Movimento dei Focolari

Esperienze GENFEST 2000

Sergej, russo ortodosso Da bambino gli avevano insegnato che Dio non esiste e che la fede è una favola per vecchiette. Ciao, mi chiamo Sergej. Da bambino in Russia mi hanno insegnato che Dio non esiste e che tutti i discorsi sulla fede non sono che favole per vecchiette. Quando sono cresciuto mi sono accorto che il mondo è crudele e che dovevo lottare per ottenere qualcosa. Non m’interessavano gli altri e nemmeno le persone più deboli, come gli anziani, anzi li disprezzavo e li prendevo in giro. In realtà, dietro questo mio atteggiamento, si nascondeva la paura della sofferenza: non avevo una risposta al dolore e perciò cercavo di chiudere gli occhi. Quando ho incontrato i Giovani per un mondo unito, ho conosciuto un altro mondo, il mondo della solidarietà e del rispetto reciproco. Un mondo molto più bello. Timidamente ho provato a vivere così, ad amare tutti facendo il primo passo verso gli altri. Poi i miei nuovi amici mi hanno fatto la proposta di vivere il Vangelo, frase per frase, giorno dopo giorno. Ma che parole! Solo un Dio poteva avere il coraggio di chiedere così tanto all’uomo! Vivendo le sue parole ho conosciuto Gesù. Dopo alcuni mesi ho sentito il bisogno di avvicinarmi alla chiesa ortodossa e mi sono fatto battezzare. Ora Gesù fa parte della mia storia e della mia vita. Così mi sono ricordato dei miei nonni che sono molto anziani e ricevono la loro piccola pensione solo ogni tanto. Non avevo nessun rapporto con loro. Ho incominciato ad andare a trovarli e finiti gli studi mi sono trasferito da loro per poterli aiutare. Non era facile come potete immaginare, anche perché i nonni sono atei convinti e osservano con tanto sospetto la mia appartenenza alla chiesa. Ma oggi viviamo come una vera famiglia e io ho capito che l’amore annulla anche le distanze tra le generazioni. INDIA Mi chiamo Avinash e vengo da Bombay. Quando ho conosciuto i giovani per un mondo unito sono stato toccato subito dal fatto che c’erano uomini e donne, giovani ed anziani, di esperienze e religioni diverse. Sembravano non avere nulla in comune e nello stesso tempo ciascuno di loro aveva un sorriso splendido. Sono stato calorosamente accolto ed introdotto tanto che lo ricordo come uno dei momenti più felici della mia vita. Da quel momento in poi ho sperimentato di fare parte di una bellissima, grande famiglia. Anche se gli altri erano cristiani ed io indù, non mi sono mai sentito escluso quando stavo con loro. Ci scambiavamo le nostre idee, i nostri pensieri e la nostra vita. Sono rimasto sorpreso di scoprire che avevamo problemi simili nella vita quotidiana. Venivamo da diversi mondi, ma ognuno rispettava l’esperienza, il modo di pensare dell’altro.  Dbbiamo anche scoperto che avevamo tanti punti in comune nelle nostre rispettive religioni, e al di la di tutto scoprimmo che c’era una Regola d’oro in tutte.  In India Mahatma Gandhi dice : “Non posso urtarti senza urtare me stesso”, che è simile a quanto dice Gesù: “Fai agli altri quanto vorresti che sia fatto a te.”  L’unità con gli altri giovani m’ha dato la forza di cambiare molti rapporti non facili. Ho capito che dovevo accettare le persone come erano, senza pretendere che cambino.  Ero io a cambiare. Ci siamo guardati intorno offrendoci come volontari in molte azioni a beneficio di quanti erano disagiati: abbiamo organizzato la raccolta dei fondi per quanti erano stati toccati dalle calamità naturali, aiutando ed assistendo le persone anziani e gli orfani. Ho sperimentato tanta gioia con questo impegno che dava senso alla mia vita avvicinandomi a Dio.  Come indù prego ogni notte e vado nel tempio almeno una volta in settimana. Ma ho sperimentato che Dio non è solamente con me quando prego, ma è sempre lì con me, in me e fuori di me. Mi meraviglio spesso come in un paese come il mio di 1 miliardo di persone ho avuto questa opportunità di incontrare questo meraviglioso ideale dell’unità.   Tutta la mia vita ho sempre pregato Dio per chiederGli molte cose. Ma dopo questa esperienza Lo prego di indicarmi la strada per realizzare il suo piano su di me. FILIPPINE – MINDANAO Il dialogo tra cristiani e musulmani è diventato la mia passione. Non perdo occasione per raccontare l’esperienza continua che l’Amore vince tutto. Sono nata in una famiglia musulmana e vengo da Mindanao, la Terra Promessa delle Filippine. Sono cresciuta con la mentalità che i ‘non-musulmani’ sono i nemici dell’Islam.   L’educazione, però, mi ha fatto capire l’importanza di costruire il dialogo. Dai membri del Movimento dei Focolari ho imparato l’arte di fare il dialogo: un modo semplice e concreto per farmi uno con l’altra persona, perdendo la mia idea o semplicemente essere la prima a fare un favore. Ho imparato che l’unità è possibile facendo un atto di generosità, di rispetto o di accettazione.  Nel 1994 ho partecipato all’ Incontro Internazionale Musulmano-Cristiano. Sono rimasto molto colpito dal numero di musulmani, soprattutto Imam, che condividevano l’idea che l’unità è veramente possibile. Prima ho ricordato la mia bellissima, tranquilla ed armoniosa terra di Mindanao.  Oggi presenta un quadro contraddittorio, che la nostra gente, composta da musulmani e da cristiani, mai avrebbe desiderato. Il contrasto che ora stiamo sperimentando a Mindanao è una questione politica, che si discute ad alto livello, ma non è portata alla comprensione della grande maggioranza.  La religione non ha niente a che fare con questo. I ribelli musulmani lottano per quello che credono sia il loro più antico diritto, l’ “autonomia”. Tutti richiedono che si concluda questa guerra e che si risolva pacificamente. Però, il governo è deciso nella sua posizione di usare la guerra per raggiungere la pace. Io posso solo fare cose piccole, ma concrete. Sono ritornata ai miei libri e ho ristudiato la nostra storia. Soltanto dopo potrò formulare la mia opinione su come si può risolvere questo conflitto. Però credo fermamente che l’unica cosa che può portare la pace in realtà è l’amore. Ho sentito il mio ruolo di messaggera di pace. Ho cominciato varie attività cercando di promuovere comprensione. Insegnavo in un’ Università Cattolica e questo mi ha permesso di stabilire un rapporto con i giovani, Musulmani e Cristiani.  Conoscendo la situazione in Mindanao, i miei amici del Focolare sono stati immediati nell’amore concreto. Ora aiutiamo un gruppo di 500 famiglie musulmane che si sono trasferite vicino alla mia città, e un altro gruppo di 300 famiglie, anche musulmane, di un’altra città. I miei amici musulmani si sono sorpresi di ricevere un tale aiuto da gente  cristiana. Costruire la pace non è solo una scelta personale. Per me, mi sembra, c’è una forza divina che mi spinge dal di dentro ad essere uno strumento di pace.   (altro…)

Intervento di Chiara Lubich al Genfest 2000

Carissimi giovani, bentrovati a questo Genfest che si celebra nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù, nel cuore del grande Giubileo del 2000, trionfo della fede cristiana – come si può costatare – nel mondo, ma soprattutto qui a Roma. E’ mio compito in questo momento narrarvi una storia, una meravigliosa storia, iniziata da giovani di ieri, della quale sono stata testimone, e continuata poi con la collaborazione di giovani d’oggi. Gli inizi di una avventura straordinaria E’ una storia nota a parecchi di voi, ma non a tutti. Non ha tanto per protagonisti quanti sono stati coinvolti con me in un’avventura straordinaria, che a volte sembra togliere il fiato per la sua vastità e complessità; è opera piuttosto di Colui – Dio – che, come segue la grande storia umana, segue anche la nostra piccola storia, personale e collettiva. A Trento, nel nord Italia, infuriava la seconda guerra mondiale. Le bombe, che cadevano notte e giorno, distruggevano ogni cosa. Le mie compagne ed io avevamo i nostri sogni, i nostri ideali, come ad esempio per una farsi una famiglia; per un’altra arredarsi per bene la propria casa o, per un’altra, ancora cercare nello studio la propria realizzazione… Ma quel fidanzato non è più tornato dal fronte. Quella casa è stata sinistrata. Il mio studio di filosofia in una città universitaria è stato sospeso per gli sbarramenti della guerra. Tutto ciò a cui si pensava, veniva meno. Ogni nostro sogno s’infrangeva contro una cruda realtà. Che fare? Nella generale desolazione, nella constatazione evidente che tutto passa, si è affacciato alla mia mente un interrogativo: ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per il quale merita spendere la nostra vita? E subito una luce, quasi una folgorazione: sì, c’è! E’ Dio. Dio che è Amore. Dio, dunque, che ama ciascuno di noi, anche se non lo sappiamo. In un attimo, ho, abbiamo deciso di fare di Lui il perché, l’Ideale della nostra esistenza. Ma, se Egli ci ama – abbiamo deciso – lo ameremo anche noi. La guerra intanto con i suoi bombardamenti, spietata, non lascia tregua. Dobbiamo correre più volte al giorno in un rifugio. Non possiamo prendere nulla con noi se non un piccolo libro: un Vangelo. E’ in esso che avremmo imparato come fare ad amare Dio. Lo apriamo: una luce illumina ad una ad una quelle parole ed un impulso interiore ci spinge a metterle in pratica. “Ama il prossimo come te stesso” (Mt 19,19), troviamo. Ed ecco che ci sforziamo di amare le sorelle e i fratelli che incontriamo, come fossero noi stesse. “Qualunque cosa hai fatto al minimo dei miei fratelli, l’hai fatta a me” (cf Mt 25,40), leggiamo. “L’hai fatta a me”, dice Gesù. Uscite dal rifugio, cerchiamo questi minimi: sono i nuovi orfani della guerra, i mutilati, i feriti, i poveri, gli affamati, i senza tetto… ed amiamo in essi Gesù. Il Vangelo dice: “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38). Diamo il poco che abbiamo e arriva tanta roba, così tanta che i sacchi e i pacchi riempiono ogni giorno il corridoio della casa. Il Vangelo ammonisce: “Cercate il Regno di Dio e il resto verrà in soprappiù” (cf Mt 6,33). Cerchiamo che l’amore regni in noi e arriva quanto ci è necessario. Così. Così sempre. Sembra di vivere nel miracolo. Due impressioni si imprimono nel nostro animo. La prima: ogni promessa del Vangelo si attua. Dunque il Vangelo è vero. Gesù mantiene anche oggi la sua parola. La seconda: nel Vangelo Gesù chiede soprattutto amore, e per amare dare. E’ una cultura nuova quella che emerge da quel libro. La chiameremo in seguito “la cultura del dare”. Intanto nuove ragazze e poi ragazzi ed altre persone ancora si uniscono a noi per vivere la stessa esperienza. I pericoli della guerra però aumentano. Anche se giovani, possiamo morire da un momento all’altro. Nasce un desiderio in cuore: vorremmo conoscere la Parola di Gesù che gli è più cara per viverla a fondo, almeno in quelli che possono essere gli ultimi istanti della nostra vita. La scopriamo. Dice così: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Ed Egli ci ha amato fino a dare la vita per noi. In cerchio, le une accanto alle altre, ci guardiamo in faccia e ognuna dichiara all’altra: “Io sono pronta a morire per te”, “Io per te…”. Tutte per ciascuna. E l’amore reciproco diventa il nuovo stile della nostra vita. Si fa certamente tutto quanto è nostro dovere (lavoro, studio, preghiera, riposo), ma sulla base del vicendevole amore. Non è facile amarci sempre, non è semplice mantenere quest’unità. Per qualche nostra mancanza, si sperimenta a volte un profondo disagio. Come fare allora a ricomporre l’unità così spezzata? Troviamo ben presto nel Vangelo la risposta. Pure Gesù, a causa nostra, ha provato il dolore della disunità quando in croce ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Egli però non è rimasto in quello spacco. “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito” (Lc 23,46) ha continuato, ricomponendo così la sua unità col Padre.  Abbiamo deciso di fare così anche noi con i nostri fratelli, con le nostre sorelle. Per quest’unità vissuta e sempre ricomposta, ecco la meraviglia! Gesù, che aveva detto: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel suo amore), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), veniva a stare in mezzo a noi spiritualmente ma realmente. E, perché Egli c’era, si provava una gioia mai prima conosciuta, una pace nuova, un nuovo ardore; e una sua luce ci guidava. E perché Gesù era fra noi, la gente attorno acquistava o riacquistava la nostra stessa fede; cosicché, dopo circa due mesi, eravamo già in cinquecento, di ogni età, di ogni categoria sociale, di tutte le vocazioni. Iniziava perciò a realizzarsi il sogno di Gesù, implorato dal Padre prima di morire: “Padre, che tutti siano uno”. Si conosceva certamente anche l’incomprensione del mondo, e varie prove non sono certo mancate: ma l’albero, che porta frutto, va potato, dice il Vangelo. E i frutti sono stati senza numero. A Trento quel primo gruppo, allargandosi, era diventato ormai Movimento che – finita la guerra – si è diffuso come un’esplosione, dapprima in Italia, poi in Europa e negli altri quattro continenti. Ora è presente in 182 nazioni del mondo, in tutte praticamente. Cosicché l’amore, l’amore vero divampa in ogni angolo della terra: è un’autentica rivoluzione d’amore. Alla vita del Movimento partecipano, oltre i cattolici, cristiani di 350 Chiese, fedeli di altre religioni e persone di culture diverse ma di buona volontà, tutti legati dal dovere di amare iscritto nel DNA di ogni creatura umana e presente, fra il resto, nei principali libri sacri delle varie Religioni. Sin dall’inizio della nostra avventura si era capito che con questo spirito d’amore, d’unità, di fratellanza, avremmo visto nascere su tutta la terra “uomini nuovi”, rinnovati dal Vangelo. E oggi è così. E’ un fenomeno ormai consolante che riguarda milioni di persone. Si era capito che in seguito avremmo visto “città nuove” tutte informate dall’amore vero, dalla pace, dalla giustizia, dalla libertà. Ed ora nei 5 continenti sono sorte, più o meno complete, 20 cittadelle che portano nel loro seno persone di ogni età, delle nazioni più diverse, di varie razze, di molte lingue, tutte unite, un cuor solo, a testimonianza d’un futuro possibile mondo unito. Si prevedeva ancora il rinnovamento di popoli interi, il sorgere di “popoli nuovi”. Giovani: nasce il Movimento Gen, Generazione Nuova Intanto, lungo gli anni, ecco altri giovani ai quali abbiamo passato, per così dire, la nostra bandiera. Su una faccia è scritto: unità, il nostro fine; sull’altra la chiave per realizzarla: Gesù abbandonato. Ed è nato il Movimento Gen, generazione nuova. I giovani e quelli che sono loro succeduti via via, proprio per le qualità naturali e spirituali loro proprie, hanno rappresentato sempre per tutti noi l’autenticità, la purezza, l’arditezza, la vastità e la concretezza del nostro Ideale. E in questi ultimi decenni il loro contributo alla causa comune è stato consistente e determinante. Africa: un popolo del Camerun rischia l’estinzione    Posso raccontarvi qui solo una delle loro azioni. Per capirla bene, occorre che vi narri una storia, quasi una favola riguardante un popolo africano del Cameroun anglofono. Nel 1966 veniamo a conoscenza della situazione dei Bangwa, gente che viveva in piena foresta, poverissima, affetta da molte malattie, con una mortalità infantile del 90%, che faceva prevedere la completa estinzione della popolazione. Disperati si erano decisi di innalzare, per un anno intero, assidue preghiere all’Essere supremo della loro religione tradizionale, ma senza risultato. “Forse abbiamo pregato troppo poco – hanno detto -; preghiamo un altro anno”. Ma alla fine del nuovo anno ancora nulla. “Forse siamo troppo cattivi. Affidiamoci alle preghiere della missione cattolica più vicina e diamo un’offerta”, hanno concluso. Quel Vescovo, venuto a Roma, chiede a noi dei focolarini medici. Accorrono e aprono ben presto, in una squallida capanna, visitata anche da qualche serpente, un dispensario.  Sentono, come primo dovere, di amarsi fra loro reciprocamente per dare testimonianza del Vangelo che vivono. Amano pure tutta quella gente, indistintamente, ad uno ad uno, sull’esempio del Padre nel Cielo, che manda sole e pioggia su buoni e cattivi. Amano sempre, per primi … In una delle mie prime visite di quegli anni, mentre gruppi di Bangwa, di fronte a noi e al loro re, il Fon Defang di Fontem, saggio e prudente, si alternavano in varie danze, in un’ampia radura nella foresta, ho avuto come una previsione: mi è sembrato che Dio come un sole avvolgesse tutti loro con noi; e in quel sole, quasi segno divino, m’è sembrato di presagire lì, in piena foresta tropicale, la nascita di una città, costruita insieme; città a cui molti sarebbero accorsi per vedere cos’è l’amore, che cos’è la fraternità umana. E l’ho detto. 1968 –I giovani lanciano l’Operazione Africa     Ben presto arrivano aiuti d’ogni genere. Ci pensano soprattutto i nostri giovani, gen di tutto il mondo, interessando molti al progetto e lanciando la cosiddetta “Operazione Africa”. Si può così edificare un modesto ospedale, aprire scuole. Salendo su un monte, imprigionare una sorgente per un minimo di elettricità per l’ospedale. Si costruiscono case dapprima con mattoni di pota-pota, cioè di terra bagnata, poi più solide.  Alcuni gen, di tempo in tempo, raggiungono gli altri sul posto, si rimboccano le maniche e offrono il loro lavoro almeno per uno o due anni. Focolarini e gen insieme continuano ad amare tutti quei fratelli nell’estremo bisogno ed a rafforzare il loro amore reciproco con tenacia. Sono essi stessi, il loro modo di comportarsi, le uniche parole vive che possono offrire intanto a quel popolo. Tra i Bangwa c’è chi osserva a lungo per mesi: ancora prevenuti contro il colonialismo, vogliono accertarsi se quegli uomini e quelle donne bianchi abbiano, nel loro agire, degli interessi personali. Convinti della sincerità e trasparenza dei nuovi ospiti, decidono di collaborare, e focolarini, gen e Bangwa si trovano così tutti affratellati nel costruire il bene comune di quella popolazione. Gli sviluppi          Passano gli anni e tutto cresce: l’ospedale si è ingrandito; la mortalità infantile si è ridotta al 2%; la piaga della malattia del sonno è debellata; si costruisce un College con le classi inferiori e superiori; vengono aperte 12 strade per il collegamento con i vari villaggi. I nostri, con l’aiuto dei Bangwa, costruiscono una sessantina di altre case; loro, con il nostro, molte altre. E’ stata edificata anche una bella chiesa, richiesta dai molti cristiani presenti. Intanto Fontem, diventa dapprima sottoprefettura e ora prefettura. Il governo vi ha aperto alcune scuole, installato un acquedotto e portato la luce elettrica. Il ritorno a Fontem dopo 30 anni      In questi ultimi mesi, dopo più di trent’anni, sono ritornata a Fontem e la nuova città bella e grande è sotto gli occhi di tutti, visitata spesso da gente di altre nazioni africane e non solo. La fama della sua peculiarità s’irradia. L’abbiamo attraversata in lungo e in largo ed abbiamo visto gente felice, bimbi bellissimi, sani e paffutelli, giovani robusti e forti, signore ben vestite…  E tutti salutavano e sorridevano. In quei giorni ci hanno riempito di regali. Abbiamo saputo che l’ospedale è così apprezzato che preferiscono curarsi da noi anche malati della capitale. Le scuole sono così stimate che vengono frequentate da ragazzi mandati dai genitori Bangwa che, una volta laureati, occupano ora posti di responsabilità come direttori di banca, avvocati, professori universitari e anche deputati, consoli, ambasciatori… in alcune nazioni d’Europa e in America. Abbiamo visto cosa può fare l’amore, cosa può costruire la fraternità vissuta tra persone di due continenti, divenute una cosa sola. Ed ora? Molti Bangwa continuano a professare la religione tradizionale e la struttura di base è sorretta ancora da un sistema ancestrale che si regge su mille norme tradizionali, ma si può dire che la fraternità laggiù trionfa e fa “miracoli”. Il nuovo re, il dott. Lucas Njifua Fontem, figlio del precedente, ha visto e ha capito. Tutti quelli che seguono questa via – ebbe a dirci – sono giusti e retti e concorrono al bene del popolo.  Egli dichiara apertamente che lì a Fontem, gli abitanti che seguono il Movimento non gli presentano mai alcun problema; non bisticciano per i confini delle loro terre, ma li definiscono in armonia; vivono assolutamente in pace. Tra loro nessuno ruba; non feriscono e tanto meno uccidono; sembra non abbia senso per loro la polizia; l’analfabetismo si sta attenuando; trovano soluzioni per tutti i problemi riguardanti la famiglia; salvano la vita, già molto apprezzata dalla cultura africana, in ogni sua età; curano la salute con meticolosità; rispettano l’autorità e hanno profonda stima degli anziani; sono d’una generosità incredibile: la “cultura del dare”, effetto della fraternità, brilla.  Per questo il re, pubblicamente, durante quest’ultimo nostro soggiorno, si è messo alla testa del suo popolo, invitando tutti, con decisione ed ardore, a far proprio lo spirito del nostro Movimento. L’amore evangelico sta, dunque, trasformando una tribù in un popolo e questo popolo ha fatto dell’umanità, lì presente, una fraternità socialmente solida che ha raggiunto pure il proprio fine politico: il bene comune. E l’amore reciproco sta trasformando questo popolo in Regno di Dio, quasi in un piccolo Paradiso. E’ proprio questa, quindi, l’ora dei popoli nuovi. Come avete sentito, protagonisti del “miracolo”, appena descritto, sono stati con i focolarini, che vi hanno speso forze, lavoro, tempo e qualcuno la vita, i nostri giovani che hanno lavorato sodo e a lungo nel mondo intero. Progetto Africa 2000      In questo momento a Fontem mancano ancora molte cose. E, accanto al popolo Bangwa, a Fonjumetaw vive un altro popolo, con un altro re che ha lo stesso sogno di quello di Fontem. Lo abbiamo conosciuto e incominciato ad aiutare. Ma tutt’intorno a Fonjumetaw ancora foresta impenetrabile, malattie e fame… Durante il nostro soggiorno laggiù personalità ecclesiastiche, che sanno della presenza del Movimento in molte nazioni del continente africano, ci hanno incoraggiato dicendo: “Ciò che avete fatto a Fontem dovete farlo in tutta l’Africa e nel Madagascar”. Carissime e carissimi, è una sfida questa. Dobbiamo accoglierla? I focolarini, per quanto possono e per quanto Dio li aiuterà, hanno già detto il loro sì. Che diranno i giovani? Sono certa della loro generosità. La consegna         Amiamo, carissimi giovani, continuiamo ad amare, e il mondo intero cambierà. Amiamo e concorreremo a costruire la “civiltà dell’amore” che il nostro pianeta, pur nelle sue tensioni, ma anche nelle sue attuali aperture e possibilità, attende. Gesù desidera che il mondo sia invaso dall’amore: “Fuoco – ha detto – sono venuto a portare sulla terra e che altro voglio se non che s’accenda?” (Lc 12,49). Diamogli la possibilità di vederlo divampare anche per il nostro impegno. L’idea allora di un mondo più unito, di un mondo unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande consolantissima realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani. Con Dio in cuore tutto si potrà. E Dio lo vuole certamente. Saremo, sarete all’altezza?   (altro…)