Movimento dei Focolari
#daretocare in Vietnam: lavorare insieme per la fratellanza universale

#daretocare in Vietnam: lavorare insieme per la fratellanza universale

L’impegno dei giovani dei Focolari Ho Chi Minh City, in Vietnam per le persone in difficoltà: farsi carico dei loro bisogni attraverso la distribuzione di 300 pacchi di merci alle famiglie e 370 piccoli regali per i bambini. Nel mese di luglio 2020, alcuni Gen2, giovani dei Focolari di Ho Chi Minh City, in Vietnam, hanno voluto fare qualcosa di concreto per l’operazione #daretocare – la campagna dei giovani dei Focolari per “farsi carico” delle nostre società e del pianeta -, per aiutare le persone della comunità in difficoltà. Hanno scelto di andare a condividere il loro amore nel distretto di Cu M’gar, nella provincia di Dak Lak. È un luogo con la più ampia area di caffè e la gente proviene da un’altra etnia. È a 8 ore di macchina dall’HCMC. “Abbiamo iniziato a confezionare e vendere frutta, yogurt e patate dolci online. Abbiamo raccolto vestiti usati per adulti e bambini, abbiamo ricevuto alcune donazioni e a un certo punto le restrizioni per COVID19 sono finite, così abbiamo potuto vendere merce come “raccolta fondi” alla parrocchia. Durante la preparazione è stata una grande sfida per noi vedere le cose insieme, non sono mancati malintesi e disaccordi. Ma sapendo che ci sono 300 famiglie che ci aspettano, continuiamo ad andare avanti con amore, pazienza e un po’ di sacrificio. Il 17-18 ottobre, con 30 giovani energici ed entusiasti, abbiamo fatto un viaggio significativo. Abbiamo potuto distribuire 300 pacchi di merci alle famiglie e 370 piccoli regali per i bambini. Durante il viaggio ci siamo resi conto di quanto siamo fortunati e felici rispetto alle situazioni di queste famiglie. Abbiamo condiviso ciò che abbiamo portato per dimostrare il nostro amore, ma alla fine abbiamo ricevuto più AMORE attraverso i loro sorrisi… Infatti, ogni volta che ci avviciniamo a loro sembra che ci conosciamo da molto tempo. Durante il viaggio alcuni giovani hanno portato i loro amici. Ci siamo trovati insieme da diverse parti del Vietnam. C’era la gioia di conoscerci ognuno, di ridere e di lavorare insieme come fratelli e sorelle senza distinzioni. Grazie per questo progetto #daretocare, una buona scusa per lavorare insieme e costruire questa fraternità tra di noi”.

I Gen e i giovani dei Focolari del Vietnam

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La grande testimonianza che questa pandemia ci chiama ad offrire all’umanità

La grande testimonianza che questa pandemia ci chiama ad offrire all’umanità

In questi mesi la comunione dei beni si è sviluppata ancora di più fra le comunità dei Focolari nel mondo, rispondendo a tante richieste di aiuto. La comunione dei beni straordinaria per l’emergenza Covid-19 ci sta facendo sperimentare ancora una volta la realtà dell’‘essere sempre famiglia’ che non conosce confini o differenze, ma fa emergere la fratellanza universale, così come sostiene Papa Francesco attraverso l’ultima enciclica “Fratelli tutti”. Questa comunione si sviluppa attraverso veri e propri fioretti o atti d’amore e ricorda l’esperienza dei primi cristiani: essi, consapevoli di formare un solo cuore e una sola anima, mettevano tutti i loro beni in comune, testimoniando l’amore sovrabbondante di Dio e portando speranza. In questi mesi di pandemia la comunione dei beni si è sviluppata ancora di più fra le varie comunità del Movimento dei Focolari in giro per il mondo, rispondendo quindi a tante richieste di aiuto. In Asia, a Taiwan e in Giappone, i Gen, giovani dei Focolari hanno avviato una raccolta fondi per aiutare la comunità della città di Torreòn, in Messico. Ròisìn, una Gen di Taiwan, avendo saputo dell’esperienza dei Gen messicani nell’aiutare famiglie povere colpite dal virus, ha subito sentito la necessità di agire. Insieme alle altre Gen della sua città ha lanciato un appello a tutta la comunità dei Focolari di Taiwan, che subito ha aderito all’iniziativa raccogliendo fondi per gli amici in Messico. In seguito, anche le e i Gen del Giappone hanno aderito all’iniziativa. In Tanzania invece una delle famiglie della comunità era senza luce perché la batteria del piccolo impianto solare era ormai esaurita. “Qualche tempo prima – scrivono dalla comunità locale – uno di noi aveva ricevuto una provvidenza di 50 euro, circa 120.000 shellini tanzaniani, per una famiglia in difficoltà. Ne abbiamo parlato insieme e siamo giunti alla conclusione di dare quella somma che copriva circa il 60% del costo. La famiglia ha potuto così comprare la nuova batteria e riavere la luce in casa. Dopo qualche giorno arriva una donazione di 1.000.000 di shellini tanzaniani per le necessità del focolare: quasi 10 volte tanto…il centuplo!!!” La comunità del Portogallo dopo un aggiornamento sulla situazione globale dal Centro Internazionale dei Focolari, ha deciso di allargare l’orizzonte oltre i propri confini. “La somma che abbiamo raccolto finora – ci scrivono – è frutto di piccole rinunce oltre a somme impreviste che non ci attendevamo di ricevere. Vediamo che è in crescita la consapevolezza della comunione nella vita quotidiana di ognuno di noi: insieme possiamo cercare di superare non solo questi ostacoli causati dalla pandemia, ma che diventi uno stile di vita”. In Ecuador invece J.V. è riuscito a coinvolgere tanti nella cultura del dare. Tutto è nato da “una telefonata ad un collega per avere sue notizie – racconta – e condividere le sue preoccupazioni per la sua famiglia e le persone del suo villaggio che sono senza cibo”. Ha aperto una pagina facebook e inviato e-mail per pubblicizzare la situazione precaria di questo villaggio. Ciò ha dato inizio a una grande generosità non solo dagli abitanti del suo quartiere ma anche altrove. Gli amici e la famiglia di questo collega ora possono comprare da mangiare e aiutare anche i più poveri. In Egitto tutto è chiuso per il lockdown, anche il lavoro della fondazione “United World” che attraverso progetti di sviluppo in favore di persone che vivono situazioni di fragilità sociale, trasmette la cultura della “fraternità universale”. “Cosa fare e dove possiamo aiutare?” si son chiesti. E così, nonostante il lockdown e “attraverso le comunità di varie chiese, moschee e altre organizzazioni sociali, siamo stati in grado di allargare il gruppo di persone da aiutare: famiglie dei quartieri più poveri del Cairo, vedove, orfani, persone singole e anziani, rifugiati dall’Etiopia, dall’Eritrea, dal Nord e dal Sud Sudan. Oggi riusciamo a preparare 700 confezioni di alimenti di prima necessità. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a 1.000 pacchetti”. Nella Repubblica democratica del Congo i Gen di Kinshasa hanno avviato una comunione dei beni costituendo un fondo per poter aiutare i più bisognosi e nove famiglie hanno ricevuto sapone, zucchero, riso e mascherine. Queste testimonianze sono andate ben oltre l’aiuto finanziario: come sostiene Ròisìn da Taiwan, “anche i tempi più bui possono essere illuminati dall’amore e dalla solidarietà, e anche se isolati gli uni dagli altri, siamo più vicini alla realizzazione di un mondo unito.”

Lorenzo Russo

Se vuoi dare il tuo contributo per aiutare quanti soffrono degli effetti della crisi globale del Covid, vai a questo link (altro…)

Farsi prossimi nella quotidianità

Prendersi cura degli altri ricostruisce la comunità: è l’esperienza di Teresa Osswald, che nella città di OPorto, in Portogallo è animatrice di un piccolo gruppo di bambini. Fare attenzione a ciò che accade intorno a noi. Dedicare tempo ed energie a chi è nel bisogno. Mettersi nei panni dell’altro e condividerne gioie e fatiche. Spesso, amare chi ci sta accanto significa entrare nelle maglie del quotidiano e farsi prossimi. È l’esperienza di Teresa Osswald, che nella città di OPorto, in Portogallo è animatrice di un piccolo gruppo di bambini. Come tutti gli anni, quando la scuola chiude per le vacanze estive i bambini si godono il riposo all’aria aperta: chi al mare, chi in montagna, chi in città. Ve ne sono alcuni però che non hanno questa possibilità perché le loro famiglie vivono difficoltà economiche o non hanno familiari o amici che possano aver cura di loro mentre i genitori sono a lavoro. Quindi sperimentano una condizione di isolamento sociale anche perché vengono da Paesi lontani, con culture, tradizioni e religioni diverse. È la storia di tre bimbi portoghesi, i cui genitori sono originari delle Isole di S. Tomé, nella costa occidentale dell’Africa. Le vacanze in genere le trascorrono a casa, da soli e senza fare niente. Anche quest’anno sarebbe andata così se Teresa non avesse fatto proprio il loro disagio. Come per altri bimbi e altre famiglie nelle stesse condizioni. “Avevo una gran voglia di avere una risposta per tutte queste situazioni – racconta – Almeno per una famiglia siamo riusciti ad averla: a fine luglio avevo parlato ad un’amica di questi tre bambini che avrebbero trascorso il mese di agosto da soli a casa. Il giorno dopo mi fa arrivare delle informazioni sui campi estivi della nostra città”. Ma i posti sono pochi, la richiesta arriva tardi e non è chiaro se i bimbi possano partecipare. Teresa affida tutto a Dio: “sia fatta la tua Volontà”. Così i posti si trovano e anche il costo del campo viene sostenuto dalla comunità dei Focolari presente in città. Chi dona una somma poi sperimenta altrove un qualche “ritorno”. É il Vangelo che si compie, pensa Teresa: “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38). C’è poi la necessità di accompagnare i bimbi al campo al mattino e di riportarli a casa la sera. Non è facile trovare il tempo fra gli impegni quotidiani, ma Teresa si offre lo stesso: “vedo tre bambini felici che corrono verso la mia macchina. Non resta che stringere i lacci delle scarpine della più piccolina ed è tutto a posto”. Dopo una settimana arriva una telefonata: è una persona amica che le viene in aiuto e si offre di accompagnare i bimbi al suo posto. “Ed è stato così che, con un piccolo contributo di tanti – spiega – questi bambini hanno avuto l’opportunità di nuotare, ballare, socializzare, invece che restare chiusi in casa. Soprattutto, hanno avuto l’opportunità di contagiare insegnanti e altri bambini con la loro gioia e grande generosità”. E che bello sentire anche la gioia della mamma, commossa e grata. “Parole così forti che mi hanno lasciata scossa – confida Teresa – interessarci per tutto ciò che accade accanto a noi e il prenderci cura dell’altro ci ha fatto costruire un pezzetto di mondo unito nella nostra comunità”.

Claudia Di Lorenzi

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Siria: il pericolo del lavoro minorile

Dieci anni di guerra, i limiti dovuti all’embargo e la pandemia da Coronavirus, hanno imposto alla popolazione siriana delle condizioni di vita al limite della povertà favorendo il riemergere del fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile. “Dopo quasi una settimana di quarantena sono rimasta sorpresa al vedere uno dei nostri studenti vendere verdura in auto”. Dall’esperienza di una delle insegnanti del doposcuola “Generazione di speranza” di Homs, del programma “Emergenza Siria”, nasce l’attenzione verso il fenomeno in crescita dello sfruttamento del lavoro minorile. Secondo quanto riportato dai nostri operatori, in passato si conoscevano alcuni casi in cui gli adolescenti venivano impiegati in lavori manuali, ma oggi, è diminuita l’età dei ragazzi impiegati per la vendita di verdure ai mercati oppure come operai, barbieri, camerieri nei fast food o in fabbrica. Quando vengono interpellati i genitori, le risposte sottolineano come questa pratica sia quasi inevitabile viste le condizioni economiche e la grande incertezza sul futuro. Alcuni ritengono che oggi sia più importante imparare un lavoro invece di stare a casa (a causa della pandemia) oppure spiegano come quelle attività siano necessarie per aiutare il bilancio famigliare, non più sostenibile con il solo lavoro, spesso saltuario, dei genitori. Durante la quarantena imposta per fronteggiare il Covid19, gli operatori e gli insegnanti del doposcuola di Homs si sono impegnati a seguire i ragazzi anche a distanza, nonostante non sia sempre stato agevole: molti vivono in case affollate e la disponibilità di dispositivi digitali e della rete non è alla portata di tutti. Questo distacco ha alimentato la fragilità dei ragazzi e la scelta da parte dei genitori di impiegarli in questi lavori. Per questa ragione nel breve periodo di ripresa, a luglio, il doposcuola di Homs ha organizzato alcuni incontri per indagare il fenomeno e far capire quanto sia importante preferire l’istruzione al lavoro minorile, anche in condizioni di gravi difficoltà economiche. Da quegli incontri è emerso che i bambini pur non volendo lavorare, sentono la responsabilità di contribuire alle spese famigliari oltre al timore che i datori di lavoro, di fronte a un loro rifiuto, possano danneggiare i genitori. Il centro è stato nuovamente chiuso a causa dell’espandersi del Coronavirus, ma, appena possibile, operatori e insegnati riprenderanno il loro lavoro consapevoli di quanto questo possa contribuire a combattere la pratica del lavoro minorile e garantire ai ragazzi di Homs il supporto per ricevere l’istruzione adeguata per costruire il loro futuro.

 Dal sito Amu – Azione per un mondo unito

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Agire nel mondo

Emmanuel e Annick del Movimento dei Focolari dedicano il loro tempo libero alla Croce Rossa francese. Fin dall’inizio della crisi sanitaria causata dal coronavirus, su tutto il territorio francese sono state avviate operazioni di sostegno alle persone in difficoltà. Questa coppia di coniugi ha aiutato in due di esse. La prima azione consisteva nell’organizzare la consegna di medicinali o di generi alimentari a persone che non erano in grado di fare la spesa da sole. Ingegnere dell’Università di Strasburgo, Emmanuel ha trascorso il suo periodo di volontariato lavorando quasi a tempo pieno per coordinare l’operazione per l’intera provincia del Bas-Rhin (attorno alla città di Strasburgo). “Organizzare le squadre e facilitare il flusso di informazioni – ci dice – è stato un grande lavoro logistico. Anche se a volte non riuscivo ad uscire di casa per tre giorni, non mi sentivo solo. Al contrario posso dire di aver piuttosto la frustrazione di lavorare sodo senza vedere quasi mai i beneficiari del mio lavoro». In quel periodo, le richieste sono esplose, soprattutto di cibo. Infatti, molte associazioni di assistenza sociale hanno dovuto chiudere, perché la maggior parte dei loro volontari erano costretti a rimanere a casa a causa della loro età. L’altra operazione è stata lanciata dal 29 aprile al 31 luglio 2020 dal Parlamento europeo a Strasburgo, con la decisione di riaprire le sue cucine per preparare 500 pasti al giorno. La Prefettura era responsabile della ricerca dei beneficiari dei pasti a livello locale e la Croce Rossa francese della consegna. Annick, che ha continuato il suo lavoro di infermiera e la sua attività di volontariato, dice: “Vedevamo le persone felici di ricevere qualcosa. Anche se alcuni sono rimasti sorpresi e increduli – pensando a controlli nascosti – c’era molta attesa per quei pasti”. “Le istituzioni hanno investito enormemente nel cuore della crisi”, osserva Emmanuel. Cosa significa questo impegno per Emmanuel e Annick? “Mi nutro della spiritualità dei Focolari, ma l’espressione della nostra vita è nella società, è dare (e dare di noi stessi) concretamente nel mondo”, risponde Annick. Emmanuel aggiunge: “È importante non restare nel nostro angolo, tra persone dei Focolari, ma agire nel mondo. Inoltre, i sette principi della Croce Rossa che sono l’umanità, l’unità, l’universalità, la neutralità, l’indipendenza, l’imparzialità e il servizio volontario sono molto in consonanza con l’”arte d’amare” e la “Regola d’oro”. “Nel contesto teso della crisi, la qualità delle relazioni umane tra volontari e beneficiari sul campo e nell’organizzazione è stata importante. Per esempio, ho fatto da mediatore tra i volontari quando sono sorte delle tensioni. Il carisma dell’unità dei Focolari mi è stato di grande aiuto per comprendere le situazioni, perdere la mia idea, vivere bene il momento presente”, condivide Emmanuel. “Questo periodo ha fatto emergere il buono o il cattivo che è in noi” osserva Annick. Suo marito è lieto di constatare che ha generato nuove idee per l’azione, in particolare in relazione al divario digitale o alla povertà relazionale. “La grande lezione della pandemia per molti è la consapevolezza che non possiamo vivere l’uno senza l’altro – dice. L’interdipendenza è stata la grande battaglia di Chiara Lubich alla fine della sua vita … Il mio ottimismo mi porta a credere che più persone saranno coinvolte nelle associazioni e svilupperanno il loro senso del volontariato”.

Émilie Tévané

Fonte: Nouvelle Cité, N°604, luglio-agosto 2020, p. 41. (altro…)