i nemici. Dopo la sua partenza, l’ho conosciuta ancor più profondamente e con “avidità” ho letto libri su di lei. Ho ammirato M. Teresa in modo specialissimo per la sua determinazione. Aveva un ideale: i più poveri fra i poveri. E vi è rimasta fedele. Tutta la vita ha puntato su quest’unico obiettivo. Anche in questo è per me un modello di fedeltà all’ideale che Dio mi ha affidato. (altro…)