2 Ott 2019 | Focolari nel Mondo
Con il Sinodo Amazzonico alle porte, raccontiamo una storia che si sviluppa in un villaggio peruviano situato nel “polmone del mondo”. Non parla di incendi, né di deforestazione, di petrolio o cercatori di metalli preziosi. È la storia di Jenny e Javier, che hanno scelto come famiglia di vivere nell’Amazzonia col desiderio di portare la luce del Vangelo agli “ultimi”.
“Vivevamo in Argentina, ma a un certo punto abbiamo deciso di trasferirci a Lámud, il paesino dove è nata Jenny, nella zona chiamata “Ceja de Selva” (“sopracciglia della selva”, metà montagna e metà foresta), nei pressi delle sorgenti dei grandi fiumi Marañón e Rio delle Amazzoni. Volevamo stare vicino ai suoi genitori, già anziani e dalla salute delicata”. Javier è argentino ed ha conosciuto Jenny quando lei studiava a Rosario. Hanno due figlie piccole (2 e 4 anni) e Angie (di 17). Passare da una grande città come Rosario a un paesino di 2.500 abitanti, sperduto e a 2.300 metri di altitudine, è stato indubbiamente un gran salto. Raccontano che hanno venduto le poche cose che avevano e sono partiti per la regione più povera del Perù, a 1.600 km da Lima e a 14 ore dal focolare più vicino.“Sapevamo che il nostro non sarebbe stato un viaggio di andata e ritorno”. Era, soprattutto per Javier, una vera sfida. Sin da giovanissimi avevano incontrato la spiritualità dell’unità dei Focolari, e anche adesso, come famiglia, avevano deciso di mettere in pratica il Vangelo. Per questo, la loro “maggiore preoccupazione” – raccontano – era quella di abitare in un luogo dove sarebbero stati “soli”, senza altre persone che condividessero i loro stessi ideali. Decisero allora di fare di tutto per testimoniare ed annunciare il Vangelo con la loro vita, affinché anche in quel piccolo villaggio amazzonico nascesse un seme della spiritualità dell’unità. Si proposero di vivere il comandamento dell’amore reciproco per “procurarsi” la presenza spirituale di Gesù nella loro famiglia, secondo la promessa di Lui: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lí sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Con questa convinzione, e credendo all’affermazione di Chiara Lubich quando disse che “uno dei frutti dell’avere Gesù in mezzo è che si fa nascere la comunità”, partirono decisi per il Perù. Pochi giorni dopo il loro arrivo, il vescovo locale visitò Lámud. Jenny e Javier si presentarono come una “famiglia focolare”. Il Vescovo li benedisse e li stimolò a continuare l’impegno preso. Cominciarono con il percorrere la periferia del paese visitando “i più poveri, gli ultimi”. Andavano a trovarli nelle loro case (se così si possono chiamare), dove trovarono anziani che “non avevano neppure un letto degno dove morire” raccontano. Conobbero tante famiglie la cui unica aspettativa (o speranza) era avere un piatto caldo ogni giorno per i loro figli e per se stessi. “Cercavamo di far sentire loro il nostro affetto, di guardarli negli occhi, di regalare una parola di incoraggiamento, e anche qualcosa da mangiare. A volte, quando potevamo, rimanevamo con loro due o tre giorni, condividendo i loro dolori, la loro povertà, le loro brevi gioie e speranze”.
Con l’anelito di generare una piccola comunità di vita del Vangelo, cominciarono ad organizzare incontri della “Parola di vita”, ma senza successo. Cambiarono tattica varie volte. “Non ci siamo mai scoraggiati, perché sapevamo che Gesù ha i suoi tempi e che l’importante era stare al suo gioco”. Insistettero nell’invitare i vicini ad incontrarsi attorno alla Parola di Dio e, poco a poco, cominciarono ad aderire alcune persone, tra le quali le mamme di alcuni bambini dell’asilo con le loro figlie. Jenny e Javier prepararono allora anche momenti adatti ai più piccoli. Fu l’inizio di una piccola fiammella. Nel frattempo, il parroco chiese loro di assumersi la catechesi familiare del paese e di altri dieci villaggi “vicini”, alcuni dei quali a due ore di strada. Recentemente, hanno avuto la prima visita di un gruppo dei Focolari della città di Talara, a 650 km da Lámud (12 ore di viaggio in automobile). Una visita che “ha segnato un prima e un dopo nella vita della nostra comunità”, afferma la coppia. Jenny e Javier spiegano, con la gioia di chi ha trovato il proprio posto nel mondo: “Siamo pochi… ma qualcosa è nato! Non vogliamo crearci false aspettative, ma crediamo che Gesù ha un debole per l’Amazzonia e per i più poveri. Forse perché anche lui nacque tra i poveri… e rimase tra di loro”. “Non sappiamo per quali strade lui voglia portarci”, ammettono, ma sono le uniche che vogliamo percorrere!”, concludono. “Vogliamo, come lui, dare la vita per la nostra gente”.
Gustavo E. Clariá
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29 Set 2019 | Focolari nel Mondo
Anche quest’anno in tutto il mondo il Movimento dei Focolari ha invitato uomini e donne, piccoli e grandi, persone di ogni provenienza a fare nelle Mariapoli l’esperienza di una città, basata sulla legge della fraternità.
I modi sono diversi, l’esperienza è la stessa: la Mariapoli è l’espressione tipica dei Focolari. Per alcuni giorni i partecipanti a questi convegni – in genere estivi – sono invitati a realizzare un’utopia: quella di una società basata sull’amore reciproco del Vangelo. Con la grande Mariapoli Europea, realizzata in quattro tappe di una settimana ciascuna nel luogo della sua nascita, a Fiera di Primiero, questa esperienza ha celebrato in questa estate 2019 i suoi settanta anni di vita. Ma anche in tante altre parti del mondo ha attirato gente di ogni provenienza. 235 sono state le Mariapoli 2019 con una partecipazione di circa 46.000 persone. Alla nostra redazione sono giunte lettere e racconti da Galles, Vietnam, Perù, Canada, Finlandia, Italia, Bulgaria e Brasile.
In Turchia la Mariapoli si è svolta a Şile, una piccola località sul Mar Nero nei pressi d’Istanbul, una location che ha dato un tocco di vacanza apprezzatissimo da tutti. I 70 partecipanti venivano da Ankara, Iskenderun, Smirne e anche dall’estero. Il tema centrale, la santità personale e comunitaria, è stato affrontato, tra l’altro, attraverso la presentazione di alcuni dei santi di questa terra: San Giovanni Crisostomo, Sant’Efrem, Sant’Elena e Santa Tecla la cui storia ha offerto uno sguardo di riconoscenza alla Chiesa dei primi tempi. A Kerrville in Texas (USA) si è approfondito il tema che quest’anno ha guidato la vita dei Focolari in tutto il mondo: lo Spirito Santo e la Chiesa. Tra le 350 persone presenti, 100 partecipavano per la prima volta ad una Mariapoli, forse anche per il fatto che l’approfondimento sulla Chiesa, in una situazione contrassegnata da tanti scandali e sofferenze, era di particolare interesse. Lo stesso argomento, ma approfondito con un taglio ecumenico è stato al centro della Mariapoli della Svezia svoltasi a Marielund-Stoccolma con la partecipazione di luterani e cattolici. Erano presenti in Mariapoli anche due persone di religione buddista e alcuni non credenti. I partecipanti arrivavano da varie città della Svezia con una buona rappresentanza della Norvegia.
Nonostante questa diversità è stato possibile approfondire “lo Spirito Santo come colui che è l’energia vitale della Chiesa – scrivono – e che da a ciascuno una grazia particolare per realizzare la propria chiamata in funzione all’unità di tutte le membra del mistico corpo di Cristo”. Un tocco gioioso ha dato alla Mariapoli di Leopoli, Ucraina, la partecipazione delle nuove generazioni al programma. Ai giovani, ai ragazzi e ai bambini era affidata la preparazione e la conduzione di una giornata intera. L’hanno realizzata in modo vivace e coinvolgente. E all’inizio di ogni giornata sono stati proprio i bambini ad “insegnare” gli adulti, raccontando come avevano vissuto il giorno precedente le parole del Vangelo. La Mariapoli organizzata a Penang in Malaysia, è stata caratterizzata invece da diversità di lingue, culture, provenienze etniche ed anche da grandi distanze, i partecipanti arrivati da Singapore, ad esempio, hanno affrontato un viaggio di 700 km. “Lo sforzo di mantenere vivo tra di noi l’amore reciproco – scrivono – e dare così spazio alla presenza di Gesù in mezzo a noi, l’impegno di affrontare e superare le difficoltà e la disponibilità di rinunciare alle proprie idee, ha reso possibile questa impresa”. Alla Mariapoli di Boconó nell’ ovest del Venezuela l’incontro voleva offrire ai partecipanti la possibilità di riposare, viste le difficoltà di una vita quotidiana stancante a causa dei prolungati periodi senza elettricità, delle code interminabili per la benzina e delle ristrettezze economiche. A questa offerta – anche economicamente – attraente hanno aderito più del doppio delle persone previste.
Però la prima notte un uragano con grandine, pioggia, alberi sradicati e vento fortissimo ha provocato un black-out elettrico durato fino alla fine della Mariapoli. La conseguenza è stato il collasso totale: bagni senza acqua, impossibilità di cucinare e problemi per conservare gli alimenti. Poi, attraverso gli approfondimenti di spiritualità, l’amore invincibile di Dio è diventato esperienza esistenziale: si è trovato un modo per cucinare con la legna, un vicino ha offerto un generatore, l’attenzione di tutti per le necessità degli altri è cresciuta. “Dio non si lascia vincere in generosità” scrivono a conclusione di questa esperienza meravigliosa.
Joachim Schwind
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20 Ago 2019 | Focolari nel Mondo
In gergo internazionale si chiamano “expats”: sono i giovani espatriati che hanno trovato lavoro e si sono rifatti una vita all’estero. Ciascuno ha le proprie ragioni, ciascuno la sua storia. Mitty, italiana, fa ricerca su biosensori di glucosio in un’università giapponese e vive nella comunità del Focolare di Tokyo. “Oggi la tecnologia ha un enorme potere in tutti i campi e anche in quello sanitario. Mi sento chiamata a lavorare in questo campo per contribuire a dirigere la ricerca tecnica secondo scelte etiche e non di business. A volte siamo proprio noi ingegneri biomedici ad inventare cose che fanno diventare l’uomo un robot, ma non servono alla sua salute”. Non c’è dubbio: Maria Antonietta Casulli, per tutti Mitty, ha le idee chiare. Ha studiato Ingegneria biomedica in Italia, ma per la tesi si è trasferita in Svizzera, presso la prestigiosa Ecole polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL – Scuola Politecnica federale di Losanna) dove successivamente ha vinto un dottorato di ricerca. Dunque, i presupposti per una carriera tutta in ascesa c’erano tutti: uno stipendio consistente, una bella casa con vista sul lago di Ginevra, degli ottimi amici. Cosa poteva voler di più?. “Eppure – racconta Mitty – qualcosa non funzionava: era il 2013; eravamo in piena crisi economica e io avevo una vita perfetta. Ma al di là delle Alpi, in Italia, tanti miei amici rischiavano la depressione perché non trovavano lavoro e io non volevo chiudermi in una vita fatta di carriera e soldi. Ma il colpo di grazia me l’ha dato un viaggio nelle Filippine dove mi sono trovata nel bel mezzo di uno dei tifoni più potenti e devastanti al mondo: il tifone Yolanda. Il contrasto che ho sperimentato era enorme: questo popolo non aveva nulla di quello che io e i miei amici avevamo, ma viveva con la “v” maiuscola; la loro era una vita piena, ricca di relazioni e grande dignità. Paradossalmente questo mi sembrava la medicina per la crisi che il mio continente, l’Europa, stava attraversando: non si trattava solo di una crisi economica; era molto di più: un vuoto dei valori fondamentali della vita”. Dopo quel viaggio Mitty non torna più in Svizzera perché sente di dover ridonare a Dio quella vita piena che Lui le ha dato. E così, dopo un periodo presso la scuola di formazione dei focolarini, da due anni si trova in Giappone, dove vive nella comunità del Focolare di Tokyo. Lo studio della lingua l’ha assorbita e quindi è fuori dal mondo del lavoro da ben cinque anni. Sarebbe potuta tornare a fare ricerca, soprattutto in una società come quella giapponese?. “Proprio mentre mi facevo queste domande un amico di passaggio mi racconta di un professore giapponese, cattolico, di un’università di Tokyo che fa ricerca nientemeno che sui biosensori di glucosio: il mio argomento di laurea!”. Poiché le probabilità di trovare qualcuno in Giappone che si occupi dei suoi stessi studi sono pressoché nulle, Mitty comprende che Dio è all’opera nella sua vita e in seguito gliene darà continua prova. Il professore le offre la possibilità di fare il dottorato, ma resta comunque un problema: “In Giappone non avrei avuto uno stipendio come in Svizzera, anzi, avrei addirittura dovuto pagare io”.
Anche in questo caso la risposta di Dio è sorprendente. Quasi per caso, Mitty si ritrova a fare una intervista di fronte a sei manager di varie aziende giapponesi: una situazione abbastanza difficile per una giovane donna straniera. “Ho sentito che Dio era con me e che, alla fine, tutti loro non erano altro che persone da amare. Questo ha cambiato il mio modo di esporre il progetto o di ascoltarli nei vari interventi. Per un’ora ho raccontato del mio progetto, ma per quella successiva ho risposto alle loro domande sulla mia scelta di vita come focolarina e del perché mi trovavo in Giappone. Ho ricevuto il 100% dei finanziamenti per il progetto e devo dire che ho visto la potenza di Dio farsi strada in questa cultura e in questi ambienti in un mondo che non avrei mai immaginato. Neanche 2 mesi dopo l’inizio del mio dottorato poi, il mio ex professore svizzero è venuto a Tokyo e abbiamo potuto organizzare un seminario nella mia nuova università. A cena, osservando i due professori parlare insieme, mi è sembrato di capire ciò che Dio vuole ora da me. Non solo fare ricerca, ma costruire ponti: tra università e aziende, tra Oriente e Occidente. A me sta solo continuare ad essere tutta di Dio”.
Stefania Tanesini
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10 Ago 2019 | Focolari nel Mondo
https://vimeo.com/459314682 Leggi il testo del video (altro…)
4 Ago 2019 | Focolari nel Mondo
A 60 anni dalla “Consacrazione dei popoli a Maria”, quando, nel dopoguerra, migliaia di persone di tutti i continenti strinsero un patto di unità fra loro e i loro popoli, la Mariapoli europea rilancia il sogno della fraternità universale. “Amare la Patria altrui come la propria” è l’invito che il Movimento Politico Per l’Unità (MPPU), fondato da Chiara Lubich, rinnova nel contesto della Mariapoli europea, in corso sulle Dolomiti. Una proposta di fraternità che suggerisce percorsi nuovi nei rapporti fra gli Stati e i popoli. Ne parliamo con l’On. Letizia De Torre, Presidente del Centro Internazionale del MPPU: Il MPPU è una corrente di pensiero che vuole promuovere in ambito politico la “cultura della fraternità”. Che risvolti può avere l’adozione di questa categoria nei rapporti fra gli Stati, le istituzioni internazionali, i partiti politici e i singoli rappresentanti delle formazioni politiche? La sua domanda è una richiesta, direi accorata, di cambiamento a 360^ della politica! Ed in effetti i cittadini sono delusi, arrabbiati. Sono indignati. Si sentono traditi. Ed hanno ragione. La politica, salvo rare eccezioni, non ha saputo cogliere per tempo il cambiamento epocale in atto in tutto il mondo. Di conseguenza sono in profonda crisi le relazioni e le organizzazioni internazionali, i partiti e il sistema di rappresentanza. I movimenti di cittadini stanno assumendo ruolo ovunque, ma a chi possono parlare? Chi può realizzare quanto chiedono? La protesta non basta per cambiare le cose. Per far intuire la portata che potrebbe avere l’Ideale dell’unità nelle relazioni internazionali, immaginiamo cosa accadrebbe se gli Stati (a partire dalle maggiori potenze in corsa per la propria supremazia geopolitica) agissero – in una qualunque delle attuali aree crisi – verso gli altri “come vorrebbero che gli altri Stati agissero verso di sé”. Immaginiamo che questo comportamento fosse reciproco…E questa non è utopia, questo sarebbe un conveniente realismo. Nella ricerca scientifica, ad esempio nello Spazio, da quando si è scelta la cooperazione anziché la competizione, sono state fatte conquiste enormi a beneficio di tutti. Ecco se gli Stati scoprissero la cooperazione, anzi di più se i popoli scoprissero di potersi amare, immaginiamo quali conquiste di pace, di condivisione dei beni, di conoscenze, di rispetto della nostra casa Terra…! In realtà il mondo va lentamente camminando in questa direzione e l’idea dell’unità può essere un potente acceleratore. Nei primi anni ‘50 i Paesi europei cominciavano a dar vita alle istituzioni comuni: nel ’52 nasceva la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, nel ’57 la Comunità Economica Europea. Come rinnovare oggi quello slancio unitario che sembra smarrito? Non credo che il disegno di unità europea sia smarrito. Credo piuttosto che la UE sia scossa come il resto del mondo dalle grandi trasformazioni di questo secolo e, a causa della crisi culturale che attraversa l’Occidente, non trovi le energie per una nuova visione politica, per un nuovo ruolo da assumere nel piano internazionale e per cogliere di avere proprio nel proprio motto “unità e diversità” il segreto per affrontare la grande complessità di oggi. Dobbiamo però renderci conto che l’Unione europea non è fatta dalle istituzioni di Bruxelles, ma innanzitutto dai suoi cittadini, quindi da noi. I passi futuri dipendono, quindi, in vari modi, da tutti noi. A livello internazionale, accanto a situazioni di tensione, non mancano esempi di collaborazione e conciliazione fra Paesi. Accade nel continente africano, nei rapporti fra USA e Nord Corea, e in seno al vecchio continente. Come leggere questi passaggi della storia? Il mondo non può che aspirare alla pace, alla concordia, alla collaborazione. Certo è un cammino lento, contraddittorio, con molte scivolate indietro, con tanta zavorra ai piedi a partire dalla corruzione. Ma è un cammino a cui vorremmo contribuire col paradigma di cui sopra “Fai all’altro popolo quello che vorresti fosse fatto a te”. È per realizzare questo non basta nemmeno (e già sarebbe tanto!) eleggere leader preparati, capaci di spendersi per il proprio popolo e per l’unità tra i popoli, occorre anche che i cittadini diano il loro consenso, anzi spingano verso una fraternità globale, sappiano superare visoni ristrette per un bene comune universale.
Claudia Di Lorenzi
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30 Lug 2019 | Focolari nel Mondo
Ha ancora senso impegnarsi per la fraternità in politica? Alla Mariapoli Europea, il 10 agosto prossimo si rinnoverà il patto per la fratellanza dei popoli, stipulato per la prima volta 60 anni fa. Di cosa si tratta? Ne abbiamo parlato con Marco Titli del Movimento Politico per l’Unità dei Focolari. È il 22 agosto del 1959, gli echi della guerra risuonano ancora, ma al termine della Mariapoli, nella valle di Primiero, rappresentanti dei 5 continenti stringono un patto di unità: pregando in 9 lingue, consacrano i loro popoli a Maria. La fratellanza, vogliono dire, è possibile. A distanza di 60 anni, calata nell’attualità politica, la proposta di stringere un patto di unità per la fratellanza dei popoli sembra utopica: sia che venga “dal basso”, come accadde nel ’59, sia che nasca da un’iniziativa dei governi. Dobbiamo rassegnarci o ha ancora senso impegnarsi per la fraternità in politica? Ne abbiamo parlato con Marco Titli, 33 anni, collaboratore parlamentare, impegnato nel Movimento Politico per l’Unità dei Focolari, a Torino consigliere di circoscrizione: Di fronte a un’Europa divisa fra integrazione e particolarismi, che messaggio offre la Mariapoli Europea? “Il compito della Mariapoli non è quello di entrare nella dialettica politica. Il messaggio che si vuole dare è che l’unità dell’Europa è un valore da custodire, nel rispetto delle identità dei singoli paesi: se l’Europa si spacca torniamo ai confini fortificati, invece ponti e strade ampliano lo sguardo e portano benessere. Il Movimento dei Focolari fa rete con altre realtà della Chiesa, come sulla mozione contro le esportazioni delle armi in Yemen, oppure riguardo la battaglia contro il gioco d’azzardo”. La crisi di fiducia verso i partiti si è acuita e i cittadini rinunciano alla partecipazione attiva. Come ricostruire fiducia? “Accanto alla crisi della politica vedo anche quella dei media che enfatizzano le cattive notizie. Tanti sindaci rischiano la vita per combattere la criminalità organizzata o rischiano la reputazione compiendo atti coraggiosi per la propria città. Anche a livello nazionale ci sono politici che lottano per il bene comune. Usciamo dal qualunquismo, c’è tanta gente in gamba oggi in politica”. Essere coerenti con i propri ideali a volte può voler dire scontentare qualcuno. Qual è dunque il criterio dell’agire in politica? “Se si fa politica bisogna essere disposti ai compromessi, perché viviamo in una realtà complessa, ma non a qualsiasi compromesso. Di fronte a pratiche illecite o fatti gravi bisogna dire di no, e questo significa anche rischiare: tanti amministratori sono caduti perché hanno detto di no e non sono stati capiti nemmeno dalla propria gente. Ma se si rifiuta il compromesso e si entra in politica per difendere le proprie idee si porta divisione. È una strada difficile che incontra resistenze, ma il politico è chiamato ad ascoltare gli interessi particolari, a comporli in un mosaico”. Puoi raccontare di iniziative di collaborazione fra i partiti della tua città? “Stavano costruendo un ponte vicino alla stazione ferroviaria di Torino – Porta Susa che unisce due pezzi di città una volta separati dalla ferrovia. Insieme ad altri della mia circoscrizione e di quella che sarebbe stata collegata dall’altra parte del ponte, ho proposto di intitolare la struttura all’Unione Europea, simbolo dell’unità fra popoli diversi. Il progetto è stato votato all’unanimità e varie forze politiche erano presenti al momento dell’intitolazione. E’ stato un momento di speranza: mi auguro che segni come questi possano ricostruire nei cittadini la fiducia verso la politica”.
Claudia Di Lorenzi
Immagine:© Ufficio stampa Mariapoli Europea (altro…)