Gen 31, 2011 | Focolari nel Mondo
One of the families I had been working with had broken the rules of the homeless shelter, and we had to then take the next step according to the policy and dismiss this family from the program. It wasn’t easy, since children were involved, and we had to find a place where they could go. The mother spoke with the director of the agency, who didn’t know all the facts, and he decided to allow the family to stay longer. I was upset at the way our work was undercut so I sent an email to the director stating my disappointment and justifying our position.
That night, remembering the Scripture sentence we were trying to live, I understood that I had to be led by the Spirit. I had to go beyond mere professionalism, and love the director by listening to his opinion.
The next day I apologized to him. As we talked the problem through, we found a way to proceed better with our work. Our dialogue was restored.
— A. S., Texas
Source: Living City, February 2011
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Gen 31, 2011 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
After college, I began job hunting. I found a job through a temp agency, but I was getting paid off the books, without health insurance. They asked me to lie to the customers I called, in order to get their business. I considered this really wrong and totally against my values! I decided to quit, even though it was a difficult decision because I was the financial support of my family. I felt I had to do God’s will, leaving behind everything that went against him.
My family was in shock, and I often felt like crying, but knew I couldn’t. I had to be “up” to help the rest of the family think positive.
Three weeks later, I found a full-time job in a film company.
A.C. India
Source: Living City, February 2011
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Gen 18, 2011 | Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Sr. Maria Cristina racconta come la necessità di un gruppo di religiose di un’altra congregazione, appena arrivate dall’India, mette in moto in lei e nelle persone vicine, tanti gesti concreti di aiuto per farle sentire a casa. Un modo per sperimentare la vita con “un cuor solo e un’anima sola”. «Un bisogno di ridimensionamento ha portato alla chiusura della casa della mia congregazione dove mi trovavo, e sono stata invitata a passare ad un’altra poco distante. Data la vicinanza alla mia nuova comunità, il parroco ha chiesto se era possibile che continuassi ancora a dare una mano fino al momento in cui sarebbe arrivato qualcuno. Ho accettato. Dopo qualche tempo, sono arrivate alcune suore di un’altra congregazione, provenienti dall’India. Una di loro conosceva abbastanza bene l’italiano, le altre due no. Mi è stato così chiesto di accompagnarle nel loro inserimento in parrocchia e nel paese, aiutandole nella conoscenza delle famiglie, nella catechesi con i ragazzi e nelle altre attività, che prima svolgevo anch’io. Nel mio cuore avevo ben presente che era un’occasione per testimoniare la comunione tra sorelle di altri Istituti. Qualcuno meravigliato si chiedeva il motivo di questo trattamento a persone sconosciute come a delle sorelle. Mi sono venute in mente le parole degli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32). Ho cercato di comunicare alla gente che fra noi poteva essere messo tutto in comune ed anche fra famiglie religiose poteva esserci un aiuto reciproco. Concretamente mi sono messa nei panni delle suore ed ho visto il loro bisogno. Così abbiamo lasciato loro non solo la casa, ma anche tutto l’arredamento. È stato un modo per aiutarle ad inserirsi di più e cogliere che la comunione è al di sopra delle differenze. Anche le signore del paese si sono messe in moto, chiedendo cosa potevano fare. Insieme abbiamo sistemato la casa, l’abbiamo abbellita, abbiamo messo nella dispensa cose che potevano far piacere a loro, come per esempio il riso al posto della pasta, ecc. Prima della mia partenza, queste suore mi hanno ringraziato perché avevano fatto l’esperienza di essere un’unica famiglia, non più due congregazioni distinte. Credo che questo la gente l’abbia capito, ed è stata una testimonianza di come si può vivere oggi la stessa comunione dei primi cristiani». sr. Maria Cristina
Nov 10, 2010 | Focolari nel Mondo
«Ho 34 anni, sono brasiliano, sposato e con due figli e lavoro al servizio dei più poveri aiutandoli a rivendicare i propri diritti di base.» Si presenta così Anisio Caixeta Junior, giovane aderente al movimento dei focolari che di mestiere fa il difensore pubblico: quella figura prevista dall’ordinamento brasiliano per assicurare una difesa anche a chi non ha i mezzi per permettersi un avvocato. Si fa presto a capire che, oltre a svolgere il proprio compito con professionalità, Anisio è animato da grandi ideali: «Fin da bambino mi ha entusiasmato l’ideale dell’unità di Chiara Lubich e ho sempre cercato di aiutare il prossimo gratuitamente, vedevo che questo mi realizzava. E anche adesso continuo a fare la stessa cosa nella mia professione. Lo stesso ideale mi aiuta a ricordare, prima di ogni udienza, che lì davanti prima di tutto non c’è un procedimento burocratico, ma una persona da rispettare e amare.» E non si tratta solo di sue convinzioni morali: «Nella storia del diritto – afferma Anisio – al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali più immediati come quello alla vita ed alla proprietà, si sono successivamente aggiunti quelli di libertà ed eguaglianza emersi con la rivoluzione francese. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, ha rievidenziato un altro caposaldo: vivere in spirito di fraternità. Anche la costituzione brasiliana ha voluto introdurre al suo interno il principio di fraternità, che perciò non è un semplice aiuto che si dà ogni tanto ai bisognosi, ma un caposaldo che anche la Costituzione s’impegna espressamente a tutelare e promuovere. Quando quindi agisco spinto da questo ideale di fraternità, sto in realtà applicando una legge fondamentale della mia Costituzione!» Le esperienze che Anisio si trova a vivere “semplicemente applicando la legge” ogni giorno sono davvero molte. Una tra quelle che ama maggiormente raccontare: «Un giorno mi trovavo con un mio collega fuori dal tribunale vicino ad un semaforo e si è avvicinato un ragazzino chiedendoci l’elemosina. Immaginate però la sua faccia quando noi gli abbiamo risposto: “Ma noi possiamo fare molto di più che darti qualche spicciolo! Se ad esempio non hai una famiglia, possiamo aiutarti ad inserirti in un programma sociale apposito, ugualmente se vivi per strada e così anche se non hai soldi. Questi sono infatti tutti diritti che lo Stato si deve impegnare a garantirti perché è la Costituzione che esige la creazione di istituzioni che tutelino questi tuoi diritti. E il mio lavoro è proprio una di queste!”» Una figura eroica quella del difensore pubblico? Anisio è di un altro parere: «Non penso certo che con il mio lavoro sto cambiando il mondo. Allo stesso tempo l’idea che neanche un bicchiere d’acqua è donato invano però mi affascina moltissimo e sono convinto che anche questo semplice gesto può contribuire a creare quella nuova umanità, dedita alla fraternità, che certo, il diritto può sostenere, ma va poi costruita a partire da noi stessi!» (altro…)
Ott 22, 2010 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Tanti hanno conosciuto la vicenda umana del cardinale vietnamita François-Xavier Nguyên Van Thuân, vissuto in carcere per più di tredici anni. Tanti si sono sentiti incoraggiati dalla sua testimonianza eroica di fede e hanno sperimentato personalmente la carità, forgiata nel crogiuolo della prova, di questa grande personalità contemporanea. A soli 8 anni dalla sua scomparsa, il 22 ottobre si è aperto per lui il Processo di Beatificazione con la ceremonia ufficiale a San Giovanni in Laterano. Nato nel 1928, nel Vietnam, in seno ad una famiglia di antica tradizione cristiana, venne ordinato sacerdote nel 1953, e già nel 1964 divenne rettore del seminario di Hue. Il 13 aprile 1967, Paolo VI lo nominò primo vescovo vietnamita di Nha Trang. Scelse come motto Gaudium et Spes poiché desiderava essere un apostolo di gioia e di pace.Uomo di ricca e profonda spiritualità, trovò grande ispirazione per la sua vita personale e la sua missione pastorale nell’incontro, nel 1974, con Chiara Lubich e la sua spiritualità dell’unità.Nel 1975 venne arrestato dal governo comunista ed imprigionato. Non fu mai processato e condannato. Trascorse in carcere ben oltre tredici anni, di cui nove in isolamento. La sua scelta di Gesù Crocifisso ed Abbandonato, cardine della spiritualità dell’unità, come Colui da amare ed imitare, gli diede la forza per essere un testimone eroico della speranza e della carità, sempre, ed in modo indescrivibile durante i lunghi anni bui di prigionia. Anni dopo, nel luglio 2001 davanti a 1.300 sacerdoti convenuti a Castelgandolfo, affermerà che “l’aver conosciuto Chiara Lubich ed il suo carisma dell’unità, mi ha salvato in quei lunghi anni”. I suoi molti scritti contengono dei veri gioielli di autentica spiritualità evangelica, illustrati dalle innumerevoli sue esperienze che risplendono come via di santità per chiunque incontri questo grande testimone del nostro tempo. Eccone uno:“Una notte, in carcere, dal più profondo del mio cuore, udii una voce che mi chiedeva: ‘Perche mai ti tormenti? Devi saper discernere fra Dio e le opere di Dio. Tutto ciò che hai fatto e che ancora desidereresti di fare: visite pastorali, formazione dei seminaristi, delle suore e dei membri di ordini religiosi, costruire scuole, evangelizzare i non cristiani. Tutto ciò è ottimo lavoro, è lavoro di Dio, ma non è Dio! Se Egli ti chiede di lasciare tutto e di affidare ogni cosa nelle Sue mani, fallo e fidati di Lui. Dio farà infinitamente meglio di te: affiderà il lavoro ad altri più capaci di te. Non hai che da scegliere Dio e non i suoi lavori!’. Fu una luce che mutò totalmente il mio modo di pensare. Allorché i comunisti mi fecero scendere nella stiva di una nave, la Hai-Phong, stipato insieme ad altri 1.500 prigionieri per trasportarci al Nord, mi dissi: ‘Questa è la mia cattedrale, questo è il popolo che Dio mi affida perché io me ne curi, ecco la mia missione: assicurare la presenza di Dio fra questa gente, fra questi miserabili, disperati fratelli miei. E’ la Sua volontà che io sia qui. Accetto la Sua volontà. Da quel momento in poi una nuova pace mi ha riempito il cuore e mai mi ha più abbandonato in tutti quei tredici anni.” Autore di numerosi libri, instancabile predicatore, testimone di una fede eroica e di una sconfinata carità, Van Thuân sarà ricordato anche per il suo grande impegno nel redigere il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa e per gli ultimi anni della sua vita spesi intensamente alla guida del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Città Nuova ha pubblicato:
François Xavier Nguyên Van Thuân, Il cammino della speranza. Testimoniare l’appartenenza a Cristo, 2008.
François Xavier Nguyên Van Thuân, Testimoni della speranza. esercizi spirituali tenuti alla presenza di Giovanni Paolo II, 2008
Lucia Velardi (ed.), Spera in Dio! 100 pagine di F. X. Nguyên Van Thuân, 2008
Per la cerimonia dell’apertura della fase diocesana del Processo di Beatificazione erano presenti membri della famiglia e amici da tutto il mondo. (altro…)