Emilio Pastacaldi
- Data di Morte: 26/07/2021
- Branca di Appartenenza: focolarino sposato
- Nazione: Italia
Nella periferia della capitale della Repubblica Centrafricana è nata una scuola fondata da membri dei Focolari. Ad oggi accoglie più di 500 bambini, molti dei quali, dopo lunghi periodi di guerra, devono recuperare gli anni scolastici persi. Siamo a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, Stato che si trova nella parte interna e centrale del continente africano, senza sbocchi sul mare. La capitale è situata a sud-ovest, in una zona di confine con la Repubblica Democratica del Congo. Quattro anni fa in un quartiere periferico di Bangui è nata una scuola materna ed elementare chiamata Sainte Claire (Santa Chiara), che attualmente ospita 514 alunni. È stata fondata dopo un appello che Papa Francesco e Maria Voce, presidente dei Focolari in quel momento, avevano lanciato: andare incontro ai bisogni della gente, in particolare verso le periferie. “Per noi il bisogno più urgente era l’educazione – spiega Bernadine, membro dei Focolari e direttrice presso la scuola Sainte Claire – perché, dopo lunghi anni di guerra, molti bambini avevano perso diversi anni di scuola. Potevamo quindi aiutarli a recuperare, per raggiungere il livello dei loro coetanei.”
Essendo situata in un quartiere di periferia, la scuola ha accolto fin da subito tanti bambini nati in famiglie fuggite dalla città, dove la guerra ha distrutto le loro case. “Vengono qui per rinascere, per ricominciare una nuova vita” – continua Bernadine. L’istituto Sainte Claire è cattolico e, fondato da membri del Movimento dei Focolari, cerca di trasmettere insegnamenti basati sulla cultura dell’Unità. La direttrice spiega: “ogni giorno inizia con le preghiere del mattino; poi lanciamo il dado dell’amore, sul quale si leggono delle brevi frasi per vivere bene la giornata. Il giorno dopo, prima di lanciare nuovamente il dado, si condividono le esperienze vissute il giorno prima. C’è chi ha aiutato la mamma a lavare i piatti, chi si è riappacificato con l’amico dopo un litigio,…” Al momento la guerra nel Paese è sospesa e la situazione a livello politico è più tranquilla. Rimangono però ancora molte conseguenze che hanno impatto sulla popolazione, tra le quali il coprifuoco dalle 20.00 alle 5.00 del mattino. Poi vi sono numerose complicazioni legate a fattori economici e sociali. Spiega Bernadine: “Pochi giorni fa, ad esempio, c’è stata una grande pioggia che ha danneggiato i cavi della corrente elettrica. Da quel momento abbiamo a disposizione l’elettricità solo per 2-3 ore al giorno. Questo cambia molto la vita delle persone: a partire dal cibo, che non può essere conservato. Per non parlare poi di tutti coloro che lavorano con la corrente: non possono portare avanti le loro attività per diversi giorni!” Poi si è aggiunta la pandemia. Nel 2020 l’istituto Sainte Claire ha dovuto concludere definitivamente l’anno a marzo invece che a giugno, avendo un forte impatto sull’educazione degli alunni, nuovamente rimasti senza scuola. Ma sono state dure anche le conseguenze a livello economico per tutto il Paese: le frontiere sono state chiuse e la Repubblica Centrafricana, priva di accesso al mare, ha avuto difficoltà con la consegna di merci dall’estero. Si è assistito dunque ad un forte aumento dei prezzi. Nonostante le difficoltà del momento, comunque, le attività della scuola sono riprese e proseguono: “durante la Settimana Mondo Unito di quest’anno (dal 1° al 9 maggio) i bambini hanno aiutato a costruire un campo sportivo, piantando i semi del prato, in modo da poterlo poi usare come luogo dove fare sport insieme tra qualche mese.” L’educazione, dunque, non si ferma, nemmeno in mezzo alle difficoltà: permette ancora di piantare nuovi semi di speranza, per un futuro migliore.
Di Laura Salerno
L’esperienza del focolare di Manaus in aiuto per i senzatetto. Un modo per essere Chiesa in uscita e andare nelle periferie esistenziali e cercare i più bisognosi Qualche mese fa, un focolarino del focolare di Manaus, in Brasile, ha sentito il desiderio di fare qualcosa per aiutare le persone in difficoltà. Così si è messo in contatto con vari sacerdoti e suore per mettersi a disposizione. Dopo circa un mese è nata la possibilità di dare una mano per la “pastorale del popolo di strada”, cioè per aiutare i senzatetto. E’ stato coinvolto tutto il focolare: Renzo, Daniel, Francisco, Valdir e Junior. Ogni domenica sera nella piazza della chiesa “Nossa Senhora dos Remedios”, nel centro storico della città, uno di quei luoghi molto affollati durante il giorno e pericolosi di notte, aiutiamo nella breve “Celebrazione della Parola”, poi diamo ai senzatetto un pasto e stiamo con loro per ascoltarli. Loro pregano con noi e mettono in comune quello che vivono durante la settimana. Qualche volontario dà loro un pasto e se ne va velocemente. I senzatetto ci riconoscono e ci ringraziano, perché per loro lo stare insieme, pregare, parlare, comunicare le proprie vite, essere ascoltati sazia l’anima quanto i pasti saziano le pance. Varie volte ce lo hanno detto. La nostra presenza è dettata dall’amore, dall’essere sempre disponibili per scambiare qualche parola e creare rapporti con tutti, anche col team della pastorale. Ma tutto ciò non basta. Così ogni venerdì pomeriggio, ci offriamo per aiutare i senzatetto per fare una doccia o un cambio di vestiti, donati da persone generose. Abbiamo coinvolto anche la comunità dei Focolari per raccogliere vestiti, scarpe, ciabatte… ed è bello vedere la sensibilità verso quest’azione e ricevere echi molto positivi ogni volta che comunichiamo questa esperienza: tanti ci incoraggiano a continuare o vengono ad aiutarci. Con il lockdown per il covid purtroppo si sono interrotte varie attività in aiuto dei più poveri. Ci siamo quindi incontrati online per capire cosa fare ed era presente anche l’Arcivescovo Mons. Leonardo Steiner, il quale colpito dalla situazione, ha donato una somma di denaro per continuare ad offrire un pasto al giorno, durante 20 giorni, per duecento persone, divisi in due grandi piazze del centro storico. Certamente lavorare per due o tre ore con tutte le attrezzature di sicurezza necessarie ed il caldo di Manaus è faticoso, ma è anche un modo concreto di andare nelle periferie esistenziali, a cercare i più bisognosi, i prediletti dal Padre, offrendo il dolore di poter fare così poco davanti a questi volti di Gesù Abbandonato con tantissime necessità e noi che non possiamo fare di più per loro, oltre a dare un sorriso, l’ascolto, il nostro amore. La provvidenza poi non manca: dalle autorità del Ministero Pubblico (del lavoro), ci hanno cercato per donarci soldi e risorse per garantire trecento pasti per 15 giorni in più. Questo significa più lavoro per noi volontari, ma non si può dire di no ad una provvidenza tale e poi crediamo che Dio si manifesterà per darci energie, salute o altri volontari per aiutarci.
I focolarini del focolare di Manaus
La sua musica si diffondeva nella sala dell’aeroporto tra l’indifferenza della gente. Un gioco di sguardi e di sorrisi. Sono i misteri dei buoni rapporti, capaci di generare reciprocità. Piccoli gesti che ti fanno condividere qualcosa con l’altro e sentirti parte di una stessa umanità. Ero di ritorno in Paraguay dopo tanti anni trascorsi in Europa. Mi commossi quando intravidi la terra rossa e il verde, così tipici, mentre l’aereo cominciava la discesa per l’atterraggio. L’aeroporto internazionale, Silvio Pettirossi, non era cambiato di molto. La prima impressione, uscendo dal velivolo, fu il calore soffocante che mi portava dei ricordi lontani e tanto amati. Anziché provare asfissia lo colsi come fosse un caloroso abbraccio da parte di tante persone care che avrei trovato.
Mentre attendevo che uscisse il mio bagaglio nella grande sala adibita per le partenze e gli arrivi, nella zona raccolta bagaglio, dove ci sono negozi duty free e un bar, le mie orecchie furono invase dalle meravigliose note di un’arpa paraguaiana. Cercai con lo sguardo l’origine della musica. Ed era lì, seduto davanti al bar, come abbracciato al suo grande strumento musicale, un uomo dal volto sereno e dai tratti indigeni: l’arpista paraguaiano. La sua musica si diffondeva nella sala, riempiendola di armonia e di gioiose note di una polka paraguaiana. Mi colpirono la sua discrezione e l’indifferenza della gente, come fosse abituata alla musica dell’arpista. Come se facesse parte della scenografia, come il bar, i negozi o la zona per riprendere i bagagli. L’uomo sembrava rassegnato nel toccare delle note così belle, senza che nessuno – in apparenza – si accorgesse della sua presenza. Istintivamente cercai nelle mie tasche e ricordai di avere messo da parte cinque dollari per la mancia da dare a chi si sarebbe offerto all’uscita (in genere, dei ragazzi), per portare la mia valigia fino alla macchina che sarebbe venuta a prendermi. Mi avvicinai all’arpista con discrezione, lo guardai con gratitudine, e lasciai i cinque dollari nel cappello che aveva davanti a sé, con il timore di urtare la sua sensibilità, conscio che la sua musica valeva molto di più. Fu un gesto semplice, ma ci misi l’intenzione di ringraziarlo e di riconoscere il suo talento, anche a nome di chi non lo notava. Trascorsero tre settimane indimenticabili, piene di incontri con gente tanto amata, e … mi ritrovai nella stessa sala dell’aeroporto, ora però in attesa di riprendere l’aereo che mi avrebbe riportato a Montevideo, dove risiedevo. Salutavo ancora i miei amici che, dal vetro, vedevo che continuavano ad agitare le mani, quando le mie orecchie furono sorprese dalle note di … La cumparsita! Il tango che acquisì popolarità grazie all’impareggiabile voce di Carlos Gardel. Ma che cosa era successo? Eravamo nel Paraguay, dove si esegue e si ascolta musica paraguaiana. Da dove arrivavano le note di quel tango? Cercai con lo sguardo, preso da un palpito. Ed era sempre lì, davanti al bar, seduto e con la sua inseparabile arpa, che mi guardava con un sorriso complice, come a dire: “Ti è piaciuta la sorpresa?”. Io risposi: “Che ero contentissimo”, con un altro sorriso complice, ma con lo sguardo interrogante chiedendo come avesse fatto a riconoscermi – tra tanta gente che passa da quella sala –, e ancora, come avesse indovinato che fossi argentino! Sono i misteri dei buoni rapporti, capaci di generare reciprocità. Sono dei piccoli gesti che ti fanno condividere qualcosa con l’altro e sentirti parte di una stessa umanità. Da allora, ogni volta che mi vide arrivare alla sala delle partenze e degli arrivi, con la zona bagagli e i negozi duty free … interruppe la sua polka e cominciò a suonare un tango sempre diverso, dedicato al suo amico argentino.
Gustavo E. Clariá
Il Bala Shanti Program è un progetto nato per aiutare donne sole, per sostenerle nel garantire ai loro figli le cure necessarie, la formazione scolastica e una condizione di benessere, salute e dignità. Siamo a Coimbatore, regione a sud dell’India. Nel 1991 nasce il Bala Shanti Program un progetto che aiuta e accoglie bambini più vulnerabili e bisognosi, tra i 3 a i 5 anni, e le loro madri, spesso sole. Il programma fa parte di Shanti Ashram che è un centro internazionale per lo sviluppo culturale, sociale e sanitario al servizio dei bisogni della comunità sul territorio, ispirandosi agli ideali e agli insegnamenti di Mahatma Gandhi. “Mia nonna ha dovuto vivere sempre da sola: per questo motivo mia madre ha smesso di studiare quando frequentava le scuole medie e si è dovuta sposare quando aveva 16 anni. Questo è accaduto nel ‘78 ma oggi, dopo più di 40 anni, sento ancora storie simili o uguali a questa”. Queste le parole di Deepa, responsabile del Bala Shanti Program. Spiega infatti che, ancora oggi, i figli delle madri sole sperimentano 3 tipi di difficoltà molto grandi: la povertà, l’abbandono scolastico e l’obbligo ad un matrimonio precoce. Il Bala Shanti Program si propone dunque di aiutare queste donne a crescere i loro figli in una condizione di benessere, salute e dignità. Secondo i report delle Nazioni Unite del 2019-2020, circa il 4.5% delle famiglie in India sono portate avanti da madri sole e si stima che di queste il 38% viva in uno stato di povertà. “Una donna in India in condizioni di vulnerabilità difficilmente spera di vivere da sola: non si tratta di una scelta personale – spiega Deepa – molte di loro si trovano in condizioni di abbandono, insicurezza, sfruttamento”. L’obiettivo finale del Bala Shanti Program dunque è quello di combattere la povertà, la malnutrizione e le malattie che si sviluppano in contesti di grande disagio, costruendo una società di pace. Per fare questo, oltre agli aiuti economici, i bambini e le loro mamme vengono istruiti su temi come l’educazione, la pace, l’alimentazione sana, le norme di igiene e la leadership. Oggi esistono 9 Bala Shanti Kendra – centri di sviluppo per la prima infanzia – che accolgono più di 200 bambini l’anno. Dal ‘91 ad oggi più di 10 mila bambini hanno completato il percorso di studi e durante l’anno della pandemia da Covid-19 si sono forniti aiuti a 15 mila persone, tra bambini e famiglie. Dal ‘98 il progetto ha avviato una collaborazione con AFN Onlus, l’organizzazione no profit legata al Movimento dei Focolari che, attraverso il sostegno a distanza, aiuta a fornire ai bambini borse di studio del Bala Shanti Porgram. Sono tanti coloro che potrebbero testimoniare l’importanza del Bala Shanti Program nella propria vita, come Fathima, 45 anni: fino a pochi anni fa era un madre sola in difficoltà economiche e non sapeva come fare per crescere ed istruire suo figlio, il piccolo Aarish. Da quando il Bala Shanti Program ha iniziato a darle aiuto, la sua vita è cambiata. Aarish ha seguito dei percorsi di formazione, ricevendo una borsa di studio a distanza. “Sono stata aiutata anche attraverso provviste di cibo – spiega – mi hanno messo in contatto con medici competenti e invitato a spettacoli e danze attraverso le quali ho potuto distrarmi e pensare a qualcosa di bello. Per me è stato molto importante.” Adesso Aarish è cresciuto, ha 15 anni, è un volontario presso Shanti Ashram da 3 anni. Anche grazie al suo aiuto il Bala Shanti Program offrirà sempre più sostegno alle donne sole e ai loro figli. Così, rimane accesa la speranza che questa catena di aiuti diventi sempre più robusta e contagiosa.
Laura Salerno