Set 17, 2020 | Testimonianze di Vita
Gesù rivela la novità del Vangelo: il Padre ama ogni suo figlio personalmente di amore “traboccante” e gli dona la capacità di allargare il cuore ai fratelli. Sono parole pressanti ed esigenti: dare del nostro; beni materiali, ma anche accoglienza, misericordia, perdono, con larghezza, ad imitazione di Dio. Latte in polvere In una città satellite vicino a Brasilia, c’è un quartiere molto povero dove da anni portiamo non solo aiuti materiali, promozione umana, ma proviamo anche a diffondere la buona notizia di Gesù. Stupisce sempre vedere come queste persone scoprono l’amore di Dio e cominciano ad aiutarsi fra loro, dividendo quel poco che hanno con chi ha di meno. Offrono persino la propria baracca. Fedele al “date e vi sarà dato”, una signora alla quale avevamo consegnato del latte in polvere per i suoi bambini ci raccontava di averlo condiviso con la sua vicina che non aveva niente da dare ai suoi figli. Lo stesso giorno, con sua sorpresa e gioia, ha ricevuto altro latte in polvere. (H.I. – Brasile) La ferita In certe feste do ai miei quattro figli una quota per comperare dei regali ai bambini poveri. Quest’anno il figlio minore mi ha chiesto altri soldi: aveva saputo che il padre era disoccupato e non poteva fare regali ai figli avuti da un’altra donna. Per me è stata una doccia fredda. Mio marito ci aveva abbandonati da anni e dentro la ferita era rimasta. Quella notte ho pianto tanto, mi sentivo tradita anche dai miei ragazzi. Ma forse ero io che sbagliavo e il più piccolo mi stava dando una lezione. La mattina seguente gli ho aumentato la quota. Tempo dopo i miei figli mi hanno chiesto di aiutare il padre a trovare un lavoro. Era il colmo. Proprio loro che non avevano mai ricevuto un regalo da lui ora chiedevano questo a me! Nonostante i ricordi dolorosi, capivo che dovevo mettere in pratica il comando di Gesù di amare i nemici. Mi è costato ma ce l’ho fatta. Indescrivibile la gioia che ho visto nei ragazzi. Ho ringraziato Dio per la loro generosità ma anche perché mi avevano dato occasione di togliere dal cuore un risentimento che mi torturava da anni. (C.C. – Colombia) Licenziamento Quando, mesi fa, l’importante compagnia di computer presso cui lavoro ha annunciato il licenziamento del 40 per cento dei dipendenti, ho provato un vero choc. Grazie a quel lavoro, in famiglia non ci mancava niente, neanche il superfluo. Come avremmo pagato le rate della casa? Come fare per l’assicurazione malattie? E così via… Con Jennifer e le figlie ci siamo sentiti più responsabili riguardo alla nostra economia. Pronti a vendere gli oggetti di maggior valore e ad altri possibili sacrifici, abbiamo ipotizzato di lavorare in proprio, considerando le capacità personali… Soprattutto ci siamo affidati a Dio Padre, continuando a sperare. Il giorno dei licenziamenti, 6500 miei colleghi hanno perso il lavoro. Avrei voluto scomparire per non vedere; ma poi sono rimasto per condividere quel momento con chi partiva. Non so come andrà a finire per me, ma una cosa è certa: questa prova ci ha uniti di più in famiglia, ha creato un vincolo profondo con altre coppie e ci ha fatto aprire gli occhi sui problemi altrui. Sperimentiamo adesso cosa conti veramente nella vita. (Roger – Usa) Ho perdonato l’uccisore di mio figlio Da quando mio figlio era stato ucciso durante una rapina, nulla aveva più senso nella mia vita. In cerca disperata di aiuto, ho partecipato a un incontro sul Vangelo. Lì ho ascoltato commentare la frase di Gesù:“Amate i vostri nemici”. Parole, per me, come macigni. Come potevo, io, perdonare chi aveva ucciso mio figlio? Ma intanto un seme era entrato in me. Frequentando quel gruppo, avvertivo sempre più pressante la spinta al perdono. Volevo ritrovare la pace del cuore. E di pace ancora parlava il Vangelo: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Nella tragedia della mia famiglia, finalmente ha prevalso la decisione di perdonare. Ora posso dirmi davvero “figlia di Dio”. Di recente sono stata chiamata a un confronto con l’uccisore di mio figlio che era stato catturato. Lo conoscevo. È stato dura, ma è intervenuta la grazia. Non provavo odio, né rancore nei suoi confronti. Nel mio cuore di madre c’erano solo una grande pietà e l’intenzione di affidarlo alla misericordia di Dio. (M.A. – Venezuela)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.5, settembre-ottobre 2020) (altro…)
Ago 26, 2020 | Testimonianze di Vita
Quante volte Dio si serve di qualcuno per avvicinarci a Lui? Non dovremmo mai dimenticarlo perché anche noi potremmo un giorno essere strumento Suo per qualcuno. Una nuova speranza In Usa per gli studi, avevo deciso di rimpatriare per l’insistenza dei miei, ma ero rimasto bloccato per la quarantena in un istituto vicino al confine insieme a circa 500 persone. Con la sensazione esatta di trovarmi in carcere. Per fortuna il cellulare mi teneva collegato al mondo esterno. Quando ho avuto modo di vedere qualcuno, leggevo in loro le stesse mie domande su ciò che stava accadendo. Durante quei giorni ho conosciuto “a distanza” un prete salesiano. Pur isolato come me, emanava una pace che né io né gli altri avevamo. Era come se lui non si sorprendesse di nulla. Inizialmente celebrava da solo nella sua cameretta, poi ho cominciato a partecipare alla messa. In breve, sono ritornato ai sacramenti e alla vita di fede di prima, anche se non più come prima. Anche la mia ragazza ha notato che sono cambiato. A volte penso: se questa trasformazione è avvenuta in me, non può darsi che sia avvenuta anche in altri? E mi nasce dentro una nuova speranza: che quel mondo che prima sembrava togliermela possa ora riprendere il cammino su altri binari K. – Slovacchia Carrozzina per neonati Avevo conosciuto una giovane zingara che aspettava un bambino. Aveva bisogno di tutto, dal vestiario fino a tutta l’attrezzatura per la nascita del figlio. Avevo letto nel Vangelo «Qualunque cosa chiederete al Padre… lui ve la concederà». Quel giorno con fede ho chiesto a Gesù, durante la messa, una carrozzina per neonati. Più tardi, a scuola, mi sono impegnata più che mai ad amare compagni e professori. Tornata a casa la sera, ho saputo dalla mamma che una vicina di casa, sapendo che aiuto i poveri, aveva lasciato qualcosa per me. Era una carrozzina per neonati! Mi ha commossa questa pronta risposta della Provvidenza. C. – Spagna Benedizione Infermiere da un mese proprio nel periodo del coronavirus, nell’ospedale dove prestavo servizio ho condiviso la solitudine di diversi pazienti passati all’altra vita senza il conforto dei propri cari. L’esperienza più forte è stata però quando, venuto a sapere da mia madre che, secondo le parole del papa, anche medici e infermieri erano abilitati a dare una benedizione ai pazienti defunti, ho potuto tracciare un segno di croce sulla fronte e sul petto di diversi di loro prima ancora delle pratiche per accertarne la morte e avviare le salme all’obitorio. Giuseppe – Italia
A cura di Stefania Tanesini
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Ago 7, 2020 | Testimonianze di Vita
Nella vita può capitare di tutto: situazioni liete o difficili, lutti, vittorie o sconfitte ma possiamo affrontare ogni circostanza all’insegna di un unico comune denominatore: il rapporto con Dio. Le circostanze saranno sempre diverse, ma Lui è sempre presente; sempre con noi. In isolamento «Domani – disse il medico – la metteremo in isolamento». Mi sentii come un’appestata. Sapevo che qualcuno per quel male era morto. Morire! Non mi faceva paura il dolore che s’accomuna all’ultima battaglia per la vita, ma acuto come una spada in cuore sentii il distacco dai miei. Non li avevo salutati. E ora… forse non li avrei più visti. Piangevo. Eppure, morire voleva dire incontrarsi con Gesù che amavo. Mi sembrava però che l’amore dato e ricevuto qui in terra da tanti mi legasse quaggiù e il volo verso l’alto fosse faticoso. Questi li conoscevo, quello non ancora bene. Eppure avevo cercato sempre di amare Gesù in ogni prossimo: parenti, amici, conoscenti, sconosciuti! «Eri tu, Gesù, che ho amato e trovato in ognuno, quello stesso che – se ora muoio – incontrerò». Quest’ultimo pensiero lentamente mi diede pace. Rimasi a lungo in isolamento, con alti e bassi della malattia, ma quasi avvolta da una presenza arcana con la possibilità di parlare a quell’Unico che mi ascoltava e che potevo ascoltare. M. – Italia Maleducazione a scuola Non so se sono invecchiata io o è cambiata decisamente la generazione. Ne parlavo con i colleghi insegnanti e tutti siamo arrivati alla conclusione che purtroppo mancano le basi dell’educazione. Non è soltanto la mancanza di rispetto verso i professori, dove si vede anche da parte dei genitori un atteggiamento sfrontato di giudizio verso gli insegnanti, ma la completa assenza di un senso di attenzione verso l’altro. In una delle classi più difficili, una “quina”, dopo un fatto increscioso successo, ho fatto presente come in ogni cultura e tradizione ci sia una regola base di convivenza: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te». Ed ho chiesto a ciascuno se una tale regola gli sembrasse accettabile. Dopo un grande silenzio ha iniziato a parlare un alunno, poi un’altra… e alla fine si è creato un vero dialogo. Da quel giorno qualcosa è cambiato: quasi invisibilmente, ma qualcosa è cambiato. Ancora una volta mi sono dovuta ricredere. I giovani hanno bisogno di punti veri e fermi. C. – Spagna Ero tentato di emigrare… Specialista in malattie infettive, a causa delle strutture sanitarie carenti, della scarsa igiene e degli stipendi insignificanti, ero tentato di emigrare come molti colleghi. Tuttavia, dopo aver riflettuto con mia moglie, ho deciso di continuare il servizio ai fratelli nel nostro Paese. Con il sostegno di amici cristiani all’estero, è stato possibile costruire una struttura sanitaria completa di laboratorio di analisi e garantire farmaci specifici anche ai più poveri. Oltre allo sviluppo di attività produttive per migliorare l’alimentazione di base, si è cercato anche di assicurare un sostegno psicosociale ai malati e alle loro famiglie. M.- Repubblica Democratica del Congo
A cura di Stefania Tanesini
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Lug 29, 2020 | Testimonianze di Vita
“Siate una famiglia – fu l’invito di Chiara Lubich rivolgendosi a persone desiderose di vivere la Parola di Dio -. E dove andate per portare l’ideale di Cristo, (…) niente farete di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia… è (…) la carità vera”[1]. Il nuovo direttore Nel suo “discorso programmatico” il nuovo direttore aveva parlato dell’azienda come di una famiglia nella quale tutti eravamo corresponsabili. Il clima tra noi era leggero e cordiale… ma alle prime difficoltà, forse per inesperienza, lui si circondò di alcuni fidatissimi e nelle decisioni escludeva praticamente tutti gli altri. Mi feci coraggio e, per amore suo e dei dipendenti, un giorno andai in direzione a chiedergli quali preoccupazioni lo stessero schiacciando. Sembrava un’altra persona rispetto agli inizi, come uno che vedesse soltanto nemici. Forse avevamo fatto qualcosa contro di lui che lo spingeva ad agire così? Non rispose e mi congedò giustificandosi con un impegno urgente. Qualche giorno dopo mi chiamò e, scusandosi, mi confidò di sentirsi incapace a sostenere una solidarietà che gli faceva sfuggire tutto dalle mani. Mi chiese aiuto. Lo convinsi ad aprirsi con tutti noi, chiedendo se veramente volevamo stare al suo progetto. Fu un momento di grande intesa. Qualcosa cominciò a cambiare. (H.G. – Ungheria) Alla posta Agli inizi del coronavirus, andai alla posta per spedire un pacco. Nella fila per le pensioni una signora anziana con mascherina, colta da malore, si accasciò a terra. Corsi da lei, ma non ebbi la forza di alzarla. Alla mia richiesta di aiuto notai negli altri una certa esitazione: rispose solo un ragazzo pieno di tatuaggi, che aveva assistito alla scena fuori della posta. Fatta sedere l’anziana, che a parte qualche dolore per la caduta s’era ripresa, chiesi al ragazzo di aiutarla a sbrigare quello che doveva fare, mentre io spedivo il mio pacco. Lui non solo mi aiutò poi a farla salire in macchina, ma volle venire con noi fino a casa della signora. Siccome lei aveva gli strumenti, le misurai la pressione. Una volta scesi in strada, il ragazzo mi disse: “Stavo ridendo con gli amici per vedere come si comporta la gente guidata dalla paura. Quello che ha fatto lei è grande”. Dopo qualche giorno volli far visita all’anziana. Rimasi sorpresa e anche commossa venendo a sapere da lei che quel ragazzo le aveva portato dei biscotti preparati da sua madre. (U.R. – Italia) Risanare il passato Peccato! Era una collega competente nel suo lavoro, ma affliggeva gli altri con il suo pessimismo. Fra l’altro la sua invidia non solo verso di me, ma verso gli altri colleghi e colleghe, la induceva a sparlare sempre di tutti. Di conseguenza, con una scusa o l’altra, nessuno voleva lavorare con lei. Che fare? Lasciare che le cose andassero avanti così, tra il disagio comune? In occasione del suo compleanno ho avuto un’idea: organizzare in ufficio una colletta per farle un regalo. Quando l’abbiamo chiamata per festeggiarla con dolci portati da casa, disegni fatti per lei dai bambini delle colleghe, una bella borsa come dono, era commossa e incredula. Per giorni non ha pronunciato una parola. Ci guardava come un uccello ferito. Poi lentamente ha cominciato a parlarmi della sua infanzia, dei suoi amori sbagliati, delle divisioni in famiglia… Siamo diventate amiche. Ora frequenta la nostra casa e aiuta i miei figli per la matematica e per l’inglese. Ormai è una di famiglia. Sembra che anche il suo passato si stia risanando. (G.R. – Italia)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.4, luglio-agosto 2020) [1] C. Lubich, in Gen’s, 30 (2000/2), p. 42. (altro…)
Lug 22, 2020 | Testimonianze di Vita
Se amiamo, Gesù ci riconosce come suoi familiari: suoi fratelli e sorelle. È la nostra chance più grande, che ci sorprende; ci libera dal passato, dalle nostre paure, dai nostri schemi. In questa prospettiva anche i limiti e le fragilità possono essere pedane di lancio verso la nostra realizzazione. Tutto veramente fa un salto di qualità. Razzismo Frequentavo la scuola media; le lezioni e i compiti andavano bene, ma non il rapporto con i compagni di classe. Un giorno stavo finendo i compiti di scienze, quando uno di loro ha iniziato ad imprecare contro di me per il fatto che sono asiatico. A quello sfogo razzista non ho saputo come reagire: sono rimasto muto e col solo pensiero di vendicarmi. Poi uno strano pensiero ha attraversato la mia mente: “Adesso è la tua occasione”. Mi ci è voluto un po’per capirne il significato. Ma dopo qualche tempo, mi si è chiarito: “Ora è la tua occasione per amare i nemici”. Avrei voluto far finta di niente, in difesa della mia identità asiatica. Anche perché amare il mio nemico mi sembrava alimentasse il negativo. Dopo aver preso un po’ di tempo, molto incerto sulla decisione da prendere, ho concluso che non avrei detto nulla. Ho forzato il mio cuore arrabbiato al perdono e offerto la mia ferita personale a Gesù, che aveva sofferto così tanto sulla croce. Dopo l’esperienza di perdono del mio nemico, sinceramente ho sperimentato una felicità mai provata prima. (James – Usa) Problemi di fede Quando ci è nato il terzo figlio con la sindrome di Down, questa crudeltà della natura mi è sembrata un castigo per le mie infedeltà coniugali. Avevo vergogna di portarlo in giro e dentro di me domande senza risposta. Però man mano che F. cresceva, vedevo in lui una bontà primordiale, una pace cosmica. Non so quale relazione potesse esserci con la mia fede problematica, ma lentamente ho acquistato altri occhi e, direi, un altro cuore. Anche il rapporto in famiglia è cambiato. La cosa strana è che ho iniziato a vivere come un dono la condizione di F. Non ho più problemi di fede e di dogmi. Tutto è grazia. Dietro il velo dell’incomprensione c’è una verità innocente e pura. (D.T. – Portogallo) Ritorno Avevo lasciato la mia famiglia per un’altra persona di cui m’ero innamorato sul posto di lavoro. Accecato dalla passione, non mi rendevo conto della tragedia che stavo provocando. Con i figli sono sempre rimasto in contatto, soprattutto con la maggiore che più soffriva per la mia assenza. Quando il marito l’ha abbandonata con i tre figlioletti e mia figlia è caduta in depressione, ho visto ripetersi lo stesso male da me causato. Dio mi ha fatto la grazia di capire e di pentirmi. Ho fatto di tutto per essere vicino a quella famiglia disgregata, ho cercato mio genero e gli ho parlato a lungo. Lui mi ha umiliato dicendo che non avevo il diritto di giudicare, in quanto certi traumi della moglie erano colpa mia: il loro matrimonio era naufragato proprio per il mancato equilibrio di lei. In ginocchio e piangendo, gli ho chiesto perdono. Lui ha risposto che ci avrebbe ripensato. Dopo alcuni mesi di sospensione, un barlume di speranza: la notizia, da parte di mia figlia, che il marito voleva ritentare a vivere in famiglia. (C.M. – Argentina)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.4, luglio-agosto 2020) (altro…)
Giu 27, 2020 | Testimonianze di Vita
Tutti i cristiani hanno una missione, come i discepoli: testimoniare con mitezza, prima con la vita e poi anche con la parola, l’amore di Dio che essi stessi hanno incontrato, perché diventi una gioiosa realtà per tanti, per tutti. In una società spesso segnata dalla ricerca di successo e di autonomia egoistica, i cristiani sono chiamati a mostrare la bellezza della fraternità, che riconosce il bisogno l’uno dell’altro e mette in moto la reciprocità. Un progetto di legge Lavoro come geometra presso la prefettura della mia città e allo stesso tempo frequento un rione povero per una attività di promozione umana. Considerando le condizioni precarie di chi abita in quel posto, mi ero accorto che quando si trattava di allargare una strada o di demolire qualche edificio, il materiale recuperato spesso veniva semplicemente usato per livellare il terreno. Perché invece non sfruttarlo per migliorare le abitazioni dei più poveri? Occorreva però un’apposita legge comunale. L’idea è piaciuta al mio responsabile che, dopo essersi reso conto della cosa recandosi sul posto, si è attivato per i contatti necessari; e una volta che il prefetto della città ha accolto la nostra proposta, è stato presentato un progetto di legge, subito approvato. Grazie ad esso, oggi il sindaco viene autorizzato a donare alle istituzioni di assistenza sociale i materiali posti in disuso per motivi tecnici, materiali che risultano preziosi per chi vive nelle baracche senza possibilità alcuna di migliorare il proprio stato. (G. A. – Brasile) Saper perdonare La guerra civile nel mio Paese aveva arrecato lutti e sofferenze anche nella mia famiglia. Mio padre e mio fratello erano tra le vittime della guerriglia; mio marito subiva ancora le conseguenze di un pestaggio. Come cristiana avrei dovuto perdonare, ma in me dolore e rancore andavano crescendo. Solo grazie alla testimonianza ricevuta da alcuni autentici cristiani sono riuscita a pregare per quanti ci avevano fatto tanto male. Dio ha messo alla prova la mia coerenza quando, tornata la pace nel Paese, dalla capitale dove ci eravamo trasferiti abbiamo fatto ritorno alla mia città d’origine, rimasta per dodici anni in balìa di governativi e guerriglieri. Per i bambini, che più di altri avevano sofferto, abbiamo organizzato una festa a cui sono intervenuti in molti. Solo allora mi sono accorta che, fra le autorità presenti, alcune erano state coinvolte nella guerriglia. Forse fra loro c’erano i responsabili della morte dei miei. Vinto l’iniziale moto di ribellione, mentre in cuore mi calava una grande pace, sono andata ad offrire da bere anche a loro. (M. – San Salvador) Le sfumature del dolore Di ritorno in Italia dopo un’esperienza come medico in una vallata del Camerun, la mia attenzione è stata attratta dalle persone afflitte da mali incurabili e da malattie croniche debilitanti. Sono nate in me, con gli anni, alcune convinzioni profonde. Una prima riguarda le infinite sfumature del dolore, che non è mai monotono. Ogni dolore, come ogni uomo, è irripetibile. Un’altra impressione forte è quella delle piccole attese quotidiane inserite nella grande attesa per l’appuntamento finale. Ma la comprensione più importante nata in me è la seguente: questi pazienti, denudati dalla sofferenza, mi sono apparsi come pietre vive nella costruzione dell’umanità e dei suoi valori. Il loro vestito è la sfinitezza, ma anche la trasparenza; essi sono portatori di una luce particolare, la luce di Dio. Sembra che egli si incarni in quelle esistenze disgregate. Spesso le parole dei moribondi sembrano dettate da lui. Sempre più mi sono convinto che – come afferma Simone Weil – l’umanità, se fosse privata di tali persone, non avrebbe alcuna idea di Dio. (C. – Italia)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.3, maggio-giugno 2020) (altro…)