Movimento dei Focolari

Vivere la comunione come i primi cristiani. L’esperienza di una religiosa.

Sr. Maria Cristina racconta come la necessità di un gruppo di religiose di un’altra congregazione, appena arrivate dall’India, mette in moto in lei e nelle persone vicine, tanti gesti concreti di aiuto per farle sentire a casa. Un modo per sperimentare la vita con “un cuor solo e un’anima sola”. «Un bisogno di ridimensionamento ha portato alla chiusura della casa della mia congregazione dove mi trovavo, e sono stata invitata a passare ad un’altra poco distante. Data la vicinanza alla mia nuova comunità, il parroco ha chiesto se era possibile che continuassi ancora a dare una mano fino al momento in cui sarebbe arrivato qualcuno. Ho accettato. Dopo qualche tempo, sono arrivate alcune suore di un’altra congregazione, provenienti dall’India. Una di loro conosceva abbastanza bene l’italiano, le altre due no. Mi è stato così chiesto di accompagnarle nel loro inserimento in parrocchia e nel paese, aiutandole nella conoscenza delle famiglie, nella catechesi con i ragazzi e nelle altre attività, che prima svolgevo anch’io. Nel mio cuore avevo ben presente che era un’occasione per testimoniare la comunione tra sorelle di altri Istituti. Qualcuno meravigliato si chiedeva il motivo di questo trattamento a persone sconosciute come a delle sorelle. Mi sono venute in mente le parole degli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32). Ho cercato di comunicare alla gente che fra noi poteva essere  messo tutto in comune ed anche fra famiglie religiose poteva esserci  un aiuto reciproco. Concretamente mi sono messa nei panni delle suore ed ho visto il loro bisogno. Così abbiamo lasciato loro non solo la casa, ma anche tutto l’arredamento. È stato un modo per aiutarle ad inserirsi di più e cogliere che la comunione è al di sopra delle differenze. Anche le signore del paese si sono messe in moto, chiedendo cosa potevano fare. Insieme abbiamo sistemato la casa, l’abbiamo abbellita, abbiamo messo nella dispensa cose che potevano far piacere a loro, come per esempio il riso al posto della pasta, ecc. Prima della mia partenza, queste suore mi hanno ringraziato perché avevano  fatto l’esperienza di essere un’unica famiglia, non più due congregazioni distinte. Credo  che questo la gente l’abbia capito, ed  è stata una testimonianza di come si può vivere oggi la stessa comunione dei primi cristiani». sr. Maria Cristina

Applicando la legge

Applicando la legge

«Ho 34 anni, sono brasiliano, sposato e con due figli e lavoro al servizio dei più poveri aiutandoli a rivendicare i propri diritti di base.» Si presenta così Anisio Caixeta Junior, giovane aderente al movimento dei focolari che di mestiere fa il difensore pubblico: quella figura prevista dall’ordinamento brasiliano per assicurare una difesa anche a chi non ha i mezzi per permettersi un avvocato. Si fa presto a capire che, oltre a svolgere il proprio compito con professionalità, Anisio è animato da grandi ideali: «Fin da bambino mi ha entusiasmato l’ideale dell’unità di Chiara Lubich e ho sempre cercato di aiutare il prossimo gratuitamente, vedevo che questo mi realizzava. E anche adesso continuo a fare la stessa cosa nella mia professione. Lo stesso ideale mi aiuta a ricordare, prima di ogni udienza, che lì davanti prima di tutto non c’è un procedimento burocratico, ma una persona da rispettare e amare.» E non si tratta solo di sue convinzioni morali: «Nella storia del diritto – afferma Anisio – al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali più immediati come quello alla vita ed alla proprietà, si sono successivamente aggiunti quelli di libertà ed eguaglianza emersi con la rivoluzione francese. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, ha rievidenziato un altro caposaldo: vivere in spirito di fraternità. Anche la costituzione brasiliana ha voluto introdurre  al suo interno il principio di  fraternità, che perciò non è un semplice aiuto che si dà ogni tanto ai bisognosi, ma un caposaldo che anche la Costituzione s’impegna espressamente a tutelare e promuovere. Quando quindi agisco spinto da questo ideale di fraternità, sto in realtà applicando una legge fondamentale della mia Costituzione!» Le esperienze che Anisio si trova a vivere “semplicemente applicando la legge” ogni giorno sono davvero molte. Una tra quelle che ama maggiormente raccontare: «Un giorno mi trovavo con un mio collega fuori dal tribunale vicino ad un semaforo e si è avvicinato un ragazzino chiedendoci l’elemosina. Immaginate però la sua faccia quando noi gli abbiamo risposto: “Ma noi possiamo fare molto di più che darti qualche spicciolo! Se ad esempio non hai una famiglia, possiamo aiutarti ad inserirti in un programma sociale apposito, ugualmente se vivi per strada e così anche se non hai soldi. Questi sono infatti tutti diritti che lo Stato si deve impegnare a garantirti perché è la Costituzione che esige la creazione di istituzioni che tutelino questi tuoi diritti. E il mio lavoro è proprio una di queste!”» Una figura eroica quella del difensore pubblico? Anisio è di un altro parere: «Non penso certo che con il mio lavoro sto cambiando il mondo. Allo stesso tempo l’idea che neanche un bicchiere d’acqua è donato invano però mi affascina moltissimo e sono convinto che anche questo semplice gesto può contribuire a creare quella nuova umanità, dedita alla fraternità, che certo, il diritto può sostenere, ma va poi costruita a partire da noi stessi!» (altro…)

Applicando la legge

Primo Vescovo vietnamita verso la santità

Tanti hanno conosciuto la vicenda umana del cardinale vietnamita François-Xavier Nguyên Van Thuân, vissuto in carcere per più di tredici anni. Tanti si sono sentiti incoraggiati dalla sua testimonianza eroica di fede e hanno sperimentato personalmente la carità, forgiata nel crogiuolo della prova, di questa grande personalità contemporanea. A soli 8 anni dalla sua scomparsa, il 22 ottobre si è aperto per lui il Processo di Beatificazione con la ceremonia ufficiale a San Giovanni in Laterano. Nato nel 1928, nel Vietnam, in seno ad una famiglia di antica tradizione cristiana, venne ordinato sacerdote nel 1953, e già nel 1964 divenne rettore del seminario di Hue. Il 13 aprile 1967, Paolo VI lo nominò primo vescovo vietnamita di Nha Trang. Scelse come motto Gaudium et Spes poiché desiderava essere un apostolo di gioia e di pace.Uomo di ricca e profonda spiritualità, trovò grande ispirazione per la sua vita personale e la sua missione pastorale nell’incontro, nel 1974, con Chiara Lubich e la sua spiritualità dell’unità.Nel 1975 venne arrestato dal governo comunista ed imprigionato. Non fu mai processato e condannato. Trascorse in carcere ben oltre tredici anni, di cui nove in isolamento. La sua scelta di Gesù Crocifisso ed Abbandonato, cardine della spiritualità dell’unità, come Colui da amare ed imitare, gli diede la forza per essere un testimone eroico della speranza e della carità, sempre, ed in modo indescrivibile durante i lunghi anni bui di prigionia. Anni dopo, nel luglio 2001 davanti a 1.300 sacerdoti convenuti a Castelgandolfo, affermerà che “l’aver conosciuto Chiara Lubich ed il suo carisma dell’unità, mi ha salvato in quei lunghi anni”. I suoi molti scritti contengono dei veri gioielli di autentica spiritualità evangelica, illustrati dalle innumerevoli sue esperienze che risplendono come via di santità per chiunque incontri questo grande testimone del nostro tempo. Eccone uno:“Una notte, in carcere, dal più profondo del mio cuore, udii una voce che mi chiedeva: ‘Perche mai ti tormenti? Devi saper discernere fra Dio e le opere di Dio. Tutto ciò che hai fatto e che ancora desidereresti di fare: visite pastorali, formazione dei seminaristi, delle suore e dei membri di ordini religiosi, costruire scuole, evangelizzare i non cristiani. Tutto ciò è ottimo lavoro, è lavoro di Dio, ma non è Dio! Se Egli ti chiede di lasciare tutto e di affidare ogni cosa nelle Sue mani, fallo e fidati di Lui. Dio farà infinitamente meglio di te: affiderà il lavoro ad altri più capaci di te. Non hai che da scegliere Dio e non i suoi lavori!’. Fu una luce che mutò totalmente il mio modo di pensare. Allorché i comunisti mi fecero scendere nella stiva di una nave, la Hai-Phong, stipato insieme ad altri 1.500 prigionieri per trasportarci al Nord, mi dissi: ‘Questa è la mia cattedrale, questo è il popolo che Dio mi affida perché io me ne curi, ecco la mia missione: assicurare la presenza di Dio fra questa gente, fra questi miserabili, disperati fratelli miei. E’ la Sua volontà che io sia qui. Accetto la Sua volontà. Da quel momento in poi una nuova pace mi ha riempito il cuore e mai mi ha più abbandonato in tutti quei tredici anni.” Autore di numerosi libri, instancabile predicatore, testimone di una fede eroica e di una sconfinata carità, Van Thuân sarà ricordato anche per il suo grande impegno nel redigere il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa e per gli ultimi anni della sua vita spesi intensamente alla guida del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Città Nuova ha pubblicato:

François Xavier Nguyên Van Thuân, Il cammino della speranza. Testimoniare l’appartenenza a Cristo, 2008.
François Xavier Nguyên Van Thuân, Testimoni della speranza. esercizi spirituali tenuti alla presenza di Giovanni Paolo II, 2008
Lucia Velardi (ed.), Spera in Dio! 100 pagine di F. X. Nguyên Van Thuân, 2008

Per la cerimonia dell’apertura della fase diocesana del Processo di Beatificazione erano presenti membri della famiglia e amici da tutto il mondo. (altro…)

Applicando la legge

E’ possibile accorciare le distanze?

Poco dopo entro proprio in quella classe ed il panorama coincide perfettamente con quanto mi hanno detto. Pochi alunni, sparsi nell’aula, contro la parete di fondo. Alcuni stesi su due sedie, altri allungati sui banchi o appoggiati sulle braccia, come se dormissero. Saluto in un silenzio opprimente, nessuno risponde.  Provo una grande solitudine, il vuoto dei tavolini che mi separa da loro è simile al vuoto che sento dentro di me. Mi vengono in mente i miei tanti anni di studio, le abilitazioni e gli sforzi. Noto con tristezza che non potranno aiutarmi in questo momento. Non mi lascio scoraggiare: non sarà la mia preparazione professionale a dare loro qualcosa, ma l’amore che potrò offrire. Li invito a sedersi più avanti, dato che siamo pochi, ma nessuno ha intenzione di abbandonare la sua posizione. Vado allora alla cattedra e comincio a spingerla verso i banchi dei ragazzi. Il rumore  risveglia la curiosità di alcuni. Una ragazza mi chiede cosa intendo fare, le rispondo che siccome loro non si avvicinano, io vado verso di loro. Poi comincio a parlare della fatica di lavorare il venerdì pomeriggio. Anche io, come loro, sono stanca, ma, poiché abbiamo fatto lo sforzo di arrivare fino a scuola, conviene approfittarne e continuare il lavoro della lezione precedente. Lentamente si mettono in moto. Ad un certo punto mi accorgo che tutti sono impegnati nel lavoro di biologia, anche quelli che non lo fanno mai. Alla fine dell’ora mi complimento con loro per lo sforzo fatto ed aggiungo che ne sono stata molto contenta. Arriva il giorno della riunione dei professori. Ogni collega presenta il suo punto di vista. Non so cosa dire, perché mi accorgo che il mio intervento non coincide con quello degli altri. Ma dai commenti emerge che ai ragazzi piacciono le ore di biologia, perché la professoressa – dicono –mette la sua cattedra accanto ai banchi. Avendola vicina si sentono accompagnati e lavorano più sicuri e fiduciosi. Alcuni colleghi commentano sottovoce che forse sarebbe una buona idea adottare anche loro questo metodo. Da allora, al mio arrivo in classe, spingo sempre la cattedra con l’aiuto di qualcuno. Adesso però non ho quasi più bisogno di farlo: i banchi davanti iniziano ad essere occupati. (Bahia Blanca – Argentina)

Più efficace di una tazza di caffè

Mentre ci avviamo all’aeroporto mi rendo conto di essere felice e libero. Sveglio! Un gesto di carità non è paragonabile alla chiacchierata confidenziale che nasce con il mio prossimo. L’attenzione all’altro è più efficace di una tazza di caffè. Madre Teresa mi aveva ricordato di amare il prossimo come me stesso. È come se avesse riacceso e resa attuale una frase del Vangelo. Nell’alba piovosa mi sembra che quelli che mettono in pratica le parole di Gesù, i santi, sono i catarifrangenti che mi indicano come arrivare alla meta. T.M. (dal blog di Città Nuova online)