Mar 31, 2019 | Dialogo Interreligioso
“A Dio importa che siamo uomini e viviamo l’amore scambievole”. Intervista a Claude Gamble, pioniere dei Focolari in Marocco. Dopo il viaggio apostolico negli Emirati Arabi, il viaggio del Papa in Marocco è stato un’altra importante occasione, come lui stesso aveva detto, “per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni”. Claude Gamble, che ha seguito la nascita delle prime comunità dei Focolari nel Paese, ci offre dei brevi flash tratti dalla sua esperienza. Quali sono oggi le sfide per i cristiani in Marocco? La sfida è quella di costruire ponti. Oggi siamo in una fase di estremismi che coinvolge tutti, cristiani e musulmani. Nei quartieri poveri è molto pericoloso perché le persone sono prese da idealismi che le radicalizzano. Andando alla messa, a Tangeri, con un gruppo di persone che condividono lo spirito dei Focolari, più volte fuori dalla chiesa abbiamo trovato pietre lanciate per intimidire, però noi crediamo alla fratellanza universale ed è questo che dobbiamo testimoniare. Pian piano qualcuno accetta questa amicizia. In Algeria, dove ho vissuto, gli esempi di fratellanza sono tanti: ogni volta che andavo a far visita ad una famiglia mi sentivo a casa. Erano tutti musulmani ma eravamo fratelli. L’amicizia è l’antidoto all’estremismo. A Dio importa che siamo uomini e viviamo l’amore scambievole.
Cosa possiamo aspettarci da questo viaggio sul fronte del cammino per il dialogo? Il dialogo non è la ricerca di chi ha la verità, perché la verità ce l’ha Dio solo. Io credo che il Papa, come rappresentante della Chiesa cattolica, possa mostrare come vive il suo essere cristiano. Dunque si tratta di una testimonianza e come tale non si può rifiutare. Soprattutto perché lui viene in pace. La bellezza della mentalità araba è l’accoglienza, dunque accoglieranno il Papa come un fratello caro. L’incontro fra il Papa e il re è un invito a procedere insieme per il bene dell’uomo. Nel Movimento parliamo di dialogo ma anche di “comunione”. Vivere in comunione significa che io posso parlare da cristiano e tu da musulmano ma possiamo vivere insieme condividendo le esperienze. Questo si può fare a livello di relazioni personali, non di popoli, perché il dialogo è a tu per tu. In che modo persone di fedi e convinzioni diverse posso sentirsi fratelli? A livello umano è necessario valorizzare ciò che è comune. Nel Corano tutte le sure, tranne una, cominciano con la frase “Nel nome di Dio, il Misericordioso”, e con la parola misericordia un musulmano si avvicina molto a quello che noi intendiamo per amore. Dunque con i musulmani possiamo condividere la parola misericordia, che viene dal termine rahmache significa il grembo materno, dove c’è la culla della vita. E Dio, che è misericordia, ricorda l’amore di una mamma che custodisce il suo bambino. La stessa cosa vale per l’ebraico rehem, che ha la stessa radice semantica di rahma, e traduce le “viscere”, anche qui, di nuovo, il grembo materno. Dunque anche per l’ebreo la misericordia di Dio significa che dobbiamo avere un amore di mamma per gli altri. Per gli atei è lo stesso: un ateo che crede nell’uomo, crede nell’amore materno per l’altro. San Francesco, 800 anni fa, incontrava il sultano al-Kāmil in segno di pace. In Marocco inviò i primi frati. Da allora la presenza dei francescani nel Paese ha sempre incontrato grande rispetto. In Marocco i Frati Minori si lasciavano mettere in prigione per dare coraggio ai detenuti nelle carceri. Due di loro sono stati martirizzati. Recentemente il vicario generale di Tangeri ha ritrovato nelle biblioteche spagnole e marocchine più di 160 lettere tra i francescani e i sultani del Marocco, dove i sultani esprimono apprezzamento per il loro lavoro. Questo mostra che c’è un profondo rispetto per la Chiesa Cattolica. Il Re attuale ha chiesto il libro che raccoglie le lettere per conoscere questo antico rapporto. In definitiva, quale terreno comune ci può essere fra cristiani e musulmani? In comune c’è Dio. A chi dice che non abbiamo lo stesso Dio rispondo che non è vero. È come in una famiglia dove ci sono più figli. Col primo il padre è forse stato duro per correggerlo. L’ultimo è forse il preferito. Se a entrambi chiedi com’è il padre, il primo ti dirà che ne ha paura, l’ultimo che è un amore di padre. Eppure è lo stesso padre visto da angolature diverse.
Claudia Di Lorenzi
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Gen 23, 2017 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Alcuni giorni or sono, mi è ricapitata fra le mani una lettera di P. Christian de Chergé di cui, l’anno scorso, ricorreva il 20° anniversario della morte. Christian era Priore della comunità di trappisti del monastero Nostra Signora dell’Atlas a Tibhirine (90 Km da Algeri). Nel 1996, lui ed altri sei monaci furono rapiti e poi uccisi. Il 1° agosto, poi, venne anche assassinato mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano. Si era nel pieno del “decennio nero”, come si soleva chiamare la guerra civile scoppiata negli anni ‘90. I monaci erano di origine francese e come tutti gli “stranieri” erano direttamente presi di mira dai “fratelli della montagna”, come venivano chiamati coloro che si erano dati alla macchia ed avevano abbracciato le armi in seguito all’annullamento delle elezioni del 1992. Il Fronte Islamico di Salvezza, partito politico poi sciolto e dichiarato fuori legge, stava per vincere quelle elezioni. Spesso rivedo col pensiero i loro volti sorridenti, durante i momenti vissuti assieme. Tutti partecipavamo della vocazione particolare della Chiesa in quel Paese, al quale ci sentivamo inviati per testimoniare il Vangelo essendo a servizio di quel popolo. Una chiesa semplice, povera, con scarsissimi mezzi, ma la cui testimonianza brilla nel cuore di tanti amici, in maggior parte musulmani. Già, in Algeria il 99,99 % della popolazione segue l’Islam. La Chiesa è “Chiesa per un popolo, una Chiesa dell’Incontro”, secondo l’espressione dell’arcivescovo di Algeri, mons. Paul Desfarges. Si capisce che la vocazione della chiesa in Algeria è, prima di tutto, testimonianza del Vangelo, annunciato con la vita, per il popolo e luogo di incontro, di rapporti con tutti. Ritornando alla lettera del 3 dicembre 1994, mi pare di rincontrare Christian o uno dei monaci nel nostro focolare di Tlemcen, dove solevano sostare per una notte, per poi riprendere il viaggio verso il monastero che stavano fondando a Fèz, in Marocco. Serate di colloqui intensi, gioia di ritrovarsi, di sentirsi fratelli e di sentirci capiti in questo reciproco impegno verso il popolo che ci ospitava. Anche se con vocazioni diverse, il cuore batteva all’unisono.
Ci si incoraggiava ad andare avanti anche in quel clima di pericolo nel quale si viveva. Era infatti corsa voce di una eventuale partenza momentanea dei membri del focolare di Tlemcen, poi difatti non verificatasi. E Christian ci scriveva: «Tutti pensavamo che voi restaste il più a lungo possibile tra noi i testimoni d’una convivialità offerta, d’una condivisione di vita senza frontiere, d’una apertura famigliare che permette al cuore di vibrare all’unisono al di là delle barriere dell’appartenenza religiosa. Avete fatto vostro il messaggio del Vangelo e avete scolpito profondamente questo messaggio tra noi. E noi gioiamo con voi di questo di più di umanità che il vostro Carisma dava alla nostra Chiesa. Era bello ritrovarsi nel vostro “focolare”. Molti monaci hanno potuto approfittare della vostra accoglienza quando passavano per andare a Fez. A tutti è rimasto il gusto di … gustare ancora! (…) In questi tempi, noi abbiamo tutti bisogno di poter contare su questo ”fuoco” tenuto vivo nella sala comune. Farà un po’ più freddo a Natale se voi non sarete più qui. (…) Le nostre vite sono nelle mani di Dio… e le nostre ragioni di restare si identificano con quelle che ci hanno permesso di vivere qui. Per voi, come per noi, la situazione non cambia nulla. Ancora GRAZIE a ciascuno e tutta la nostra comunione fraterna di oggi e di sempre. Christian». Si è parlato del coraggio di rimanere…, ma per chi come noi viveva all’interno di quell’esperienza dura, parlerei piuttosto del coraggio di essere fedeli ad una chiamata e di condividerla con una parte di umanità della quale eravamo oramai parte integrante. Una fedeltà d’amore. Nei cuori di quanti conoscevano i monaci, mons. Claverie o le altre suore e religiosi uccisi in quegli anni in Algeria, continuano a parlarci di Vangelo vissuto e di amicizie profonde con un popolo che era diventato il loro. “Mons. Claverie e i suoi 18 compagni” sono una rappresentanza di quanti hanno dato la vita in quei frangenti: il gruppo di lavoratori croati e bosniaci uccisi nel 1993 e, soprattutto, tutti gli algerini che, difendendo la loro cultura, hanno resistito a quell’ondata di violenza. Giorgio Antoniazzi (altro…)
Ott 28, 2016 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Il 16 ottobre 1966 arrivava a Tlemcen, città dell’Algeria, una Citroën 2 CV. A bordo tre focolarini: Salvatore Strippoli e Ulisse Caglioni, italiani, e Pierre Le Vaslot, francese. È l’inizio di un’avventura che in questi giorni festeggia 50 anni di presenza e di vita, e che dall’Algeria si è diffusa un po’ dappertutto in Nord Africa e Medio Oriente. Racconta Mourad, medico: «Eravamo un gruppo di giovani che non sapevano esattamente cosa volessero fare; un niente ci faceva ridere. Un giorno abbiamo incontrato Gérard che ci ha invitati a prendere un tè a casa sua, il focolare. Varie volte siamo tornati, abbiamo parlato, cantato delle canzoni, erano belle canzoni che dicevano tante cose sulla vita. Si conosceva sempre più un ideale che ci ha riempiti, ci ha insegnato a vivere. Questo cinquant’anni fa. Ora ho 67 anni e continuo a vivere questo ideale, sono contento di viverlo; è un ideale che ci insegna a vivere l’amore tra le persone». E Samira, studentessa: «Ho 21 anni. Sono molto colpita, riconoscente e incoraggiata dalle sane idee dei Focolari. Soprattutto dalla determinazione nel voler costruire ponti fra gli uomini e nel trasmettere valori morali e umani, per riunirci tra fratelli di tutti gli orizzonti e soprattutto ad Allah, nostro Signore, che è uno». Omar, infermiere di sala operatoria: «La Pace sia con voi. Il Movimento dei Focolari mi ha insegnato a conoscere l’altro, anche se diverso, a saper apprezzarci, anzi ad arricchirci reciprocamente e ad andare al di là dei pregiudizi, talvolta secolari. Ho imparato a fare il primo passo verso l’altro, ad avvicinarlo come un fratello, con un amore disinteressato che è la chiave della fraternità».
E Mons. Henri Teissier, arcivescovo emerito di Algeri: «La Chiesa d’Algeria non è che un piccolo numero di cristiani, per il quale è importante essere inserito nella società algerina. Il Focolare ha puntato proprio sulla relazione, sul dialogo, senza nascondere la propria identità, ma lasciando agli amici algerini che si avvicinavano il compito di tradurlo nella propria cultura. Penso che il Focolare, così facendo, abbia risposto all’attesa della Chiesa. Evidentemente, questo li ha un po’ tagliati fuori dalla comunità cristiana radunata, ma indubbiamente il nostro obiettivo non è la comunità radunata, ma una comunità che cerca gli altri per ritrovarsi in una realtà che ci supera». Il centro dei Focolari “Dar es Salam” di Tlemcen accoglie i due eventi che segnano la tappa di questo cinquantesimo:
- il secondo Congresso Internazionale dei Musulmani del Movimento dei Focolari (28-30 ottobre 2016), con partecipanti da tutta l’Algeria, dal bacino mediterraneo (Libano, Egitto, Giordania, Italia, Francia, Svizzera) e dal Canada;
- la Festa dei 50 anni del Movimento dei Focolari in Algeria (1-2 novembre 2016) con partecipanti dalle varie comunità e alcuni dei primi testimoni di quest’avventura, presente anche il copresidente dei Focolari Jesús Morán.
Fonte: Servizio Informazione Focolari (altro…)
Ott 10, 2016 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Conosciamo Khalid da più di dieci anni. Un giorno ha suonato alla nostra porta per venderci qualcosa, ma soprattutto perché l’aiutassimo a trovare un lavoro. Era in Italia da più di un anno, clandestino e senza fissa dimora. Aveva 24 anni e veniva dal Marocco dove aveva lasciato la madre vedova con due figli minorenni. A distanza di una settimana, si è ripresentato. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete accolto”…. Le frasi evangeliche ci interpellavano con forza. In quel momento ciò che potevamo fare era di accoglierlo a tavola con noi. Nel pomeriggio gli abbiamo offerto di lavorare nell’orto e nel giardino. È stato con noi per altri due giorni. Così ha potuto inviare una piccola somma di denaro alla mamma. Era la prima volta che riusciva ad aiutare la propria famiglia e ciò lo ha reso felice. Ci siamo adoperati per cercargli un lavoro ma la risposta era sempre la stessa: è clandestino, non possiamo assumerlo. Finalmente ha trovato un lavoro stagionale presso una azienda agricola. Lavorava in serra, alloggiava in un container con un indiano: faceva una vita dura, ma era contento. Un giorno è suonato il telefono: l’amico indiano ci diceva che Khalid non stava bene. Ancora Gesù ci interpellava: siamo andati a trovarlo e l’abbiamo accompagnato dalla nostra dottoressa, che si è resa disponibile; era affetto da una dolorosa otite e andava tenuto sotto controllo; abbiamo deciso di ospitarlo nella stanza insieme a nostro figlio. All’inizio ci si doveva alzare a volte di notte per curarlo. Anche i nostri figli si sono mostrati premurosi nei suoi confronti. Intanto, il suo datore di lavoro non intendeva regolarizzare la situazione: noi eravamo diventati l’ultima speranza cui poteva ancora aggrapparsi. Il Signore ci chiedeva un atto di amore più radicale. Così abbiamo deciso di assumere Khalid come colf e più tardi è maturata in noi l’idea di ospitarlo a casa nostra, come un altro figlio. Abbiamo messo a sua disposizione alcuni spazi della casa in cui poteva avere una propria indipendenza; nella preparazione dei pasti eravamo attenti a rispettare le sue convinzioni religiose, così come i suoi momenti di preghiera, i suoi orari dei pasti durante il Ramadan. Si andava così approfondendo il dialogo anche sul piano religioso. Il rapporto fra noi è diventato sempre più confidenziale: la sera ci intrattenevamo spesso a parlare della sua e della nostra vita, delle sue e delle nostre tradizioni. Dubbi e difficoltà non sono mancate, ma, insieme alla comunità del Movimento che non mancava di sostenerci, trovavamo la forza di andare avanti. La provvidenza non è mai mancata. Un signore, a noi sconosciuto, gli ha regalato un motorino che poi abbiamo messo in regola. Persone del Movimento gli hanno fornito capi di abbigliamento… È arrivato poi un lavoro che lo soddisfaceva, anche se provvisorio, e che gli ha permesso di aiutare la sua famiglia e anche di restituire parte delle spese sostenute per lui. Dopo circa sette mesi si è liberata un’abitazione in cui ha potuto sistemarsi con alcuni suoi amici. È ritornato poi in Marocco dove si è sposato. Rientrato con la moglie in Italia, ha trovato un lavoro a tempo indeterminato che gli ha permesso di condurre una vita più serena. Sono nati tre bambini due dei quali frequentano le scuole elementari. Anche con la moglie si è costruito un bel rapporto nonostante le difficoltà della lingua. Un giorno ha voluto mostrarci la sua riconoscenza e si è offerta di preparare a casa nostra un pranzo tutto marocchino, che abbiamo consumato con i nostri figli. Siamo diventati i nonni dei suoi bambini che spesso sono a casa nostra! Nella condivisione con loro sperimentiamo continuamente la gioia della presenza di Dio tra noi». (G. – Mantova Italia) (altro…)
Mar 16, 2015 | Chiara Lubich, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
La cosiddetta “Regola d’oro” che il Vangelo propone, “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (Mt 7,12), è presente anche nell’Islam e nelle altre religioni, e quando viene messa alla base di ogni rapporto, genera – come è successo in queste terre – quell’amore che suscita un fecondo “dialogo della vita” con ogni persona che si incontra. Un dialogo intessuto di piccoli gesti, di attenzione all’altro, di rispetto, di ascolto. È stato quest’amore concreto al fratello che ha contributo alla formazione di alcune comunità dei Focolari in Marocco, nella quale l’amore e il rispetto prevalgono sulle differenze di cultura, tradizioni e religione. Di seguito, alcuni stralci del Journal de bord (diario di viaggio), scritto da due focolarini in visita a queste comunità, tra la fine di gennaio inizio febbraio 2015. «Ci troviamo a Fez, città imperiale molto fiera della sua tradizione altamente spirituale. Numerosi studenti provenienti dall’Africa sub sahariana vengono per fare gli studi superiori. Frequentano volentieri la parrocchia francofona ed il parroco, don Matteo, ci ha chiesto di fare la catechesi sui sacramenti ad una ventina di giovani; un’occasione per vivere insieme uno scambio profondo e gradevole. Il gruppo della Parola di vita della parrocchia ha riunito una trentina di studenti di medicina, chimica, informatica, più altri cinque arrivati da Rabat.A cena siamo dalle piccole sorelle di Foucauld. Lucile racconta come cerca di vivere la Parola nell’ospedale pubblico dove lavora.
Arriviamo a Tangeri per trovare una quindicina di persone, musulmani e cristiani, che vivono la spiritualità dell’unità. Alla sera ci fermiamo con una coppia che ci considera come fratelli di sangue. Lui è stato trasferito per lavoro a 24 ore di strada, ma questo allontanamento dalla moglie è diventato un’occasione per riscoprire il positivo dell’uno e dell’altra. Colazione da Mohamed. Sua moglie desidera approfondire la spiritualità dell’unità. Ci racconta che il custode del palazzo dove lavora non le rivolgeva il saluto da quando si era rifiutata di portargli l’olio della padrona di casa spagnola, approfittando della sua assenza, come lui pretendeva. Quando poi ha ricevuto un litro d’olio dalla mamma, l’ha offerto al custode, spiegando che questa volta era suo, perciò poteva disporne come meglio credeva. L’uomo, un po’ spiazzato, l’ha ringraziata, scusandosi. La riconciliazione è stata fatta. Un bel pomeriggio con il gruppo delle famiglie della comunità: Ahmed ci invita a restare da lui. Trascorriamo la serata con la sua famiglia. Per cena ci offrono un piatto tipico.
Visita alla piccola scuola di periferia fondata da Fawzia. Il quartiere è pieno di bambini che giocano sulla strade fangose e caotiche. Le case sorgono dappertutto come funghi. Felice, ci racconta che due bambini hanno chiesto di iscriversi da lei, nonostante da tempo un vicino si fosse messo all’entrata della sua scuola per convincere i genitori a iscrivere i bambini da un’altra parte. Fawzia, dopo aver chiesto spiegazioni, ha continuato ad amare e a fare bene il suo lavoro con ottimi risultati nel rendimento scolastico. Sei giorni dopo, grazie alla buona fama che la scuola si è guadagnata nel quartiere, ecco altre tre nuove iscrizioni! Viaggio a Casablanca a trovare Susana e alla sera con Mohammed e Nadedj ad un ristorante giapponese. Parliamo di Loppiano, della recente Mariapoli in Algeria, degli incontri avuti in questi giorni. Domani si rientra, in Algeria e Italia rispettivamente, con la gioia di aver costruito e rinforzato tanti rapporti di unità, arricchiti dall’incontro con questa gente impegnata a vivere, nel loro quotidiano, per un mondo più unito». Claude e Ivano (Marocco, Gennaio/Febbraio 2015) (altro…)