Da più di tredici anni, siamo coinvolti in un dialogo concreto con un gruppo di famiglie musulmane turche che vivono nella nostra città, Lubiana (Slovenia). Un’ esperienza iniziata in modo del tutto casuale. Lavoravo come dentista e una delle prime famiglie turche arrivate in Slovenia era tra i miei pazienti. Da quel primo incontro è nato un legame profondo, che nel tempo ha coinvolto altre famiglie della stessa comunità. Dopo il fallito colpo di stato in Turchia nel 2016, infatti, molte persone sono state accusate di appartenere a un movimento ostile e sono state costrette a fuggire, trovando rifugio nel nostro Paese. Da quel momento, il numero di famiglie con cui abbiamo iniziato a interagire è cresciuto rapidamente, arrivando a circa 50 persone in pochi mesi. Ben presto abbiamo compreso che non si trattava di un semplice scambio culturale, ma questo legame si è trasformato in un rapporto di vero aiuto reciproco: abbiamo dato una mano per apprendere la lingua, per sbrigare pratiche burocratiche, iscrizioni scolastiche fino al sostegno in quelle che sono le necessità della vita quotidiana. Un’amicizia, insomma, che man mano ha dato vita ad un dialogo profondo, anche sui valori e sulla spiritualità.
Col tempo, abbiamo avuto l’opportunità di presentare loro il Movimento dei Focolari e l’ideale del mondo unito. Questo ha dato vita a una condivisione di molti punti in comune tra il carisma focolarino e la loro spiritualità.
Uno degli aspetti più significativi di questo percorso è stato prendere parte alle festività religiose gli uni degli altri. Abbiamo partecipato alle cene di iftar durante il Ramadan, mentre le famiglie musulmane hanno mostrato interesse per le festività cristiane. Per quattro anni consecutivi, abbiamo celebrato insieme il Natale. Le famiglie musulmane erano inizialmente sorprese dalla profondità spirituale di questa festa, avendone una visione principalmente consumistica, influenzata dai media occidentali.
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Da questo desiderio di approfondire ulteriormente il dialogo, è nato il progetto Pop the Bubbles in collaborazione con l’Associazione per il Dialogo Interculturale e Social Academy, dove lavoro. L’obiettivo era superare pregiudizi e barriere tra le comunità, favorendo l’incontro tra famiglie turche e slovene. Il progetto ha coinvolto un gruppo di famiglie per un anno intero, durante il quale abbiamo lavorato insieme per individuare valori comuni tra le due culture. Alla fine del percorso, sono emersi sei valori fondamentali: famiglia, cittadinanza attiva, dialogo interculturale, democrazia, libertà e inclusione. Per concludere il progetto, abbiamo organizzato due campi di convivenza, uno di tre giorni e uno di cinque, a cui hanno partecipato 73 persone. Oltre agli incontri di scambio culturale, il progetto ha portato anche a iniziative concrete di solidarietà, come l’aiuto ai rifugiati ucraini. Questo ha dimostrato che lavorare insieme per un obiettivo comune può rafforzare i legami tra comunità diverse. Inoltre, negli ultimi anni, ho iniziato a lavorare in una ONG (Social Academy) che si occupa di giovani e le famiglie turche mi hanno chiesto di prendermi cura anche dei loro figli adolescenti, trasmettendo loro quei valori comuni che abbiamo scoperto insieme. Questo passaggio è stato molto significativo, perché ha dimostrato la fiducia che si era creata tra le nostre comunità.
Nello stesso periodo è nato un progetto innovativo: la creazione di un’applicazione per favorire il dialogo tra persone con opinioni opposte – hardtopics.eu. L’app funziona mettendo in contatto due persone che hanno risposto in modo divergente a un questionario su temi polarizzanti. Il sistema le abbina e le invita a un confronto in un ambiente preparato, con l’obiettivo di superare la polarizzazione sociale e promuovere una cultura del dialogo. Questa app verrà presto utilizzata nelle scuole superiori e nelle università di Lubiana. L’entusiasmo mostrato dai giovani durante la fase di test ha confermato il valore di questa iniziativa.
Penso che sia fondamentale creare reti di dialogo interreligioso a livello europeo. Il percorso che abbiamo intrapreso dimostra che con pazienza e dedizione si possono costruire relazioni autentiche basate sulla fiducia, sul rispetto e sulla condivisione dei valori comuni.
Un uomo, uno sposo, un padre; professionista instancabile, cristiano: sono solo alcune delle caratteristiche che descrivono la persona di Giulio Ciarrocchi, focolarino sposato che, giorni fa, dopo anni di malattia, è salito al cielo. Un esempio di grande fiducia in quel disegno che Dio aveva pensato per lui.
Giulio nasce a Brooklyn (USA) da papà Andrea e mamma Romilda. Ad attenderlo c’è anche la sorellina Maria Teresa. Dopo un anno tutta la famiglia rientra a Petritoli, ridente centro delle Marche, una regione del centro Italia. Giulio andrà poi a studiare a Fermo, una città vicina. Il padre, corista del Metropolitan ed alcuni dischi incisi come solista, gli trasmette la passione del canto, che lo porterà in gioventù a comporre canzoni. E’ il 1969, nel bel mezzo della contestazione giovanile. Racconta lui stesso: “Tutto era in discussione dentro di me. Contestavo apertamente tutto e tutti, niente mi soddisfaceva”. A 22 anni conosce la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich: “una luce fortissima che aprì i miei occhi all’amore evangelico- raccontava. Cominciai dalle cose apparentemente semplici, come salutare le persone: l’altro non era più uno sconosciuto: Gesù viveva in lui. Prima frequentavo solo persone che avevano i miei stessi interessi. Ora mi accorgevo che c’erano anche i poveri, gli emarginati. Ricordo una vecchina poverissima, da tutti evitata perché diceva sempre le stesse cose e non si lavava mai. Adesso quando l’incontravo la salutavo, le davo un passaggio in macchina accompagnandola dove doveva andare. Quando si ammalò andavo tutti i giorni a trovarla in ospedale finché morì. O quel ragazzo disabile, rifiutato dalla famiglia, che proprio in quei giorni era ricoverato per aver tentato il suicidio. Gli mostrai amicizia, lo aiutai a poco a poco ad avere fiducia nella vita, a riallacciare il rapporto con i familiari, a trovare un lavoro. Provavo una tale gioia, una tale libertà, che tutto il resto quasi scompariva”.
Per Giulio seguono anni di forte impegno nel Movimento Gen, la realtà giovanile del Movimento dei Focolari, che lo porta a fare del Vangelo il suo stile di vita. E’ affascinato dai valori nei quali crede e per i quali si spende con gli altri giovani: la giustizia, l’uguaglianza, l’amicizia.
Laureatosi in Economia, a 26 anni conosce Pina. Si sposano e mettono su casa ad Ancona (Marche). Dopo tre anni giunge loro una proposta: trasferirsi a Grottaferrata (Roma) per dare una mano nella Segreteria Internazionale di Famiglie Nuove. Giulio fa un concorso in una banca a Roma e, appena lo vince, insieme a Pina e le piccole Francesca e Chiara (Sara nascerà più tardi) arrivano a Grottaferrata. E’ il 1979.
Giulio presenta il Familifest 1993Giulio con Chiara LubichGiulio e Pina con la famigliaUn incontro del centro internazionale Familgie Nuove con Chiara Lubichcon alcuni focolarini del focolare di GiulioGiulio con amici e focolariniCon alcune focolarine del focolare di PInaGiulio e Pina nel giorno del matrimonioGiulio con alcuni gen, giovani dei FocolariCon le figlie
Mentre Pina, anche lei focolarina sposata, lavora a tempo pieno alla Segreteria di Famiglie Nuove, Giulio, compatibilmente con il suo lavoro, si rende disponibile in varie attività: offrire un aiuto in occasione di incontri internazionali; condividere, insieme a Pina, le loro esperienze di vita, il lavoro di Dio su di loro, non solo ai fidanzati e alle giovani coppie, ma anche durante incontri di formazione del Movimento dei Focolari per ragazzi, giovani e convegni con rappresentanti di varie Chiese. Spesso la loro casa apre le porte per accogliere famiglie da varie parti del mondo di passaggio al centro internazionale dei Focolari, un’esperienza che è stata arricchente per tutta la famiglia.
Nel 1993 tutta la Segreteria FN, all’unanimità, gli chiede di essere lui, con la sua calda empatia e la sua bella presenza, a condurre il Familyfest, l’evento mondiale che si svolgerà al Palaeur di Roma.
Con Pina sono tra i soci fondatori dell’AMU (Azione Mondo Unito) e di AFN (Azione per Famiglie Nuove). Hanno fatto parte per due anni dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Nel maggio del 1995 improvvisamente tutto cambia. Giulio viene colpito da un ictus. Riesce a farcela solo grazie alla tempestività delle cure e alla sua incredibile forza d’animo nell’affrontare lunghi ricoveri ed estenuanti fisioterapie. Dopo alcuni mesi riesce a inviare a degli amici queste parole:
“Il giorno che sono entrato in questa clinica, la lettura della Messa parlava di Abramo invitato da Dio a lasciare la sua terra per andare dove Egli l’avrebbe condotto. Ho sentito per me quell’invito. In tutti questi anni avevo, con impegno e fatica, trovato un equilibrio. Questa malattia aveva distrutto questo equilibrio. Devo trovarne uno nuovo ed ho chiesto a Dio dove vuole condurmi. Dover cominciare tutto daccapo mi aveva un po’ spaventato. Ma Gesù mi ha dato la risposta e la forza di andare avanti”.
L’esperienza della malattia diventa un riscoprire la relazione con il Padre: “Sto vivendo una bellissima esperienza di rapporto con Dio e con la comunità anche se nel dolore fisico, che, però, ti assicuro, è veramente secondario rispetto ai grandi doni che ho ricevuto”.
Giulio non si è mai ripreso, anzi di giorno in giorno le sue condizioni diventano sempre più precarie. La sua vita e quella della sua famiglia è messa a dura prova, ma la loro unità, soprattutto quella di coppia, è così reale ed inscalfibile, così gioiosa e feconda che la stessa Lubich ha voluto sigillarla con le parole del Salmo: “In Lui si rallegrano i nostri cuori” (33,21).
Per sette anni con tanta fatica Giulio continua il lavoro in banca per raggiungere la pensione, profondamente grato ai colleghi che sono per lui aiuto e sostegno. Poi finalmente la tregua dal lavoro, ma non dal suo impegno, insieme a Pina, per le famiglie di tutto il mondo, sia lavorando, fino a che ha potuto, sia offrendo e pregando fino alla fine, certo che Pina è espressione della realtà di unità tra loro.
Nel 2007 un’altra sfida. Scrive: “Ho ritirato la risposta dell’esame istologico: un carcinoma che dovrò curare con radioterapia. “Ripeto il mio sì a Gesù. Qualcuno potrebbe dire che Dio mi ha preso di mira, dato che da 12 anni vivo già il mio non facile ‘dopo ictus’. Io invece penso di essere molto amato e Lo ringrazio per il privilegio che mi dà di partecipare al suo mistero d’amore per il bene dell’umanità.”
Nel maggio 2025 Giulio e Pina hanno festeggiato i 30 anni di malattia. Proprio così, festeggiato. E non perché fosse ormai tutto superato, ma perché, commenta Giulio, “sono stati anni di grazie”. Aveva iniziato a perdere gradualmente la memoria ma la sua dimensione spirituale era rimasta vigorosa . “Vivo nel presente, dirà il 2 febbraio 2025, e guardo in alto. Gesù mi dice, non preoccuparti, io sto qui, dietro a te”. E il 25 giugno, compleanno di Pina, in un momento di lucidità le dice: “Hai sempre fatto benissimo, ti auguro di fare sempre meglio!” Quando l’ultimo giorno sono in attesa del 118 dopo aver recitato insieme tre Ave Maria, Giulio conclude: “Maria, purissima, aiutaci tu”.
Giulio è stato un regalo per tutti coloro che lo hanno incontrato, moltissimi i messaggi di gratitudine arrivati da parenti, colleghi e amici da più parti del mondo.
Molti sono i doni di cui Giulio, attraverso la sua esistenza, ha ricolmato gli altri, come raccontano le figlie dopo il funerale:
“Quello che vorremmo condividere è la sua capacità di riconoscere la bellezza. Non quella estetica o superficiale, ma quella che scopri se vai in profondità, se superi la paura di accogliere l’esistenza con il cuore. Quella bellezza invisibile, ma potente, che si cela tra le trame della vita, che è luce nel dolore e gioia nella malattia. Quella bellezza che papà ci ha fatto sperimentare coinvolgendoci nelle sue tante passioni come l’arte, la fotografia, la musica, il teatro, i viaggi e il mare… passioni che oggi sono anche le nostre e che ci permettono di avere uno sguardo aperto e fiducioso verso il mondo proprio come ha fatto lui fino alla fine. Caro papà spesso abbiamo pensato che la vita non è stata gentile con te, ma quella gentilezza che non hai ricevuto l’hai donata tu alla tua vita e alla nostra.
In questi ultimi anni il tuo mondo fisico si è ristretto eppure il tuo mondo interiore si è dilatato, insegnandoci la gratitudine per ogni giorno vissuto”.
La redazione con la collaborazione di Anna e Alberto Friso
Condividiamo di seguito una video- intervista realizzata dal Centro Santa Chiara audiovisivi a Giulio e sua moglie Pina: Ri-innamorarsi giorno per giorno.
Up2Me è un programma di formazione ed educazione all’affettività e alla sessualità proposto dal Movimento dei Focolari. Nasce nel 2015 come risposta alle sfide educative per le giovani generazioni del terzo millennio. Oggi è diffuso in 35 Paesi di tutto il mondo e offre percorsi rivolti in maniera specifica ad ogni fascia d’età: i bambini con le loro famiglie, i ragazzi preadolescenti e adolescenti (con un percorso parallelo per i loro genitori) e i giovani.
Approfondiamo il percorso adatto ai bambini, età 4-8 anni, insieme a Paolo e Teresa Radere che da anni si impegnano nella formazione, in particolare alle nuove generazioni dei Focolari.
Team Up2Me Bambini
Paolo, Teresa, in cosa consiste Up2Me bambini?
È un’esperienza che i bambini fanno con i loro genitori, un itinerario per la formazione integrale a partire dallo sviluppo delle dimensioni dell’affettività, emotività e sessualità, sollecitando anche la sfera spirituale e l’intelligenza esistenziale, al fine di assumere già dall’infanzia uno sguardo aperto e profondo sul mondo e sulle persone. Il percorso punta ad una relazionalità positiva, aperta creativamente al dialogo, all’accoglienza, al rispetto delle dimensioni di unicità e irripetibilità della persona umana, a generare la culla necessaria per un’esperienza di crescita personale e comunitaria, all’apertura all’altro da noi.
A chi si rivolge?
È rivolto a tutti i nuclei familiari che abbiano bambini preferenzialmente nella fascia 4-8 anni. Qualora, come avviene in tutte le famiglie, ci siano figli più grandi o più piccoli, la partecipazione ad Up2Me non è un problema ma un’opportunità, perché è la famiglia tutta che fa un’esperienza. Il percorso si può offrire anche a bambini di genitori affidatari, separati o genitori single. In questi casi, i bambini saranno accompagnati nel percorso dalla figura adulta che il bambino vive come riferimento (uno dei due genitori naturali o affidatari o entrambi, uno zio, un nonno…).
Il progetto si può proporre e svolgere anche in gruppi di famiglia, in parrocchia o in ambito scolastico.
Quali sono gli obiettivi?
Per i bambini l’obiettivo finale è quello di fare delle esperienze condivise con i loro genitori e altre figure di riferimento, necessarie per lo sviluppo della loro identità e per una crescita integrale e armonica. Riconoscere, accogliere ed esprimere in modo adeguato al contesto le emozioni primarie con una valenza positiva; sperimentare una buona ed efficace comunicazione con i genitori; sviluppare l’interiorità, la conoscenza di sé, crescere nella dimensione spirituale – intesa come la capacità di contemplare e trascendere, imparare a prendersi cura del proprio corpo, degli altri, della natura.
Per i genitori invece il corso è utile nel favorire la crescita nella capacità di dialogare tra generazioni all’interno del nucleo familiare, tra famiglie e con la cultura contemporanea per valorizzarne le potenzialità latenti; approfondire la conoscenza sullo sviluppo socio cognitivo e psicologico del bambino e sul tipo di relazioni che lo favoriscono; comprendere quanto le modalità di azione e relazione dei genitori con i propri figli influiscono sulla loro crescita e imparare buone pratiche educative per la regolazione emotiva; conoscere l’influenza delle nuove tecnologie nella formazione dei bambini e il ruolo dei genitori in esso.
Quali sono i contenuti del percorso?
Dall’esperienza e dallo studio di questi anni e per dare organicità al cammino abbiamo scelto la metafora di ‘un viaggio insieme verso la felicità’. Si è scelto di lavorare sulla educazione emozionale-relazionale dei bambini perché questa costituisce la base della loro relazione affettiva e sessuale; le emozioni permettono poi di articolare il corpo e la mente per cui favoriscono la crescita personale integrale. Il metodo della formazione esperienziale permette ai genitori e ai bambini di condividere le loro esperienze quotidiane in incontri comunitari, di dialogare, approfondire e illuminare, costruendo così un nuovo sapere che nasce dalla propria sapienza e da quella degli altri.
I contenuti sono presentati attraverso una pluralità di linguaggi: del gioco, del movimento, della sensorialità, della rappresentazione iconica, della narrazione, delle immagini, della danza come caratteristiche dell’approccio ai diversi temi.
L’idea è quella di un viaggio in aereo che dà al bambino l’immagine della continuità del percorso, il senso dell’attesa e della scoperta, la necessità di lavoro di preparazione al viaggio. Dopo ogni tappa l’esperienza continua a casa perché ad ogni nucleo familiare viene consegnata una proposta che aiuti a continuare il dialogo e il clima costruito con l’obiettivo di ricercare gli spazi di crescita come famiglia.
Siamo Aureliana e Julián del Paraguay, sposati da 36 anni e abbiamo cinque figli e sei nipoti.
JULIAN: Aureliana aveva 18 anni ed io 19 quando ci siamo sposati. Eravamo molto innamorati ed entusiasti di costruire la nostra vita insieme. I primi cinque anni sono stati molto belli, eravamo ottimi compagni, lavoravamo insieme, ci aiutavamo e ci completavamo bene. Dopo 7 anni di matrimonio, siamo entrati in una crisi molto forte che ci ha quasi portato alla separazione. La comunicazione è diventata difficile: non riuscivamo a parlare di noi stessi, della nostra relazione, e questo ci ha gradualmente allontanato. Tuttavia, entrambi avevamo il desiderio di dare il meglio per le nostre figlie e di progredire economicamente. Ognuno viveva a modo suo, litigavamo abbastanza, ma riuscivamo ad andare avanti.
AURELIANA: Quando le nostre figlie hanno raggiunto l’adolescenza una di loro aveva atteggiamenti ribelli e, a 17 anni, è rimasta incinta ed è andata a convivere. In quel momento abbiamo iniziato a chiedere aiuto per rafforzarci come genitori anche spiritualmente. Frequentavamo le riunioni dei gruppi di famiglie e i ritiri spirituali. Così siamo riusciti a superare sfide difficili, mettendo ognuno molta buona volontà.
JULIAN: Avevamo stabilità economica, una bella famiglia, salute e un’azienda familiare ben posizionata: avevamo tutto! Un giorno ho iniziato ad avere contatti attraverso i social network, con una persona, ci siamo conosciuti e ho iniziato un rapporto extraconiugale con lei. A quel tempo mio padre ammalato era a casa con noi e per nostra figlia è stato molto difficile adattarsi alla maternità; quindi, Aureliana ha dovuto dividersi in mille pezzi per stare con lei, lavorare e organizzare la casa. Ero molto coinvolto in quella relazione extraconiugale e non aiutavo per niente Aureliana, anzi dicevo che non avevo tempo da dedicare, lei si lamentava ed io mi arrabbiavo. In quel tempo, abbiamo fatto un viaggio insieme in Europa e lì Aureliana ha scoperto che le ero infedele. Tutto è crollato, eravamo lontani da tutti, soli tra quattro mura in una stanza d’albergo.
AURELIANA: Mi è caduto il mondo addosso! Non sapevo cosa fare, non riuscivo a credere che potesse succedere una cosa del genere. All’inizio sono rimasta zitta, pensando che saremmo riusciti a terminare il viaggio, ma dopo un po’ sono esplosa: ho rotto il silenzio urlando, piangendo e chiedendo una risposta. Lui da parte sua ha cominciato a implorare disperatamente pietà, a chiedere perdono a Dio e a me e questo, nonostante il terribile dolore che provavo, ha toccato il mio cuore. Sapevo che dovevo fare un passo e ho riposto tutta la mia fiducia nell’aiuto di Dio per realizzarlo. Finalmente sono riuscita a vedere il volto di Gesù crocifisso in Julián. Gli ho offerto le mie braccia e ci siamo un po’ tranquillizzati. Tuttavia, nonostante il passo interiore, spesso ero sopraffatta dal dolore e dalla tristezza.
“È questo che vogliamo annunciare al mondo: siamo qui per essere ‘uno’ come il Signore ci vuole ‘uno’, nelle nostre famiglie e là dove viviamo, lavoriamo e studiamo: diversi, eppure uno, tanti, eppure uno, sempre, in ogni circostanza e in ogni età della vita. (…) E non dimentichiamo: dalle famiglie viene generato il futuro dei popoli.”
JULIAN: Di notte Aureliana non dormiva, piangeva. Le è stata diagnosticata una depressione. Io mi sentivo impotente e colpevole. Ho pregato tanto: sentivo che mia moglie e la mia famiglia erano un bene molto prezioso, ma ormai il danno era fatto e dovevo accettare il mio errore, ma anche volevo mettere tutto il mio impegno e la mia fiducia in Dio.
AURELIANA: La nostra famiglia era divisa, i figli non sapevano a chi dare la colpa e si sono ribellati. Poi Julián si è ammalato: gli è stato trovato un tumore al cervello. Questo fatto mi ha scosso molto e ha quasi rimosso il mio stato depressivo. Ricevuto l’esito della TAC, ci siamo riuniti con i figli e abbiamo cercato la migliore alternativa per l’intervento chirurgico. Sentivamo che l’unità della famiglia era il bene più prezioso, che era al di sopra di ogni avversità ed io mi sono resa conto che ero di nuovo capace di dare la vita per mio marito e di vivere fino in fondo la mia fedeltà a lui, “nella salute e nella malattia”.
JULIAN: Mi sono sentito amato e sono riuscito a superare due interventi chirurgici al cervello con un recupero in tempi record. Appena dimesso dall’ospedale, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a un incontro per coppie in crisi, perché ancora avevamo bisogno di guarire le nostre ferite.
AURELIANA: In questo incontro sono riuscita a chiarire tanti dubbi. Abbiamo ricevuto molto affetto dai partecipanti, approfittando della presenza di professionisti e coppie con molti anni di esperienza e abbiamo scoperto una nuova via d’uscita.
JULIAN: Ho capito che la volontà di perdonare è una cosa, però, guarire il trauma richiede un processo; la ferita che le ho causato è stata molto profonda e lei aveva bisogno di tempo, di pazienza ed amore da parte mia. Ho ricevuto il dono più grande da Dio, che è il perdono. Abbiamo rinnovato il nostro matrimonio, Aureliana mi ha detto di nuovo il suo SÌ per sempre e abbiamo ricominciato.
AURELIANA: La nostra vita è cambiata completamente, dopo 35 anni di matrimonio abbiamo smesso di lottare. Viviamo una vita piena come coppia e possiamo guardarci negli occhi ed amarci come mai prima d’ora.
“Seminate, per favore, anzitutto il Vangelo che è Buona Notizia, per essere credibili in un tempo lacerato da discordie e conflitti, dove la pace sembra ormai un sogno irraggiungibile”. Un invito forte che Papa Francesco ha rivolto alle famiglie focolare attraverso una lunga lettera. Il 27 ottobre 2024 al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo (Italia), Margaret Karram, Presidente dei Focolari incontrando proprio le famiglie focolare giovani ha letto loro il messaggio ricevuto dal Papa: una bella sorpresa indirizzata proprio a loro. Le famiglie focolare hanno la caratteristica di avere entrambi i coniugi focolarini sposati. Nel mondo oggi sono 130 le famiglie focolare giovani che si uniscono alle tante famiglie che vivono la spiritualità dell’unità che contraddistingue il Movimento dei Focolari.
L’incontro di ottobre a Castel Gandolfo è stata l’ultima tappa di un percorso formazione in sei tappe realizzate in differenti regioni del mondo: Polonia, Filippine, Libano, Guatemala, Portogallo. All’ultima hanno partecipato 55 famiglie provenienti da diversi Paesi.
Nella lunga lettera il Papa spiega di essere stato informato “dell’importante lavoro all’interno del Movimento a favore di nuclei familiari che hanno intrapreso un singolare percorso di formazione”. E ringrazia la Presidente “per avermi reso partecipe di questa entusiasmante esperienza di fede vissuta da numerose coppie di varie nazionalità e espressioni religiose. Sono particolarmente lieto nel sapere che con gioia portate avanti il vostro apostolato in svariati contesti umani e sociali e con grande passione vi impegnate a creare armonia e concordia”.
Papa Francesco chiede poi a Margaret Karram di portare la sua spirituale vicinanza alle famiglie, esortando ciascuno a divenire strumento di amore, manifestando la ricchezza della fraternità sincera e amorevole. Un pensiero lo rivolge quindi alle famiglie in crisi “che hanno smarrito il coraggio di custodire la bellezza del Sacramento ricevuto”, e anche ai giovani a “non avere paura del matrimonio e delle fragilità”.
Significativa anche la data nella quale il Papa l’ha voluta scrivere: 26 luglio 2024, memoria dei Santi Gioacchino e Anna, i genitori della Vergine Maria. Un gesto non a caso per i destinatari della lettera: le famiglie.
“Care famiglie, ritornando nelle vostre case, – prosegue il Pontefice – ravvivate il focolare domestico con la preghiera costante, porgete l’orecchio alla voce dello Spirito Santo che guida, illumina e sostiene il cammino della vita, aprite a quanti bussano alla porta per essere ascoltati e consolati, offrite sempre il vino della letizia e condividete il pane buono della comunione. La Santa Famiglia di Nazareth sia fonte di ispirazione e di speranza nei momenti di prova, perché possiate essere ovunque artefici di unità a servizio della Chiesa e dell’umanità”.
Margaret Karram, al termine della lettura ha affermato: “Io l’ho letta tante volte e veramente, come voi, mi sono commossa. Ho detto: questo è un amore immenso del Papa per voi, proprio per voi”.
Un dono prezioso esteso a tutte le famiglie nel mondo, come stella cometa per il cammino di ciascuno.