Giu 13, 2020 | Vite vissute
Un produttore cinematografico indipendente, un cittadino del mondo, un appassionato di cinema, televisione e… fraternità universale. Nel cuore della notte italiana, le 11 del mattino a Melbourne, l’ultimo saluto via streaming a Mark Ruse, produttore cinematografico australiano, morto dopo una brevissima malattia all’età di 64 anni. Mark non era solo un produttore indipendente molto stimato e amato da tutti nel circus cinematografico e televisivo australiano, ma era un cittadino del mondo che attraverso il suo lavoro, ma soprattutto con la sua umanità e semplicità, aveva costruito legami autentici e profondi con tante persone anche al di fuori dell’ambiente cinematografico. Mark Ruse aveva iniziato la carriera come produttore indipendente e negli ultimi 20 anni, insieme al suo socio, Stephen Luby, avevano fondato la Ruby Entertainment, che ha prodotto una quantità incredibile di film e serie televisive, soprattutto commedie con premi, riconoscimenti e indici di ascolto fra i più alti in Australia. Aveva prodotto anche film e documentari di impegno sociale, legati alla storia a volte tragica della loro terra come Hoddle Street sul massacro del 1987 a Melbourne che gli valse un importante premio internazionale. Mark, però, era soprattutto una persona semplice e gentile, appassionato del suo lavoro, che affrontava le difficoltà – che per un produttore indipendente sono molte – con leggerezza e una buona dose di humour. Ci eravamo conosciuti più di 40 anni fa in Italia. In molti ci ritrovavamo da diversi paesi dell’Europa e del mondo, sui colli vicino a Roma, e condividevamo quello che in quegli anni ‘70 Chiara Lubich proponeva in particolare proprio a noi Gen, i giovani dei Focolari. Un ideale per molti versi rivoluzionario, che aveva al centro una dimensione spirituale e personale fortissima, ma allo stesso tempo anche comunitaria e globale. La passione giovanile di entrambi (cinema e televisione) sarebbe diventata col tempo il nostro lavoro, il mio di regista televisivo, il suo di produttore, ma anche lo spazio di vita all’interno del quale cercare di portare le idee e convinzioni profonde che condividevamo. All’inizio degli anni duemila avremmo condiviso la nascita di NetOne, una grande rete mondiale di professionisti dei vari ambiti della comunicazione, registi, produttori, sceneggiatori, giornalisti che, oggi come allora, vuole contribuire insieme ad altri a una comunicazione diversa, sia nei rapporti di produzione che nel rispetto del pubblico, il destinatario finale del nostro lavoro. Mark è stato un instancabile costruttore di questa rete. Ogni volta che ci vedevamo a Roma o a Melbourne o in qualche altra parte del mondo, il discorso riprendeva esattamente da dove lo avevamo lasciato anche se si trattava di mesi o anni prima. Fino al messaggio di pochi mesi fa, che mi confidava la malattia: «Sarà un viaggio lo so, ma voglio condividerlo con te e con tutti quelli di Netone. Ho abbracciato questa nuova fase della vita con amore». Se n’è andato nel giro di pochi mesi, nonostante un ultimo collegamento via Zoom, pochi giorni prima della morte, lo avesse mostrato allegro e sempre pieno di progetti per il futuro. «Alla base della mia fede c’è l’idea di voler amare il prossimo – diceva. – Quello che facciamo, è qualcosa che deve migliorare la società, che arricchisca davvero le persone che guarderanno il nostro film, e questo è un altro modo di mettere amore nella società». Il cinema australiano ha perso un bravo produttore, noi della rete di NetOne un amico, un compagno di viaggio che ci ha lasciato con la leggerezza del suo sorriso… «We’re crazy, we’re crazy people, but we need to feel part of a family». Proprio così, Mark, proprio così.
Marco Aleotti
Per gentile concessione di Cittanuova.it (altro…)
Giu 12, 2020 | Centro internazionale
Maria Voce, Presidente dei Focolari, all’“Elijah Interfaith Institute” di Gerusalemme “Tutto quello che avviene nella vita è condotto da un Autore della storia che è Dio, e Dio vuole il bene degli uomini […] Quindi anche se qualche volta forse la libertà delle creature porta a delle conseguenze negative, Dio è capace […] di far venir fuori il bene anche da queste situazioni negative”. Secondo Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari, questo è l’insegnamento più grande che la crisi del coronavirus può offrire agli uomini. In una intervista per il rabbino Alon Goshen-Gottstein, direttore del “Elijah Interfaith Institute” di Gerusalemme, la Presidente dei Focolari parla anche dei possibili benefici che la pandemia può portare al mondo. L’intervista fa parte del progetto Coronaspection, una serie di interviste video con leader religiosi di tutto il mondo, che condividono saggezza e consigli spirituali mentre affrontiamo congiuntamente una crisi globale (qui puoi vedere il trailer del progetto, che riassume lo spirito del progetto). “Ci sono valori che in questo momento vengono più in evidenza di altri – sostiene Maria Voce -, come la solidarietà, l’uguaglianza fra gli uomini, la preoccupazione per l’ambiente”. Il mondo uscirà migliore da questa crisi se sapremo “superare le divisioni legate ai pregiudizi, alla cultura, per vedere tutti come fratelli che appartengono all’unica famiglia dei figli di Dio”. Una certezza che viene da una profonda fiducia nell’uomo: “negli uomini c’è sempre una scintilla di bene e si può far leva su quella”; l’uomo risponde “perché (il bene) è insito dentro di lui”. È l’interiore convinzione che “Dio è Amore e ama tutte le creature” a suscitare speranza. In effetti – continua – basta guardarsi intorno per scorgere esempi di solidarietà. Gli sforzi di medici e infermieri che cercano di suscitare fiducia, un sorriso, e il loro dolore per le persone che non sono riusciti a salvare, hanno avuto l’effetto di “edificare” i pazienti che sono usciti guariti. Inoltre “Nel nostro Movimento tante persone sono state capaci di mettersi a disposizione del vicino di casa per portargli quello di cui aveva bisogno; tanti bambini hanno messo a disposizione di altri i giocattoli che per loro sono stati di conforto”. A livello di rapporti internazionali – osserva Maria Voce – “esempi di solidarietà li vediamo nella partecipazione di medici e infermieri che da altri Paesi sono venuti in Italia. […] Anche a livello di pensiero economico si sta cercando di fare di tutto perché i Paesi non pensino soltanto a difendere i propri beni ma ad integrare la propria visione con quella degli altri Paesi”. Testimonianze che tuttavia non nascondono le sfide che la crisi impone. Accanto a quelle personali – racconta – ci sono quelle che vengono dal guidare un movimento internazionale: “prendere decisioni che comportano difficoltà sia a livello personale che economico”. Qui “ho sentito di dover chiamare i miei diretti collaboratori, perché le decisioni fossero condivise, per far prevalere l’interesse delle persone su tutti gli altri interessi”. Anche la paura – osserva infine – non va negata, ma accettata per superarla: “direi di imparare a convivere con la paura e nello stesso tempo di non lasciarsi fermare da essa” restando – secondo l’esempio di Chiara Lubich – “ancorati al presente”. “Solo l’amore – conclude citando la fondatrice dei Focolari – scaccia la paura, e non c’è paura dove c’è il perfetto amore. Quindi aumentare l’amore fa diminuire la paura perché l’amore ti aiuta a fare delle azioni che la paura cercherebbe invece di condizionare”. Per guardare l’integrale dell’intervista clicca qui
Claudia Di Lorenzi
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Giu 11, 2020 | Focolari nel Mondo
“La necessità aguzza l’ingegno”. E’ sulla scia di questo detto che il 14 e 15 maggio scorso la comunità dei Focolari dell’area metropolitana di Manila ( Filippine) ha organizzato la prima Mariapoli Online.
“Eravamo sull’orlo della separazione. Essendo bloccati, noi due soli, abbiamo sentito di dover affrontare i nostri problemi, mettere da parte le nostre differenze e ricominciare da capo. Grazie per tutto il vostro amore”. Questo è solo uno dei tanti feedback che abbiamo ricevuto da coloro che si sono registrati e hanno partecipato via Zoom alla prima Mariapoli online del 14 e 15 maggio 2020 nelle Filippine. L’inaspettata quarantena diventata comunitaria a causa del Covid-19 ci ha spinto a cercare i mezzi per far sì che il nostro popolo si connettesse e si nutrisse della spiritualità dell’unità. L’idea ci è venuta in seguito alla trasmissione Online della S. Messa per un piccolo gruppo dei membri del Focolare che ben presto è risultato essere un appuntamento quotidiano per circa duemila persone. Sentivamo che, se da un lato non avevamo più la possibilità di fare i nostri progetti per “celebrare e incontrare” Chiara nel suo centenario, dall’altro Dio ci apriva questa strada che ci consentiva di farlo anche se a piccoli pezzi! Dall’entusiasmo dei partecipanti alla Messa, espresso attraverso i messaggi sulla chat di Facebook, è stato chiarissimo che anche in soli 30 minuti online era possibile fare un’esperienza di Dio!
Nel frattempo abbiamo avuto le nostre prime esperienze con Zoom, ad esempio durante la Settimana Mondo Unito e la Run4Unity. Abbiamo sentito di dover “andare” in Mariapoli, per stare con e accanto alla nostra gente, in questo momento così difficile. Non sarebbe stato facile: i “Mariapoliti” erano a casa, con tutte le distrazioni e molto probabilmente alle prese con molte cose da fare contemporaneamente: bambini da accudire, pasti da cucinare, faccende da sbrigare, ecc. Anche le disparità di rete in un paese in via di sviluppo come il nostro sono una grande sfida. Per questo la nostra Mariapoli doveva durare solo 2 giorni, e ogni volta solo 2 ore. Abbiamo anche pensato di cambiarle nome per gestire le aspettative della gente. Ma alla fine tutti noi volevamo che fosse proprio “Mariapoli”, come tutte le Mariapoli vissute. E volevamo che non fosse un Webinar, ma una Mariapoli, una Città di Maria, perché sentivamo il bisogno di aver Maria tra noi, di essere Lei, come ci ha insegnato Chiara, per portare Gesù in mezzo alla nostra gente, affinché questa esperienza potesse illuminare la loro esperienza della pandemia. Le persone registrate erano più di 950, non solo da tutte le Filippine, ma anche da diversi Paesi asiatici, dall’America Latina, dal Canada, dagli Stati Uniti e alcuni dall’Europa. Il programma, disponibile in Live-Streaming per un numero infinito di partecipanti, prevedeva canti, esperienze legate all’attuale situazione pandemica, input spirituali e un’ora di comunione profonda in gruppi. Un partecipante ha ben espresso che cos’è stata questa Mariapoli: “E’stata davvero un segno concreto dell’amore di Maria per tutti noi! Come nostra madre, lei conosce davvero i nostri bisogni personali e condivisi. Attraverso il tema scelto, i discorsi, le esperienze e i canti, ci ha nutrito con il giusto cibo e le giuste vitamine sia per il corpo che per l’anima”.
Romé Vital
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Giu 9, 2020 | Focolari nel Mondo
Il Paese dei cedri s’interroga sulle possibili vie d’uscita dalla grave crisi politico-economica-sanitaria che è scoppiata di recente. La speranza non muore mai in una terra che di traversie ne ha avute a non finire
Per la recente Settimana per un Mondo Unito, la comunità dei Focolari libanese si è voluta interrogare, giovani e adulti, sulle prospettive difficili di una profonda perturbazione che attanaglia il Paese. Sono in effetti varie crisi che si sommano: quella politico-sociale, iniziata il 17 ottobre scorso, con la thaoura, la rivoluzione di popolo, scatenatasi contro una classe dirigente del Paese accusata di corruzione e di incapacità nella gestione pubblica; quella economica, che ha mostrato la sua profondità nel marzo scorso, quando il governo ha dichiarato di non poter rimborsare un suo debito di 1,2 miliardi di dollari con l’Unione europea, e in queste ultime settimane con il crollo della lira libanese che, scambiata qualche mese fa a 1500 lire per dollaro, oggi viaggia sui 4000 e più; infine, la crisi sanitaria dovuta al coronavirus, che non ha avuto diffusione eccessiva (meno di mille contagiati per meno di 30 morti) ma che ha comunque portato il Paese a una lunga segregazione, non ancora terminata. Per questa situazione, soprattutto i giovani sembrano voler riprendere una vecchia tradizione del Paese, cioè l’espatrio per mancanza di prospettive. Va ricordato che per 4 libanesi che abitano nel territorio mediorientale, ce ne sono circa 12 sparsi in tutto il mondo, analogamente a quanto accade per tanti popoli vicini, in particolare ebrei, palestinesi ed armeni. L’emigrazione è particolarmente dolorosa per i libanesi, che ritengono di avere (ed è vero) un Paese magnifico, ricco di storia e di bellezze naturalistiche, crocevia mediorientale di ogni tipo di traffici e commerci, patria di Premi Nobel e grandi mercanti, cineasti e scrittori, santi e scienziati. E poi va sottolineato come la diaspora sia un affare dolorosissimo, visto l’incredibile attaccamento alla famiglia che i libanesi manifestano ad ogni occasione. In questo contesto, i Focolari locali hanno organizzato un Webinar, cui hanno partecipato circa 300 persone di diversi Paesi, dal Canada all’Australia, alla Spagna e all’Italia, dal titolo esplicito: “Costruire un futuro vivendo per la fraternità”. Due avvocatesse, Mona Farah e Myriam Mehanna, hanno voluto presentare una delle più gravi minacce che si stanno sopportando in Libano, cioè la pericolosa assenza di certezza del diritto. Nel contempo il Libano ha delle capacità notevoli nel trovare le soluzioni più adatte alla complessità del panorama e ha una tradizione antichissima di capacità giuridiche. Si comprende quindi il desiderio di espatriare dei suoi giovani, anche se va riscontrata la volontà di tanti di rimanere per costruire un Libano più unito e fraterno, in un contesto in cui esistono 18 comunità confessionali, riunite da un sistema politico di “democrazia confessionale” unico al mondo. Sono seguite naturalmente le testimonianze di due coppie ancora giovani che una dozzina d’anni fa hanno deciso di tornare in patria, dopo alcuni anni di esperienze lavorative all’estero, per contribuire alla ricostruzione del Paese dopo la guerra cosiddetta civile. Così Imad e Clara Moukarzel (che lavorano nel sociale e nell’umanitario) e Fady e Cynthia Tohme (entrambi medici) hanno testimoniato che sì, è possibile rimanere o tornare per non cedere un Paese ricco come il Libano alle forze più retrive. Tony Ward, imprenditore nel campo dell’alta moda, ha poi raccontato la sua decisione di tornare in patria vent’anni fa, pur lavorando in un ambiente naturalmente mondializzato. Ha raccontato anche come, nella crisi del coronavirus, abbia riconvertito per alcune settimane la sua produzione verso la preparazione di lenzuola, mascherine e tute per gli ospedali libanesi che trattano i casi di coronavirus. Da parte sua, Tony Haroun, dentista da più di trent’anni in Francia, ha voluto raccontare le difficoltà degli espatriati, soprattutto culturali, ma ha anche sottolineato come la disponibilità di ascoltare la voce di Dio permetta di superare ogni sorta di ostacoli. Ancora, Michele Zanzucchi, giornalista e scrittore basato in Libano, ha voluto evidenziare tre qualità del popolo libanese che potranno essere di grande aiuto nell’attuale emergenza: la resilienza, cioè la capacità di resistere agli urti senza spaccarsi; la sussidiarietà, cioè la capacità a sostituire lo Stato quando questi non riesce ad assicurare i servizi essenziali; e infine la creatività, di cui i libanesi sono grandi estimatori, creando un’infinità di progetti umanitari, economici, commerciali, politici e via dicendo. Youmna Bouzamel, giovane moderatrice del Webinar, ha voluto sottolineare in conclusione come il Libano sembri veramente fatto per accogliere il messaggio della fraternità, sola vera possibilità che ha tra le mani. Se Giovanni Paolo II aveva definito il Libano non tanto “un’espressione geografica” quanto “un messaggio”, oggi questo messaggio è innanzitutto un annuncio di fraternità. Grandi ideali e realismo coniugati assieme.
Pietro Parmense
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Giu 8, 2020 | Chiara Lubich
Il Vangelo è Parola di Dio in parole umane e per questo è sorgente di vita sempre nuova, anche in questi tempi di pandemia. Ma perché questa si possa sprigionare, bisogna mettere in pratica le parole di Gesù, tradurle in atti concreti di fede, di amore, di speranza. (…) «Sulla tua parola getterò le reti»[1]. Gesù, perché potesse sperimentare la potenza di Dio, ha chiesto a Pietro la fede: credere a Lui e credere addirittura a qualcosa, umanamente parlando, di impossibile, anzi di assurdo: pescare di giorno quando la notte era stata così avara. Anche noi, se vogliamo che torni la vita, se desideriamo una pesca miracolosa di felicità, dobbiamo credere e affrontare, se occorre, il rischio dell’assurdo che, alle volte, la sua Parola comporta. Lo sappiamo: la Parola di Dio è vita; ma si ottiene passando per la morte; è guadagno, ma si ha perdendo; è crescita, ma si raggiunge diminuendo. E allora? Come risolvere lo stato di stanchezza spirituale in cui possiamo trovarci? Affrontando il rischio della sua Parola. Spesso influenzati dalla mentalità di questo mondo, in cui viviamo, crediamo un po’ anche noi che la felicità stia nel possedere o nel farsi valere; nel darsi al divertimento o nel dominare sugli altri, nell’apparire, nell’accontentare i sensi: nel mangiare, nel bere… Ma non è così. Proviamo ad affrontare il rischio del taglio a tutte queste cose; lasciamo che il nostro io corra il rischio della morte completa. Rischiamo, rischiamo! Una, due, dieci volte al giorno. Che succederà? Alla sera sentiremo rifiorire, dolce, nel cuore l’amore; ritroveremo l’unione ormai insperata con Lui; risplenderà la luce delle sue inconfondibili ispirazioni; ci invaderà la sua consolazione, la sua pace e ci risentiremo sotto il suo sguardo di Padre. E, avvolti così dalla sua protezione, rinascerà in noi la forza, la speranza, la confidenza, la certezza che il Santo Viaggio è possibile; (…) sentiremo la sicurezza che il mondo può esser suo. Ma occorre rischiare la morte, il nulla, il distacco. È questo il prezzo! (…)
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 17 febbraio 1983) Tratto da: “Rischiare sulla sua parola”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 108. Città Nuova Ed., 2019. [1] Lc 5,5. (altro…)
Giu 7, 2020 | Sociale
Dopo i fatti di Minneapolis e le manifestazioni nel mondo ci sentiamo impotenti e indignati, eppure continuiamo a credere e lavorare per uno spirito di aperta accoglienza e partecipazione per affrontare i bisogni più profondi del nostro tempo.

Foto: Josh Hild (Pexels)
“Mentre abbiamo ancora davanti agli occhi i recenti avvenimenti che evidenziano ancora una volta l’odiosa realtà dell’ingiustizia razziale e della violenza, abbiamo il cuore spezzato. Ci sentiamo Impotenti e indignati. Eppure continuiamo a sperare”. Sono queste alcune delle espressioni iniziali della dichiarazione con cui la comunità dei Focolari in USA esprime il proprio impegno nei confronti della giustizia raziale in seguito ai fatti di Minneapolis e alle proteste a cui stiamo assistendo nel mondo. Un impegno condiviso a livello globale e che ribadiamo qui, a nome di tutti i membri del Movimento dei Focolari nel mondo. Con Papa Francesco e molti leaders religiosi e civili, anche noi affermiamo che “Non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione” e che ci impegniamo a “sostenere le azioni buone e giuste più difficili invece dei facili torti dell’indifferenza”, come sostengono i vescovi statunitensi. “Non possiamo chiudere un occhio su queste atrocità e al contempo professare di rispettare ogni vita umana. Noi serviamo un Dio di amore, di misericordia e di giustizia”. 
Foto: Kelly Lacy (Pexels)
In un momento come questo in cui “il sogno della nostra fondatrice, Chiara Lubich, di vedere passi avanti nella realizzazione della preghiera di Gesù al Padre, ‘che tutti siano una cosa sola’ (Gv 17,21) sembra lontano, quasi fuori di portata”[1], ci domandiamo cosa possiamo fare sia personalmente che a livello comunitario. Quale cambiamento occorre operare in ciascuno di noi? In che modo possiamo far sentire la nostra voce nel pubblico dibattito per supportare chi soffre forme di razzismo e non solo? “Il nostro obiettivo è quello di promuovere un profondo spirito di aperta accoglienza e di vibrante partecipazione nelle nostre comunità culturalmente diverse e intergenerazionali. Prendiamo come guida le parole di Chiara Lubich: ‘Siate una famiglia’ “[2]. Crediamo e continuiamo nell’impegno di dar vita a comunità locali che siano autenticamente fondate sulla legge evangelica della fraternità; un principio e un’azione che ci unisce anche ai fratelli e alle sorelle di tutte le Religioni e a chi non si riconosce in un preciso credo. Vogliamo dedicare i nostri sforzi soprattutto ai più giovani, che possono provare particolare paura e apprensione per il loro futuro. Di fronte a spaccature così profonde e radicate, i progetti e le iniziative che portiamo avanti possono sembrare piccole o inefficaci e la strada ancora lunga. Progetti come l’Economia di Comunione, il Movimento politico per l’unità (Mppu) e lo United World Project, la strategia globale proposta dai giovani dei Focolari per affrontare le sfide mondiali in campo, possono sembrare gocce nel mare, eppure siamo convinti che contengano, in nuce, idee potenti, capaci di contribuire ad affrontare i bisogni più profondi del nostro tempo insieme a tante persone, organizzazioni e comunità che costituiscono quella rete invisibile capace di salvare l’umanità.
Stefania Tanesini
[1] Statement of U.S. Focolare Movement: our commitment to racial justice – https://www.focolare.org/usa/files/2020/06/Focolare-Statement-on-Racial-Justice.pdf [2] Ibid. (altro…)
Giu 6, 2020 | Collegamento
Testimonianza dal Congo dopo i difficili mesi di lotta al virus ebola. https://vimeo.com/402498234 (altro…)
Giu 5, 2020 | Cultura
La vocazione universale del Movimento dei Focolari per costruire la fratellanza universale senza distinzione di razza, religione, condizioni economiche e sociali. Proponiamo la seconda parte dell’intervista a Luciana Scalacci, non credente, membro della Commissione internazionale e italiana del Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose dei Focolari. Come ti sei avvicinata tu, da non credente ai Focolari e come ti ha cambiato la vita? Un giorno nostra figlia ci scrive di aver trovato un posto dove mettere in pratica i valori che le avevamo trasmesso: aveva incontrato la comunità dei Focolari di Arezzo. Non conoscevamo il Movimento, ci preoccupammo, dovevamo andare a vedere di cosa si trattasse. Ma avemmo subito l’impressione di trovarci in un posto dove c’era il rispetto per le idee degli altri, trovammo un’apertura mai incontrata prima. L’incontro con il Movimento fu come una luce che mi fece riprendere a sperare nella possibilità di costruire un mondo migliore. Hai incontrato Chiara Lubich più volte: che valore ha avuto questo rapporto personale? Nel 2000, in un incontro pubblico, rispondendo ad una mia domanda disse: “…anche per noi l’uomo è rimedio per l’uomo, ma quale uomo? Per noi è Gesù. Comunque uomo. Prendetelo anche voi perché è uno dei vostri, è uomo”. Fu allora che capii che il Movimento era il posto dove mi potevo impegnare, e compresi perché anche da non credente, ero sempre stata affascinata dalla figura di Gesù di Nazareth. È poi capitato che m’invitasse a raggiungerla per un saluto personale, io che non sono nessuno. Era un saluto che ti penetrava tutta, si capiva quanto fosse grande il suo amore per te. In una lettera, in cui colgo parole profetiche, mi scrisse: “Carissima Luciana…abbiamo fatto tanti passi insieme e ci siamo reciprocamente arricchiti. Ora, come tu dici, dobbiamo rendere questo cammino sempre più visibile perché tanti altri possono trovarlo. Il segreto lo conosciamo: Andiamo avanti ad amare”. In questi anni di dialogo come si è passati dal confronto fra un “noi” e un “voi” al sentirsi “Uniti nel Noi”? Lo scetticismo iniziale fu la prima cosa da superare. Da parte dei non credenti la preoccupazione che si trattasse di un’azione di proselitismo; da parte dei credenti la preoccupazione, io credo, che i non credenti tentassero di mettere in discussione le loro certezze, la loro fede. L’unica che non ha mai avuto preoccupazioni di sorta, è stata Chiara. Sperimentavamo sempre di più che la grande risorsa per camminare verso la meta della fratellanza universale è il dialogo. Piano piano è cresciuta la fiducia fra le “due parti”, e ci siamo sentiti non più “un noi-voi” ma “uniti nel noi”. Una sfida decisiva è quella di coinvolgere i giovani. Che sensibilità riscontrate? Non tutti i giovani sono molto informati dell’apertura a coloro che non si riconoscono in nessuna fede religiosa, ma quelli che ho avuto la possibilità di conoscere si sono dimostrati interessati a questa realtà. Una ragazza, dopo averci incontrato, ha scritto: “questo dialogo l’ho sentito come una sfaccettatura di quel diamante prezioso che ci ha consegnato Chiara…non incrostiamolo”. Clicca qui per leggere la 1° parte dell’intervista
Claudia Di Lorenzi
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Giu 4, 2020 | Cultura
Costruire un mondo unito senza distinzione di razza, religione, condizioni economiche e sociali. “Noi abbiamo come Movimento, come nuova Opera sorta nella Chiesa, una vocazione universale, poiché il nostro motto è: “Che tutti siano uno”. Noi non possiamo fare a meno di voi, perché ci siete nei tutti, altrimenti toglieremmo via mezzo mondo o almeno un terzo di mondo, e lo escluderemmo, mentre noi diciamo “che tutti siano uno”. Così, nel maggio 1995, la fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich, spiegava le ragioni che hanno spinto il Movimento a ricercare e sviluppare un dialogo con le persone che non si riconoscono in un credo religioso. Ne parliamo con Luciana Scalacci, 73 anni, di Abbadia San Salvatore (Italia). Non credente, è membro della Commissione internazionale e italiana del Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose dei Focolari. Nel Movimento la ricerca di un dialogo con persone di convinzioni non religiose ha radici profonde. Quali sono le tappe più importanti? Il “Centro del Dialogo con i non credenti” nasce nel 1978 e l’anno seguente, per la prima volta, persone di convinzioni non religiose parteciparono ad incontri promossi dai Focolari. Chiara invitò tutto il Movimento ad una apertura verso i non credenti ritenendo che tutti siamo “peccatori” e pertanto possiamo fare un cammino comune di liberazione e costruire insieme la fratellanza universale. Nel 1992 il Centro promosse il primo convegno internazionale dal titolo “Costruire insieme un mondo unito”. “La vostra partecipazione alla nostra Opera è essenziale per noi – disse Chiara -. Senza di voi (come senza le sue altre componenti) essa perderebbe la sua identità”. Nel 1994 il secondo convegno. Nel suo messaggio Chiara disse: “il nostro scopo è quello di contribuire all’unità di tutti partendo dall’Amore ad ogni singola persona. Cercheremo, quindi, di vedere quanto grande sia, nell’Umanità a tutti i livelli, l’aspirazione alla fratellanza universale e all’unità”. Dopo la scomparsa di Chiara, nel 2008, la Presidente Maria Voce ha confermato più volte che le persone di convinzioni non religiose sono una parte essenziale del Movimento. Negli anni ‘70 non era comune che un Movimento di ispirazione cristiana aprisse le porte ai non credenti…quali gli obiettivi? L’unità del genere umano, dare concretezza al “Che tutti siano uno”, perché il mondo unito si costruisce con gli altri e non contro gli altri. Su quale base si fonda la possibilità di costruire un dialogo fra credenti e non credenti? Sull’esistenza di valori comuni, come la fraternità, la solidarietà, la giustizia, l’aiuto ai poveri. In comune c’è anche il fatto che tutti abbiamo una coscienza personale che ci consente di riflettere su questi valori singolarmente ma anche in maniera collettiva, per diventare patrimonio di tutti. In questo cammino avete incontrato delle difficoltà? Dialogare da posizioni diverse non sempre è facile. Rapportarsi a contenuti concreti e realizzare qualcosa di pratico è più semplice perché la prassi non fa distinzione di colore, religione, idee. Le difficoltà vengono quando dalla pratica si passa ai valori, alle ideologie, alle sovrastrutture. Il dialogo può rischiare di arenarsi. Ma questo non è avvenuto. Chiara ha chiesto sia ai credenti che a noi “amici” di mettersi nella massima apertura, non per fare un atto di carità ma per arricchirsi vicendevolmente e fare insieme il cammino verso un mondo migliore.
Claudia Di Lorenzi
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Giu 2, 2020 | Focolari nel Mondo
Gabriela Bambrick-Santoyo è un medico di Medicina Interna. È nata e cresciuta a Città del Messico ed è membro attivo e impegnato della comunità dei Focolari dal 1987. Attualmente lavora come Direttore del Programma Associato del reparto di Medicina Interna in un ospedale nel Nord del New Jersey, oggi un punto caldo dell’attuale pandemia di coronavirus COVID-19. Ecco un estratto dell’intervista realizzata da cruxnow.com Gabriela, puoi dire qualcosa su come la tua fede cattolica e la spiritualità dei Focolari ispirano la tua vocazione a essere medico? La mia vocazione di cattolica, e facente parte del movimento dei Focolari, e la mia vocazione di medico sono inseparabili. Sono nata cattolica e ho conosciuto il Movimento dei Focolari quando avevo circa diciotto anni. Questo incontro ha cambiato la mia vita perché è stata la prima volta che sono stata spinta a vivere concretamente quel vangelo dell'”ama il tuo prossimo come te stessa”. Questo mi ha profondamente cambiata ed è stato ciò che ha guidato le mie azioni, sia come persona che come medico. Com’è stato essere in prima linea nella pandemia COVID-19 in un punto caldo del New Jersey? Ha messo a dura prova la mia fede. Soprattutto la paura della morte. Diventa una possibilità molto reale quando vedi tanta morte intorno a te. Una volta che dici di sì alla chiamata a dare la nostra vita per gli altri, che tutti noi come cristiani abbiamo, le grazie piovono dentro e fuori di te! Lo fanno davvero! Ho dovuto chiedermi pure cosa significasse “amare gli altri come te stessa” in questa pandemia di COVID. Quando ho iniziato a vedere i pazienti, ero piena di paura. Volevo entrare rapidamente… e lasciare la stanza il prima possibile. Poi un colpo di scena: mia figlia, una sana diciottenne, è stata ricoverata in ospedale con il COVID. Di sera mi chiamava piangendo dalla sua stanza d’ospedale dicendo: “Mamma, ho perso tutta la mia dignità. Devo andare in bagno e non mi fanno uscire. Non vogliono entrare e continuano a spingermi nella mia stanza e a un certo punto ho pensato di dover andare in bagno sul pavimento”. Questo mi ha distrutto, Charlie, e mi ha fatto chiedere se stavo facendo qualcosa di simile ai miei pazienti. A quel punto ho deciso di cambiare in modo da dare pienamente la mia vita ai miei pazienti, di avere più comprensione e di non farli mai sentire abbandonati. Dev’essere così difficile confrontarsi con la morte al ritmo con cui l’hai vista nelle ultime settimane. Per tutti noi è così difficile anche solo immaginarla. È vero, ma a volte ci sono anche delle grazie. Una delle mie pazienti era una novantunenne molto malata, che in sostanza sapeva che sarebbe morta a causa del COVID-19 ed era in pace. Il mio atto di misericordia è consistito nell’essere lì negli ultimi momenti della sua vita. Nel passare del tempo non solo con la mia paziente, ma anche con la sua famiglia al telefono. Non dimenticherò mai quando le ho detto che la sua famiglia le voleva molto bene e che era in pace e che sapeva che lei era pronta e mi ha stretto la mano. Questa è misericordia. Avevo un altro paziente con il quale ho avuto quella che io chiamo “situazione a doppio colpo”. Oltre ad essere un paziente COVID, era molto aggressivo, non completamente stabile e diceva che mi avrebbe dato un pugno se non avessi fatto X o Y. Non è stato immediato ricordarmi che anche questa persona è figlia di Dio e che dovevo guardarla con pazienza, amore e misericordia. Una volta che egli ha visto questo nei miei occhi, la sua rabbia ha cominciato a svanire. Sulla via del ricovero in un altro reparto, si è girato verso di me, mi ha sorriso e mi ha detto: “Tu e [l’infermiera X] siete state le uniche a dedicare del tempo a spiegarmi le cose”. Che differenza fa la sua robusta vita di preghiera e i suoi impegni teologici in riguardo a come pratica la medicina in queste circostanze? La preghiera è stata un pilastro centrale della mia vita e mi ha permesso di superare questa crisi. È nella preghiera che trovo pace e conforto. È nella preghiera che mi trovo in Dio. Infine, partecipo agli incontri settimanali (incontri zoom) con la mia comunità dei Focolari. Tutte queste cose insieme sono come l’armatura che mi permette di affrontare questa crisi. Qui potete leggere l’intervista completa: https://cruxnow.com/interviews/2020/04/doctor-balances-faith-work-in-coronavirus-hotspot/ (altro…)