Movimento dei Focolari
Brasile – cambio di strategia contro il Covid

Brasile – cambio di strategia contro il Covid

Se da un lato il Governo dimostra incapacità nel condurre i brasiliani verso il superamento della crisi, dall’altro si va tessendo un’impressionante rete umanitaria. Un approfondimento a cura del caporedattore di Cidade Nova. Quando ho iniziato a scrivere questo articolo, più di 51 mila persone erano già morte in Brasile, vittime di Covid-19, dal mese di marzo quando la malattia è arrivata nel Paese. Inoltre, è stato stimato che oltre 1 milione di persone siano già state contagiate. Questo senza considerare i casi non ufficialmente segnalati. Nelle città in cui è stata recentemente consentita una certa apertura alla circolazione, il numero di nuovi casi è aumentato in modo significativo. A parte la buona notizia che la maggior parte di queste persone è sopravvissuta al nuovo coronanvirus, il numero di morti è spaventoso. Per gli specialisti in generale, le posizione del Governo federale nella lotta contro la malattia e la mancanza di consapevolezza di molti cittadini brasiliani sulla pericolosità del Covid-19, insieme, spiegano questa situazione disastrosa.

Foto: Magnificat

Per quanto riguarda il comportamento della popolazione, sembra che molte persone si convincano della facilità di contagio o addirittura del pericolo di vita, solo quando una persona a loro vicina è vittima della malattia. Altri rischiano i contatti in pubblico, anche coscienti del problema, perché non riescono a trovare un altro modo per mantenere la propria famiglia. Non tutti infatti possono lavorare da casa. In realtà, il tasso di disoccupazione sta crescendo rapidamente e una recessione acuta tende ad essere inevitabile, così come il collasso dell’economia. Per quanto riguarda la posizione del Governo federale, il presidente Jair Messias Bolsonaro è quotidianamente e duramente criticato per non aver agito a favore della popolazione sia per proteggerla che per salvaguardare chi è vittima del contagio, soprattutto la grande massa della popolazione economicamente più vulnerabile. Contrariamente a quanto sostengono gli esperti di tutto il mondo, egli insiste nel chiedere alle persone di uscire dall’isolamento sociale e di tornare alle loro normali attività, con la giustificazione che tutti noi “moriremo di fame se l’economia si fermerà”. Sulla scia di questa posizione, Bolsonaro ha criticato i Governatori e i Sindaci dello Stato per aver insistito sul confinamento sociale; ha attaccato la stampa con la giustificazione che la divulgazione dei dati sulla malattia viene travisata e ha persino incoraggiato i suoi sostenitori più radicali a invadere gli ospedali per dimostrare che ci sono dei letti liberi, contrariamente a quanto riportato dai media in generale.  Anche il ritardo nella pubblicizzazione del bilancio dei morti sembra riflettere questo atteggiamento del Presidente nella lotta contro l’isolamento sociale, finora l’unica pratica sicura e raccomandata per prevenire il contagio da coronavirus. Oltre al fatto che, dopo aver perso due medici che occupavano la carica di Ministro della salute, in questo momento questo ministero, cruciale per il contesto attuale, è provvisoriamente guidato dal generale dell’esercito Eduardo Pazzuelo, paracadutista in formazione e senza alcuna conoscenza o esperienza nel campo della sanità pubblica o privata. Vale la pena notare che il Brasile ha un sistema sanitario pubblico considerato un modello dagli specialisti di tutto il mondo, il SUS (Unified Health System). Tuttavia, a lungo indebolito dalla mancanza di investimenti e di politiche pubbliche adeguate, questo sistema si è rivelato insufficiente a servire la popolazione, soprattutto i più bisognosi. I più accaniti sostenitori del Presidente brasiliano seguono le idee di Bolsonaro, sostenendo che è stato eletto democraticamente (e questo va rispettato), che i media indicano solo ciò che considerano negativo del Governo (e non mostrano mai il bene che ha fatto) e, peggio, non presentano la realtà dei fatti. Alla fine, il bilancio di questo scontro è che, di fatto e ancora una volta, è la popolazione brasiliana in generale, soprattutto i poveri, a perdere. In realtà, la storica disuguaglianza sociale del Brasile è stata esacerbata dalla crisi sanitaria ed economica causata dalla pandemia di Covid-19. Una consolazione e una speranza di fronte a questo quadro complesso, nasce da una rete silenziosa di eroi anonimi che si accettano di correre rischi e non misurano gli sforzi per aiutare coloro che più hanno bisogno e soffrono a causa di questa crisi senza precedenti.

Foto: Centro Social Roger Cunha Rodrigues

Solidarietà in rete Appena iniziata la pandemia di Covid-19, molte persone, gruppi e istituzioni civili e religiose in Brasile, come in altre regioni del mondo, si sono rimboccate le maniche e hanno cominciato a mobilitarsi per aiutare i più vulnerabili in questa situazione: gli anziani, i malati, i poveri e altri. Una grande rete di solidarietà si è tessuta in tutto il Paese, guidata da eroi anonimi, tra i quali molti sono diventati veri martiri, vittime fatali della malattia. Questo senza contare il lavoro dei professionisti della salute e di altri (come coloro che operano nel campo della sicurezza, dei trasporti, i commercianti di alimenti e medicinali) che si pongono in prima linea in questa lotta contro il coronavirus. Questi gesti di solidarietà possono essere semplici, originali e di proporzioni diverse: vale la pena sia fare la spesa per il vicino anziano che distribuire cibo alle persone  che vivono in strada. Vidal Nunes, ad esempio, docente universitario, della città di Vila Velha (stato di Espírito Santo) ha preparato una grande pentola di zuppa e ha deciso di offrirla ai vicini. L’iniziativa ha contagiato una di queste persone che si è proposta di formare un gruppo di mutuo aiuto tra i residenti del condominio.

Foto: Instituto Mundo Unido

Anche gli enti che si dedicano ad opere sociali hanno iniziato a concentrare gli sforzi per aiutare le persone più colpite da questa crisi. Un esempio di questo lavoro è l’iniziativa congiunta di Obra Lumen e Fazenda da Esperança, a cui hanno aderito diversi altri enti, che ora accolgono i residenti senza fissa dimora in diverse regioni del Brasile. Altre organizzazioni – come l’Associazione Nazionale per l’Economia di Comunione (Anpecom) – hanno mobilitato aziende e imprenditori associati e simpatizzanti per realizzare una comunione di risorse nell’aiutare le famiglie povere. Nel Distretto Federale e nella città di Goiânia, nella regione centro-occidentale del Paese, un gruppo di persone di età diverse, legate al Movimento dei Focolari, ha organizzato e avviato il Progetto Be Light, attraverso il quale ha portato aiuto materiale e guida alle famiglie in difficoltà e anche ad un villaggio indigeno della regione.  La rivista Cidade Nova ha rilevato che, tra la fine di marzo e la fine di aprile di quest’anno, secondo i calcoli dell’Associazione Brasiliana per l’Acquisizione delle Risorse, sono stati effettuati 1,1 miliardi di reais (circa 165 mila euro) in donazioni da parte di banche e aziende. La solidarietà non è solo in termini di aiuti materiali. C’è anche chi ha deciso di mobilitarsi per aiutare i propri amici ad assumere un comportamento sano durante il periodo di isolamento. È il caso dell’insegnante di Educazione Fisica, Renata Castilho Leite, della città di São José dos Campos (Stato di San Paolo), che ha deciso di registrare più di 40 piccoli video con le linee guida per l’esercizio fisico che tutti possono fare a casa.

Foto: Associação de Atendimento a Criança e ao Adolescente

C’è ancora chi accetta di correre dei rischi o di superare gli ostacoli per agire in modo solidale. Uno di questi esempi viene dalla direttrice della scuola pubblica Cleusa Regina de Vargas Araújo, del piccolo Garuva (interno dello stato di Santa Catarina, regione meridionale del Brasile). Quando si è resa conto che molti dei suoi studenti non avevano accesso ad Internet e non potevano continuare gli studi a distanza durante il periodo di isolamento sociale, non ha avuto dubbi: ha percorso fino a  6 chilometri per consegnare materiale e pasti scolastici di casa in casa. Oltre a questo gesto di donazione materiale, la preside ha voluto donare il proprio tempo e la sua attenzione agli studenti e ai parenti che hanno trovato in lei qualcuno in grado di accoglierli. A giudicare da questa e da migliaia di altre esperienze, che non faranno notizia, in tempi di distanziamento sociale, questo incontro tra le persone non è mai stato così importante per un Paese che ha bisogno di cambiare strategia contro il coronavirus.

Luís Henrique Marques

Redattore capo della rivista Cidade Nova

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Peru – A Dio non sfugge nulla

Peru – A Dio non sfugge nulla

La storia di Ofelia, emigrata con la famiglia dal Venezuela in Perù, ora impegnata con la comunità dei Focolari ad aiutare i suoi connazionali in difficoltà, aggravata dalla pandemia. Nel contesto della campagna solidale che come Movimento dei Focolari portiamo avanti con i migranti venezuelani in Perù, in questo periodo dobbiamo trovare nuove strategie per riuscire a raggiungerli nelle loro abitazioni. Costatiamo che più di ogni altra cosa hanno bisogno di essere ascoltati. A volte non è facile perché non si tratta di una o due famiglie ma tante e aumentano ogni giorno. La Parola di vita del mese mi aiuta perché mi spinge ad andare verso il fratello ricordando che in ciascuno trovo Gesù stesso. Una mattina mi chiama una donna venezuelana e piangendo mi racconta di sua figlia. Dovrà partorire nei prossimi giorni ma la stavano sfrattando. La ascolto per un’ora, finché si calma. Mi viene da dirle qualcosa, ma penso: “Devo solo amarla, lei ha bisogno di sfogarsi”. Alla fine mi dice: “Bene, mi sono scaricata”. A quel punto posso orientarla nel trovare l’aiuto di cui ha bisogno. Credevo che durante la quarantena il nostro impegno per i migranti si sarebbe fermato, invece è stato proprio il contrario. Ad esempio il lavoro che portiamo avanti con CIREMI (Commissione Interreligiosa per i Migranti e i Rifugiati), ci impegna abbastanza ed è stata l’occasione per conoscerci di più. Di questa commissione fanno parte alcuni religiosi scalabriniani, cristiani di diverse denominazioni, la Comunità Ebraica, alcuni musulmani, una suora cattolica e noi dei Focolari. Mentre ci domandavamo come arrivare ai più vulnerabili sono iniziate a giungerci richieste di abiti e coperte. Non potendo uscire abbiamo inviato in taxi i vestiti donati dalla comunità dei Focolari di Lima, fino ad un punto della città dove potessero raccoglierli. E proprio al momento giusto sono arrivati anche degli abiti per neonati per due famiglie con due bimbi appena nati. Con le coperte arrivate da ACNUR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati), ente con il quale c’è una stretta collaborazione, siamo riusciti a coprire altre necessità. È sorprendente vedere come arrivi ciò che le persone chiedono: a Dio non sfugge nulla! Un giorno mi telefona Carolina, dirigente della Comunità Ebraica, e mi comunica che alcune famiglie ebree sono in partenza per Israele e che le lasciano degli abiti e altri oggetti. Quando lei ha saputo che il nostro Centro raccoglie questi oggetti per i venezuelani, è stata felice perché non sapeva a chi dare ciò che aveva in deposito. Non solo: lei stessa ha voluto pagare il taxi per inviarci tutto. Durante la nostra telefonata sentivo che dovevo interessarmi di lei, chiederle delle sue gemelle ed è nata una conversazione che mi ha fatto venire in mente un paragrafo della Parola di vita: “È un’amicizia che diventa una rete di relazioni positive e che tendono a far diventare realtà il comandamento dell’amore reciproco, che costruisce la fraternità”. Nello scambio con questa sorella ebrea avvertivo che questo si realizzava tra noi. È bello vedere che la fraternità è contagiosa, perché poi le persone alle quali inviamo i vestiti e le coperte ci inviano delle foto e scrivono: “La mia vicina di casa aveva bisogno di vestiti e ho condiviso con lei parte di quanto mi avete mandato”. Si crea così una catena nel pensare ai bisogni dell’altro e in questo modo la fraternità va avanti anche durante la quarantena.

di Ofelia M. raccolta da Gustavo Clariá

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Nella pandemia piccoli passi di fraternità

Nella pandemia piccoli passi di fraternità

Continuiamo a condividere le storie di solidarietà di tanti di noi, delle comunità dei Focolari nei Paesi che ancora stanno affrontando la battaglia contro il Covid-19.  Se in alcuni Paesi si è tornati “quasi” alla normalità, in altri invece è ancora alto il livello di pandemia. Nonostante ciò continuano ad arrivare storie di fraternità dalle comunità dei Focolari in giro per il mondo. Il Brasile è attualmente il paese più colpito dal Covid. Anche la comunità dei Focolari non ha mai smesso di pensare a chi è più in difficoltà e sono nate azioni e collaborazioni, anche in rete con altre organizzazioni, per sostenere chi è più colpito. Le diverse comunità di Focolari sparse in tutto il Paese hanno innanzi tutto rivolto lo sguardo al loro interno, a chi tra loro stava soffrendo. E’ stato fatto un veloce censimento dei più bisognosi e, attraverso la comunione e il sostegno economico o materiale, si prevede di riuscire a sostenere chi è maggiormente in necessità per almeno due o tre mesi. Inoltre gli imprenditori per un’Economia di Comunione hanno avviato una raccolta fondi per le comunità più carenti. Dagli Stati Uniti Matteo racconta: “Quando il Covid-19 iniziò qui la sua terribile e rapida diffusione, come staff della rivista Living City e New City Press ci siamo chiesti: cosa possiamo fare, oltre a seguire tutte le linee guida delle autorità civili? Come possiamo aiutare le persone a superare la crisi? Immediatamente fu chiaro che il “distanziamento sociale” non avrebbe dovuto impedire a noi e agli altri di amare. Così abbiamo creato una serie di video, webinar e interviste con l’hashtag #DareToCare, per ispirare e incoraggiare tutti a mettersi in contatto durante queste settimane impegnative. Abbiamo chiesto alle persone di condividere in un video di 1-2 minuti come “osano preoccuparsene”. Così una donna ha raccontato che, mentre faceva shopping ha visto la gente presa dal panico. Tuttavia, invece di acquistare due grossi pacchi di pollo appena arrivati ​​al supermercato, ne ha preso solo uno per lasciare ad altri la possibilità di comprare il pollo. Un farmacista invece ha deciso di rimanere aperto per servire i suoi clienti, ma non aveva dispositivi di protezione: “Quando è iniziata la crisi, non avevamo quasi maschere e guanti”, ha detto. Quindi ha condiviso le sue preoccupazioni con i suoi clienti, che hanno portato loro delle maschere che potevano risparmiare. E ancora una famiglia di cinque persone ha registrato la sua nuova routine quotidiana: lavorando e prendendo lezioni online da casa, la figlia si allena per mantenersi in forma per l’atletica leggera del prossimo anno, mentre tutti provano nuove ricette per amare i vicini più vicini a casa. E i video continuano ad arrivare!” Ulrike, medico psichiatra racconta: “sono impiegata presso l’ufficio sanitario di Augsburg in Germania. Attualmente sono impegnata al telefono per i cittadini. Una volta mi sono impegnata in modo particolare per una signora che ha telefonato. Ho insistito per venire incontro alla richiesta della signora, finché finalmente sono riuscita a procurarle un’informazione importante. Nel pomeriggio arriva una e-mail: “Cara dottoressa, io e mio marito desideriamo ringraziarla ancora una volta di tutto cuore per il suo straordinario impegno. Se tutti si comportassero bene e si rendessero disponibili come lei in questo periodo così difficile, ci sarebbero meno problemi”. Da Buenos Aires, Argentina, Carlos racconta che “Da luglio 2019 la comunità ebraica Bet El, dopo la morte per il freddo di un senzatetto, ha avviato una campagna in aiuto dei poveri dal nome ‘non avere freddo di fronte al freddo’. I nostri amici cristiani, in particolare i nostri fratelli focolari sono venuti ad aiutarci per condividere il cibo per i senzatetto. Il nostro non è dialogo, è vita condivisa”. Con il coronavirus non potevano più uscire per strada. Cosa fare? “Così è nato il progetto ‘Un piatto in più per le quarantene affamate’. Ancora una volta insieme, ebrei e cristiani, la Bet El Community e i Focolari si sono imbarcati nel sacro compito di amare il nostro prossimo e di non trascurarlo” conclude Carlos. A Montevideo in Uruguay, una direttrice di scuola elementare racconta: “Attraverso una partnership con lo Stato aiutiamo i bambini di 48 famiglie per dare loro il pranzo. Con la sospensione delle lezioni per il Covid, è sorto il problema dell’alimentazione per questi bambini. Ho iniziato a pregare e ad avere più fiducia in Dio. E così, grazie ad una fondazione e ad alcuni amici dell’Inda (Istituto Nazionale per l’alimentazione) sono arrivate risorse per distribuire cesti alimentari per almeno un mese”.

Lorenzo Russo

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Filippine: la Mariapoli va online

Filippine: la Mariapoli va online

“La necessità aguzza l’ingegno”. E’ sulla scia di questo detto che il 14 e 15 maggio scorso la comunità dei Focolari dell’area metropolitana di Manila ( Filippine) ha organizzato la prima Mariapoli Online. “Eravamo sull’orlo della separazione. Essendo bloccati, noi due soli, abbiamo sentito di dover affrontare i nostri problemi, mettere da parte le nostre differenze e ricominciare da capo. Grazie per tutto il vostro amore”. Questo è solo uno dei tanti feedback che abbiamo ricevuto da coloro che si sono registrati e hanno partecipato via Zoom alla prima Mariapoli online del 14 e 15 maggio 2020 nelle Filippine. L’inaspettata quarantena diventata comunitaria a causa del Covid-19 ci ha spinto a cercare i mezzi per far sì che il nostro popolo si connettesse e si nutrisse della spiritualità dell’unità. L’idea ci è venuta in seguito alla trasmissione Online della S. Messa per un piccolo gruppo dei membri del Focolare che ben presto è risultato essere un appuntamento quotidiano per circa duemila persone. Sentivamo che, se da un lato non avevamo più la possibilità di fare i nostri progetti per “celebrare e incontrare” Chiara nel suo centenario, dall’altro Dio ci apriva questa strada che ci consentiva di farlo anche se a piccoli pezzi! Dall’entusiasmo dei partecipanti alla Messa, espresso attraverso i messaggi sulla chat di Facebook, è stato chiarissimo che anche in soli 30 minuti online era possibile fare un’esperienza di Dio! Nel frattempo abbiamo avuto le nostre prime esperienze con Zoom, ad esempio durante la Settimana Mondo Unito e la Run4Unity. Abbiamo sentito di dover “andare” in Mariapoli, per stare con e accanto alla nostra gente, in questo momento così difficile. Non sarebbe stato facile: i “Mariapoliti” erano a casa, con tutte le distrazioni e molto probabilmente alle prese con molte cose da fare contemporaneamente: bambini da accudire, pasti da cucinare, faccende da sbrigare, ecc. Anche le disparità di rete in un paese in via di sviluppo come il nostro sono una grande sfida. Per questo la nostra Mariapoli doveva durare solo 2 giorni, e ogni volta solo 2 ore. Abbiamo anche pensato di cambiarle nome per gestire le aspettative della gente. Ma alla fine tutti noi volevamo che fosse proprio “Mariapoli”, come tutte le Mariapoli vissute. E volevamo che non fosse un Webinar, ma una Mariapoli, una Città di Maria, perché sentivamo il bisogno di aver Maria tra noi, di essere Lei, come ci ha insegnato Chiara, per portare Gesù in mezzo alla nostra gente, affinché questa esperienza potesse illuminare la loro esperienza della pandemia. Le persone registrate erano più di 950, non solo da tutte le Filippine, ma anche da diversi Paesi asiatici, dall’America Latina, dal Canada, dagli Stati Uniti e alcuni dall’Europa. Il programma, disponibile in Live-Streaming per un numero infinito di partecipanti, prevedeva canti, esperienze legate all’attuale situazione pandemica, input spirituali e un’ora di comunione profonda in gruppi. Un partecipante ha ben espresso che cos’è stata questa Mariapoli: “E’stata davvero un segno concreto dell’amore di Maria per tutti noi!  Come nostra madre, lei conosce davvero i nostri bisogni personali e condivisi. Attraverso il tema scelto, i discorsi, le esperienze e i canti, ci ha nutrito con il giusto cibo e le giuste vitamine sia per il corpo che per l’anima”.

Romé Vital

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Quale futuro in Libano?

Quale futuro in Libano?

Il Paese dei cedri s’interroga sulle possibili vie d’uscita dalla grave crisi politico-economica-sanitaria che è scoppiata di recente. La speranza non muore mai in una terra che di traversie ne ha avute a non finire Per la recente Settimana per un Mondo Unito, la comunità dei Focolari libanese si è voluta interrogare, giovani e adulti, sulle prospettive difficili di una profonda perturbazione che attanaglia il Paese. Sono in effetti varie crisi che si sommano: quella politico-sociale, iniziata il 17 ottobre scorso, con la thaoura, la rivoluzione di popolo, scatenatasi contro una classe dirigente del Paese accusata di corruzione e di incapacità nella gestione pubblica; quella economica, che ha mostrato la sua profondità nel marzo scorso, quando il governo ha dichiarato di non poter rimborsare un suo debito di 1,2 miliardi di dollari con l’Unione europea, e in queste ultime settimane con il crollo della lira libanese che, scambiata qualche mese fa a 1500 lire per dollaro, oggi viaggia sui 4000 e più; infine, la crisi sanitaria dovuta al coronavirus, che non ha avuto diffusione eccessiva (meno di mille contagiati per meno di 30 morti) ma che ha comunque portato il Paese a una lunga segregazione, non ancora terminata. Per questa situazione, soprattutto i giovani sembrano voler riprendere una vecchia tradizione del Paese, cioè l’espatrio per mancanza di prospettive. Va ricordato che per 4 libanesi che abitano nel territorio mediorientale, ce ne sono circa 12 sparsi in tutto il mondo, analogamente a quanto accade per tanti popoli vicini, in particolare ebrei, palestinesi ed armeni. L’emigrazione è particolarmente dolorosa per i libanesi, che ritengono di avere (ed è vero) un Paese magnifico, ricco di storia e di bellezze naturalistiche, crocevia mediorientale di ogni tipo di traffici e commerci, patria di Premi Nobel e grandi mercanti, cineasti e scrittori, santi e scienziati. E poi va sottolineato come la diaspora sia un affare dolorosissimo, visto l’incredibile attaccamento alla famiglia che i libanesi manifestano ad ogni occasione. In questo contesto, i Focolari locali hanno organizzato un Webinar, cui hanno partecipato circa 300 persone di diversi Paesi, dal Canada all’Australia, alla Spagna e all’Italia, dal titolo esplicito: “Costruire un futuro vivendo per la fraternità”. Due avvocatesse, Mona Farah e Myriam Mehanna, hanno voluto presentare una delle più gravi minacce che si stanno sopportando in Libano, cioè la pericolosa assenza di certezza del diritto. Nel contempo il Libano ha delle capacità notevoli nel trovare le soluzioni più adatte alla complessità del panorama e ha una tradizione antichissima di capacità giuridiche. Si comprende quindi il desiderio di espatriare dei suoi giovani, anche se va riscontrata la volontà di tanti di rimanere per costruire un Libano più unito e fraterno, in un contesto in cui esistono 18 comunità confessionali, riunite da un sistema politico di “democrazia confessionale” unico al mondo. Sono seguite naturalmente le testimonianze di due coppie ancora giovani che una dozzina d’anni fa hanno deciso di tornare in patria, dopo alcuni anni di esperienze lavorative all’estero, per contribuire alla ricostruzione del Paese dopo la guerra cosiddetta civile. Così Imad e Clara Moukarzel (che lavorano nel sociale e nell’umanitario) e Fady e Cynthia Tohme (entrambi medici) hanno testimoniato che sì, è possibile rimanere o tornare per non cedere un Paese ricco come il Libano alle forze più retrive. Tony Ward, imprenditore nel campo dell’alta moda, ha poi raccontato la sua decisione di tornare in patria vent’anni fa, pur lavorando in un ambiente naturalmente mondializzato. Ha raccontato anche come, nella crisi del coronavirus, abbia riconvertito per alcune settimane la sua produzione verso la preparazione di lenzuola, mascherine e tute per gli ospedali libanesi che trattano i casi di coronavirus. Da parte sua, Tony Haroun, dentista da più di trent’anni in Francia, ha voluto raccontare le difficoltà degli espatriati, soprattutto culturali, ma ha anche sottolineato come la disponibilità di ascoltare la voce di Dio permetta di superare ogni sorta di ostacoli. Ancora, Michele Zanzucchi, giornalista e scrittore basato in Libano, ha voluto evidenziare tre qualità del popolo libanese che potranno essere di grande aiuto nell’attuale emergenza: la resilienza, cioè la capacità di resistere agli urti senza spaccarsi; la sussidiarietà, cioè la capacità a sostituire lo Stato quando questi non riesce ad assicurare i servizi essenziali; e infine la creatività, di cui i libanesi sono grandi estimatori, creando un’infinità di progetti umanitari, economici, commerciali, politici e via dicendo. Youmna Bouzamel, giovane moderatrice del Webinar, ha voluto sottolineare in conclusione come il Libano sembri veramente fatto per accogliere il messaggio della fraternità, sola vera possibilità che ha tra le mani. Se Giovanni Paolo II aveva definito il Libano non tanto “un’espressione geografica” quanto “un messaggio”, oggi questo messaggio è innanzitutto un annuncio di fraternità. Grandi ideali e realismo coniugati assieme.

Pietro Parmense

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Medico tra fede e lavoro

Gabriela Bambrick-Santoyo è un medico di Medicina Interna. È nata e cresciuta a Città del Messico ed è membro attivo e impegnato della comunità dei Focolari dal 1987. Attualmente lavora come Direttore del Programma Associato del reparto di Medicina Interna in un ospedale nel Nord del New Jersey, oggi un punto caldo dell’attuale pandemia di coronavirus COVID-19. Ecco un estratto dell’intervista realizzata da cruxnow.com Gabriela, puoi dire qualcosa su come la tua fede cattolica e la spiritualità dei Focolari ispirano la tua vocazione a essere medico? La mia vocazione di cattolica, e facente parte del movimento dei Focolari, e la mia vocazione di medico sono inseparabili. Sono nata cattolica e ho conosciuto il Movimento dei Focolari quando avevo circa diciotto anni. Questo incontro ha cambiato la mia vita perché è stata la prima volta che sono stata spinta a vivere concretamente quel vangelo dell'”ama il tuo prossimo come te stessa”. Questo mi ha profondamente cambiata ed è stato ciò che ha guidato le mie azioni, sia come persona che come medico. Com’è stato essere in prima linea nella pandemia COVID-19 in un punto caldo del New Jersey? Ha messo a dura prova la mia fede. Soprattutto la paura della morte. Diventa una possibilità molto reale quando vedi tanta morte intorno a te. Una volta che dici di sì alla chiamata a dare la nostra vita per gli altri, che tutti noi come cristiani abbiamo, le grazie piovono dentro e fuori di te! Lo fanno davvero! Ho dovuto chiedermi pure cosa significasse “amare gli altri come te stessa” in questa pandemia di COVID. Quando ho iniziato a vedere i pazienti, ero piena di paura. Volevo entrare rapidamente… e lasciare la stanza il prima possibile.  Poi un colpo di scena: mia figlia, una sana diciottenne, è stata ricoverata in ospedale con il COVID. Di sera mi chiamava piangendo dalla sua stanza d’ospedale dicendo: “Mamma, ho perso tutta la mia dignità. Devo andare in bagno e non mi fanno uscire. Non vogliono entrare e continuano a spingermi nella mia stanza e a un certo punto ho pensato di dover andare in bagno sul pavimento”. Questo mi ha distrutto, Charlie, e mi ha fatto chiedere se stavo facendo qualcosa di simile ai miei pazienti. A quel punto ho deciso di cambiare in modo da dare pienamente la mia vita ai miei pazienti, di avere più comprensione e di non farli mai sentire abbandonati. Dev’essere così difficile confrontarsi con la morte al ritmo con cui l’hai vista nelle ultime settimane. Per tutti noi è così difficile anche solo immaginarla. È vero, ma a volte ci sono anche delle grazie. Una delle mie pazienti era una novantunenne molto malata, che in sostanza sapeva che sarebbe morta a causa del COVID-19 ed era in pace. Il mio atto di misericordia è consistito nell’essere lì negli ultimi momenti della sua vita. Nel passare del tempo non solo con la mia paziente, ma anche con la sua famiglia al telefono. Non dimenticherò mai quando le ho detto che la sua famiglia le voleva molto bene e che era in pace e che sapeva che lei era pronta e mi ha stretto la mano. Questa è misericordia. Avevo un altro paziente con il quale ho avuto quella che io chiamo “situazione a doppio colpo”. Oltre ad essere un paziente COVID, era molto aggressivo, non completamente stabile e diceva che mi avrebbe dato un pugno se non avessi fatto X o Y. Non è stato immediato ricordarmi che anche questa persona è figlia di Dio e che dovevo guardarla con pazienza, amore e misericordia. Una volta che egli ha visto questo nei miei occhi, la sua rabbia ha cominciato a svanire. Sulla via del ricovero in un altro reparto, si è girato verso di me, mi ha sorriso e mi ha detto: “Tu e [l’infermiera X] siete state le uniche a dedicare del tempo a spiegarmi le cose”. Che differenza fa la sua robusta vita di preghiera e i suoi impegni teologici in riguardo a come pratica la medicina in queste circostanze? La preghiera è stata un pilastro centrale della mia vita e mi ha permesso di superare questa crisi. È nella preghiera che trovo pace e conforto.  È nella preghiera che mi trovo in Dio. Infine, partecipo agli incontri settimanali (incontri zoom) con la mia comunità dei Focolari.  Tutte queste cose insieme sono come l’armatura che mi permette di affrontare questa crisi. Qui potete leggere l’intervista completa: https://cruxnow.com/interviews/2020/04/doctor-balances-faith-work-in-coronavirus-hotspot/ (altro…)