Mag 30, 2019 | Nuove Generazioni
Abbiamo chiesto ad alcuni giovani dei Focolari di diversi Paesi di dirci una parola sull’ultima esortazione apostolica di Papa Francesco. Iniziamo con Noemi Sanches che ha partecipato all’incontro preparatorio del Sinodo.
Noemi ha 29 anni, è paraguaiana di origini brasiliane e sta concludendo un dottorato di ricerca in Filosofia all’Università di Perugia (Italia). Nel marzo dello scorso anno ha partecipato alla riunione pre-sinodale in cui il Papa ha chiamato a raccolta diversi giovani di tutto il mondo per ascoltarli in primise costruire con loro e per loro il successivo Sinodo sui giovani. L’esortazione apostolica “Christus Vivit” è uno dei risultati di questo percorso intergenerazionale. Tanti giovani ormai l’hanno letta e condivisa nei propri gruppi.
- In varie parti del documento il Papa insiste sull’ascolto dei giovani da parte della Chiesa. C’è stato questo ascolto?
Penso che tutto il percorso costruito per il Sinodo dell’ottobre 2018 sia un chiaro esempio del desiderio concreto della Chiesa di ascoltarci e accoglierci pienamente. Al pre-sinodo eravamo 300 da molti Paesi; eravamo liberi di dire tutto, come il Papa ci aveva chiesto; gli adulti ci ascoltavano e incoraggiavano il dialogo. L’idea ora è che questa esperienza di reciprocità tra le generazioni si realizzi nei diversi ambienti, le parrocchie e le comunità cristiane.
- Più volte nel documento il Papa fa riferimento all’inquietudine, caratteristica dell’età giovanile. Credi che in mezzo alle molte voci, alla cacofonia digitale, sia possibile ascoltare la voce di Dio?
Il Papa usa l’espressione “volare con i piedi” perché effettivamente noi giovani non stiamo mai fermi, siamo sempre alla ricerca di
qualcosa. Però ci imbattiamo anche nei nostri limiti, come la mancanza di esperienza e, di conseguenza, la paura di sbagliare nelle scelte decisive. Non basta la “velocità”, ci vuole un senso, ed è qui che la vicinanza e la spinta degli adulti è cruciale, soprattutto nel mondo di oggi, pieno di “false sirene”. Avendone fatto esperienza, credo che la voce di Dio si faccia sentire sempre grazie agli “amplificatori” dell’amore.
- Perché sono così pochi oggi i giovani che vogliono intraprendere un serio cammino di fede? Cosa manca e cosa cercano?
Sono molte le ragioni: a volte c’è una certa apatia perché mancano gli stimoli giusti; oppure tanti di noi non hanno la possibilità di crescere nella fede o ricevono una catechesi “teorica”, “moralista” o “meccanica”, poco collegata alla vita; altre volte manca una conoscenza profonda della fede, e quindi diventiamo vittime di quella società sradicata e sradicante che il Papa denuncia continuamente. Allo stesso tempo, in tutti noi, c’è il desiderio di impegnarci per cause sociali, una certa sensibilità per le cose belle, il desiderio di costruire rapporti veri e durevoli, di vivere per qualcosa di autentico che dia senso alla nostra vita, il bisogno di modelli di vita autentici. In definitiva il giovane di oggi cerca Dio, anche se non ne è pienamente cosciente.
- Qual è secondo te il vero contributo che il sinodo sui giovani e questa esortazione apostolica portano nella vita dei giovani e della Chiesa?
Questo Sinodo ha segnato, senza dubbio, un novumnella Storia della Chiesa a livello di metodologia e approccio della realtà. Mi pare sia emersa l’essenzialità e la ricchezza del dialogo intergenerazionale in modo attivo e continuo in tutte le istanze della Chiesa. L’esortazione, in particolare, è un vero tesoro per tutti i giovani, non solo quelli cattolici. Quando l’ho letta non ho sentito per niente che si trattasse di un documento del Magistero, ma la lunga lettera di un nonno, un amico più grande che, perché mi ama, riesce a parlare al cuore, a dire ciò di cui ho bisogno in questo momento della vita per non cadere, per alzarmi, per provarci ancora e continuare a credere nella bellezza, nel bene, nell’amore, nell’umanità più vera che è anche divina, nella possibilità di raggiungere la piena felicità nonostante i dolori e i problemi che fanno parte della vita e a saper affrontarli con coraggio e impegno, perché lo facciamo insieme.
a cura di Stefania Tanesini
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Mag 27, 2019 | Testimonianze di Vita
Gesù Risorto ci invita ad “uscire” da noi stessi, dalle nostre sicurezze fragili e dai nostri confini L’esame superato Il clamore di una lite tra due studenti si sentiva fino al corridoio dove, in attesa di essere esaminato, passeggiavo avanti e indietro nervosamente. Mi passò per la testa l’idea di andare a calmarli, ma mi frenava la preoccupazione di essere chiamato nel frattempo e di risultare assente. Meglio lasciare ad altri quel compito…. Però le grida si alzavano di tono, non potevo restare indifferente al prossimo, che per me era così importante. Un attimo dopo corsi giù a dividere e calmare i due. Tornato al piano di sopra, dopo un po’ ho sentito chiamare il mio nome. In aula ho risposto a tutte le domande e sono stato promosso. Un esame superato. Ma anche nell’altro non avevo fallito. (Antonio – Italia) In convento Dopo alcuni anni di entusiasmo da quando ero entrata in convento, lentamente si stava facendo strada in me la sensazione di vivere una vita senza affetto, quasi senza umanità. Un giorno ricoverata in ospedale, ero completamente sola, mentre vedevo le altre malate circondate da affetto e tenerezza. Più tardi, con l’angoscia di aver sbagliato la mia vita, mi sono raccolta in preghiera e ho capito che Dio mi affidava la missione di essere io, per le altre, la fonte di quell’affetto che cercavo per me. Quando sono tornata ero “guarita”, avevo la forza di ricominciare. E le cose non erano più come prima! (G.d.G. – Slovenia) Tecnologia Mio marito è interessato a tutte le novità dell’informatica, io invece di fronte a certi strumenti mi sento una frana e sono lenta nell’adeguarmi alle novità. Con il tempo è nato in me un senso di inferiorità che lui accentuava, facendomi notare quello che non capivo o anche mettendomi in ridicolo davanti ai figli. Finii per buttare via il mio cellulare e mi chiusi in un grande mutismo. Fu il figlio maggiore a far capire al padre che qualcosa non andava e, come esempio, gli ricordò che ero stata dal medico e lui non mi aveva neanche chiesto com’era andata la visita, aggiungendo: “Se la tua tecnica ti rende così distratto perché hai voluto una famiglia?”. Quando poco dopo mio marito venne a chiedermi perdono, gli dissi che dovevamo essere grati per i figli che abbiamo. (E.d.F. – Slovacchia) Divorzio Quando nostra figlia ci ha confidato di essere prossima al divorzio, ci siamo riproposti di condividere il suo dolore, i suoi dubbi, i suoi problemi, senza giudicare. Spesso la sentivamo al telefono per farle sentire che non era sola. Quando con i suoi bambini è venuta a casa nostra alcuni giorni l’abbiamo accolta con particolare affetto. Tornata a casa dopo quei giorni, ci ha telefonato per dirci che non voleva più andare avanti con le pratiche del divorzio che voleva fare tutta la sua parte per ricostruire il suo matrimonio. (J.S. – Usa)
a cura di Chiara Favotti
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Mag 26, 2019 | Collegamento
E se per una volta anziché essere parte del problema i media si facessero promotori della soluzione? Storia di Austin Kellerman, direttore News alla stazione televisiva locale NBC, e della sua redazione per il riscatto dalla violenza della comunità cittadina. https://vimeo.com/332638755 (altro…)
Mag 23, 2019 | Cultura
Intervista al prof. Pál Tóth:“Applicare all’Europa il principio della fraternità come categoria politica significa costruire istituzioni che mirino alla collaborazione fra tutte le diversità, per realizzare il bene comune”. Si avvicinano le elezioni europee per il rinnovo dei rappresentanti dei 27 Stati membri dell’Ue nell’Europarlamento: 400 milioni i cittadini chiamati a votare a fine maggio. In gioco ci sono due idee di Europa: una europeista, l’altra euroscettica. Una polarizzazione che segue – a grandi linee – i confini geografici del vecchio continente, e vede contrapposti l’Est e l’Ovest. Ne parliamo con Pál Tóth, per il Movimento dei Focolari, consigliere culturale del Comitato d’Orientamento di Insieme per l’Europa, una rete di oltre 300 Comunità e Movimenti cristiani che vuole essere un bozzetto di Europa unita, espressione di una “cultura della reciprocità”:
“Bisogna tenere presente che con l’allargamento dell’Unione si è arrivati abbastanza presto, nei nuovi Stati membri, all’applicazione dell’economia del mercato e del sistema giuridico democratico; ma una sincronizzazione fra le diverse realtà culturali avviene in una maniera molto più lenta. Parlo di “sincronizzazione” e non di semplice recupero o adattamento alle conquiste sociali e politiche dell’Ovest, perché sono convinto che l’Est sia portatore di valori che sono frutto di una sofferenza secolare e quindi di un valore fondamentale. Pensiamo all’amore alla verità del popolo ceco da Jan Hus fino a Vaclav Havel, alle piccole comunità nate nella Chiesa del silenzio che danno testimonianza sul Vangelo vissuto, alla Chiesa popolare della Polonia che riempie le chiese nel tempo della secolarizzazione, alle icone dell’Ortodossia che nell’era dell’immagine e della crisi della parola possono aprire nuovi accessi al mistero cristiano. A mio avviso l’Est non è ancora in grado di esprimere questi valori, e reagisce in maniera impulsiva a fenomeni che ritiene siano di decadenza e declino morale. Qui non si va avanti soltanto con le critiche; serve un cammino di crescita comune, un ‘processo sinodale’ –direi con papa Francesco –con accoglienza, comprensione, parole chiare ma non offensive, decostruzione di pregiudizi, discernimento comunitario”. La vicenda Brexit pone agli Stati dell’UE un interrogativo: le sfide del presente e del futuro si affrontano meglio stando da soli o in una formazione coesa? La trasformazione radicale del mondo in cui viviamo ci pone davanti sfide che non si possono gestire a livello nazionale. Il sociologo tedesco Ulrich Beck parla addirittura di una metamorfosi del mondo, che richiede un ragionamento nettamente diverso da quello precedente. Il cambiamento climatico, le migrazioni, la delinquenza organizzata, i “mali comuni” del capitalismo globale non possono essere affrontati efficacemente a livello nazionale, ma piuttosto con forze politiche integrate. Chiara Lubich e Igino Giordani, fondatrice e cofondatore dei Focolari, hanno avuto chiaro che un’Europa unita doveva farsi promotrice della pace mondiale. Alla luce del carisma dell’unità, cosa vuol dire adottare la fraternità come categoria politica? La democrazia nasce, nella modernità, come un sistema competitivo: distribuzione dei poteri, lotta fra i partiti, freni e contrappesi, la società civile come controllo del potere pubblico. Applicare il principio della fraternità come categoria politica significa costruire istituzioni che mirino alla collaborazione fra tutte le diversità, per realizzare il bene comune. I principi della libertà e dell’uguaglianza sono stati tradotti, negli ultimi due secoli, in categorie giuridiche e politiche. Ora si tratta di lavorare sulla categoria della fraternità, che riassume i valori della reciprocità e della mutua responsabilità. Nello scenario politico, accanto ai partiti come agenti di competizione, potrebbero venire in rilievo le istituzioni della società civile come realizzatori di compiti pubblici. I modelli non mancano e movimenti di rinnovamento spirituale e culturale, come quello dei Focolari, potrebbero avere un ruolo determinante in questo processo. Oggi l’impegno dei Focolari per un’Europa unita si esprime anche nel progetto Insieme per l’Europa. Ilona Tóth, membro del Comitato d’Orientamento di IpE,spiega come nasce l’iniziativa: Alla soglia del Terzo Millennio, fondatori e responsabili di Comunità e Movimenti cristiani (Chiara Lubich, Andrea Riccardi, Helmut Nicklas, Salvatore Martinez e altri) hanno deciso di mettere insieme i propri carismi sulla base dell’amore scambievole al servizio del Continente. Questo per far sì che accanto all’Europa geografica ed economica prenda vigore anche l’Europa dello spirito, fondata sui valori del cristianesimo. Quali risultati ha prodotto finora? Dalla rete di Insieme per l’Europa sta venendo fuori un lievito per un popolo europeo con una sua cultura basata sulla fraternità evangelica. Questi piccoli laboratori, sparsi in Europa, realizzano l’unità nella diversità. Nel proprio ambiente stanno avviando insieme iniziative per la pace, la famiglia, la cura dell’ambiente, per un’economia equa, per la solidarietà ecc., per rispondere così alle sfide di un continente in crisi.
Claudia Di Lorenzi
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Mag 22, 2019 | Centro internazionale
Non è trascorso neanche un secolo dal termine dell’ultimo conflitto mondiale e sembra che l’Europa oggi abbia perso in qualche modo la sfida originaria. Teatro di due conflitti mondiali con milioni di morti, molte città e comunità distrutte, il vecchio continente si avviava negli anni ’50 a una rinascita insperata. I padri fondatori dell’odierna Comunità Europea avevano visto al di là degli interessi particolari di ciascun Paese e pensarono in grande: una comunità di popoli che potesse in qualche modo progettare un futuro di pace e una rinascita economica.
Di Europa si è parlato con Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari, durante un’intervista, articolata in nove domande, rilasciata in occasione della Mariapoli Europea che si terrà nei prossimi mesi di luglio e agosto a Tonadico, in Trentino. In un dialogo aperto e franco, l’intervista si sviluppa affrontando tematiche riguardanti la politica, i giovani, la testimonianza dei cristiani oggi, l’Europa che vogliamo e che significato può avere la Mariapoli europea. La diversità tra le varie comunità dei popoli è un valore, afferma Maria Voce e non bisogna cedere alla voglia di sovranismi e nazionalismi: in Mariapoli la diversità diventa proprio motivo di arricchimento per tutti, diventando un momento in cui ciascuno può manifestare la propria ricchezza e la sua cultura. “E se ognuno è proteso a fare questo – continua Maria Voce – nessuno sentirà più il bisogno di rivendicare la propria identità perché la propria identità gli viene riconosciuta, valorizzata e arricchita nell’unità”. Ed è questo quello che la Mariapoli europea può significare e può dare ai partecipanti, realizzare insieme una frase che Chiara Lubich diceva ancora nel 2004: “La più alta dignità per l’umanità sarebbe quella di non sentirsi un insieme di popoli spesso in lotta fra loro, ma per l’amore vicendevole un solo popolo arricchito dalla diversità di ognuno e per questo custode nell’unità delle differenti identità”. Un altro punto affrontato è la presenza dei giovani nella società odierna e la loro scarsa partecipazione alla vita politica. Maria Voce non ha dubbi in proposito e dà valore alla testimonianza di molti giovani che in questo momento hanno un’influenza, per esempio, nel campo dell’ecologia: le nuove generazioni si impegnano “per progetti che guardano al bene dell’umanità non all’immediatezza del giorno che passa, e per progetti che chiedono una concretezza di vita e che mostrano una autenticità di vita”, afferma la Presidente dei Focolari. Anche il compito dei cristiani è abbastanza arduo ma essi possono trasmettere il valore della solidarietà, della fratellanza, dell’amore all’ultimo, al minimo, al più povero vivendo in prima persona una vita coerente alla luce del Vangelo. Fra le domande non potevano mancare anche quelle riguardo il suo incontro con il carisma dell’unità avvenuto a Roma durante gli anni universitari e, di conseguenza, la sua prima esperienza di Mariapoli, che, abbiamo scoperto, è avvenuta proprio nel ’59 nelle valli delle Dolomiti, dove ha conosciuto Chiara Lubich. Maria Voce è testimone di quella folla di persone che irrompeva ogni anno in quei posti incantevoli, persone le più varie, richiamate dallo sperimentare in prima persona l’amore scambievole, la fraternità e realizzare così la preghiera di Gesù, “Che tutti siano uno”. L’ultima domanda non può non strapparle un desiderio e una speranza: “Le mie speranze per l’Europa sono che essa possa scoprire la sua bellezza e la sua vocazione: popoli uniti che si riconoscono gli uni negli altri e che riconoscono gli uni negli altri dei principi comuni, dei valori comuni. La storia di un popolo è anche la mia storia, la storia di ogni popolo dell’Europa è anche la mia storia, fa parte della mia storia, vive nella mia storia”.
Patrizia Mazzola
Vedi l’intervista pubblicata sul sito della Mariapoli Europea (altro…)
Mag 20, 2019 | Testimonianze di Vita
Gesù Risorto ci propone di fare insieme a Lui un’esperienza di vita nuova e di pace, perché possiamo poi condividerla con gli altri. Per gli altri Fin da giovani, spinti dalle nostre convinzioni cristiane, mio marito ed io ci eravamo riproposti di adoperarci per gli altri. Proveniamo da famiglie povere: i miei lavoravano in miniera, mentre i genitori di Ramon erano contadini, e conosciamo bene i disagi e i bisogni dovuti alla mancanza di risorse. Il nostro desiderio si è concretizzato quando ci è stato proposto di gestire un fondo per bambini inseriti i un progetto di adozione a distanza. Grazie ai contributi ricevuti ora possiamo seguire 23 bambini e abbiamo potuto acquistare un pezzo di terra dove abbiamo realizzato una struttura che ospita una ventina di bambini di famiglie povere, permettendo così ai genitori di andare a lavorare. È in funzione anche un piccolo atelier di cucito per le mamme. Attraverso la generosità di tanti, possiamo far crescere questa attività a beneficio non solo dei bambini ma anche delle loro famiglie. (R. J. – Bolivia) Quarta gravidanza Alla nona settimana della quarta gravidanza ho contratto la rosolia. I giorni successivi sono stati i più duri della nostra vita coniugale, eravamo davanti ad un problema più grande di noi. I medici ci avvisarono che la possibilità di avere un bambino sano si riduceva al 5 per cento. Il “rifiuto” della gravidanza, ragionando con la mentalità corrente, sembrava la soluzione più giusta. Mio marito mi lasciava libera di scegliere, ma io desideravo che lui mi dicesse di accettare quella nuova creatura. Nel mio cuore di mamma, infatti, l’avevo fatto fin dal primo momento. Credo di non aver mai pregato così intensamente in vita mia. Un giorno mio marito mi dice: “E se questo nostro figlio non avesse niente, o poco?”. Era il segno che aspettavo: ci siamo abbracciati e da quel momento ci siamo sentiti più unti. Dopo sei mesi è nato un bel maschietto. Sano. (J.O. – Svizzera) Furto in casa Di ritorno nella nostra casa, costruita con tanta fatica, avevamo trovato tutto devastato: i ladri si erano portati via finanche il lavabo e il water. Non avendo la possibilità di ricomprare nuove tutte le cose che mancavano, abbiamo cominciato un giro di negozi dell’usato. Finché in uno di questi abbiamo riconosciuto alcuni nostri oggetti. Chi li vendeva diceva di averli comprati da alcuni ragazzi del quartiere, che conoscevamo bene perché erano nostri vicini. Siamo andati a casa loro, con l‘intenzione di recuperare quello che era nostro, ma anche di far capire a quei ragazzi il loro sbaglio. Messi davanti alla realtà, non hanno negato e con loro siamo andati a recuperare la refurtiva. Durante il tragitto, abbiamo parlato a cuore aperto dei valori che danno senso alla nostra vita, mentre loro si sarebbero aspettati una reazione più dura. Forse con questo abbiamo dato il nostro piccolo contributo alla pace. (B.O. – Venezuela)
a cura di Chiara Favotti
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Mag 19, 2019 | Sociale
Il prossimo 24 maggio in tutto il mondo si terrà una nuova giornata di mobilitazione globale per il clima. Nata dall’idea della sedicenne svedese, questa mobilitazione cade nel quarto anniversario della pubblicazione della Lettera Enciclica di Papa Francesco “Laudato Sí”. Abbiamo chiesto a Lorna Gold, economista, membro dei Focolari, che lavora per l’agenzia cattolica irlandese per lo sviluppo “Trocaire” ed è autrice del libro “”Climate Generation: Awakening to our Children’s Future”, di spiegarci perché è necessario un impegno immediato, individuale e collettivo, per il pianeta terra. Sei specialista nell’ambito dello sviluppo internazionale ed hai lavorato per quasi due decenni in contesti accademici e in Organizzazioni Non Governative. Come nasce il tuo impegno per dell’ambiente? Il mio impegno è iniziato quando ero piccola e, con i ragazzi del Movimento dei Focolari, ho fatto azioni per costruire un mondo più unito. Ricordo, in particolare, quando i giovani dell’Amazzonia (Brasile) mi hanno raccontato come la foresta venisse distrutta. Ero inorridita. Rapidamente ho iniziato a fare una campagna nella mia scuola e nella mia comunità per proteggere quella regione. Poi ho studiato e ho fatto un dottorato di ricerca sullo sviluppo sostenibile, concentrandomi sull’Economia di Comunione come esempio di economia in cui le persone non si concentrano tanto sul consumismo quanto sulla condivisione e la costruzione del bene comune. Nel mio lavoro a “Trócaire”, che si occupa di sostenere le persone che vivono in povertà, ho capito che se non riusciamo a proteggere la terra, stiamo fallendo anche con i poveri – e con tutti noi. Senza proteggere le condizioni di base della vita da cui tutti noi dipendiamo, non c’è via d’uscita dalla povertà.
Hai aderito all’inziativa “FridaysForFuture” promossa da Greta Thunberg coinvolgendo in Irlanda ragazzi e genitori. Che cosa fate ogni venerdì? Sono molto preoccupata per il cambiamento climatico e da anni lavoro per influenzare le politiche dei governi. Sono stata toccata da Greta Thunberg. Ci sono stati altri come lei in passato, ma ora, con il potere dei social, c’è la possibilità che le parole di un bambino diventino un “fuoco” che fa muovere tutti. Lei ha invitato tutti a protestare il venerdì, in particolare il 15 dicembre 2018. All’inizio non pensavo che questo invito non fosse diretto a me, poi sono stata a protestare davanti al nostro Parlamento. E vi sono tornata ogni venerdì. Il numero delle persone che si ritrova lì ogni settimana cresce e nascono gruppi simili in tutta l’Irlanda. Il 15 marzo 2019 l’intero Paese è stato mobilitato: 15.000 bambini e adulti sono usciti per le strade di Dublino e in altre 40 località. Come fare sì che l’impegno per il pianeta cambi il nostro stile di vita? Dobbiamo protestare e agire. Chiunque può iniziare la protesta del venerdì nella propria comunità locale e registrarla sulla mappa globale sul sito Fridaysforfuture.org. Ma si può anche fare un’azione positiva come piantare alberi. Questo genererebbe un doppio impatto: protestare e piantare! Intanto continuano anche le proteste globali, come quella di oggi. Insieme al Global Catholic Climate Movement, di cui fanno parte anche i Focolari, chiediamo a tutti, a persone di ogni credo e di ogni comunità, di unirsi agli studenti in questa giornata. Quanto ha influito nelle tue scelte di lavoro e di vita, l’incontro con il carisma dei Focolari?
Le mie scelte di vita sono state sicuramente influenzate dall’incontro con il Movimento dei Focolari. Ho imparato che: l’amore vince tutto. Per risolvere il problema climatico abbiamo bisogno che tutti lavorino insieme. Abbiamo tecnologie, idee e anche denaro, ma spesso mancano la collaborazione e un’autentica volontà di lavorare per il bene comune. Credo che il Movimento dei Focolari abbia un ruolo importante da svolgere nel generare spazi dove tutti possano essere aiutati a lavorare insieme in spirito di autentica collaborazione. Come hai avuto l’idea di scrivere il tuo libro e con quali obiettivi? In che cosa consiste l’impegno che proponi per la salvaguardia del pianeta? L’idea è nata dalla profonda preoccupazione che i genitori non vedano cosa sta succedendo al clima e non capiscano come questo influirà sui figli. Ho lavorato su questo tema per due decenni. La situazione è terrificante. Se non cambiamo radicalmente le nostre società, nei prossimi dieci anni, i nostri figli dovranno affrontare un cambiamento climatico con l’aumento di 4 o 5 gradi entro la fine del secolo. Significa che la civiltà, come la conosciamo, non sopravviverebbe. La stragrande maggioranza delle specie verrebbe spazzata via. I nostri figli si troverebbero un fardello impossibile da sopportare. Per me, come madre, questo non è accettabile. C’è un enorme interesse per il mio libro qui in Irlanda ed è stato appena pubblicato negli USA dalla New City Press. Spero che venga pubblicato anche in altri Paesi. In esso suggerisco tre cose: riconnetterci con la terra, la meravigliosa creazione di Dio e ritrovare noi stessi nella grande comunione, non solo con gli altri esseri umani, ma con l’intero cosmo. In secondo luogo, cambiare il nostro stile di vita per ridurre al minimo l’impatto ambientale, occorre una “conversione ecologica”, come la chiama Papa Francesco. Un buon punto di partenza è fare la propria impronta ecologica online (ci sono molti modi sul web) e vedere cosa fare per ridurla. Nessuna delle scelte sarà facile, alcune richiedono cambiamenti importanti. Infine, dobbiamo unirci ad altri, per fare pressione, anche a livello politico, ed ottenere grandi cambiamenti. Le azioni individuali non sono sufficienti. La fine di investimenti pubblici in combustibili fossili è un passo fondamentale in questa direzione. Anche le campagne di sensibilizzazione sono essenziali, fino a quando il cambiamento sarà inarrestabile.
Anna Lisa Innocenti
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Mag 17, 2019 | Sociale
Moltissimi sono i migranti venezuelani che lasciano la loro terra e si spostano in Perù, come in altri Paesi dell’America Latina, in cerca di condizioni di vita migliori. Irene Indriago Castillo è una psicologa clinica e cognitiva venezuelana che collabora con il Movimento dei Focolari e lavora in Perù come coach organizzativo internazionale. Le abbiamo chiesto quale è la sua esperienza umana e professionale in questo ambito.
Quali sono i dolori che i migranti portano con sé e quali le speranze? Le persone che arrivano in Perù hanno spesso lasciato il Venezuela con i mezzi più economici, distaccandosi dai beni materiali e dai loro affetti. Dopo il viaggio ed il passaggio dei controlli migratori inizia per loro un processo che definisco “dall’illusione alla delusione”: sono quasi senza risorse economiche, ma vorrebbero ottenere al più presto migliori condizioni di vita, trovare una casa ed un lavoro anche per aiutare le famiglie rimaste in Venezuela. Queste aspettative purtroppo ben presto crollano e inizia un percorso doloroso. Soffrono per la separazione dalle famiglie delle quali non hanno notizie, per la perdita della loro vita quotidiana e di quegli spazi in cui si sentivano sicuri. Spesso vivono in condizioni meno favorevoli che in Venezuela. L’adattamento quindi è difficile, a volte porta difficoltà anche nelle coppie. Si muovono in un mare di incertezze che minano la loro forza emotiva e spirituale. Solo chi viene con un obiettivo chiaro e una fede forte è in grado di superare queste circostanze in meno tempo.
Quali sono i loro bisogni più grandi e più urgenti? L’esigenza principale è di tipo economico per potersi mantenere. Hanno bisogno di legalizzare la loro presenza nel Paese di destinazione e di cure in caso di malattie. È molto importante anche che riescano a mantenere i contatti con la famiglia in Venezuela. E poi hanno bisogno di relazioni di aiuto e supporto, per gestire la frustrazione, l’incertezza e il dolore. Molti sono i minori che arrivano, quali sono i più grandi traumi che vivono e come cercate di aiutarli? I bambini e gli adolescenti non sfuggono agli shock emotivi, pur sapendo che l’obiettivo della migrazione è raggiungere una migliore qualità di vita. Non hanno gli stessi strumenti degli adulti per elaborare i cambiamenti. Nei laboratori che faccio con loro mi sono resa conto che per tutti la decisione di venire in Perù è stata presa dai genitori, loro non sono stati interpellati. Pur capendo infatti la prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita, non tutti volevano venire. Vedono poco i genitori, vivono preoccupati, comunicano meno, non hanno amici. Non tutti riescono ad entrare subito nelle scuole peruviane, ma quelli che le frequentano ricevono spesso parole offensive dai compagni di classe. La loro tristezza, rabbia e paura si manifestano con comportamenti a volte non comprensibili dai genitori, come ribellione, pianto, isolamento. È essenziale prestare loro attenzione, aprire la comunicazione e sostenere la formazione di gruppi di coetanei in modo che si sentano solidali. Pensa che ci sia ancora spazio per la speranza di ricostruire un futuro in questi bambini e ragazzi? Finché c’è vita, c’è speranza. Occorre promuovere la resilienza come strumento che rafforza cognitivamente ed emotivamente coloro che stanno attraversando grandi sfide della vita. Il Paese ospitante, nel quadro dei diritti umani, deve garantire l’accesso alla salute, al cibo e all’istruzione. È indispensabile fornire sostegno per costruire nuove relazioni affettive, mantenere la comunicazione familiare e stabilire ponti di adattamento ai nuovi luoghi e il rafforzamento spirituale. Così formeremo persone con valori più stabili, con una visione del futuro e con gli strumenti necessari per prendere decisioni che permettano di realizzare i loro sogni.
Anna Lisa Innocenti
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Mag 16, 2019 | Centro internazionale
Nuova tappa del viaggio di Maria Voce e Jesús Morán in Libano: alle radici della cultura del Paese, con la sua complessità sociale, politica e religiosa. La sfida di un dialogo autentico come chiave per la rinascita del Libano. “It’s time to built a new nation”, “È ora di costruire una nuova nazione”. Così dice un grande cartello che si affaccia sull’autostrada, ma la velocità del traffico libanese non premette di capire né di chi sia appello, né quali intenzioni voglia esprimere.
La piccola delegazione del Movimento dei Focolari con a capo la presidente Maria Voce e il copresidente Jesús Morán è di ritorno da una gita al Nord del Paese dove ha visitato la Valle dei Santi, il centro spirituale della Chiesa Maronita di cui fanno parte la grande maggioranza dei cristiani libanesi. È anche la zona dei famosi cedri di Libano: una piccola foresta a 2000 metri d’altezza, dove esistono ancora esemplari che probabilmente risalgono all’epoca del Re Salomone e quindi a 3000 anni fa. Tornando a Beirut si è carichi di impressioni che affermano la grande capacità di questo popolo che ha alle spalle 7000 anni di storia e che ha saputo sopravvivere all’incrocio di tre continenti e di tre grandi religioni ma ha anche saputo conservare la propria creatività in condizioni estremamente difficili. Più ci si avvicina alla capitale, più ritorna alla mente la realtà attuale che nella sua complessità non dà molti motivi di speranza. In Libano attualmente sono presenti 18 comunità religiose. Lo Stato e le pubbliche amministrazioni funzionano “in emergenza”. C’è un intreccio indissolubile tra gruppi etnici, religiosi, politici, tra grandi famiglie, interessi economici, potenze esterne. Le vecchie ferite della guerra cosiddetta “civile” dal 1975 al 1990 non sono ancora guarite. “Non abbiamo avuto il coraggio di guardare in faccia al male che abbiamo provocato gli uni agli altri – ha detto uno dei vescovi incontrati in questi giorni – e di conseguenza nessuno ha mai chiesto perdono all’altro”. E più volte in questi giorni si sente dire che la situazione potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
“È ora di costruire una nuova nazione”, dice il cartello sull’autostrada e viene spontaneo chiedersi come ciò potrà mai accadere. La risposta che Jesús Morán ha delineato in un intervento a una tavola rotonda alla facoltà di Filosofia dell’Università Santo Spirito (USEK) nei pressi di Beirut, può essere riassunta nell’unica parola: dialogo. “Il dialogo – ha sottolineato il copresidente dei Focolari – fa parte della natura dell’uomo. Nel dialogo l’uomo diventa più uomo perché è completato dal dono dell’altro. Quindi, non si tratta tanto di parole o di pensieri, ma di donare il proprio essere. Ciò richiede silenzio e ascolto ed il rischio di mettere in gioco la propria identità, anche culturale, anche ecclesiale, che non andrà tuttavia perduta ma arricchita nella sua apertura”. Dialogare quindi per costruire una nuova nazione? Non sarà anche questa un’altra bella teoria, una delle tante che i Libanesi hanno sentito in questi anni.
“Assolutamente no!”, potrebbero rispondere i 150 cristiani e musulmani che il 13 maggio si sono incontrati nella cosiddetta “casa gialla” costruita su quella che era la linea di demarcazione tra le zone Est e Ovest di Beirut e che è stata ricostruita, per non dimenticare le ferite della guerra. Le testimonianze della loro amicizia, nata durante la guerra sulla base di una semplice accoglienza da parte dei Focolari, erano commoventi e convincenti. Piccoli gesti di vicinanza e attenzione, visite reciproche, rapporti senza interessi, hanno trasformato – come ha descritto una donna musulmana – l’amicizia in una vera famiglia. “Il dialogo è possibile solo tra persone vere. Ed è solo l’amore che ci fa veri”, ha detto Jesús Morán nel suo intervento. Gli amici cristiani e musulmani e la loro esperienza ne sono la prova. Forse è solo un piccolo seme, che magari crescerà lentamente, proprio come i cedri del Libano. Ma è sicuramente un seme con una forza irresistibile, dal quale può nascere una nazione nuova.
Joachim Schwind
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Mag 15, 2019 | Collegamento
Luigi Butori, italiano, è un focolarino che vive a Ho Chi Minh City. In Asia da oltre 20 anni, ne conosce tutta la bellezza, ma anche i drammi e i contrasti. Lo abbiamo accompagnato nel suo lavoro di sostegno e riscatto in favore dei più poveri tra i poveri, prima in Thailandia (vedi Collegamento CH del settembre 2015) ed ora in Vietnam. https://vimeo.com/332638541 (altro…)