A causa delle tante minacce che incombono sulla nostra vita quotidiana, la società contemporanea si è guadagnata il titolo di “società globale del rischio”. Quando si pensa alle molte e diverse tensioni che affliggono sia le singole persone che l’intera comunità umana, ci vengono subito in mente la fame e la povertà, le tensioni geopolitiche, le guerre ed il terrorismo, la crisi ambientale e tanti altri mali che sussistono ancora oggi, dopo secoli o che sono apparsi proprio nella nostra epoca. Ma c’è anche un altro tipo di tensione, più sottile ma altrettanto nociva alla sicurezza personale e collettiva: la pratica dell’illegalità e la corruzione.. Possiamo citare qualche esempio: ricercare l’utile personale contro la giustizia verso gli altri; usare il potere pubblico per fini privati; fare disparità di trattamento; corrompere i pubblici funzionari per ottenere vantaggi ingiusti. Queste cose ed altre costituiscono l’illegalità. Sappiamo che a volte queste pratiche sono così diffuse che vengono date per scontate e diventano per alcuni, perfino accettabili. Così diventa difficile alle persone discernere fra il bene e il male e questo comportamento equivoco, compromette indubbiamente la giusta convivenza sociale e civile ed il corretto svolgimento dei rapporti sociali. La pratica dell’illegalità in se stessa poi mina lo scopo della giustizia: custodire il bene comune salvaguardando la dignità del singolo. Oltre alla necessità di rispettare la legalità, la giustizia richiede la promulgazione di leggi che assicurino l’uguaglianza e la libertà di tutti, dando a ciascuno le stesse opportunità. L’uomo, come attore della giustizia, deve rispettare la legalità perché questo significa l’adempimento dei propri obblighi verso gli altri. Solo questo tipo di comportamento può liberare l’uomo dai condizionamenti dei propri interessi, favorendo la stabilità e la vitalità dei rapporti sociali. Una società giusta è basata su due principi fondamentali: il rispetto per la dignità della persona e la tutela delle condizioni necessarie per la convivenza sociale. Come dice Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus Caritas Est, la giustizia, “deve reggere l’attività dei poteri pubblici ed é a fondamento dell’ordine sociale”. L’illegalità e la corruzione attaccano ed annientano proprio questo scopo, minando il sistema giudiziario. Dunque l’illegalità e la corruzione influiscono negativamente e direttamente su quest’ordine sociale, minacciando la pratica della giustizia. In altre parole, l’illegalità e la giustizia non possono coesistere perché l’una è la negazione dell’altra. Si sente tanto parlare del bisogno di un’azione di contrasto alla corruzione e all’illegalità diffusa. Qui viene in mente subito l’attività repressiva. Certamente la repressione è uno strumento essenziale per custodire sia i diritti dell’individuo che il bene comune, ma da sola questa reazione non può essere la soluzione per eliminare le ingiustizie. Noi, operatori giuridici, che abbiamo scelto di vivere questa spiritualità collettiva nata dal carisma di Chiara Lubich, sentiamo che bisogna evidenziare il significato profondo della giustizia, secondo cui il bene individuale coincide e si sviluppa insieme al bene comune. Questo, perché la visione cristiana considera tutti gli uomini legati da un legame d’amore, perché figli del medesimo Padre e quindi tra di loro fratelli. Questa visione mette in rilievo non solo il danno che provoca la pratica dell’illegalità, ma anche la necessità di esigere un sistema legislativo che abbia come obiettivo il bene comune. Ma in termini concreti cosa significa questo? Significa che il senso della fraternità sollecita a farsi carico delle situazioni di sofferenza sociale del prossimo e adoperarsi per eliminarne le cause, al fine di un maggior beneficio di tutti. L’esperienza concreta della vita dimostra che queste finalità possono essere conseguite con comportamenti e rapporti animati dall’amore per l’uomo, sia come singolo che come collettività. Quest’amore inoltre spinge non solo a non praticare l’illegalità ma anche a non tacere davanti alle ingiustizie. Ci richiede di essere protagonisti, se necessario, per sollecitare i poteri pubblici per la tutela dei diritti fondamentali, in primo luogo degli esseri umani più deboli e indifesi. L’amore, soprattutto non permette che, in nome della presunta libertà dell’individuo, si metta in pericolo la giustizia dei rapporti nei comportamenti individuali e sociali, nelle leggi e nelle decisioni dell’autorità. La fraternità non lascia spazio ad alcuna forma di ingiustizia. (Simone Borg – Docente di diritto internazionale, Università di Malta e Università di Leuven, Belgio)
Rinnovare il tessuto sociale in cui siamo immersi
Rinnovare il tessuto sociale in cui siamo immersi
0 commenti