Mag 17, 2016 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Foto: © Verônica Farias – CSC Audiovisivi
4 giorni dedicati alla esemplificazione e studio delle tradizioni, sia scritte che orali, secondo l’argomento scelto, così come è compreso e vissuto nei vari gruppi etnici del continente. Un confronto con la Sacra Scrittura, col Magistero della Chiesa e con le esperienze e le riflessioni frutto della spiritualità dell’unità. Questa, in sintesi, la metodologia della Scuola per l’Inculturazione, che ha alla base una dinamica relazionale imprescindibile: «Non si può entrare nell’animo di un fratello per comprenderlo, per capirlo… se il nostro è ricco di un’apprensione, di un giudizio...», scriveva Chiara Lubich . «”Farsi uno” significa mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, perché si ha da imparare realmente». Ma da dove ha origine questa esperienza? «Senz’altro è stata un’idea geniale di Chiara Lubich», spiega Maria Magnolfi, 20 anni in Africa, tra Kenya e Sud Africa, dottorato in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, e che ha accompagnato fin dagli inizi il percorso della Scuola. «Risale a quando Chiara andò a Nairobi, nel maggio 1992, e incontrò il Nunzio e ascoltò le preoccupazioni della Chiesa che si preparava al primo sinodo africano, e quindi ad affrontare anche questo interrogativo sull’inculturazione che tanto fremeva. Fu allora che fondò la Scuola per l’Inculturazione, ispirata alla spiritualità dell’unità, in cui dar spazio allo studio di qualità e pregi delle culture africane, e al frutto dell’incontro tra questi e la vita pura del Vangelo. Non sempre nei contesti ecclesiali è stato facile trovare vie di successo per l’inculturazione. La lettera ricevuta di recente dal card. Arinze ci è sembrata molto significativa. In essa il cardinale esprime la sua gioia per il lavoro fatto in questi anni e dà pieno incoraggiamento a proseguire questo percorso».
Proprietà e lavoro e senso del sacro, la sofferenza e la morte, fino ai processi sociali di riconciliazione, ai percorsi dell’educazione e della comunicazione: sono tra gli argomenti toccati in questi anni, ciascuno con i relativi Atti pubblicati in più lingue. Nel 2013, nell’edizione precedente a quella odierna, si è poi voluto dare spazio a scoprire chi è la persona in Africa. Adesso si intende passare dalla dimensione della persona all’intreccio delle relazioni familiari, consci che in Africa non si può mai prescindere dalla famiglia. Quali le caratteristiche dell’11ª edizione? «Su questo vasto argomento della famiglia – investigando su che cos’è il matrimonio nella cultura Tswana, Zulu, Kikuyo, e ancora in quelle del Burkina Faso, Costa d’Avorio, Congo, Angola, Nigeria, Uganda, Burundi, Camerun, Madagascar… – si sono individuate due direttrici prioritarie di approfondimento» – spiega ancora Maria Magnolfi – «il ruolo uomo-donna e l’istituzione del matrimonio come alleanza e poi la trasmissione dei valori nella famiglia, una tematica che a conclusione della scuola sulla persona era già venuta in grande rilievo. Quali valori? La condivisione, l’accoglienza, la partecipazione, il rispetto per gli anziani quali “depositari di sapienza”, la prontezza a condividere subito secondo le necessità, anche rischiando». Quale il significato della scuola per l’inculturazione? La sua importanza per l’incontro tra le culture africane, e tra queste e le culture extra-africane? Raphael Takougang, focolarino camerunense, avvocato, così lo spiega: «Chiara Lubich nel fondare la Scuola per l’Inculturazione durante il suo viaggio in Kenya nel maggio 1992 ha toccato l’anima del popolo africano. Ha dimostrato di capire l’Africa più di quello che si può pensare. Il suo non è stato solo un atto formale, ma frutto di un amore profondo per un popolo e le sue culture che la storia non sempre ha valorizzato. Da più di vent’anni ormai, “periti” africani, esperti di Sacra Scrittura e del Carisma dell’Unità lavorano per mettere in luce quei Semi del Verbo contenuti nelle varie culture del continente, prima per metterli in luce agli stessi africani, che imparano così a conoscersi ed apprezzarsi di più. In effetti, la diversità e la ricchezza di quelle culture vengono più in rilievo. Poi è un contributo per rendere meglio noto il popolo africano finora poco conosciuto oltre le guerre e le carestie. Il patrimonio culturale che si è via via costituito narra della presenza di Dio nel vissuto quotidiano di quei popoli e può essere un contributo notevole nel dialogo tra i popoli in questo mondo che sempre più sta diventando un “villaggio planetario”». (altro…)
Mag 11, 2016 | Chiesa, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«“La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere”. Esordisce così papa Francesco, nell’accingersi a parlare della crisi di coppia in Amoris Laetitia (AL 232 e segg.), intercettandone con grande realismo i vari passaggi. Pagine che sembrano raccontare la mia storia. Di me, bambino di 5 anni, che la guerra rende orfano di padre e di prospettive. Di me, giovane, che nell’amore di una ragazza ritrova un soffio di vita nuova e una speranza di felicità. Di me, uomo, deluso e rimasto solo. Ma anche il racconto di una comunità che accoglie e che salva. Terminati gli studi nautici e imbarcato sulle navi della Marina Mercantile, in una licenza conosco Mariarosa e sboccia l’amore. Un sentimento così grande che non ammette distanze. Per lei lascio il mare. Il nuovo lavoro ci porta a vivere lontani dalle nostre famiglie, dagli amici, dalla vita di sempre. Tutto l’universo è circoscritto a noi due avvolti nel sogno: sia io che lei puntiamo sull’altro ogni aspettativa di felicità. Tutto fila fino a che le nostre diversità, dapprima attraenti, iniziano ad infastidirci. Fino ad apparirci inaccettabili, fino a non riconoscerci più e a convincerci di aver sbagliato persona. E con amara delusione dobbiamo ammettere che il sogno è finito. E con esso il nostro matrimonio. Ci lasciamo. Mi ritrovo solo, nella casa vuota, in preda a rabbia e disperazione.

1971: quando erano giovani sposi, da poco riconciliati, con i primi cinque figli
Alla festa di nozze di un collega, uno degli invitati mi offre un passaggio per tornare a casa. Incoraggiato dalla profondità del suo ascolto gli racconto della mia situazione. Egli si offre di diventare amici ma io, deluso dalla vita e dalle persone, gli dico di non credere nell’amicizia. “Io ti propongo un’amicizia nuova – rilancia fiducioso –, di amarci “come Gesù ci ha amato”. Quel “come” apre un varco nella mia anima. Comincio a frequentare la sua famiglia e i suoi amici del Focolare, amici che diventano anche miei. È ciò di cui ho davvero bisogno: la vicinanza di persone che non mi giudicano, non danno consigli, non ostentano la propria felicità. Sanno invece comprendere l’angoscia di chi come me è allo sbando. Il loro modo di vivere è come uno specchio in cui rivedo tutto il mio passato, il concatenarsi di errori e di egoismi che l’avevano sciupato. Sul loro esempio comincio anch’io a fare qualcosa di bello per gli altri. 
Renzo e Maria Rosa con tutta la famiglia
Due anni dopo, del tutto inaspettata, arriva una lettera di Mariarosa. Anche lei, per strade del tutto diverse, nella sua città ha conosciuto persone che l’hanno fatta incontrare con lo sguardo d’amore di Gesù. Titubanti ci rincontriamo e in quel momento avvertiamo che Dio ci aveva dato un cuore nuovo e la certezza che il nostro amore poteva sbocciare di nuovo. Un amore la cui misura non era più aspettare ma, dare. Nella misericordia inizia un percorso fino alla rifondazione della nostra famiglia, che sarà allietata da sei figli, fra cui tre gemelle. Ma non più isolati: con altre coppie condividiamo il ricominciare di ogni giorno, sperimentando che pur in mezzo alle fatiche e alle prove, che non mancano mai, possiamo costruirci coppia con un orizzonte di felicità. In un quotidiano intessuto di comunione, di reciprocità, di profonda condivisione di sentimenti, di propositi, di donazione verso i figli e verso tutti. Sperimentando, nella gioia, come scrive Francesco, che una crisi superata porta davvero a “migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione”. E che ogni crisi è l’occasione per “arrivare a bere insieme il vino migliore” (AL 232)». (altro…)
Apr 11, 2016 | Chiesa, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo

Foto: Creative Commons Family Bonding Values by o5com
L’Esortazione post sinodale di Papa Francesco “Amoris Laetitia” mette in luce la bellezza della famiglia e le fa riscoprire il suo grande valore. Ne è convinta Anna Friso appartenente al Movimento Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari e, insieme al marito Alberto, membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Adriana Masotti le ha chiesto come hanno accolto il documento del Papa: R. – Anche in noi c’era molta attesa, perché ci aspettavamo veramente un pronunciamento sulla famiglia e sulle sue ferite. Allora, la nostra sorpresa è stata quando abbiamo sentito che c’era tutto un approfondimento sull’amore: sull’amore coniugale, sull’amore familiare. Perché per promuovere la famiglia, per dare alla famiglia la sua dignità, c’è bisogno di raccontarla e di spiegare anche a lei stessa – alla famiglia – quanto sia importante vivere l’amore, quell’amore che ne è il fondamento costitutivo. Noi, fra l’altro, abbiamo un’esperienza lunghissima di famiglia – festeggiamo quest’anno i nostri “primi” 50 anni di matrimonio – e sappiamo quanto valore abbia l’amore nella famiglia, che non è guidato da nessun altro interesse che non il bene dell’altro, che non la felicità dell’altro. E allora, in questa dimensione trovano spazio tutte le componenti dell’amore: a livello psicologico, a livello sentimentale, ma anche erotico. Questa è una specificità dell’amore coniugale che va ricordata e che non dovrà essere considerata più quel male accettato, ma un bene: quel regalo meraviglioso – come ha detto il Papa – che è dato agli sposi in corredo al loro “sì” per sempre. D. – Ci sono poi nel documento i capitoli in cui si affrontano le situazioni di difficoltà, le ferite della famiglia. Emergono parole come “misericordia”, “discernimento”, “integrazione”. Vi aspettavate qualcosa di diverso? R. – Mi sembra che sia stata fatta veramente la scelta giusta: dare spazio a tutti. La misericordia è il lasciapassare, cioè, è la porta spalancata per tutti, proprio nella soggettività di ciascuno. Non dimentichiamoci che in ogni storia di separazione, in ogni storia di un amore che finisce, di un sogno che si infrange, c’è sempre tanto dolore. Quindi, intanto, il dolore ha un’azione purificatrice molto grande e poi, in ogni scelta successiva, c’è pure la difficoltà di mettersi ancora in gioco. Io credo che con questa apertura possiamo veramente accogliere e sentirci accolti dalla Chiesa madre, ma soprattutto da Dio, che non smette di amare ciascuno di noi nel suo modo, che è quello infinito, quello che apre a tutti. D. – Diciamo quindi che la Dottrina della Chiesa in questi casi, nel caso dei divorziati, non cambia. Eppure cambia molto lo sguardo, l’atteggiamento; la pastorale cambierà… R. – La Dottrina, infatti, l’abbiamo ritrovata intatta e questo è molto importante per noi, perché abbiamo un fondamento che conferma una vita e che ci aiuta a porgere a tutti una verità che non può tramontare: la bellezza della famiglia stabile, che si riedifica ogni giorno con l’amore, in vista di una indissolubilità che gli è congeniale, proprio perché l’amore – l’amore coniugale, l’amore umano – ha questo DNA. Però, appunto, nel gestire – diciamo così – le varie situazioni, ci sembra che sia stata usata veramente la chiave giusta, per trovare per ciascuno la strada di una riconciliazione con la grazia di Dio, che si manifesta in tanti modi.
Apr 4, 2016 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Durante l’ultimo viaggio a Taungoo, una delle regioni dove si è avviato il progetto del Sostegno a Distanza in Myanmar, «ci siamo resi conto quanti ragazzi sostenuti a distanza ora “camminano con le proprie gambe”», scrive la referente di AfnOnlus in Myanmar Vivienne Arpon. Le visite da parte dello staff locale del sostegno a distanza alle famiglie dei bambini sostenuti, sono occasione per portare l’amore concreto e capire meglio le difficoltà che affrontano.
Marta era stata abbandonata dal marito quando i suoi figli, Justin e Joseph, erano piccoli. Solo attraverso il progetto ha trovato la forza di portare avanti la famiglia. Finita la scuola Justin ha vinto il concorso per una borsa di studio in arte culinaria presso un istituto di Yangon, mentre Joseph è diventato assistente del personale in una fabbrica di tessuti. La famiglia di Anna e Philip viveva in una baraccopoli in pessime condizioni igieniche. Il sostegno a distanza ha permesso loro di abitare in una casa decente e costruirsi una vita dignitosa. Anche se Philip studia ancora, i suoi genitori hanno disposto generosamente di destinare l’aiuto a chi sta peggio di loro. «Quello che ci dà gioia ‒ racconta ancora Vivienne ‒ è costatare che il miglioramento materiale delle condizioni di queste famiglie è accompagnato da una crescita umana e spirituale».
Dal 2006 il progetto si è ampliato, in risposta alla richieste di aiuto del coordinatore birmano Eric. Grazie anche all’intervento di altre ONG, è stato possibile costruire una nuova scuola a Yenanchaung, nella regione di Magway e trovare la collaborazione di insegnanti e personale qualificato. I bambini frequentanti sono orfani a causa dell’HIV/AIDS oppure abbandonati. Oggi diversi di questi ragazzi hanno potuto trovare un buon lavoro, tanto che oltre a raggiungere l’autonomia, riescono anche ad aiutare le proprie famiglie. «Siamo fiduciosi – scrive Vivienne rivolgendosi ai sostenitori – che il futuro di questi bambini sia assicurato, non solo perché possono studiare, ma perché hanno sentito l’amore da parte vostra che gli ha dato sicurezza. Per tutto questo grazie infinite dei vostri sacrifici». Infatti, non è sempre facile vivere la solidarietà, ma considerare chi vive in condizioni peggiori, ridimensiona i bisogni e fa scoprire uno stile di vita più sobrio e forse anche più libero. Una famiglia di Messina (Italia) scrive comunicando come l’esperienza del sostegno a distanza con AFNonlus avviata alcuni anni fa, sia per loro di arricchimento e li faccia sentire aperti al mondo intero. Il bambino che sostenevano è cresciuto e grazie all’aiuto ricevuto attraverso il programma è riuscito a trovare lavoro. Tuttavia tanti altri bambini vivono in condizioni di necessità e la famiglia siciliana, nonostante le difficoltà economiche che non mancano, non si tira indietro e conferma ancora il proprio impegno per la solidarietà: «Con quattro figli non è facile far quadrare il bilancio familiare. Nonostante le incertezze, crediamo in questo progetto e siamo molto contenti di aiutare concretamente chi sta peggio di noi, in questo caso il piccolo Vincenzio del Myanmar».
Il progetto del Myanmar si estende in un territorio che per condizioni ambientali e vicende storiche non ha avuto adeguato sviluppo. Molte famiglie e bambini sono vittime di denutrizione e malattie, quali malaria, tubercolosi e AIDS. Il progetto, grazie alla generosità dei sostenitori, punta a infondere rinnovata speranza nel cuore della gente, offrendo alle nuove generazioni un futuro diverso e contribuire alla promozione umana di questa popolazione. Per approfondimenti: I Focolari sono in diversi Paesi asiatici dal 1966: eventi di carattere culturale e interreligioso ricordano questi primi 50 anni di storia. (altro…)
Mar 9, 2016 | Cultura, Famiglie, Focolari nel Mondo
«Cinque anni fa, prima che esplodesse il conflitto in Siria, con tutta la famiglia avevamo progettato di fare tutti insieme un’esperienza full time alla cittadella internazionale dei Focolari a Loppiano (Firenze). Violet ed io avremmo frequentato la Scuola Loreto nella quale, insieme ad altre coppie da varie parti del mondo, approfondire le diverse tematiche famigliari alla luce della spiritualità dell’unità, mentre i 4 figli si sarebbero inseriti nelle scuole del territorio. Dopo anni di lavoro – sono medico – volevamo ritagliare un anno della nostra vita e dedicarlo a Dio. Ci siamo preparati alla partenza con grande cura e responsabilità, ignari di quello che sarebbe accaduto di lì a poco: l’accendersi dei conflitti nella nostra terra. Nel tempo che rimaneva alla partenza, ho potuto rendermi utile in mille modi, prestando soccorso ai feriti, facendo anche lunghi e rischiosi tragitti in automobile per raggiungerle. Anche la partenza per l’Italia è stata piuttosto avventurosa proprio per i disordini che purtroppo continuavano.
Via via seguivamo con trepidazione le notizie sempre più tragiche che arrivavano e al concludersi del corso, i nostri parenti ci hanno scongiurato di rimandare il rientro. Lascio immaginare l’angoscia con la quale abbiamo preso questa decisione e lo sconforto per non poter fare nulla per i nostri connazionali. Ci sentivamo come un’automobile col motore a mille tenuta ferma a forza. Ma anche rimanere in Italia non è cosa semplice. Davanti a noi non vediamo futuro. Anche se ci troviamo in un ambiente ospitale, per via del non riconoscimento dei titoli non mi è consentito esercitare la professione. Mi sono adattato a fare altri lavoretti come falegname o altro, in attesa di qualche spiraglio.
Ma finalmente ecco l’occasione per fare qualcosa per la mia gente. Vengo infatti a sapere di un progetto di accoglienza per profughi in Slovenia a cura di Medici Senza Frontiere nel quale serviva un medico che parlasse arabo. Così sono subito partito, senza sapere esattamente come sarebbe stato. Arrivando mi sono subito messo a servizio dei tanti che giungono al Centro di accoglienza via mare o dopo un lungo percorso a piedi. Tanti di essi provengono dall’Iran, dall’Iraq, dall’Afghanistan… e tanti anche dalla Siria! A vederli arrivare e poterli accogliere parlando la nostra lingua, è stata per me una forte emozione, le lacrime mi colavano sul viso. Da quel momento non mi sono più preoccupato degli orari del sonno, del mangiare… volevo stare tutto il tempo con loro, alleviare le loro sofferenze, prendermi cura di loro, farli sentire ‘a casa’. Ho ancora nel cuore e negli occhi la prima bambina che ho assistito: piangeva in continuazione, non riuscivamo a calmarla. Visitandola ho capito che aveva solo mal di pancia ed ho cominciato a cullarla e parlarle in arabo… la bimba si è pian piano quietata e si è addormentata fra le mie braccia. Quando gli altri si avvicinavano per prenderla, lei si agitava e non voleva lasciare il mio abbraccio… è stata per me un’esperienza molto forte. Qui l’afflusso è continuo. Arrivano tre treni al giorno con circa 2.500 persone. In soli quattro giorni abbiamo dovuto occuparci di così tanta gente come non era accaduto in un mese. Nel nostro team siamo in sei: gli altri sono tutti del posto. Anche loro si sono subito accorti di quanto sia stato toccante per me veder giungere i miei connazionali in quelle condizioni. Quando li accolgo, dicendo il mio nome (Issa=Gesù), vedo i loro occhi brillare. Per ciascuno di loro vorrei essere un altro Gesù che è lì ad accoglierli, che si prende cura di loro attraverso di me. Questa possibilità che mi è stata data è per me come una risposta di Dio». (altro…)
Feb 15, 2016 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Uscendo da casa il 3 maggio di 21 anni fa per raggiungere la banca dove lavoravo, non pensavo certo che la sera non vi sarei tornato. Un forte mal di testa aveva costretto i miei colleghi a portarmi d’urgenza in ospedale. Avevo 49 anni, una vita professionale ben avviata, una promozione imminente, una bella famiglia con tre figlie dai 18 ai 14 anni. Improvvisamente mi sono ritrovato su una carrozzina che neppure riuscivo a governare perché, oltre all’uso della gamba, avevo perso anche quello del braccio. Ero diventato un nulla: dovevo essere aiutato a mangiare, lavarmi, vestirmi… dipendevo in tutto dagli altri. Sentivo dentro disperazione e angoscia, sentimenti che cercavo di scacciare perché sapevo che non erano la soluzione. Da quando avevo abbracciato la spiritualità dei Focolari, avevo imparato a rendermi disponibile alla volontà di Dio, e anche se non capivo il perché di questo sfacelo, con mia moglie Pina abbiamo voluto credere che pure questo era amore di Dio per me, per noi. Anche le nostre figlie si sono lasciate coinvolgere in questa scelta e fin dai primi giorni mi sono ritrovato una forza e una pazienza che non avrei mai pensato di avere. In pochi mesi ho recuperato l’uso della gamba e seppur con grande fatica e col supporto di un collega che mi accompagnava, sono riuscito a tornare al lavoro per altri 7 anni. Poi non ce l’ho più fatta.
Già allora la mia inabilità non mi consentiva di camminare se non per brevi tratti, non potevo più guidare l’auto, farmi la doccia da solo, abbottonare i vestiti, tagliare il cibo nel piatto, avvitare una caffettiera, abbracciare mia moglie e le figlie. Non potevo fare, insomma, tutti quei gesti per i quali occorre l’uso delle due mani. A volte, più amara ancora era la paura. Paura di non farcela ad andare avanti come coppia, paura della solitudine, della mia fragilità di fronte alle diverse situazioni, del dubbio di saper ancora svolgere il ruolo di padre, e così via. Poi sono subentrate altre sospensioni di salute: ricoveri in ospedale, un tumore fermato in tempo, cadute con fratture, ecc. Oggi con tenacia continuo a fare le fisioterapie, anche se so che prospettive di guarigione non ce ne sono. Ma almeno aiutano a rallentare il processo invalidante. Più forte di tutto questo però, avverto dentro di me la grazia della vicinanza di Dio in ogni attimo. In questi 21 anni la raffinata fedeltà di Dio mi ha sempre accompagnato, con la delicatezza e la tenerezza che solo Lui sa dare. Con Pina abbiamo imparato a lasciarci portare da Lui, a farci sorprendere dal suo amore. E quando tutto sembrava crollare, o diventava precario o confuso, in fondo al cuore percepivamo che questo partecipare – in qualche misura – al mistero di Gesù sulla croce, era per noi un privilegio. Come Lui anch’io, anche noi cerchiamo di superare il dolore amando tutti quelli che sono intorno a noi, sperimentando, in quella che possiamo chiamare ‘alchimia divina’, che il dolore è come un talento da far diventare amore.
Dio mi/ci ha presi per mano e, svelandoci poco a poco il suo progetto su di noi, ci ha fatto il dono di entrare in profonda intimità con Lui e fra noi, facendoci comprendere – nella luce – anche il misterioso significato del dolore. E quello che poteva sembrare un limite si è trasformato in ricchezza, quello che poteva fermarci si è tramutato in corsa, anche per la forte condivisione con tanti altri. Dio ci ha resi più sensibili e misericordiosi con tutti quelli che con tanta fantasia ci mette accanto. Facendoci sperimentare che anche una malattia invalidante non toglie la possibilità di essere strumenti nelle mani di Dio per il prossimo». Giulio Ciarrocchi (altro…)