Ott 1, 2010 | Cultura, Focolari nel Mondo
Poco dopo entro proprio in q
uella classe ed il panorama coincide perfettamente con quanto mi hanno detto. Pochi alunni, sparsi nell’aula, contro la parete di fondo. Alcuni stesi su due sedie, altri allungati sui banchi o appoggiati sulle braccia, come se dormissero. Saluto in un silenzio opprimente, nessuno risponde. Provo una grande solitudine, il vuoto dei tavolini che mi separa da loro è simile al vuoto che sento dentro di me. Mi vengono in mente i miei tanti anni di studio, le abilitazioni e gli sforzi. Noto con tristezza che non potranno aiutarmi in questo momento. Non mi lascio scoraggiare: non sarà la mia preparazione professionale a dare loro qualcosa, ma l’amore che potrò offrire. Li invito a sedersi più avanti, dato che siamo pochi, ma nessuno ha intenzione di abbandonare la sua posizione. Vado allora alla cattedra e comincio a spingerla verso i banchi dei ragazzi. Il rumore risveglia la curiosità di alcuni. Una ragazza mi chiede cosa intendo fare, le rispondo che siccome loro non si avvicinano, io vado verso di loro. Poi comincio a parlare della fatica di lavorare il venerdì pomeriggio. Anche io, come loro, sono stanca, ma, poiché abbiamo fatto lo sforzo di arrivare fino a scuola, conviene approfittarne e continuare il lavoro della lezione precedente. Lentamente si mettono in moto. Ad un certo punto mi accorgo che tutti sono impegnati nel lavoro di biologia, anche quelli che non lo fanno mai. Alla fine dell’ora mi complimento con loro per lo sforzo fatto ed aggiungo che ne sono stata molto contenta. Arriva il giorno della riunione dei professori. Ogni collega presenta il suo punto di vista. Non so cosa dire, perché mi accorgo che il mio intervento non coincide con quello degli altri. Ma dai commenti emerge che ai ragazzi piacciono le ore di biologia, perché la professoressa – dicono –mette la sua cattedra accanto ai banchi. Avendola vicina si sentono accompagnati e lavorano più sicuri e fiduciosi. Alcuni colleghi commentano sottovoce che forse sarebbe una buona idea adottare anche loro questo metodo. Da allora, al mio arrivo in classe, spingo sempre la cattedra con l’aiuto di qualcuno. Adesso però non ho quasi più bisogno di farlo: i banchi davanti iniziano ad essere occupati. (Bahia Blanca – Argentina)
Set 14, 2010 | Focolari nel Mondo
Mentre ci avviamo all’aeroporto mi rendo conto di essere felice e libero. Sveglio! Un gesto di carità non è paragonabile alla chiacchierata confidenziale che nasce con il mio prossimo. L’attenzione all’altro è più efficace di una tazza di caffè. Madre Teresa mi aveva ricordato di amare il prossimo come me stesso. È come se avesse riacceso e resa attuale una frase del Vangelo. Nell’alba piovosa mi sembra che quelli che mettono in pratica le parole di Gesù, i santi, sono i catarifrangenti che mi indicano come arrivare alla meta. T.M. (dal blog di Città Nuova online)
Ago 14, 2010 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
Una semina cominciata quattro anni prima. Un quartiere, a Santiago, vecchio e povero. Un paio di scarpe numero 42. Inizia così la nostra avventura immersi in questo pezzo di mondo emarginato della nostra capitale. Il primo giorno, appena arrivati, bussa alla nostra porta “don Juan”, uomo anziano, povero e cieco. Forte è la sensazione che sia Gesù arrivato a darci il benvenuto per questa nuova esperienza. Pian piano “don Juan” è divenuto uno di famiglia: ogni giorno ci fa visita per condividere una tazza di tè e per raccontarci le sue belle storie. Il venerdì è invece il giorno in cui apriamo le porte a tutti, specialmente agli amici più bisognosi che cerchiamo di accogliere con tutto l’amore possibile, cercando soprattutto di donare i frutti della presenza spirituale di Gesù che custodiamo tra noi, con l’amore reciproco. Nella vicina piazza Yungay, dove ogni anno organizziamo il pranzo di Natale aiutati da tutta la comunità, un giorno un amico senza tetto ci chiede un paio di scarpe numero 42. È inevitabile pensare all’esperienza vissuta da Chiara Lubich anni prima: proprio come aveva fatto lei chiediamo aiuto a Gesù ed ecco arrivare, il giorno dopo, uno di noi – che non sapeva di questa richiesta – giusto con un paio di scarpe numero 42! Ci viene spontaneo raccontare questo fatterello a Chiara Lubich, allora ricoverata presso l’Ospedale Gemelli di Roma. Che sorpresa ricevere, dopo pochi giorni, la sua risposta, nonostante la gravità della sua salute. Ci dava il nome che le avevamo chiesto per la nostra piccola casa, scelto proprio alla luce delle esperienze vissute fino a quel momento: casetta “Primi Tempi”, in allusione al primo focolare. La sua lettera è stata il sigillo di una nuova tappa per la nostra vita di impegno evangelico in Cile. Sono ormai passati 4 anni. Oggi la “casetta” è abitata stabilmente da tre gen, mentre altri ci vivono per due settimane, a turno. Ci siamo trasferiti definitivamente proprio nei giorni successivi al terremoto del 27 febbraio scorso. Così abbiamo potuto metterci subito a disposizione dei nostri vicini di casa che avevano avuto le loro case danneggiate dal sisma. Le visite ai nostri amici nel bisogno non sono rimaste come semplici gesti d’amicizia, ma con la nostra presenza sul posto c’è un luogo stabile dove possiamo donarci in prima persona, senza ricevere magari delle gratificazioni materiali, ma dove impariamo ad amare in modo soprannaturale. Non è mai mancato l’aiuto di Dio – attraverso tante persone – in beni materiali da distribuire, ed è cresciuto il rapporto di famiglia con tutti. Un venerdì al mese altri giovani aderiscono al nostro progetto di creare uno spazio di fraternità. Essi provengono da diversi punti di Santiago e nella nostra casa, per il clima di fraternità che c’è, riescono a superare le distanze sociali che ancora feriscono la nostra società. E’ con questo amore reciproco costruito prima tra noi che andiamo incontro ai nostri amici bisognosi. (A cura di Edoardo Zenone – Tratto dal giornale “Gen” – luglio-settembre 2010) (altro…)