28 Set 2013 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
«Partecipo per caso ad un convegno sull’handicap. Lì incontro diversi ragazzi, che non hanno handicap gravissimi, ma neppure la capacità di un normale inserimento nella società. Se non ci fossero le loro famiglie e le associazioni, sarebbero abbandonati a se stessi. Insegno in un centro di educazione per adulti: capisco che la mia scuola si deve occupare di loro. In che modo però? Mi viene un’intuizione: insegnare a questi ragazzi l’uso della macchina fotografica, una mia vecchia passione. L’obiettivo non è farne dei fotografi, ma consentire loro di fissare alcuni momenti di vita. Convoco i ragazzi con le loro famiglie ed iniziamo l’avventura: vi partecipano quattro di loro e quattro adulti disposti a condividere il percorso. È il settembre 2007. Prima lezione, l’uso delle loro semplici macchine fotografiche digitali. Compito assegnato: fotografate la vostra casa. M.G. mi porta le sue fotografie: un calzino colorato, il bordo del lenzuolo ricamato, il pomello di una maniglia tutto lavorato… Mi stupisco e lei timidamente mi spiega che quelle sono le cose di casa sua che le piacciono. Imparo così che il mio lavoro non è insegnare qualcosa che io penso debbano imparare, ma scoprire quello che loro hanno dentro e farlo venire alla luce. Il tempo passa e dai ragazzi emergono passioni e capacità impensabili: saper cogliere i particolari; senso della composizione dell’inquadratura da parte di una ragazza ipovedente, capace di star ferma anche 15-20 minuti prima di scattare una foto per cogliere l’attimo giusto… Qualcuno non esprime passioni spiccate e particolari, ma la relazione costruita con il gruppo gli permette di partecipare senza sentirsi escluso. Azzardo ad inserire nel programma il tema: “Foto di un matrimonio”. Ma non so proprio dove trovare due sposi così pazzi da affidare le loro foto ad un gruppo di ragazzi “handicappati”. La Provvidenza mi fa incontrare Matteo e Beate che per il loro matrimonio vogliono tagliare tutto il superfluo, compreso il fotografo. Ed è così che si ritrovano la più sgangherata banda di fotografi che si sia mai vista. Ne esce uno stupendo servizio fotografico, pieno di originalità, calore e umanità. Il contatto con questi ragazzi scatena emozioni profonde e così, un po’ alla volta, il gruppo cresce. Un fotografo cui chiedo un favore per questi ragazzi mi ringrazia per la lezione ricevuta proprio da loro e per aver imparato che la “diversità” esiste per un preconcetto e che dopo questa esperienza non riesce proprio a vedere la differenza. In seguito, con l’aiuto di un giovane artista, nasce “OCCHI DIVERSI”, una mostra fotografica costituita da 100 fotografie belle e particolari, permeate da un senso di passione e di purezza che lascia il segno nei numerosi visitatori. Nel libro delle firme molti ringraziano per aver colto, dietro a quella foto, l’amore di Dio. Nulla di quanto accaduto in questi anni è stato progettato a tavolino. Quello che ne è nato è frutto di un vero e proprio amore reciproco tra tutti i partecipanti, diversi dei quali non hanno neppure una fede religiosa. Mi sono trovato spesso ad affrontare situazioni che avrebbero richiesto ben altre competenze, sono stato “costretto” dagli eventi a buttare all’aria i contenuti da trasmettere per lasciare spazio all’ascolto, al gioco, al gesto di affetto, alla libertà di esprimersi anche in maniera sconclusionata. In una sola parola: per lasciare spazio alle relazioni». Alberto Roccato (altro…)
24 Set 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
«Lavoro in una scuola elementare come insegnante di sostegno. Nella mia classe c’è F., un bimbo con l’apparecchio acustico. Ha problemi di comportamento e difficoltà nel rapportarsi con i compagni, i quali a loro volta gli fanno dispetti e lo escludono nei giochi. In generale, nella classe c’è rivalità tra i bambini, che fanno a gara per sottolineare l’errore o il difetto di chi si mostra più debole. Così ho pensato di coinvolgerli in un’attività che li gratificasse, aiutandoli a vedere il buono che c’è in ognuno di loro, e sperando che vedessero il buono anche in F. Nasce così la “Posta dell’Amicizia”: una mattina sulla cattedra è comparsa una scatola colorata dotata di fessura come la buchetta della posta. Sul coperchio della scatola ho incollato una vignetta di Gibi e DoppiaW che si dicevano sorridendo “Ho una sorpresa per te!”. Ho proposto ai bambini di utilizzare la scatola durante la settimana per dirsi l’un l’altro le cose buone che avevano vissuto o gli aspetti positivi che avevano osservato nell’uno o nell’altro durante la giornata. Le lettere potevano essere anonime o firmate, indirizzate a chiunque. Potevano mandarsi disegni, poesie, piccoli regalini. Abbiamo deciso di partecipare anche noi maestre per scrivere a quei bambini che, quasi sicuramente, non avrebbero ricevuto niente. La posta sarebbe stata letta insieme alla fine di ogni settimana. I bambini hanno accettato la proposta con entusiasmo e si sono lanciati nella scrittura di lettere, bigliettini e poesie. Alla fine della prima settimana tutta la classe fremeva d’impazienza. L’apertura della posta è stato un momento di condivisione in cui finalmente tutti si sono concentrati sul positivo e non sul negativo. Ogni bambino ha ricevuto una lettera e si è dichiarato pronto a rispondere al mittente. Noi insegnanti, avendo controllato in precedenza chi aveva ricevuto qualcosa e chi no, abbiamo scritto a qualcuno brevi pensieri e ad altri abbiamo consegnato, piegata a bigliettino, una striscia di Gibi e DoppiaW. I destinatari delle strisce hanno chiesto su questi simpatici personaggi ed ho potuto spiegare sul significato delle strisce. Ne è nato un dialogo bello e profondo. Da quel momento, ricevere la striscia a fumetti sarebbe diventato un privilegio, un dono speciale che tutti conservavano gelosamente.
Nelle settimane successive l’atmosfera in classe è notevolmente cambiata: i bambini erano più gentili fra loro, un po’ per il desiderio di ricevere lettere, un po’ per i legami positivi nati dai complimenti ricevuti dai compagni. F., invece, ha faticato più degli altri a trarre giovamento dalla “posta dell’amicizia”: rifiutava di scrivere lettere agli altri, dicendo che sicuramente non ne avrebbe ricevute da nessuno, tranne che dalle maestre. E così è stato per le prime due settimane. Nella terza, però, una bambina gli ha scritto un biglietto dicendogli che lui era suo amico perché le prestava le cose. F. è scoppiato a piangere e ha strappato il biglietto con rabbia. La settimana successiva però mi ha chiesto aiuto per scrivere alcune lettere; e in quella seguente ha ricevuto altri biglietti pieni di complimenti che l’hanno riempito di stupore. Allora, ha deciso di scrivere a tutti un biglietto di saluto. Per lui, così selettivo nei suoi rapporti, è stato un grande passo che l’ha riempito di emozione. La “posta dell’amicizia” ha continuato ad essere utilizzata fino alla fine dell’anno, diventando parte integrante della nostra vita scolastica, veicolo di affetto e di reciprocità per tutti». (M. T. – Italia) (altro…)
1 Set 2013 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Dolore condiviso Una compagna di mia figlia aveva perso in un incidente il padre e una sorella. Conoscevo solo di vista la mamma. La spinta era di andare a trovarla, ma ho capito che non bastava una visita: dovevo fare qualcosa di più. Sono passata al mercato, ho comprato vari generi alimentari e glieli ho portati. Non avevo però il coraggio di parlarle. Cosa potevo dirle? Come trovare il modo di consolarla? Mi sono fatta forza e sono tornata più volte a trovarla. Avendo saputo anche che aveva bisogno di soldi, le ho portato una piccola somma. Dopo alcuni giorni l’ho trovata più forte, con maggior fiducia nella vita e grata per quell’amicizia nata da un dolore condiviso. (P.G. – Bolivia) Licenziamento Nell’azienda dove lavoravo da 25 anni era arrivato il nuovo direttore, giovane e senza esperienza. Quale portavoce delle apprensioni dei dipendenti dovevo evidenziare i suoi errori al consiglio di amministrazione, di cui faceva parte anche la moglie. Rischiavo di perdere il posto, ma ritenevo che la verità dovesse essere detta. Nello stesso tempo non volevo rompere il rapporto, per cui cercavo le parole giuste per non inasprire la situazione. Dopo quasi due anni trascorsi così, una mattina il direttore mi ha comunicato il mio licenziamento. Pur scosso, ho risposto che avrei fatto tuta la mia parte fino all’ultimo giorno di lavoro. Poco prima del termine mi ha offerto di rimanere. La sua, diceva, era stata una decisione avventata. Nel frattempo però, io e mia moglie avevamo deciso di avviare una nuova azienda, per cui l’ho ringraziato, declinando l’offerta. L’ultimo giorno è stato ricco di sorprese, l’azienda ha organizzato una festa con doni e una lettera di ringraziamento. Anche gli operai mi hanno espresso gratitudine per quanto avevo fatto per loro. (E.C. – Svizzera)
Al lavatoio Giorni fa sono andata al lavatoio pubblico, vicino a casa mia, per fare il bucato. C’era un bel sole e tante donne lavavano i panni. Stavamo chiacchierando allegramente quando è arrivato un anziano. Non ci vedeva quasi. Aveva due lenzuola, una camicia e il suo turbante da lavare e chiedeva che gli facessimo un po’ di posto. Nessuna voleva spostarsi. Mi sono rivolto a lui: “Baba – gli ho detto come si usa con le persone anziane –, dammi le tue cose che te le lavo io”. Le altre si sono messe a ridere: “Con quella montagna di panni che ti ritrovi, mica dirai sul serio…?”. Ho ripetuto al Baba l’invito e ho cominciato a lavare le sue lenzuola. Era molto contento, mi ha dato la sua benedizione paterna e, prima di allontanarsi, ha voluto lasciarmi per forza il suo pezzetto di sapone che custodiva gelosamente. Nessuna rideva più. Nel silenzio, è successo qualcosa di nuovo. C’era chi prestava la sua bacinella all’altra, chi porgeva la brocca piena d’acqua a quella più lontana… Era iniziata una catena di collaborazione. (F.N. – Pakistan) (altro…)
16 Ago 2013 | Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
L’albero della guaiava Davanti alla mia casa, da tanti anni, cresce un albero di guaiava, ma non ero mai riuscita ad assaggiare un frutto maturo perché, appena spuntavano, qualcuno li colpiva e cadevano a terra senza riuscire a maturare. Questo mi disturbava proprio! Un’altra situazione che mi infastidiva tanto: da alcuni anni mi impegno a dare da mangiare ai bambini della strada che suonano alla mia porta. Offro a loro i pasti ma puntualmente trovavo i resti buttati sul marciapiede, sulla mia macchina o nei dintorni del vicinato. Un giorno, dopo avere offerto loro la cena, ho ricordato le parole del Vangelo:” Tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: Ama il tuo prossimo come te stesso (Galati 5, 14)”, e ho pensato: “Com’è possibile che siano passati tanti anni e nemmeno conosca i nomi di questi ragazzi?”. Allora sono andato a cercarli e ho iniziato a dialogare con loro: ho chiesto i loro nomi, dimostrando interesse per le loro preoccupazioni; così mi hanno confidato i gravi problemi che le loro famiglie devono affrontare ogni giorno. Mi sono sentito meglio dopo averli ascoltati e credo che anche loro hanno percepito il mio genuino interessamento. Ora i ragazzi non buttano più sulla strada i rifiuti dopo aver mangiato, ma lo fanno nel bidone della spazzatura. E tornando al mio amato albero di guaiava, nessuno più lo colpisce ed ora ci sono tanti frutti maturi che riesco perfino a distribuire fra i miei vicini e amici. Il miracolo dell’amore reciproco ci coinvolge tutti ed è una benedizione per ogni essere vivente! (S. D. – Honduras) Era clandestino *
Avevo assunto Dominic del Marroco, da quattro anni clandestino in Italia. Questo lavoro gli avrebbe permesso il soggiorno e di mettersi in regola. In attesa di una sistemazione definitiva è stato deciso, d’accordo con i figli, che venisse temporaneamente ad abitare con noi. La sua presenza in casa ci ha aperto orizzonti nuovi. Ci racconta della sua gente, delle sue tradizioni, della sua casa, delle distese di prati,dei suoi cavalli… Si parla anche di Allah e di ciò che di buono e giusto accomuna tutti gli uomini. È proprio vero che la conoscenza profonda, l’accoglienza sincera fanno crollare muri secolari di paura e sospetto. (C.A. – Italia)
Il compleanno * Per la festa di compleanno di nostra figlia avevamo invitato alcune sue amichette. Data la situazione economica, non potendo far loro regali, abbiamo riempito un cesto di caramelle e giocattoli. Io avevo preparato due torte e i suoi fratelli palloncini colorati e ghirlande. Finita la festa, era avanzata una delle torte, la più bella. Andando a dormire, Mabelén era un po’ triste: il giorno prima era stato il compleanno di una bambina della sua stessa età, che non aveva fatto festa. Alla mia proposta di inviarle la torta rimasta, s’è illuminata: “Non soltanto la torta, anche i palloncini e le ghirlande!”. Era felicissima perché Consuelo avrebbe festeggiato pure lei. (D.Y. – Argentina) (*) Il Vangelo del giorno, Ed. Città Nuova, agosto 2013. (altro…)
7 Ago 2013 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale
“Fin dal momento in cui abbiamo cominciato a organizzare questo viaggio eravamo coscienti che sarebbe stato qualcosa di forte. Eppure non ci aspettavamo l’accoglienza che la gente ( e i ragazzi in particolare) ci ha offerto. Arriviamo dopo un viaggio durato più di 12 ore. La campana della scuola suona per noi. Un grande cartello dice: “Grazie per essere venuti, grazie perché siete qui, vi vogliamo bene: BENVENUTI”. Appena il nostro pulmino si è fermato, hanno cominciato a salutare e subito ci hanno aiutato a scaricare i nostri bagagli. Subito dopo abbiamo improvvisato giochi con i bambini e cantato canzoni con loro”.
Così registrano nel loro diario di viaggio i 19 Ragazzi per l’unità, accompagnati da 4 adulti, che durante il mese di luglio (approfittando delle vacanze invernali dell’emisfero sud), sono partiti da Buenos Aires per condividere alcuni giorni con i ragazzi della “Escuela km. 25”, nella provincia di Santiago dell’Estero, una delle tante “frontiere esistenziali” di cui parla Papa Francesco. È a mille chilometri da Buenos Aires, nel mezzo della selva, la scuola con due aule, una cucina, tre bagni ed un cortile con il pozzo, il quale fornisce l’acqua alle 22 famiglie della comunità che vivono in casette di fango, con il pavimento in terra battuta. 35 bambini, fino ai 13 anni, la frequentano. L’unico maestro arriva ogni lunedì e riparte ogni venerdì. Gli uomini vanno a lavorare nei campi e restano fuori casa anche per tre mesi. Ci sono voluti 4 mesi per preparare il viaggio, con l’aiuto degli adulti e dei giovani del Movimento dei Focolari, preparando insieme una serata per raccogliere fondi. C’era da affrontare il costo del viaggio, della permanenza, e tutti i problemi logistici. Abbiamo portato con noi del materiale scolastico, medicine, scarpe, e tutto quello che potevamo infilare nelle nostre borse. “Uno degli obiettivi che ci siamo proposti, è non solo portare i giochi e le attività che abbiamo preparato per i bambini, ma andare con l’atteggiamento d’imparare e ricevere anche noi qualcosa da loro: come vivono, il loro mondo, i loro valori, quello che fanno… Ed è stato davvero uno scambio molto arricchente”.
Abbiamo visitato le loro case, condividendo con loro la merenda. “Ci davamo appuntamento per le 10:30 ed alle 9:30 erano già tutti lì ad aspettarci”. Un giorno il maestro ha raccontato ai ragazzi che per venire a giocare con noi, i bambini indossavano i migliori vestiti che avevano. “Magari era l’unico paio di scarpe che avevano, e per andare a scuola andavano scalzi. Ma l’incontro con noi lo vedevano come una festa e perciò volevano vestirsi alla meglio”.
Prima di ripartire, abbiamo lasciato tutti i nostri soldi per la scuola e perché i bambini possano realizzare il sogno di andare insieme fino alla città più vicina a prendere un gelato! Al ritorno nella grande città, ci siamo resi conto della straordinaria esperienza vissuta: “Ho potuto capire che per essere solidali, per servire, non importa nulla, né il luogo dove vivi , né alcuna altra cosa, perché tutti siamo uguali”. È stato aperto un nuovo cammino di amicizia e non vogliamo mancare all’appuntamento che hanno lasciato scritto nel messaggio di saluto: “Arrivederci all’anno prossimo”. (altro…)