Movimento dei Focolari
Genfest 2012: il mondo si prepara

Genfest 2012: il mondo si prepara

La data è fissata da tempo, 31 agosto-2 settembre, e il countdown sul sito www.genfest.org ce lo ricorda: mancano 25 settimane, un giorno e… le ore, i minuti, i secondi scorrono. Il programma prende forma, e nei vari punti del globo ci si organizza per arrivarci, a Budapest. Ecco qualche esempio di quanto realizzato solo nell’ultimo periodo. Radio Varsavia 2 ore di trasmissione dedicate ai giovani, durante le quali i GMU della Polonia hanno potuto raccontare, da una delle principali radio nazionali, i loro ideali, le loro esperienze e il loro invito a unirsi nel cammino verso Budapest a tutti i giovani polacchi. Scrivono: «Per noi è stata la prima occasione di annunciare il Genfest ed infiammare il cuore di tanti giovani!». Il caffè di Milano In Italia, “Coffee Bridge” è l’iniziativa lanciata dai GMU della Lombardia. Ottenuto un prezzo speciale da un distributore all’ingrosso, hanno applicato il logo del Genfest sulle confezioni di caffè ricevute e si sono organizzati per venderle. Allo stesso modo, con lo stesso spirito hanno prodotto una grande quantità dei quaderni con in copertina il logo del Genfest e sul retro una breve descrizione dello stesso. Scopo dell’iniziativa: promuovere gli ideali dei GMU e raccogliere fondi per contribuire al pagamento del viaggio a Budapest per chi arriva dai Paesi più lontani. Per info caffè: coffee@genfest.tk Per info quaderni: infoquaderni@gmail.comPer info: coffee@genfest.tk Scarica i quaderni con il logo del Genfest: https://castle.so/dl/8t4z+s Nazareth in festa 40 giovani di varie religioni hanno dato vita a una giornata all’insegna di canti, giochi e…grande gioia. Non si poteva non parlare del Genfest e lanciare l’invito – subito accolto – ad essere tutti costruttori di “ponti”. Prossimo appuntamento in aprile per un nuovo weekend insieme. Spettacolo Indonesia A Yogjakarta, i GMU della seconda città dell’isola di Giava hanno organizzato un concerto per festeggiare i 90 anni della più grande Casa Editrice cattolica dell’arcipelago, davanti a oltre 500 persone. «È stata una magnifica occasione per presentarci e raccontare come ci impegniamo a costruire un mondo più unito – scrivono –, vivendo nel momento presente, amando il prossimo e superando così ogni momento di difficoltà». Pranzo cinese Raccontano da Macao: «Abbiamo invitato i nostri amici a venire a mangiare un “hot- pot”». E dopo aver presentato le loro esperienze e il Genfest, «come segno di gratitudine per chi era venuto abbiamo preparato un regalino per augurare a tutti “un prospero nuovo anno cinese!”». Esperienze, attività, curiosità…e il nuovo video sulla storia dei Genfest sono disponibili sui siti del Genfest e dei Giovani per un Mondo Unito.

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Scuola: partire dai ragazzi

 «Sono arrivata in una scuola alberghiera come supplente ad anno iniziato catapultata in interminabili consigli di classe, senza avere alcun elemento che potesse aiutarmi a distinguere nomi, volti e situazioni. Mi si presentava un quadro poco incoraggiante, con la difficoltà espressa dai colleghi di motivare e “scolarizzare” gli allievi, soprattutto delle prime classi. Ed io avevo sei classi di prima! Dovevo dimenticare l’esperienza ricca e coinvolgente fatta l’anno precedente con i ragazzi del liceo e cambiare atteggiamento e metodo. E così è iniziata un’avventura entusiasmante che mi ha costretta a mettermi subito in gioco. Sono una religiosa. Questo suscita nei miei alunni, oltre allo stupore, una miriade di domande. Non mi fermo di fronte alle provocazioni, alle battute. Mi ritrovo così a condividere qualcosa della mia vita, della mia vocazione, del motivo che mi spinge ad insegnare. È il primo passo per entrare in relazione, per iniziare un cammino. Pian piano si gioca sempre più a carte scoperte ed io incalzo i ragazzi con le domande. Non parto da ragioni filosofiche, ma dalla realtà quotidiana che invoca una risposta alla domanda di senso. Perché devo alzarmi al mattino, perché devo studiare, vivere il reale, amare, soffrire… Abbiamo coscienza di cosa stiamo vivendo? Questa domanda cade sui ragazzi come un fulmine e suscita una smorfia tra il sorriso e il dolore. Aperta una breccia sulla loro apatia, insisto: il valore della persona, la responsabilità dell’io, la ricerca di Dio nell’uomo e nella storia. Qualcuno è sorpreso perché la classe ascolta e ironizza sul fatto che “Qualcuno s’è messo a pensare!”. Con una collega, tuttavia, nasce una stima reciproca e si cerca un percorso comune a partire dalle rispettive discipline. Ci si trova così a scegliere brani di letteratura o di poesia che parlano del  desiderio di una felicità vera… E i ragazzi rispondono, si sentono presi sul serio, diventando loro stessi i primi attori della lezione. Per spiegare il senso religioso, propongo brani musicali che esprimano l’atteggiamento dell’uomo rispetto alla domanda di senso. Seguendo i testi, i ragazzi s’imbattono con la “la risposta sospesa” di Bob Dylan, con lo “scetticismo” espresso da Guccini, con la “domanda e la ricerca” di Bono degli U2 e chiedo loro: “Voi dove vi ritrovate?”. Uno alza la mano: “Scrivo poesie, volete sentirne una?”. Un compagno gli fa da sottofondo e lui comincia mediante lo stile rap a raccontare l’esperienza dolorosa della morte di un amico di scuola. È un grido: qual è la risposta umana al dolore, al limite, alla morte? Ricordando Giovanni Paolo II, propongo la riflessione durante il giubileo degli artisti. Egli rispondendo proprio a Bob Dylan aveva detto che la risposta non soffia nel vento. Uno ha detto di essere la risposta: Gesù Cristo. E da qui ho iniziato il percorso cristologico. Faccio continuamente l’esperienza che non è vero che i giovani siano indifferenti alla bellezza, alla verità. Molti vivono sulla loro pelle situazioni difficili, e forse proprio per questo sono più sensibili alla ricerca del vero, del giusto, del bene, ad uno sguardo d’amore per il loro destino. Questo l’ho imparato dalle persone che mi hanno testimoniato la passione educativa, tra le quali il mio Fondatore, Nicola Barrè: che si educa nella misura in cui ci si lascia educare dall’altro. Ma sento che occorre conservare ogni giorno lo stupore dell’inizio, senza perdere la curiosità e il desiderio di un’avventura sempre nuova che ogni mattina comincia in classe. Nel preparare le lezioni mi muove il desiderio di non lasciare nulla d’intentato per incontrare il volto d’ognuno e trasmettere questo messaggio: “Sono contenta perché tu esisti! Grazie perché sei diventato compagno del mio cammino!”». Sr. Marina Motta (altro…)

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Burundi, piccolo cuore dell’Africa

“Un cuore che  è stretto solo per quelli che non si amano” (proverbio Kirundi). Il Burundi è un piccolo paese, situato nel cuore dell’Africa, fra due paesi giganti: il Congo e la Tanzania. È dotato di un paesaggio naturale di straordinaria bellezza e ricchezza, eppure è uno dei paesi più poveri del pianeta. Tre etnie: Hutu, Tutsi e Pigmei, che parlano un’unica lingua e condividono la stessa cultura. Le sue colline verdeggianti nascondono inoltre il grido di dolore di tanti che hanno conosciuto la violenza e la morte durante lunghi decenni di conflitti e dittatura. Solo nel 2002 il Burundi è uscito da un conflitto politico ed etnico che ha provocato un milione di sfollati e più di 300 mila morti. Anche qui nel cuore dell’Africa, solo qualche kilometro a Sud dell’Equatore, è arrivato l’Ideale del Movimento dei focolari. Le sue radici storiche affondano nel 1968, quando una famiglia belga trasferitasi a Bujumbura per motivi di lavoro, ha portato, attraverso la sua testimonianza di vita, una nuova luce sul messaggio cristiano. Quasi contemporaneamente, un altro nucleo si forma attorno a P. Alberton dei Missionari d’Africa, nella parrocchia di Mubimbi.

Marilen Holzauser, tra le prime focolarine a recarsi in Africa

Il 1979 è una data importante per la storia dei Focolari in questo Paese: su richiesta dei vescovi locali, si apre il focolare a Gitega, ma in seguito alle prime persecuzioni, il focolare viene trasferito d’urgenza a Bujumbura. Inizia un periodo particolarmente difficile sia per il Movimento che per l’intera Chiesa: proibizione completa di svolgere qualsiasi attività, chiese chiuse durante la settimana, impossibilità di diffondere la Parola di Vita. Nel settembre del 1987, con il colpo di Stato e l’avvento della terza Repubblica, si è ritrovata la libertà e si è potuti uscire allo scoperto. Poco a poco si riprendono i contatti con le persone che si erano conosciute, scoprendo con commozione che alcune comunità in posti lontani, avevano continuato a incontrarsi regolarmente per condividere le esperienze dell’unica Parola di Vita conservata per anni. Vivendo una sola Parola del Vangelo erano andati avanti per anni. Il Movimento ha oggi una consistenza di oltre 24mila persone in più di 290 gruppi sparsi in tutto il Paese. L’Ideale dell’unità è oggi una vera speranza per il Burundi. Nel clima di tensione del dopo-guerra i membri del Movimento sono impegnati a contribuire con tutta la Chiesa locale al processo di ‘Riconciliazione’. Ci sono alcune interessanti realizzazioni in campo economico e si stanno facendo esperienze innovative nel campo della sanità e dell’educazione. Nel 1999 un gruppo di volontari del Movimento dei Focolari fonda l’associazione CASOBU (Cadre Associatif des Solidaires du Burundi), allo scopo di cercare soluzioni durevoli ai problemi della povertà, attraverso la partecipazione ed il reciproco sostegno. È nato anche un Centro sociale “Chiara Luce Badano” che si occupa di bambini  orfani o in estrema povertà del quartiere di Kinama (periferia di Bujumbura), un quartiere completamente distrutto dalla guerra. Nel cuore dei membri dei Focolari in Burundi rimangono le parole che Chiara Lubich scrisse loro il 7 ottobre del 1996: «Puntate sempre sul nostro “Unico Bene”; sarete felici e nella pace pur tra le innumerevoli difficoltà in cui vi trovate. Gesù sia sempre presente in mezzo a voi per toccare i cuori, risvegliare la fede nel Suo amore, portare l’unità. Io sono con voi in questo impegno costante rinnovato momento per momento…».

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India: asili che formano alla pace

Vaikalpalayam è un piccolo villaggio indiano fatto di case umili e stradine asfaltate, anche se costellate di buche. All’imbocco del villaggio sorge una piccola costruzione in muratura ravvivata dalle grida di una ventina di bambini. Ospita uno dei dieci asili o balashanti, che l’istituzione gandhiana Shanti Ashram ha aperto nel corso degli anni nella zona di Coimbatore, vicino alla statale che porta verso il Kerala. Vent’anni fa, quando iniziò, l’asilo aveva un fine preciso: iniziare un processo educativo con i dalit (i più poveri) per offrire loro la possibilità di sperare in una vita più dignitosa. Quello che è successo qualcuno l’ha definito una vera rivoluzione. Nei villaggi indiani i dalit vivono ai margini dell’abitato, non possono attingere acqua dagli stessi pozzi dove si abbeverano gli altri e, fino a non molti decenni fa, era impensabile che entrassero negli stessi templi. Oggi, a Vaikalpalayam, bambini dalit e di casta superiore studiano, mangiano e pregano insieme e loro mamme si trovano fianco a fianco agli incontri dei genitori dei 220 bambini che frequentano gli asili fondati ed animati da questa organizzazione gandhiana, iniziata venticinque anni fa dal Dr. Aram, membro onorario del Parlamento indiano, pacifista ed educatore indiano di primissimo piano. Nei balashanti si mira a dare una formazione che coniughi i primi elementi dello scrivere e del leggere con il gioco, il canto e l’apprendimento di valori religiosi ed umani, oltre che un aiuto alla povera dieta quotidiana. Le famiglie del posto, infatti, non possono permettersi più di un pasto al giorno, con un salario che si aggira sui 60 dollari mensili. Negli ultimi anni, con il grande sviluppo industriale di Coimbatore, sono sorti nuovi insediamenti di lavoratori precari nel campo dell’edilizia. Molti di questi sono musulmani. Anche in queste zone  Shanti Ashram ha aperto alcuni balashanti, dove i bambini contribuiscono all’integrazione delle loro famiglie nel tessuto sociale della zona. L’idea di coinvolgere le madri ha permesso di iniziare incontri mensili dove si suggeriscono norme igieniche, regolesanitarie e si insegna alle donne come cucinare, con la limitatezza dei fondi a loro disposizione, cibi che abbiano un potere nutritivo sufficiente per i figli. Per ovviare al problema dell’alcolismo che brucia le misere finanze familiari, si è integrato un gruppo di queste madri nel progetto del micro-credito. Ma anche i bambini, durante la loro formazione, ricevono insegnamenti mirati al risparmio. Karuna, quattro anni, lo scorso anno è riuscita a mettere nel suo salvadanaio 3 mila rupie, pari allo stipendio che il padre guadagna in un mese. Inoltre, nei balashanti s’imparano le norme igieniche che permettono di tenere lontane malattie tipiche della povertà. Il Dr. Aram e sua moglie Minoti, avevano ben chiaro che per costruire una pace duratura era necessario cominciare dai piccoli. Da qui l’idea di fondare asili che potessero formare bambini di pace. «Spesso – racconta Mrs. Murthy che per vent’anni ha seguito il progetto –, sono i bambini che aiutano a rompere il meccanismo della violenza familiare. Recentemente Divya, una bambina che studia al balashanti, durante un diverbio familiare è andata a sedersi in braccio al padre e gli ha detto: “Papà, la violenza è come il diavolo!”». Inoltre, le maestre insegnano ai bambini il rispetto per ogni fede. La mattina si comincia con le preghiere indù, musulmane e cristiane. I piccoli di conseguenza crescono senza le barriere e i pregiudizi che hanno diviso per secoli gruppi e comunità di questa parte dell’India, creando tensioni sociali spesso sfociate in scontri violenti e sanguinosi. I Focolari lavorano a questo progetto fin dalla fine degli anni Novanta, quando Minoti Aram aveva avvertito la necessità di assicurare integratori nutritivi ed alimentari ai bambini dei balashanti. In quel momento i progetti di Famiglie Nuove e dei gandhiani di Shanti Ashram si sono incontrati dando vita ad una fraternità fra i due movimenti che si è aperta al dialogo interreligioso e alla formazione alla pace delle giovani generazioni. Gandhi, infatti, aveva affermato: «Se si desidera insegnare la vera pace (…), bisogna cominciare dai bambini». Roberto Catalano (Dall’Inserto redazionale allegato a Città Nuova n.5 – 2012) (altro…)