Sono passati 75 anni dal giorno in cui Chiara Lubich stilò lo scritto “Ho un solo sposo sulla terra”, qui riproposto. Uno scritto destinato a diventare fin dagli inizi un vero e proprio Manifesto programmatico per Chiara e per chi l’avrebbe seguita facendo propria la spiritualità dell’unità.
Il manoscritto autografo, conservato nell’Archivio Chiara Lubich (in AGMF) e vergato su un unico foglio fronte-retro, registra la data di composizione: 20-9-49. Pubblicato per la prima volta nel 1957 in modo non integrale e con alcune varianti sulla rivista “Città Nuova”, è stato poi riproposto in altre pubblicazioni di scritti chiariani, fino ad essere assunto, finalmente in modo integrale e corrispondente al manoscritto originario, in Il grido (Città Nuova, Roma 2000), libro che Chiara Lubich ha voluto scrivere personalmente “come un canto d’amore” dedicato proprio a Gesù Abbandonato.
Il brano nasce come una sorta di pagina di diario, scritta di getto. Considerando la particolare intensità lirica che lo permea, potrebbe essere definito un “inno sacro”. Tale definizione appare opportuna se si tiene conto che il termine “inno” ha origine nel greco hymnos. La parola, pur essendo di etimologia discussa, ha comunque una stretta relazione con l’antico Hymēn, il dio greco del matrimonio in onore del quale si cantava. D’altra parte, la dimensione sponsale in questo componimento è più che mai presente, anche se – e proprio perché – ci muoviamo in un contesto fortemente mistico. È proprio un “canto” d’amore a Gesù Abbandonato.
Il contesto di composizione ci riporta all’estate del 1949, quando Chiara, con le sue prime compagne, e i due primi focolarini, si trova in montagna – nella valle del Primiero, in Trentino-Alto Adige – per un periodo di vacanza. Si unisce alla comitiva, per alcuni giorni, anche Igino Giordani (Foco), che aveva avuto la possibilità di conoscere Chiara in Parlamento poco tempo prima, nel settembre del 1948, ed era rimasto affascinato dal suo Carisma.
Si tratta di un’estate definita da Chiara stessa “luminosa”, dal momento che – ripercorrendone le tappe – non esiterà ad affermare che proprio in quel periodo capisce meglio “molte verità della fede, e in particolare chi era per gli uomini e per il creato Gesù Abbandonato, che tutto aveva ricapitolato in sé”. “L’esperienza è stata così forte – rileva – da farci pensare che la vita sarebbe stata sempre così: luce e Cielo” (Il grido, pp. 55-56). Ma arriva il momento – sollecitato proprio da Foco – di “scendere dalle montagne” per andare incontro all’umanità che soffre, e abbracciare Gesù Abbandonato in ogni espressione di dolore, in ogni “abbandono”. Come Lui. Solo per amore.
Scrive allora: “Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abbandonato”.
Maria Caterina Atzori
20-9-49
Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abbandonato; non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità.
Perciò il suo è mio e null’altro.
E suo è il Dolore universale e quindi mio.
Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita.
Ciò che mi fa male è mio.
Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù). Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno… in una parola: ciò che non è Paradiso. Perché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio. Non ne conosco altri. Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di abandoni, di strazi, di … tutto ciò che è Lui e Lui è il Peccato, l’Inferno.
Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e – per la comunione collo Sposo mio onnipotente – lontani.
Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità.
Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita.
Chiara Lubich
Il grido (Città Nuova, Roma 2000, pp. 55-56)
Fonte: https://chiaralubich.org/
Grazie per aver riportato l’Inno d’Amore a ricordo della sua creazione, oggi risuona nel mio animo come realtà sacra, e ancora una volta riprendo con me, nella mia casa lo Sposò che Chiara ci ha fatto conoscere e ci ha donato attraverso di Lei.
È il “capolavoro” di Chiara; la Perla preziosa del mio quotidiano e la mia preghiera preferita.
Colpiscono particolarmente due parole: Sposo e Verità. La prima, ancorché oggi forse nei contenuti meno evidenti rispetto alle precedenti generazioni e certamente in rapporto a quella di Chiara, pone il Volto nuziale della relazione d’amore dell’anima con Dio: al di fuori di questo impegno creaturale nella libertà, si sfiora il cuore di Dio ma non si centra (il resto è grazia della Sua misericordia; lo è sempre lo è anche prima, però l’esperienza che ne fa l’anima assume sfumature diverse); e poi la Verità. E qui si aprono abissi di riflessione e contemplazione, non solo sul rapporto tra l’umano e la Verità ma anche sulla coincidenza tra Gesù Abbandonato e la Verità.
Oggi più che mai la figura di Chiara Lubich,vive in ognuno che ha vissuto in quegli anni di rivoluzione d’amore.
Io ero piccolo quando dopo il 68 i miei genitori da una grande croce rifiorire, con quell’amore, che ti fa amare anche il dolore.
grazie Chiara