Movimento dei Focolari
Migranti: fare sistema oltre l’accoglienza

Migranti: fare sistema oltre l’accoglienza

20160712ArrivoMigranti«Una vena di illusione e di sogno percorre l’idea di questo progetto», racconta Flavia Cerino, avvocato, coordinatrice delle attività in Sicilia. Nella realtà complessa delle migrazioni, si è imbattuta in uno dei problemi più urgenti: quello dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) che approdano sulle coste italiane stremati per i lunghi viaggi ma ancora pieni di speranza nel futuro. Fra i migranti che raggiungono l’Europa, i minori non accompagnati sono senz’altro i più bisognosi di sostegno. Nei primi 5 mesi del 2016 (fonte UNICEF) si sono registrati in Italia 7.000 nuovi arrivi, il doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «Per poter rimanere legalmente in Italia, aggiunge Flavia, questi ragazzi hanno la necessità di inserirsi nel mondo del lavoro nel più breve tempo possibile. Se non riescono a farlo e non regolarizzano i documenti, una volta raggiunta la maggiore età per legge diventano clandestini, con il rischio concreto di entrare nei circuiti della malavita». Logo-Fare-Sistema«Insieme abbiamo riflettuto a lungo sulla situazione e sui possibili interventi, aggiunge Francesco Tortorella di AMU – Azione per un Mondo Unito, uno dei promotori del progetto. Ci siamo confrontati anche con diversi professionisti che conoscono il problema nei minimi dettagli. La Cooperativa Fo.Co., altro ente promotore, da anni lavora con i giovani migranti e li affianca nei loro percorsi di vita. Poi, fin dall’inizio, è stato fondamentale il contributo di AFN – Azione per Famiglie Nuove: i ragazzi hanno bisogno anzitutto di una famiglia, nel senso più ampio e profondo del termine». La prima fase del progettoFare Sistema oltre l’Accoglienza” è iniziata ufficialmente il 6 giugno scorso, a Catania e a Ragusa, con l’avvio della formazione professionale. Sono stati selezionati 43 giovani, di cui una decina italiani che, per varie situazioni di disagio sociale, vivono in strutture di accoglienza. La presenza anche di ragazzi italiani è un punto di forza del progetto, che vuole occuparsi di giovani in condizioni di vulnerabilità, indipendentemente dalla loro cittadinanza. La formazione durerà fino ad ottobre, inclusi i primi tirocini aziendali; la seconda fase del progetto, forse quella più innovativa, prevede il coinvolgimento in tutte le regioni italiane sia di imprese disponibili ad inserire i giovani in percorsi lavorativi sia di famiglie presso cui i giovani potranno trovare un nucleo di relazioni stabili indispensabile per la loro inclusione sociale. In tutta Italia sono stati costituiti nodi territoriali: una vera e propria rete di sicurezza per poter incrociare la disponibilità di famiglie e aziende con i bisogni formativi e lavorativi dei ragazzi. Avranno un ruolo fondamentale le aziende che aderiscono all’Economia di Comunione e all’AIPEC: è a partire da queste reti che si punta ad offrire opportunità di inserimento lavorativo ai giovani che partecipano al progetto. 20160712AccoglienzaFamiglieDal canto suo, già da diversi mesi AFN onlus ha attivato la sua rete di famiglie, promuovendo la disponibilità all’accoglienza dei giovani, già sperimentata finora per periodi di vacanza. «A fine 2015, scrive Paola Iacovone, 7 ragazzi che vivono in comunità hanno potuto fare un’esperienza di famiglia che è stata per tutti, anche per chi li accoglieva, molto positiva. Provenivano da Egitto, Mali e Senegal, cristiani copto ortodossi e musulmani, e sono stati accolti da famiglie di Roma, Lanciano, Ancona e Cosenza». Insomma, l’avventura è appena iniziata! Il progetto ha avuto un’ottima accoglienza presso le istituzioni; se questo primo modello sperimentale funzionerà potrà essere senz’altro proposto e realizzato su scala più larga, come tutti si augurano. Sul sito del progetto tutti i dettagli e le informazioni per aderire e contribuire.   (altro…)

Connessioni, perse e trovate

Connessioni, perse e trovate

Airport«Quando il mio volo del mattino da Bologna a Londra, già in ritardo a causa di temporali sulla capitale inglese, ha iniziato a volare in cerchio sopra l’aeroporto per altri 20 minuti, ho capito che mi sarebbe stato quasi impossibile riuscire a prendere il volo in coincidenza: e infatti poco più tardi mi sono trovata in una coda interminabile con centinaia di altri passeggeri che avevano perso il proprio volo. Le compagnie aree erano congestionate, così anche coloro che avevano possibilità di telefonare erano bloccati. La maggior parte delle persone è riuscita a sopportare l’attesa per un’ora, ma quando sono diventate due, poi tre, e infine ben oltre l’ora di cena, l’atmosfera ha cominciato a farsi tesa. Io mi ero messa comoda con un buon libro, ma anch’io ho iniziato ad agitarmi quando mi sono resa conto che sarebbe stato difficile mettermi in contatto con l’amica che doveva venirmi a prendere all’aeroporto negli Stati Uniti. Non sono molto loquace con gli sconosciuti, soprattutto quando viaggio da sola; ma a quel punto mi sono sentita spinta a guardarmi attorno, e ricordarmi che il calore e il conforto della presenza di Dio potevano esserci vicini anche in quella coda caotica. Mi sono ricordata di avere un pacchetto di biscotti in borsa, e ho avuto un primo contatto con uno studente affamato dietro di me. È stato sufficiente a rompere il ghiaccio con tutti nella nostra parte della fila. Nell’iniziare a raccontarci le nostre storie e a solidarizzare, ci siamo anche resi conto che potevamo aiutarci a vicenda. La batteria del mio computer portatile era appena sufficiente a ricaricare il cellulare della coppia tedesca che aveva bisogno di chiamare la famiglia; e questa coppia si è resa disponibile a tenere d’occhio il mio bagaglio mentre sono andata in cerca di un internet point da cui inviare una mail alla mia amica. Un veloce saluto in italiano ad un’altra giovane coppia è bastato a rendermi conto che loro ed altre due coppie – tutte in viaggio di nozze – non capivano gli annunci che venivano fatti, e li ho tradotti così che potessero valutare le varie opzioni. Dopo cinque ore e mezza senza ancora nessuna soluzione di volo alternativa ci sono stati dati i voucher per una stanza in hotel e un pasto, e l’indicazione di chiamare le linee aeree dall’albergo. Così ho fatto, e sono venuta a sapere che avrei dovuto essere di nuovo in aeroporto nel giro di poche ore. Mentre mi accoccolavo su una sedia dell’aeroporto, cercando di dormire almeno un po’, mi sono resa conto che, nonostante il disagio, tutte queste “connessioni” – come in inglese vengono chiamate le coincidenze di volo, in questo caso perse – che avevo invece costruito con i miei vicini nell’attimo presente avevano riempito la mia serata di un insolito senso di pace. E sono arrivata a casa il giorno dopo stanca, ma serena». Amy Uelmen, Bethesda, Maryland (Usa) Fonte: Living City Maggio 2016 – www.livingcitymagazine.com (altro…)