Feb 3, 2020 | Testimonianze di Vita
Molta parte della cultura in cui siamo immersi esalta l’aggressività in tutte le sue forme come l’arma vincente per raggiungere il successo. Il Vangelo invece ci presenta un paradosso: riconoscere la nostra debolezza, i limiti, le fragilità come punto di partenza per entrare in relazione con Dio e partecipare con Lui alla più grande delle conquiste: la fraternità universale. Recessione Per la situazione di crisi del nostro Paese vedevo diminuire il lavoro e le entrate diventare sempre più esigue. Dai nostri clienti non arrivavano più ordini. In casa abbiamo ridotto le spese, cercando di vivere con meno. Ho imparato ad addormentarmi nonostante i debiti, a stare di più con i bambini perché non pesasse su di loro la situazione. Ho ripreso a pregare, a credere fortemente nel Vangelo che dice: “Date e vi sarà dato”. Questo lo abbiamo verificato sulla nostra pelle ogni giorno. Intanto facevamo tutto il possibile: raccogliere giornali, cartoni, lattine e bottiglie di vetro per venderli. I bambini andavano a vendere sacchetti di dolci… Molte persone venivano a chiederci cibo ed è capitato di dare l’unica cosa che ci rimaneva. Un giorno mia moglie ha regalato un chilo di riso e la stessa sera abbiamo ricevuto due chili di lenticchie. Una nostra vicina ha lasciato davanti la nostra porta un’auto: “Disponetene, ce la pagherete quando potrete”. Così possiamo portare la nostra terza figlia, nata con la sindrome di Down, per fare le cure necessarie. (M.T. – Cile) Crescere come genitori Avevamo notato dei cambiamenti in nostro figlio. Un giorno, con infinita delicatezza, gli ho chiesto se ci fosse qualche problema. Mi ha confidato che era entrato nel giro della droga. Ne ho parlato con mio marito. Quella notte non abbiamo chiuso occhio. Ci siamo sentiti impotenti e anche falliti come genitori. Joao portava a casa anche degli amici. Ne soffrivamo per il loro modo di comportarsi. Con mio marito ci siamo trovati di fronte a una scelta: abbiamo deciso di amare e servire quei ragazzi. Per amore di nostro figlio non siamo più andati in vacanza per non lasciarlo solo. Intanto con mio marito cresceva la certezza che l’amore avrebbe vinto. Un giorno Joao ci disse che non voleva allontanarsi da casa e ci chiese di aiutare anche i suoi amici. È iniziata una vita nuova. Con questa esperienza, pur non avendo altra formazione che la vita del Vangelo vissuto, abbiamo fondato nella nostra città il gruppo di Famiglie Anonime con lo scopo di aiutare le famiglie dei tossicodipendenti. Tanti giovani sono stati recuperati. (O.P. – Portogallo) Profughi Avendo saputo che un giovane profugo albanese cercava alloggio, lo aiutiamo nella ricerca e intanto lo ospitiamo a casa nostra. I nostri parenti non sono d’accordo, ci mettono davanti tanti problemi e ci dicono che siamo degli incoscienti, ma forse proprio anche per questa rottura momentanea, troviamo nell’unità tra noi due la forza per andare avanti comunque. Dopo pochi giorni si trova un appartamento. Assieme a B., un artigiano che aveva deciso di assumere un albanese, ci rechiamo alla caserma per concretizzare la cosa. L’impatto con quel luogo, dove centinaia di persone attendono una sistemazione, è duro. Ci sentiamo impotenti, ma B. alla fine decide di assumere non uno ma tre albanesi, di cui uno minorenne, che terrà egli stesso in affidamento. Sono sufficienti pochi mesi perché i tre giovani si inseriscano nel lavoro e si integrino anche nella vita del paese, dove abbiamo cercato di coinvolgere più gente possibile per dar loro modo di sentirsi parte di una grande famiglia. (S.E. – Italia) La cresima La mia fidanzata, Giorgia, vuole sposarsi in chiesa. È necessario il certificato della cresima che non ho e ci vuole una preparazione. All’inizio sembra tutto semplice, ma quando mi trovo con ragazzi molto più giovani di me ad ascoltare le lezioni di catechismo, mi sembra troppo. Vorrei mandare tutto in aria. Giorgia non cambia idea, lei è convinta del sacramento del matrimonio. Il nostro rapporto entra in un tunnel. Praticamente rimandiamo la data del matrimonio. Sono mesi di travaglio e di domande. Sono formato a vedere la Chiesa come istituzione retrograda e ora eccomi qui a elemosinare un certificato. Quello che mi fa rabbia è che per Giorgia non si tratta di una formalità, ma di un modo di impostare la famiglia. Il nostro rapporto va in fumo. In quei giorni, in un incidente, mia madre rimane paralizzata. Giorgia viene a trovarla tutti i giorni e mia madre trova in lei non solo amicizia, ma un tipo di presenza che l’aiuta ad accogliere il suo stato con serenità. Capisco che Giorgia ha motivi profondi per agire così. Sparisce in me ogni dubbio: costi quel che costi, è lei la donna della mia vita. (M.A. – Italia)
a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)
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Gen 27, 2020 | Testimonianze di Vita
“Noi non diamo una gloria così grande a Dio come quando ci sforziamo di accettare il nostro prossimo, perché allora gettiamo le basi della comunione fraterna e niente dà tanta gioia a Dio quanto la vera unità tra gli uomini. L’unità attira la presenza di Gesù tra di noi e la sua presenza trasforma ogni cosa”.(Chiara Lubich) Il collegio Nel collegio dove abitavo, a Praga, mi era capitato d’incontrare più volte la donna delle pulizie. Essendo stato gentile con lei, notai che puliva più spesso la camera che dividevo assieme a un bulgaro e che dava frequentemente la cera sul parquet. Non sapevo come ringraziarla e, avendo con me una macchinetta per il caffè espresso, una volta pensai di farle cosa gradita offrendole un buon caffè. Non disse niente, ma in seguito mi confessò che per lei, abituata al caffè “alla turca” l’altro era troppo forte. Iniziò così un dialogo sulle abitudini nelle varie culture e arrivammo a parlare anche di fede. Lei mi disse che da bambina aveva frequentato la parrocchia, ma poi, durante il comunismo, ne era rimasta lontana. Nei giorni seguenti, finito il giro delle pulizie, se ero in collegio, si fermava da me, sempre con tante domande sulla vita cristiana. Un giorno mi confidò: “Questo lavoro è stato sempre umiliante per me, ma da quando ho conosciuto quest’altra visione, mi sembra di aver ritrovato la mia infanzia, di aver compreso il senso della vita”. (T.M. – Slovacchia) Con occhi nuovi Mia moglie ed io eravamo arrivati ad un bivio: io vedevo soltanto i suoi difetti e lei vedeva soltanto i miei. Le liti si erano intensificate e sembrava che ogni avvenimento, anche riguardo ai figli, alimentasse questa guerra. Un giorno, mentre accompagnavo la più piccola a scuola, mi sono sentito dire: “Sai, papà, il professore di religione ci ha spiegato che il perdono è come un paio di occhiali che fa vedere con occhi nuovi”. Questa frase detta da una bambina non mi ha lasciato tranquillo. Ci ho ripensato tutto il giorno. La sera, tornando a casa, m’è venuta un’idea: andare dal fioraio e comprare tante rose quanti erano gli anni del nostro matrimonio. Mia moglie all’inizio ha reagito male (l’ennesima gaffe?), poi, vista la gioia dei figli, soprattutto della piccola, ha cambiato atteggiamento. Quella sera, dopo lunghi silenzi, qualcosa si è smosso. È stato l’inizio di un nuovo cammino. Davvero mi è sembrato di avere occhi nuovi e di vedere mia moglie e i nostri figli come non li avevo visti. (J.B. – Spagna) Tentazione Ci trovavamo in grande bisogno di una grossa somma di denaro per saldare un certo debito. Quella mattina un cliente passa da noi, entra con l’intenzione di comperare sei macchine. Dopo aver concluso l’affare, lui ci fa la proposta di applicare un adesivo con il nome di una marca famosa. Colta di sorpresa, pur sapendo che questa è prassi comune nel nostro mercato, ho vissuto un attimo di sospensione: rischiavamo di perdere quel grosso affare, ma non me la sentivo di accettare l’offerta. Dopo essermi confrontata con mio marito, abbiamo capito chiaramente che non potevamo cedere e tradire la nostra coscienza di cristiani. Il cliente ci ha guardati sorpreso. Alla sua domanda se eravamo cattolici, abbiamo risposto di sì. La sua faccia si è distesa: “Oggi ho costatato cosa significa essere fedeli alla propria fede. Non preoccupatevi, comprerò da voi. Mi avete insegnato qualcosa di molto importante. Ero anch’io cristiano, ma vedendo come fanno tutti nel commercio, mi sono lasciato prendere dalla tentazione. Da oggi non lo farò più”. (G.A. – Nigeria) Un lavoro per due Durante un corso per venditore di bevande e panini sui treni, avevo chiesto se si potessero distribuire i panini invenduti ai senzatetto. Questo non rientrava nell’immagine della ditta, per cui non ero stato assunto. Deluso, ma certo che Dio mi sarebbe venuto incontro, avevo trovato lavoro nella cucina di un ristorante. Qui, d’accordo con i colleghi, la sera potevo distribuire cibo a chi ne aveva bisogno. Ho conosciuto così situazioni drammatiche di fame, miseria, solitudine. Un giorno il capo mi ha annunciato che in cucina serviva un lavorante soltanto. Eravamo io e un uomo musulmano di cui ero diventato amico. Quando ho risposto che preferivo restasse lui, perché aveva famiglia, il capo ha replicato che la scelta era caduta su di me. Pur grato, gli ho ribadito il mio pensiero. E lui: “Per la prima volta mi sento spinto da un ragazzo come te a rivedere la mia decisione”. Il giorno dopo, riesaminando la situazione economica dell’azienda, aveva deciso che potevamo continuare a lavorare entrambi! (D. – Inghilterra) Non solo ospite Avevamo accolto a casa nostra per un anno intero una ragazza brasiliana venuta in Italia con un programma di scambio culturale. Julia però non riusciva ad inserirsi nella nostra famiglia e noi, considerandola soltanto un’ospite, non contribuivamo allo scopo. Quando ce ne siamo resi conto e abbiamo incominciato a trattarla come le due nostre figlie, le cose sono cambiate: lei si è sentita amata e pian piano si è legata a noi come una figlia accanto ad altre sorelle. Julia è diventata una di noi al punto che, avvertendo il bisogno di approfondire la bellezza della famiglia cristiana, ci ha chiesto di essere formata ai sacramenti del battesimo, cresima e comunione che non aveva ricevuto nel suo Paese, pur avendo 17 anni. Per l’occasione sono venuti i suoi genitori dal Brasile e abbiamo fatto una grande festa che ha coinvolto l’intera comunità. Oggi il legame con Julia continua. Noi continuiamo ad essere per lei “mamma e papà” tutte le volte che ci vediamo in videochiamata o ci scriviamo. (A. – Italia)
a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)
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Gen 15, 2020 | Testimonianze di Vita
“Gesù ci ha dimostrato che amare significa accogliere l’altro così com’è, a quel modo con cui egli ha accolto ciascuno di noi. Accogliere l’altro, con i suoi gusti, le sue idee, i suoi difetti, la sua diversità. (…) Fargli spazio dentro di noi, sgombrando dal nostro cuore ogni prevenzione, giudizio e istinto di rifiuto”. (Chiara Lubich) Il “Villaggio della miseria” Gli abitanti di questa baraccopoli, che si estende sulle rive pantanose di un fiume, si arrangiano con lavoretti e, dovendo rimanere fuori casa tutto il giorno, sono costretti a lasciare i loro bambini da soli. Qualche tempo fa, il fiume in piena per una pioggia torrenziale ha portato via da una baracca un bimbo di pochi mesi. Noi abitiamo in un vicino quartiere residenziale. Sconvolti dall’accaduto, tentiamo di affrontare questa terribile piaga coinvolgendo parenti e amici. Presi in affitto dei locali, iniziamo un asilo-nido dove i genitori possono lasciare i loro bimbi al sicuro durante il giorno. Nei locali attigui diamo avvio a una scuola materna per togliere dalla strada i più grandicelli. L’iniziativa sta portando frutti: rapporti nuovi tra il personale che lavora e le famiglie e condivisione di beni, di tempo e di prestazioni. Pian piano si sta facendo realtà anche un altro sogno: togliere il maggior numero di famiglie dal “Villaggio della miseria”. Con un sistema di autogestione abbiamo costruito e inaugurato quest’anno le prime nove case. (S.J.B. – Argentina) Convinzioni politiche Era inevitabile, in ufficio, parlare di politica. Inevitabile sperimentare la distanza che esisteva fra i rispettivi punti di vista. Stanca di questa tensione che aumentava giorno dopo giorno, soprattutto quando qualcuno proclamava “verità” non condivisibili, sono giunta alla conclusione che più che cambiare ufficio, dovevo cambiare io. Così mi sono impegnata a capire meglio cosa spingesse l’uno o l’altro dei miei colleghi a difendere una certa posizione. Questo mio modo di comportarmi ha provocato una certa curiosità, soprattutto in quanti mi avevano sempre attaccata come cattolica- conservatrice-bigotta. Certamente è stata la preghiera ad aiutarmi, ma anche la mia comunità parrocchiale che mi incoraggiava ad avere più carità. Un giorno il mio “nemico” più acerrimo mi ha detto: “Non so più dove attaccarti …e vedo che sei felice. La tua libertà mi disorienta”. Senza troppe spiegazioni si è stabilita un’amicizia costruttiva che ora aiuta anche gli altri ad avere un atteggiamento più comprensivo tra noi, pur restando nelle proprie convinzioni. (F.H. – Ungheria) Con occhi di madre Nostro figlio aveva sposato L. sull’onda della contestazione, scambiando per amore la comune fede politica. Io l’amavo come una figlia e ne apprezzavo le doti di sensibilità e attenzione verso gli ultimi della società. Quando, dopo appena un anno di matrimonio, entrambi sono venuti a comunicarci la difficoltà di continuare una vita insieme, ero quasi preparata a questo annuncio. A perderci è stato soprattutto il nostro ragazzo, che aveva impegnato tutto sé stesso nella costruzione di un rapporto coniugale vero. Quanto a L., più che giudicarla, ho cercato di tenere presente quanto di bello e di positivo avevo colto in lei prima e di considerare la situazione con occhi di madre. l suoi genitori, constatando che dalla nostra bocca non era uscita mai, né con loro né con altri, una parola di giudizio nei confronti della figlia, hanno espresso la loro stima per quest’atteggiamento e hanno continuato a mantenere con noi un rapporto fraterno. Da allora sono passati molti anni. L. ci considera ormai un punto fermo della sua vita. (F.B. – Francia) Ladri in casa Avevo aperto loro la porta perché mi erano sembrati dei bravi ragazzi. Invece mi hanno chiesto subito dove avessi i soldi e cominciato ad aprire cassetti, armadi. Uno di loro mi teneva ferma per le braccia dietro la schiena. Per la paura, non avevo neanche la forza di gridare … Quando sono andati via, mi sono trovata a terra, un po’ stordita. Forse avevano avuto pietà della mia età. Poi sono uscita sul balcone e ho gridato aiuto, ma i ladri erano già fuggiti. Dei vicini sono accorsi, ma non potevano fare altro che aiutarmi a mettere un po’ di ordine in giro mentre mi rendevo conto di ciò che era sparito. Cosa fare? Quel giorno la tragedia della solitudine e della vecchiaia mi è apparsa in tutta la sua crudeltà. La notte non sono riuscita a prendere sonno: davanti ai miei occhi si ripresentava la stessa scena. Eppure sembravano bravi ragazzi, potevano essere miei nipoti. Perché agivano così? Un po’ di pace l’ho trovata quando mi sono messa a pregare per loro e per le loro mamme. Ho ringraziato Dio di essere ancora viva. (Z.G. – ltalia) Non negare la vita Da molti anni non rivedevo la mia vicina di casa, e precisamente da quando avevamo traslocato. Ora ritrovavo una donna più vecchia della sua reale età, come un’altra persona. Sembrava che lei aspettasse l’occasione per aprire il suo cuore, perché senza indugio cominciò a espormi le sue pene: “Tutto era iniziato il giorno in cui, decidendomi per l’aborto, avevo sperato di risolvere i problemi tra me e mio marito … Invece lui, dopo aver accollato su di me la colpa del figlio che non gli avevo dato, se ne andò con un’altra, lasciandomi in un mare di guai con due figlie adolescenti. Più tardi una di loro mi confessò di essere incinta; il suo ragazzo l’aveva messa alle strette: o abortiva o l’avrebbe lasciata. Le confidai quello che avevo sempre taciuto e le raccomandai di non negare la vita, come avevo fatto io. Fu lei a consolarmi, vedendomi piangere. Soggiunse poi che, vedendo il mio dolore, aveva deciso di tenersi il bambino. Così fece. Il suo ragazzo non la lasciò. Ora vivono felici con quel figlioletto che è anche la mia consolazione”. (S.d.G. – Malta)
a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)
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Dic 16, 2019 | Testimonianze di Vita
Ogni piccolo gesto d’amore, ogni gentilezza, ogni sorriso donato trasforma la nostra esistenza in una continua e feconda attesa. Coro di bambini In preparazione alle feste natalizie siamo andati in un ospedale con un bel gruppo di bambini per allietare Gesù presente nei piccoli ricoverati con i nostri canti. Non ci è stato consentito di accedere al loro reparto, ma abbiamo ricevuto il permesso di esibirci nella sala d’entrata dell’ospedale. Era sorprendente assistere alla metamorfosi dei visitatori: entravano magari con un viso serio e, appena visti i piccoli cantare, accennavano un sorriso. In diversi poi sono tornati ad ascoltare assieme ai pazienti che erano venuti a trovare. Altri malati che non aspettavano visite si sono fatti portare nella grande hall per assistere alla performance e tanti si sono uniti al coro. Anche il personale dell’ospedale ha gioito per questa insolita atmosfera. La direzione dell’ospedale ci ha già invitati per l’anno prossimo, promettendo di farci entrare anche nel reparto riservato ai bambini. (N.L. – Olanda) In cucina Cuoco nella cucina di un asilo, non mi risparmiavo nel mio lavoro. Un giorno, mentre ascoltavo un’inserviente raccontare che per lei ogni bambino era un tesoro da proteggere, mi sono reso conto che non pensavo affatto a mettere amore in tutto quanto facevo. Ora invece, considerare che ogni pasto era nutrimento di persone che un giorno avrebbero avuto il mondo in mano, diventava un vero incentivo alla fantasia. Nei piatti ho cominciato a mettere qualche ornamento imprevedibile, a sistemare il cibo in modo sempre nuovo. La gioia e la sorpresa dei bambini mi hanno confermato che non si sa cosa può nascere da un semplice gesto d’amore. (K.J. – Corea) L’incidente Il lavoro al centro di recupero per tossicodipendenti s’era fatto alienante. Presa dal vortice delle cose da fare, avvertivo sempre più un senso di vuoto e Dio sempre più lontano. Una sera in cui pioveva a dirotto l’auto che mi riportava a casa sbandò, urtò contro un muro e andò a finire nella corsia opposta. Quando arrivai al pronto soccorso, la vista di un crocifisso appeso al muro mi diede coraggio. Mentre i medici si occupavano di me, provavo una pace sottile, come da tempo non sentivo più. Per fortuna, a parte ferite e contusioni di poco conto, non c’era niente di grave, per cui quasi subito venni dimessa. Per settimane accanto al letto dov’ero immobile ci fu un viavai di persone, tra telefonate e regali. Toccanti le visite ripetute dei miei tossicodipendenti: “Tu ce l’hai fatta perché fai del bene”. Anche i miei colleghi di lavoro mi furono molto vicini: evidentemente si era costruito con loro un legame solido. Grazie a quel riposo forzato, ritrovai anche il gusto della preghiera e credetti di capire perché Dio non mi aveva presa con sé quella volta. (Lucia – Italia) Stoviglie da lavare Dopo una festa in parrocchia organizzata per dare un pasto caldo ai barboni, mi son trovato in mezzo a un disordine di rifiuti e di pentole e stoviglie da lavare. In cucina il parroco stava già rigovernando,felice della serata. Colpito da una sua frase, “Tutto è preghiera”, gli ho chiesto: “Anche lavare i piatti?”. E lui: “Il tesoro più grande è arrivare a capire che tutto ha valore immenso perché dietro quella pentola c’è un prossimo che ha bisogno di me”. Da quel momento il mio pesante lavoro di muratore, i figli da accompagnare all’asilo, il lampadario da riparare … tutto è divenuto occasione per me di sublimare l’azione e farla diventare sacra. (G.F. – ltalia)
a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)
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Dic 9, 2019 | Testimonianze di Vita
Vegliare: è un invito a tenere gli occhi aperti, a riconoscere i segni della presenza di Dio nella storia, nel quotidiano ed aiutare altri che vivono nel buio a trovare la strada della vita. Un altro figlio Ero pronta ad avere altri figli dato che ne avevo già tre? A questa domanda di un amica ho risposto raccontando come ogni figlio sia un dono unico e l’esperienza della maternità non sia paragonabile a nessun’altra, perché la gioia che porta una nuova nascita è un bene di tutta la famiglia, per non parlare dell’aspetto economico che misteriosamente sembra sottolineare che ogni figlio è voluto dal Cielo. Al che l’amica mi ha confidato di essere in attesa del secondo. Col marito aveva pensato all’aborto, perché una nuova creatura avrebbe compromesso la situazione economica della famiglia. Andando via, mi diceva: “Mi sento pronta ad una nuova maternità”. (P.A. – Italia) Dare fiducia Avevamo un cugino con le “mani lunghe”: quando veniva a trovarci, piccoli oggetti sparivano dalla nostra casa per ricomparire in quella degli zii. Delicatamente la mamma segnalò loro la cosa, ma rimasero così offesi che troncarono i rapporti con noi. Da cristiani, cercammo un’occasione per riallacciarli ed essa si presentò quando il cugino, ormai adolescente, fu espulso dalla scuola, perché scoperto a rubare ai compagni. Fu allora che mio padre suggerì a quei parenti il nome di uno specialista che avrebbe potuto essere di aiuto. Pur con immenso dolore e vergogna, gli zii ammisero che il figlio era cleptomane. Mia madre propose loro di fare le vacanze insieme e a noi figli raccomandò di essere generosi con il cugino, dandogli la massima fiducia. Furono giorni belli e sereni. Anche lui era felice. L’accompagnamento psicoterapeutico, anche con medicine, giovò a tutta la famiglia. Mia zia un giorno si confidò: “Eravamo così orgogliosi della nostra famiglia che ci sentivamo superiori. Eravamo malati di superbia”. (J.G. – Spagna) Giustizia e comprensione Come magistrato in una località ad alta densità mafiosa, interrogavo da ore un detenuto che ne aveva combinate di grosse. Passata l’ora di pranzo, mi fu chiesto se desideravo mangiare. Accettai, a patto di portare qualcosa anche per il detenuto. Quel semplice gesto fu per lui un piccolo shock. Quasi non ci credeva. Un’improvvisa paura di trovarmi a tu per tu col pregiudicato in quel momento di pausa consigliava di allontanarmi. Ma ecco un altro pensiero: “No, se sto qui a voler bene a questo mio prossimo, non ho niente da temere”. L’interrogatorio proseguì con lo stesso atteggiamento nei suoi confronti: cercavo di fargli capire la gravità di quello che aveva fatto, ma senza giudicarlo, parlandogli serenamente. Tempo dopo mi giunse una sua lettera dal carcere. Qualche richiesta di commutazione della pena? No, solo un lungo sfogo col racconto delle proprie miserie e la richiesta di comprensione. Strano che la scrivesse proprio a me che avevo emesso un giudizio di condanna nei suoi confronti. Evidentemente aveva colto qualcosa d’altro. (Elena – Italia)
a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)
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Nov 21, 2019 | Testimonianze di Vita
“Per amare cristianamente occorre “farsi uno” con ogni fratello […]: entrare il più profondamente possibile nell’animo dell’altro; capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze; condividere le sue sofferenze, le sue gioie; chinarsi sul fratello; farsi in certo modo lui, farsi l’altro. Questo è il cristianesimo, Gesù si è fatto uomo, si è fatto noi per far noi Dio; in tale maniera il prossimo si sente compreso, sollevato” . (Chiara Lubich) Alunno da bocciare Una collega mi confida preoccupata che un alunno, che anch’io conosco per altre materie, è da proporre per la bocciatura. Le chiedo se ci sono materie dove lui va bene: “Non sarebbe da aiutare e sostenere?”. La collega cambia tono: “Beh, in realtà in alcune è addirittura bravo”. Insieme, riflettiamo su come e cosa fare. Poi invitiamo l’alunno per un colloquio e gli prospettiamo la situazione. Nel giro di poche settimane le cose cambiano in modo impensato. Trovandomi un giorno con la stessa collega, mi confida: “Questa storia mi ha fatto bene anche con i figli. Ero tremendamente arrabbiata col maggiore che perde tempo con la chitarra e trascura tutto il resto. Dopo questo impegno con l’alunno, ho cominciato a incoraggiarlo. Mi ha cantato due poesie che lui aveva musicato: una sorpresa non solo per me, ma anche per mio marito. I fratelli invece, complici, sapevano del suo talento. Fai qualcosa per qualcuno e il tuo cuore si apre e vedi quello che non vedevi”. (C.A. – Polonia) Moglie e suocera Un amico mi confidò il dolore di non riuscire a mettere armonia tra la moglie e la suocera: litigi e risentimenti mettevano il malumore in famiglia e i figli ne risentivano. Lo ascoltai a lungo. Riuscii soltanto a dirgli di non schierarsi, ma di ascoltare sia l’una che l’altra. Poi a casa essere vicini a quella famiglia in difficoltà con qualche dolce e altre attenzioni. Dopo un po’ di tempo l’amico mi venne a trovare sul posto di lavoro. Tutto si era risolto nel modo più impensato. “È stato il tuo ascolto che mi ha dato la forza per fare lo stesso”. (J.F. – Corea) Dono chiama dono Avevo offerto a un barbone una bottiglia che riempivo d’acqua e portavo sempre con me in macchina. Un giorno, preso dalla sete, mi sono fermato a una fontana, ma non era facile bere: sarebbe stata necessaria una bottiglia per attingere ed io me ne ero privato. Stavo quasi per andar via quando un vecchietto che stava caricando in macchina alcune bottiglie mi ha chiesto se avessi sete. “Sì, ma come vede, non ho come attingere l’acqua”. A questo punto augurandomi felicità, mi ha dato una bottiglia delle sue che stava giusta posto in macchina ed ora mi riempie ottimismo, perché mi ricorda che dono chiama dono. (R.A. – Albania) La forza di un’amicizia Trovandomi un giorno con un’amica della parrocchia, mi sento dire che avrei dovuto dedicarmi di più alla mia famiglia. Cosa poteva saperne lei che non era neanche sposata? Ad ogni modo quella frase mi ha turbata e non mi ha lasciata tranquilla. Mi sono analizzata sul rapporto che avevo con i miei quattro figli. Mi sembrava tutto a posto, ma … con M. qualcosa non andava. Mentre era in camera ad ascoltare musica, con una scusa qualsiasi sono andata da lui e gli ho chiesto il parere su una certa faccenda. Lui dopo un po’ è scoppiato a piangere. Strano per me, conoscendolo come un ragazzo forte e sicuro. Ma dopo un po’ è arrivato al nocciolo: aveva avuto una grande delusione con la ragazza e non gli era stata lontana l’idea del suicidio. Sono rimasta di pietra. L’amica mi aveva aperto gli occhi. Questa “attenzione” l’ho rivolta anche agli altri figli. Credevo di essere una madre perfetta, avevo assicurato tutto, ma mancava qualcosa: mancava un amore attuale, pronto agli imprevisti. (F.G. – Filippine)
a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)
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