Intervista a Mons. Gaspard Béby Gnéba, vescovo di Man

 
Una chiacchierata a margine dell’incontro dei Vescovi amici del Movimento dei Focolari (22-26 febbraio).

Mons.Gaspar2016-2Mons. Gnéba, perché ha fatto questo lungo viaggio dalla Costa d’Avorio per venire a Roma a incontrare altri Vescovi?

«Nella mia diocesi c’è una bella presenza dei Focolari. Ho conosciuto il Movimento quando studiavo a Roma con Padre Castellano, mio professore di teologia spirituale e della storia della spiritualità contemporanea. È lui che ha parlato del movimento, della sua importanza per l’aspetto comunitario. E quando sono stato eletto vescovo di Man, nel 2008 l’anno in cui Chiara Lubich è stata chiamata dal Signore, è stato imparare a cnosoncere meglio quello cheho studiato con Castellano. Avevo quindi questo desiderio di approfondire la conoscenza del Movimento, prima come cristiano ma anche come Vescovo proprio perché sono presenti nella mia diocesi. Una volta mi hanno dato informazioni su questo incontro di Vescovi amici del Movimento e ho detto perché no? Così, per rispondere alla domanda: la prima cosa è una ricerca pratica interiore.

Io ho studiato teologia spirituale, ho fatto il dottorato a Roma. Avendo questa conoscenza teorica adesso cerco anche per me alcune esperienze che possono aiutarmi a costruire la mia personalità cristiana. È una ricerca, ma pratica, non teorica, sui libri. Perché ogni cristiano, anche sacerdote, anche vescovo, deve sempre crescere nel suo cammino alla sequela di Cristo.

In St. Peter Cathedral
Nella Basilica di San Pietro

La seconda motivazione è pastorale. Nel nostro Paese abbiamo avuto la guerra. Significa divisione, mancanza di unità. Come pastori dobbiamo cercare strade per aiutare la gente a credere nell’unità ma anche a viverla. Nella mia pastorale faccio tante esperienze. Quando sono arrivato dopo la guerra nel mio Paese c’era una certa paura e diffidenza tra cristiani e musulmani, per motivi politici. Ho chiesto di andare a salutare gli imam. Non hanno accettato, dicendo che non avevano tempo. Così per due anni. Il terzo anno ho chiesto al Vicario generale di andare a prendere appuntamento. Lui non voleva andare. Ma io sono un po’ difficile, perché quando ho qualcosa in testa, non mollo così facilmente. E hanno accettato. Siamo andati e hanno chiesto quale fosse la ragione di questa visita. Ho detto: “Sapete in Africa, quando qualcuno arriva, deve andare a salutare gli altri. Sono arrivato e volevo salutarvi”. Ma la mia spiegazione non è stata sufficiente. Allora ho detto: “Quando il Papa mi ha mandato non mi ha detto: sei il vescovo dei cattolici, ho detto sei il Vescovo di Man. Questo significa essere vescovo della città, avere rapporti con tutti quelli che sono nella diocesi, quindi dovevo venire da voi per farmi conoscere, incontrarvi”. “Adesso abbiamo capito!”.

Nel periodo del Ramadan ho comprato per loro 10 pacchi di riso e di zucchero, per loro per la sera quando finsicono il digiuno. E ho detto: un credente non prega per se stesso, perché Dio non è un bene privato. Allora un credente quando prega, quando fa il digiuno, fa il bene per tutti. Sono venuto a nome di tutti i cristiani cattolici per incoraggiarvi a fare bene il digiuno, a pregare. All’inizio dell’anno nuovo adesso vengono da me circa 20 persone, mandano bibite, un po’ di denaro, come auguri di buon anno.

Ho visto che ogni persona cerca l’unità, ma è sempre difficile, perché bisogna superare la paura. Perciò il secondo aspetto è pastorale: come vescovo di cristiano devo andare al di là della chiesa per proporre questo messaggio del vivere insieme, mostrare l’unità come desiderio del cuore di ogni persona umana.

Nella cittadella internazionale di Loppiano
Nella cittadella internazionale di Loppiano (Firenze, Italia).

Terzo aspetto, la questione universale. Guardando la televisione, vediamo che il mondo di oggi è un po’ disturbato: in Africa, in Asia, in Europa, Medio Oriente. C’è questo scontro tra persone, a livello politico, religioso. Quindi avevo questa ricerca, a livello universale, di venire ad ascoltare gli altri Vescovi che vengono dal mondo, dalla Siria, per vedere come vivono la ricerca dell’unità, le loro difficoltà. In questi giorni ci sono tre vescovi del Medio Oriente: da Siria, Libano, Iraq. Guardando la TV vediamo la Siria da lontano, ma con questi vescovi abbiamo parlato, ascoltato, scambiato la vita, l’esperienza concreta di ognuno. Quando andrò nel mio Paese dirò ai miei sacerdoti: ho ascoltato il Vescovo di Damasco, di Aleppo! Questo cambia la visione delle cose! Questo mi aiuta, perché Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini. Il progetto cristiano è il progetto universale. Vivendo nella nostra città possiamo un po’ dimenticare questo aspetto, ognuno preoccupato sempre per le sue cose, il suo Paese, la sua vita, la sua famiglia, e questo progetto universale in Cristo possiamo a volte un po’ ridurlo, non avere questa apertura. Incontri come questo mi aiutano a conservare questa dimensione universale del progetto di Dio in Cristo».

Come vede la Mariapoli Victoria nella sua Diocesi e quale il contributo che essa porta?

«La vedo come un punto di riferimento per questa esperienza di unità, perché la vita dell’unità non è solo intellettuale. È un riferimento perché ci offre la possibilità di fare l’esperienza. Gesù si è incarnato. L’Incarnazione è un’esperienza vissuta. Allora questa Mariapoli è un luogo dove si può fare l’esperienza vissuta dell’unità. Al concreto, Come uomini, come donne, anche con limiti, con paure, con difficoltà, ma è un’esperienza, come cristiani, dentro la chiesa. Ma anche come chiesa nel suo rapporto con la società. Adesso Papa Francesco ci aiuta a superare come chiesa la paura della società, perché qualche volta vediamo solo il negativo della società. La Mariapoli Victoria, ci spinge, ci dà questo coraggio a non avere paura della società, perché come cristiani siamo servitori della società, anche se qualche volta qualcosa non va bene, secondo il Vangelo e la nostra fede. Quindi vedo questa Mariapoli come il servizio che la Chiesa può rendere alla società dove si vive, perché la Chiesa è incarnata, non è fuori del mondo, è al servizio!

Vedo questo luogo come riferimento per un’esperienza viva dell’unità e come elemento di servizio per la società».

Intervista raccolta il 25 febbraio 2016, nel corso del 39° Convegno di Vescovi amici dei Focolari

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