Movimento dei Focolari
“Facciamo rivivere le nostre città”

“Facciamo rivivere le nostre città”

“Facciamo rivivere le nostre città” sarà il motto della staffetta mondiale Run4unity: ragazzi di lingue, culture e religioni diverse si sono dati appuntamento dalle 11 alle 12 a.m., domenica 9 ottobre, nei luoghi più significativi dei loro Paesi per chiedere che si realizzi al più presto la fraternità universale.

Una giornata sportiva, per testimoniare insieme l’impegno a costruire un mondo unito partendo dalle varie città e vivendo la Regola d’oro “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, presente nel Vangelo e nei libri sacri delle principali religioni del mondo. A piedi, di corsa, coi pattini, in bicicletta raggiungeranno, in tutto il mondo, posti nei quali le tensioni sono in atto, e luoghi simbolo di pace. Passeranno accanto a sedi istituzionali locali e mondiali. A Roma la staffetta si concluderà in Piazza S. Pietro, con l’atteso saluto del Papa all’Angelus. Una comunione dei beni coinvolgerà Paesi del nord e del sud del mondo: partecipando alle attività sportive i ragazzi potranno donare oggetti che saranno distribuiti, nelle città toccate dalla staffetta, ai loro coetanei più poveri o sostenere borse di studio per i ragazzi dei Paesi in guerra o in difficoltà economiche.  

In tempo reale: dalle 11 p.m. (ora italiana) di sabato 8 ottobre, alle 11 p.m. (ora italiana) di domenica 9 ottobre, aggiornamenti radiofonici in streaming e collegamenti telefonici con: Noumea (Nuova Caledonia); Coimbatore (India); Gerusalemme (Israele); Fontem (Camerun), Buenos Aires (Argentina); San Paolo (Brasile); New York (Usa).

Dal 10 al 16 ottobre, i ragazzi passeranno la staffetta ai giovani del Movimento dei Focolari, per la Settimana Mondo Unito (www.mondounito.net), appuntamento mondiale, con dibattiti, manifestazioni, serate culturali ed azioni per parlare di pace e di unità ad ogni livello, sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni all’ideale del mondo unito, realizzare brani di fraternità. Ufficio stampa e-mail: info@run4unity.net   (altro…)

Discorso di Benedetto XVI durante la veglia con i giovani

Cari giovani! Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell’Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: “Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché, sicuramente, avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d’Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone “che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio – si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa. Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori – essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s’inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode – quel Re dal quale si erano recati – con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l’esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente. Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell’Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell’amore, che sulla Croce – e poi sempre di nuovo nel corso della storia – soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all’ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso – è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio. Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali – oro, incenso e mirra – doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L’adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell’adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall’Oriente seguivano senz’altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall’alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi – un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d’essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù. Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall’Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi – noti o sconosciuti – mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto – a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l’hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l’hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare – magari nel dolore – la parola pronunciata da Dio al termine dell’opera della creazione: “È cosa buona”. Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d’Assisi, Santa Teresa d’Avila, Sant’Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell’Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo – Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa “adorare”, e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso. I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l’intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d’orientamento. L’assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l’uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore? Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l’odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell’Oriente l’hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. “Chi ha visto me ha visto il Padre”, diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta. Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l’ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell’agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell’Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia. “Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell’Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.

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Omelia di Sua Santità Benedetto XVI durante la Messa nella spianata di Marienfeld

Parole del Santo Padre all’inizio della Celebrazione

Avrei voluto percorrere col papamobile tutto il territorio in lungo e in largo per essere possibilmente vicino a ciascuno singolarmente. Per le difficoltà dei sentieri non era possibile, ma saluto ciascuno con tutto il cuore. Il Signore vede e ama ogni singola persona. Tutti noi formiamo insieme la Chiesa vivente e ringraziamo il Signore per questa ora in cui Egli ci dona il mistero della sua presenza e la possibilità di essere in comunione con Lui. Sappiamo tutti di essere imperfetti, di non poter essere per Lui una casa appropriata. Per questo cominciamo la Santa Messa raccogliendoci e pregando il Signore di rimuovere da noi tutto ciò che ci separa da Lui e separa noi gli uni dagli altri. Ci faccia così il dono di celebrare degnamente i Santi Misteri. *** Cari giovani! Davanti all’Ostia sacra, nella quale Gesù per noi si è fatto pane che dall’interno sostiene e nutre la nostra vita (cfr Gv 6, 35), abbiamo ieri sera cominciato il cammino interiore dell’adorazione. Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione. Con la Celebrazione eucaristica ci troviamo in quell’”ora” di Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni. Mediante l’Eucaristia questa sua “ora” diventa la nostra ora, presenza sua in mezzo a noi. Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il memoriale dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla schiavitù alla libertà. Gesù segue i riti d’Israele. Recita sul pane la preghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato; lo ringrazia per la propria esaltazione che si realizzerà mediante la Croce e la Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono la somma della Legge e dei Profeti: “Questo è il mio Corpo dato in sacrificio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue”. E così distribuisce il pane e il calice, e insieme dà loro il compito di ridire e rifare sempre di nuovo in sua memoria quello che sta dicendo e facendo in quel momento. Che cosa sta succedendo? Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale – la crocifissione -, dall’interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28). Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo. Ora questo è l’atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata, è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita, così che non può più essere lei l’ultima parola. È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo Corpo, perché realmente dona se stesso. Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo. Io trovo un’allusione molto bella a questo nuovo passo che l’Ultima Cena ci ha donato nella differente accezione che la parola “adorazione” ha in greco e in latino. La parola greca suona proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. Significa che libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni. Questo gesto è necessario, anche se la nostra brama di libertà in un primo momento resiste a questa prospettiva. Il farla completamente nostra sarà possibile soltanto nel secondo passo che l’Ultima Cena ci dischiude. La parola latina per adorazione è ad-oratio – contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere. Torniamo ancora all’Ultima Cena. La novità che lì si verificò, stava nella nuova profondità dell’antica preghiera di benedizione d’Israele, che da allora diventa la parola della trasformazione e dona a noi la partecipazione all’”ora” di Cristo. Gesù non ci ha dato il compito di ripetere la Cena pasquale che, del resto, in quanto anniversario, non è ripetibile a piacimento. Ci ha dato il compito di entrare nella sua “ora”. Entriamo in essa mediante la parola del potere sacro della consacrazione – una trasformazione che si realizza mediante la preghiera di lode, che ci pone in continuità con Israele e con tutta la storia della salvezza, e al contempo ci dona la novità verso cui quella preghiera per sua intima natura tendeva. Questa preghiera – chiamata dalla Chiesa “preghiera eucaristica” – pone in essere l’Eucaristia. Essa è parola di potere, che trasforma i doni della terra in modo del tutto nuovo nel dono di sé di Dio e ci coinvolge in questo processo di trasformazione. Per questo chiamiamo questo avvenimento Eucaristia, che è la traduzione della parola ebraica beracha – ringraziamento, lode, benedizione, e così trasformazione a partire dal Signore: presenza della sua “ora”. L’ora di Gesù è l’ora in cui vince l’amore. In altri termini: è Dio che ha vinto, perché Egli è l’Amore. L’ora di Gesù vuole diventare la nostra ora e lo diventerà, se noi, mediante la celebrazione dell’Eucaristia, ci lasciamo tirare dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di mira. L’Eucaristia deve diventare il centro della nostra vita. Non è positivismo o brama di potere, se la Chiesa ci dice che l’Eucaristia è parte della domenica. Al mattino di Pasqua, prima le donne e poi i discepoli ebbero la grazia di vedere il Signore. D’allora in poi essi seppero che ormai il primo giorno della settimana, la domenica, sarebbe stato il giorno di Lui, di Cristo. Il giorno dell’inizio della creazione diventava il giorno del rinnovamento della creazione. Creazione e redenzione vanno insieme. Per questo è così importante la domenica. È bello che oggi, in molte culture, la domenica sia un giorno libero o, insieme col sabato, costituisca addirittura il cosiddetto “fine-settimana” libero. Questo tempo libero, tuttavia, rimane vuoto se in esso non c’è Dio. Cari amici! Qualche volta, in un primo momento, può risultare piuttosto scomodo dover programmare nella domenica anche la Messa. Ma se vi ponete impegno, constaterete poi che è proprio questo che dà il giusto centro al tempo libero. Non lasciatevi dissuadere dal partecipare all’Eucaristia domenicale ed aiutate anche gli altri a scoprirla. Certo, perché da essa si sprigioni la gioia di cui abbiamo bisogno, dobbiamo imparare a comprenderla sempre di più nelle sue profondità, dobbiamo imparare ad amarla. Impegniamoci in questo senso – ne vale la pena! Scopriamo l’intima ricchezza della liturgia della Chiesa e la sua vera grandezza: non siamo noi a far festa per noi, ma è invece lo stesso Dio vivente a preparare per noi una festa. Con l’amore per l’Eucaristia riscoprirete anche il sacramento della Riconciliazione, nel quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio alla nostra vita. Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del mondo esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra che tutto vada ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste anche un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien fatto di esclamare: Non è possibile che questa sia la vita! Davvero no. E così insieme con la dimenticanza di Dio esiste come un boom del religioso. Non voglio screditare tutto ciò che c’è in questo contesto. Può esserci anche la gioia sincera della scoperta. Ma, per dire il vero, non di rado la religione diventa quasi un prodotto di consumo. Si sceglie quello che piace, e certuni sanno anche trarne un profitto. Ma la religione cercata alla maniera del “fai da te” alla fin fine non ci aiuta. È comoda, ma nell’ora della crisi ci abbandona a noi stessi. Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo! Cerchiamo noi stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri verso di Lui. Per questo è così importante l’amore per la Sacra Scrittura e, di conseguenza, importante conoscere la fede della Chiesa che ci dischiude il senso della Scrittura. È lo Spirito Santo che guida la Chiesa nella sua fede crescente e l’ha fatta e la fa penetrare sempre di più nelle profondità della verità (cfr Gv 16, 13). Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un’opera meravigliosa, nella quale la fede dei secoli è spiegata in modo sintetico: il Catechismo della Chiesa Cattolica. Io stesso recentemente ho potuto presentare il Compendio di tale Catechismo, che è stato anche elaborato a richiesta del defunto Papa. Sono due libri fondamentali che vorrei raccomandare a tutti voi. Ovviamente, i libri da soli non bastano. Formate delle comunità sulla base della fede! Negli ultimi decenni sono nati movimenti e comunità in cui la forza del Vangelo si fa sentire con vivacità. Cercate la comunione nella fede come compagni di cammino che insieme continuano a seguire la strada del grande pellegrinaggio che i Magi dell’Oriente ci hanno indicato per primi. La spontaneità delle nuove comunità è importante, ma è pure importante conservare la comunione col Papa e con i Vescovi. Sono essi a garantire che non si sta cercando dei sentieri privati, ma invece si sta vivendo in quella grande famiglia di Dio che il Signore ha fondato con i dodici Apostoli. Ancora una volta devo ritornare all’Eucaristia. “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo” dice san Paolo (1 Cor 10, 17). Con ciò intende dire: Poiché riceviamo il medesimo Signore ed Egli ci accoglie e ci attira dentro di sé, siamo una cosa sola anche tra di noi. Questo deve manifestarsi nella vita. Deve mostrarsi nella capacità del perdono. Deve manifestarsi nella sensibilità per le necessità dell’altro. Deve manifestarsi nella disponibilità a condividere. Deve manifestarsi nell’impegno per il prossimo, per quello vicino come per quello esternamente lontano, che però ci riguarda sempre da vicino. Esistono oggi forme di volontariato, modelli di servizio vicendevole, di cui proprio la nostra società ha urgentemente bisogno. Non dobbiamo, ad esempio, abbandonare gli anziani alla loro solitudine. Non dobbiamo passare oltre di fronte ai sofferenti. Se pensiamo e viviamo in virtù della comunione con Cristo, allora ci si aprono gli occhi. Allora non ci adatteremo più a vivacchiare preoccupati solo di noi stessi, ma vedremo dove e come siamo necessari. Vivendo ed agendo così ci accorgeremo ben presto che è molto più bello essere utili e stare a disposizione degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci vengono offerte. Io so che voi come giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo migliore. Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore, potrà scoprire la stella che noi seguiamo. Andiamo avanti con Cristo e viviamo la nostra vita da veri adoratori di Dio! Amen.   (altro…)

"E’ bello essere cristiani: essere sostenuti da un grande Amore dà le ali"

Ha fatto il giro del mondo la prima intervista di Benedetto XVI, rilasciata alla Radio Vaticana alla vigilia della Giornata Mondiale della gioventù di Colonia. Intanto sono centinaia di migliaia i giovani che continuano ad affluire in Germania da tutti i continenti per questo evento. L’atteso primo incontro del Papa con i giovani, lungo il Reno: giovedì 18 agosto. I momenti culmine saranno: la Veglia di sabato sera (ore 19.30) e la Messa di domenica mattina (ore 10.00). I vari appuntamenti dei giovani con il Papa saranno diramati in diretta dalla RAI e da molte televisioni d’Europa e via Internet.

D. – Padre Santo, il 25 aprile lei ha detto: sono contento di andare a Colonia. Contento, perché?

R. – Per molte ragioni. Prima di tutto, ho passato degli anni molto belli in Renania, e mi fa piacere di poter condividere di nuovo l’indole della Renania, di questa città aperta al mondo, e tutto quanto ad essa è legato. E poi perché la Provvidenza ha voluto che il mio primo viaggio all’estero fosse proprio in Germania: mai avrei osato organizzarlo io stesso!, ma se poi è proprio il Buon Dio a disporre così, certo, abbiamo il diritto di gioirne! Ed anche il fatto che questo primo viaggio all’estero sia proprio un incontro con i giovani di tutto il mondo … Incontrare i giovani è sempre bello, perché magari hanno anche tanti problemi, ma sicuramente portano con sé tanta speranza, tanto entusiasmo, tante aspettative: nei giovani c’è la dinamica del futuro! Da un incontro con i giovani si esce sempre con una carica nuova, più allegri, più aperti. Ecco, questi sono alcuni dei motivi che poi, con il passare del tempo, hanno ulteriormente rafforzato, e non certo diminuito la mia gioia.

D. – Santità, quale il messaggio specifico che Lei vuole portare ai giovani che da tutto il mondo vengono a Colonia? Qual è la cosa più importante che lei vuole trasmettere loro?

R. – Vorrei fare capire loro che è bello essere cristiani! L’idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare un’immensità di comandamenti, divieti, principi e simili e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere e che si è più liberi senza tutti questi fardelli. Io invece vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello ma sono ali e che è bello essere cristiani. Questa esperienza ci dona l’ampiezza, ci dona però soprattutto la comunità, il fatto cioè che come cristiani non siamo mai soli: in primo luogo c’è Dio, che è sempre con noi; e poi noi, tra di noi, formiamo sempre una grande comunità, una comunità in cammino, che ha un progetto per il futuro: tutto questo fa sì che viviamo una vita che vale la pena di vivere. La gioia di essere cristiano: è bello ed è giusto, anche, credere!

D. – Santo Padre, essere Papa significa essere ‘costruttore di ponti’ – ‘pontifex’, appunto. La Chiesa poggia su una saggezza antica, e Lei si trova oggi ad incontrare una gioventù che sicuramente ha tanto entusiasmo, ma in quanto a saggezza ha ancora molta strada da fare … Come è possibile costruire un ponte tra questa antica saggezza – compresa anche quella del Papa, che ha una certa età – e la gioventù? Come si fa?

R. – Bè, staremo a vedere quanto il Signore sarà disposto ad aiutarmi, in questa opera! Comunque, la saggezza non è quella cosa che ha un po’ il sapore di stantìo – in tedesco, a questa parola si associa un po’ anche questo sapore! Piuttosto, intendo per saggezza la comprensione di quello che è importante, lo sguardo che coglie l’essenziale. E’ ovvio che i giovani devono ancora ‘imparare’ a vivere la vita, vogliono scoprirla da soli, non vogliono trovarsi la ‘pappa pronta’. Ecco, qui forse si potrebbe vedere un po’ la contraddizione. Al contempo, però, la saggezza aiuta ad interpretare il mondo, che è sempre nuovo perché, sia pur calato in nuovi contesti, riporta sempre e comunque all’essenziale e a come, poi, l’essenziale possa essere messo in pratica. In questo senso, credo che parlare, credere e vivere partendo da qualcosa che è stato donato all’umanità e le ha acceso dei lumi, non sia una ‘pappa pronta stantìa’, ma sia invece adeguato proprio alla dinamica della gioventù, che chiede cose grandi e totali. Ecco cos’è la saggezza della fede: non il fatto di riconoscere una gran quantità di dettagli, caratteristica necessaria invece in una professione, ma riconoscere, al di là di tutti i dettagli, l’essenziale della vita, come essere Persona, come costruire il futuro.

D. – Santità, Lei ha detto, e questa Sua affermazione è stata ripresa: “La Chiesa è giovane”, non è una cosa vecchia. In che senso?

R. – Intanto, in senso strettamente biologico, perché ad essa appartengono molti giovani; ma essa è anche giovane perché la sua fede sgorga dalla sorgente di Dio, quindi proprio dalla fonte dalla quale viene tutto quello che è nuovo e rinnovatore. Non si tratta quindi di una minestra rifatta, scaldata e riscaldata, che ci viene riproposta da duemila anni. Perché Dio stesso è l’origine della giovinezza e della vita. E se la fede è un dono che viene da Lui – è l’acqua fresca che sempre ci viene donata – quella che poi ci consente di vivere e che poi noi, a nostra volta, possiamo immettere come forza vivificatrice nelle strade del mondo, vuol dire allora che la Chiesa ha la forza di ringiovanire. Uno dei Padri della Chiesa, osservando la Chiesa, aveva considerato che, con il passare degli anni, sorprendentemente essa non invecchiava ma diventava sempre più giovane, perché essa va sempre più incontro al Signore, sempre più incontro a quella sorgente dalla quale sgorga la giovinezza, la novità, il ristoro, la forza fresca della vita.

D. – Lei conosce la Chiesa tedesca meglio di me. Una delle questioni fondamentali è l’ecumenismo, l’unità della Chiesa soprattutto tra la Chiesa cattolica e le Chiese evangeliche. Forse esiste anche l’utopica speranza che la GMG possa imprimere una svolta all’ecumenismo. Quale posto riveste l’ecumenismo a Colonia?

R. – Esiste in quanto il compito dell’unità permea tutta l’entità della Chiesa e non è un compito qualsiasi, a margine. Quando poi la fede è vissuta e trattata in maniera ‘centrale’, essa stessa rappresenta un impulso all’unità. Ovviamente, il dialogo ecumenico come tale non è all’ordine del giorno a Colonia, perché Colonia è sostanzialmente un incontro tra giovani cattolici di tutto il mondo e anche con quei giovani che non sono cattolici ma che vogliono sapere se da noi possono trovare una risposta alle loro domande. Quindi, immagino che questa dimensione dell’ecumenismo possa essere presente piuttosto negli incontri tra i giovani: i giovani non parlano soltanto con il Papa ma sostanzialmente si incontrano anche tra di loro. Io avrò un incontro con i nostri fratelli evangelici: purtroppo, non avremo molto tempo perché il programma del giorno è fittissimo; ma sarà sufficiente per riflettere su come vogliamo andare avanti. Ricordo molto bene e con piacere la prima visita di Giovanni Paolo II in Germania: a Magonza, erano seduti allo stesso tavolo, lui ed i rappresentanti della Comunità evangelica, a ragionare su come procedere. In seguito a quell’incontro fu istituita quella Commissione dalla quale è scaturita poi la Dichiarazione di Augusta sulla Giustificazione. Credo che sia importante che noi tutti abbiamo sempre, costantemente presente l’unità, proprio nella centralità del nostro essere cristiani e non solo nell’occasione di determinati incontri; per questo, qualunque cosa possiamo fare a partire dalla nostra fede, avrà comunque un significato ecumenico.

D. – Santità, purtroppo proprio nei nostri Paesi ricchi del Nord, si manifesta un allontanamento dalla Chiesa e dalla fede in generale, ma soprattutto da parte giovani. Come ci si può opporre a questa tendenza? O meglio, come si può dare una risposta alla ricerca del senso della vita – “Che senso ha la mia vita?” – da parte dei giovani, per far sì che i giovani dicano: “Ehi, ecco quello che fa per noi: è la Chiesa!”?

R. – Ovviamente, stiamo tutti cercando di presentare il Vangelo ai giovani in maniera che essi comprendano: “Ecco il messaggio che stavamo aspettando!”. E’ vero anche che nella nostra società occidentale moderna ci sono molte zavorre che ci allontanano dal cristianesimo; la fede appare molto lontana, anche Dio appare molto lontano … La vita invece piena di possibilità e di compiti … e tendenzialmente il desiderio dei giovani è di essere padroni della propria vita, di viverla al massimo delle sue possibilità … Penso al Figliol Prodigo che considerava noiosa la sua vita nella casa paterna: “Voglio vivere la vita fino in fondo, godermela fino in fondo!”. E poi si accorge che la sua vita è vuota e che in realtà era libero e grande proprio quando viveva nella casa di suo padre! Credo però che tra i giovani si stia anche diffondendo la sensazione che tutti questi divertimenti che vengono offerti, tutto il mercato costruito sul tempo libero, tutto quello che si fa, che si può fare, che si può comprare e vendere, poi alla fine non può essere ‘il tutto’. Da qualche parte, ci dev’essere il ‘di più’! Ecco allora la grande domanda: “Cos’è quindi l’essenziale? Non può essere tutto quello che abbiamo e che possiamo comprare!”. Ecco allora il cosiddetto ‘mercato delle religioni’ che però in qualche modo torna ad offrire la religione come una merce e quindi la degrada, certamente. Eppure indica che esiste una domanda. Ora, occorre riconoscere questa richiesta e non ignorarla, non scansare il cristianesimo come qualcosa di ormai concluso e sufficientemente sperimentato, e contribuire affinché esso possa essere riconosciuto come quella possibilità sempre fresca, proprio perché originata da Dio, che cela e rivela in sé dimensioni sempre nuove … In realtà, il Signore ci dice: “Lo Spirito Santo vi introdurrà in cose che io oggi non posso dirvi!”. Il cristianesimo è pieno di dimensioni non ancora rivelate e si mostra sempre fresco e nuovo, se la domanda è posta dal profondo. In un certo senso, si imbatte la domanda che già c’è e la risposta che viviamo e che noi stessi, proprio attraverso quella domanda, riceviamo sempre di nuovo. Questo dovrebbe essere l’evento nell’incontro tra l’annuncio del Vangelo e l’essere giovani.

D. – Ho la sensazione che l’Europa stia rinunciando a se stessa, ai suoi valori, a quei valori fondati sul cristianesimo e anche i valori umani, che questi contino sempre meno. Noi europei viviamo con una certa stanchezza, mentre ad esempio cinesi e indiani mostrano una grande vitalità. Parliamo delle radici cristiane, in riferimento anche al Trattato costituzionale dell’Unione Europea. L’Europa è in crisi. Ora, un evento come la Giornata mondiale della Gioventù, alla quale è previsto che partecipi quasi un milione di persone, può dare un impulso a ricercare le radici cristiane, soprattutto da parte dei giovani, affinché possiamo tutti continuare a vivere in maniera “umana”?

R. – Ce lo auguriamo, perché proprio un incontro del genere, tra persone che vengono da ogni continente, dovrebbe dare un impulso nuovo anche al continente “vecchio”, che lo ospita; dovrebbe aiutarci a non guardare solo a quanto vi è di malato, di stanco, di mancato nella storia europea – non dimentichiamo che ci troviamo in una fase di auto-commiserazione e auto-condanna. Ma in tutte le storie c’è stato qualcosa di ‘malato’, anche se nella nostra, che pure ha sviluppato possibilità tecniche così grandi, questo assume un significato ancora più drammatico. Dobbiamo però guardare anche alle cose grandi che sono nate in Europa! Diversamente non sarebbe possibile, oggi, che tutto il mondo ‘vivesse’ in qualche modo della civiltà che in Europa si è sviluppata, se questa civiltà non avesse radici molto profonde! Oggi noi abbiamo solo queste da offrire; succede invece che raccogliendo questa civiltà, ma cercando altre radici, alla fine si cade in contraddizione … Credo che questa civiltà, con tutti i suoi pericoli e le sue speranze, possa essere ‘dominata’ e condotta alla sua grandezza solo se essa imparerà a riconoscere le sorgenti della sua forza; se riusciremo di nuovo a vedere quella ‘grandezza’, in modo che restituisca l’orientamento e l’importanza alla possibilità di essere Uomo, così minacciata; se riusciremo di nuovo a gioire del fatto di vivere in questo continente che ha determinato le sorti del mondo – nel bene e nel male. Proprio per questo noi abbiamo il dovere costante di riscoprire la verità, la purezza, la grandezza e di determinarne il futuro, per pórci quindi in maniera nuova e magari migliore al servizio dell’umanità intera.

D. – Un’ultima domanda. Lo scopo ideale da raggiungere con la Giornata mondiale della Gioventù di Colonia: se proprio tutto andasse nel migliore dei modi …

R. – Bè, sicuramente che passi un vento di nuova fede sulla gioventù, sopratutto sulla gioventù della Germania e dell’Europa. In Germania ci sono tuttora grandi istituzioni cristiane, i cristiani compiono ancora molte opere di bene, ma c’è anche tanta stanchezza. Siamo talmente impegnati a risolvere questioni strutturali che ci mancano poi l’entusiasmo e la gioia che vengono dalla fede. Se questa ventata riuscisse a far rivivere in noi la gioia di conoscere Cristo, e riuscisse a imprimere un nuovo slancio alla Chiesa che è in Germania e in tutta Europa, penso che potremmo dire che la Giornata mondiale della Gioventù ha raggiunto il suo scopo.

Dopo l’incontro con Gesù, quale il segreto per non perderlo più?

“Perché vai alla GMG?” “Perché spero di incontrare Gesù”, ha risposto una ragazza arrivata qui a Colonia insieme a centinaia di migliaia di giovani da tutto il mondo. Penso che non è l’unica ad avere in cuore questo struggente desiderio: incontrare Gesù! Ed è anche il motto di questa GMG: cercare Cristo, trovarlo ed adorarlo. La “Giornata mondiale della gioventù” – questa ispirata invenzione del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo II – è un’occasione privilegiata per incontrare Gesù vivo nella sua Chiesa, nell’unità con il nuovo Papa Benedetto XVI, con i vescovi e tra i giovani venuti da ogni angolo della terra. Incontrare Gesù, adorarLo e poi portarLo agli altri, dovunque andiamo. Carissimi giovani, ma sapete che c’è un segreto per non perderLo più questo Gesù che durante gli eventi della GMG ci appare così bello, così vivo, così affascinante? Il segreto è questo: bisogna amare! Per amare Dio, per rimanere in Lui, per essere nella luce sempre, bisogna amare gli altri! Guardate, io vi parlo della mia esperienza di più di 60 anni, ma anche dell’esperienza di un popolo intero, sparso su tutto il pianeta, milioni di uomini, donne e bambini che hanno scelto l’amore come stile di vita! E’ questo il segreto di una vita felice, piena, interessante, sempre nuova, mai noiosa, sempre sorprendente! Vi dico un piccolo, ma grande esempio: ho saputo recentemente che un gruppo di giovani in un campo profughi in Africa, dove manca più o meno tutto, vuole cambiare con il proprio amore il campo in un paradiso e mi raccontano veramente delle esperienze concrete dove questo si realizza. Capite che vuole dire? Vuol dire che l’amore vince tutto! Si potrebbero dire infinite cose su quest’amore che Gesù ci insegna con la sua vita, con le sue parole, con i suoi santi. Ma per oggi vorrei sottolineare solo due punti, che sono però di fondamentale importanza: 1) Bisogna amare TUTTI, senza eccezioni, senza selezioni, senza preferenze – come fa Dio con noi! E qui si tratta di amare l’amico e il nemico, quello simpatico e quello antipatico, l’insegnante e il vicino di casa, il postino e il collega. Amare TUTTI significa anche amare la gente lontana da noi, ma presente tramite i massmedia, come le vittime dello Tsunami nel Sudest-Asiatico, o i giovani della GMG, venuti dai Paesi poveri, che voi avete aiutato con il Fondo di solidarietà. 2) Il secondo punto: bisogna amare PER PRIMI. Normalmente si ama quando si è amati, si risponde all’amore che ci arriva. E se non arriva? No, è molto meglio prendere noi l’iniziativa, incominciare per primi a dare un segnale di amicizia, di perdono, di volontà a ricominciare da capo. Provate ad amare così, sperimenterete una grande libertà perché siete voi i protagonisti! Carissimi giovani, coraggio! Vale la pena vivere così, non siete fatti per le cose a metà, date il vostro cuore a Colui che lo sa riempire. Dio ha bisogno di giovani così, infuocati, che non si fanno frenare dai propri problemi, questi eterni ostacoli all’amore, persone che hanno bruciato tutto nel fuoco dell’Amore di Dio e che trascinano gli altri. Che Gesù che avete incontrato resti sempre con voi! Nell’Amore vero, Chiara

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Per una convivenza fraterna fra popoli e religioni

E’ possibile la convivenza pacifica nella nostra società sempre più multiculturale, multietnica, multireligiosa? Il dialogo fra le religioni sarà al centro del “Festival for a united world”. Giovedì 18 agosto, alle ore 20, al Friedenspark, il ‘Parco della Pace’ di Colonia, giovani di vari Paesi – Israele, Egitto, Siria, Libano, Colombia, Argentina, Brasile, Filippine, Madagascar, Germania, Austria e Belgio – testimonieranno la fraternità vissuta in ambienti spesso caratterizzati da tensioni sociali e politiche, da indifferenza e individualismo. Si svolgerà nell’ambito di “Colourdome”, uno dei contributi dei Giovani per un mondo unito, dei Focolari, alla Giornata Mondiale della Gioventù 2005. Qualche anticipazione: Ossama è egiziano. Lavora nell’ufficio di una agenzia di trasporti. Quasi tutti i suoi colleghi sono musulmani. … E’ una sfida. I primi giorni è assalito da un senso di insicurezza. Si impegna a vivere sulla base della “regola d’oro” che tante religioni hanno in comune: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.” (Mt. 7,12). Comincia da piccolissimi gesti, come preparare il té per gli operai che tornano stanchi dopo aver caricato i camion. Pian piano crolla ogni barriera e nasce una vera amicizia. Ages, del Sudest asiatico. In Asia i cristiani sono una minoranza fra buddisti, indù e musulmani. Non è certo scontato saper dialogare: è un’arte da apprendere. Per questo Ages è andata a Tagaytay, cittadella del Movimento dei Focolari nelle Filippine. Lì si svolgono i corsi della “Scuola per le Religioni Orientali”, ai quali partecipano giovani di religioni diverse provenienti da Corea, Giappone, Hong-Kong, Singapore, Indonesia e Tailandia. Anche azioni concrete sul fronte politico possono contribuire all’avvicinamento tra le religioni Ne parla Sylwin di Cebu. Reagendo alla diffusa apatia politica, i giovani dei Focolari, delle Filippine, in occasione delle elezioni presidenziali che si sono svolte lo scorso anno, si sono impegnati a promuovere il “White Forum”, un laboratorio nazionale aperto a tutti per invitare i giovani loro coetanei a partecipare alle elezioni. Con il coinvolgimento di varie organizzazioni giovanili, l’invito a farsi protagonisti di un futuro migliore per il Paese è passato attraverso i mezzi di comunicazione, contatti nelle parrocchie, nelle scuole. Un’esperienza di fraternità e dialogo che ha avvicinato giovani di provenienze sociali e culturali diverse, e oggi continua.

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