Mag 6, 2020 | Vite vissute
E’ stato uno dei primi religiosi ad aderire alla spiritualità dei Focolari. Un contemplativo in piena azione; un uomo di Dio immerso nell’umanità. Cosa significa e a che cosa serve “contemplare” oggi? E come si contempla nel XXI secolo? In tempi come questi, chiusi in casa per il Covid e pressati da preoccupazioni per il futuro, prendersi del tempo per metterci in contatto con l’Assoluto potrebbe non sembrare una priorità. Da pochi giorni, però, mi sono dovuta ricredere: ho conosciuto la straordinaria figura di padre Ermanno Rossi, domenicano italiano, pioniere dei Focolari negli anni ’50 che ci ha lasciati lo scorso lunedì di Pasquetta. La sua parabola esistenziale dice che solo una relazione intima con Dio poteva renderla possibile. Lo conferma un suo scritto, stilato in occasione del suo 90mo compleanno: “Le vicende della mia vita sono state tante! Ricordo soltanto una convinzione interiore che mi ha guidato in tutte le scelte: ‘Nulla chiedere e nulla rifiutare’. Ciò significava per me: valutare bene il compito che mi veniva affidato, metterci tutte le forze con la certezza che al resto ci avrebbe pensato Dio. Per questo motivo, non ho mai chiesto nulla né rifiutato nulla, qualunque compito mi venisse richiesto, anche se è stato quasi sempre contrario al mio sentire. Giunto a questa età posso, però, assicurare che è valsa la pena fidarsi di Dio. (…) Assieme alle difficoltà ho avuto delle grazie straordinarie. Tra queste ha un posto di tutto rilievo l’incontro con Chiara Lubich e con il suo Movimento. Questo incontro è stato il faro della mia vita”. E la sua è stata una vita a dir poco intensa: dal 1950 al ’55 è stato incaricato dei giovani aspiranti alla vita domenicana; scriveva che la sua cella era l’automobile: “Ero sempre in giro per l’Italia centrale”. E’ in quegli anni che padre Ermanno approda in una delle prime comunità romane dei Focolari e conosce Graziella De Luca: “Feci solo una domanda: ‘Ora che siete in vita voi, va tutto bene; ma quando la prima generazione sarà passata, avverrà inevitabilmente il declino, com’è capitato a tutte le fondazioni’. Graziella mi rispose: ‘No! Finché ci sarà Gesù in mezzo, questo non avverrà’ ”. Da quel momento la sua vita ha subito, se possibile, ancor più un’accelerata: è stato rettore ed economo di un seminario; docente di Morale a Loppiano; ha girato l’Europa per far conoscere lo spirito dei Focolari a numerosi religiosi. E’ stato responsabile per il Centro Missionario della sua provincia religiosa, poi parroco a Roma e superiore di una piccola comunità. Con quale spirito padre Ermanno ha vissuto tutto questo? Lo racconta lui stesso: “In tutte queste vicende c’è stata una costante: ogni volta ho dovuto cominciare da capo; ho dovuto “riciclarmi”. È stato come se mi avessero affidato ogni volta un mestiere nuovo. Altra costante: al primo impatto, la nuova situazione si è sempre rivelata dolorosa, poi l’ho vista provvidenziale. Ora ho la certezza che ciò che la Provvidenza dispone a mio riguardo è quanto di meglio mi possa capitare”. Nella spiritualità dell’Unità padre Ermanno ha trovato la strada per un nuovo rapporto con Dio. Fino allora, Dio era stato cercato nella solitudine. Da Chiara Lubich scopre che il fratello è la via diretta per andare a Dio; un cammino che non richiede necessariamente la solitudine: può esser fatto anche in mezzo alla folla.
Stefania Tanesini
(altro…)
Mag 4, 2020 | Chiara Lubich
Il seguente scritto di Chiara Lubich ci conduce al cuore della fede cristiana. “Abbiamo creduto all’amore di Dio — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita”[1]. È una scelta che in questi tempi si rivela assai ardita, ma non per questo meno vera. Questa volta parleremo ancora di preghiera: è il respiro della nostra anima, l’ossigeno di tutta la nostra vita spirituale, l’espressione del nostro amore a Dio, il carburante di ogni nostra attività. Ma di quale preghiera tratteremo? Di quella che – con le infinite e divine ricchezze che contiene – è tutta racchiusa in una parola, in una sola parola, che Gesù ci ha insegnato e lo Spirito ha messo sulle nostre labbra. Ma veniamo alla sua genesi. Gesù pregava, pregava il Padre suo. Per lui il Padre era «Abbà» e cioè il babbo, il papà, cui egli si rivolgeva con accenti di infinita confidenza e di sterminato amore. Lo pregava essendo nel seno della Trinità, dove egli è la seconda divina Persona. È stato proprio anche per questa sua particolarissima preghiera che ha rivelato al mondo chi egli realmente era: il Figlio di Dio. Ma, giacché era venuto in terra per noi, non gli è bastato essere lui in questa condizione privilegiata di preghiera. Morendo per noi, redimendoci, ci ha fatti figli di Dio, fratelli suoi, e ha dato anche a noi, tramite lo Spirito Santo, la possibilità d’essere introdotti nel seno della Trinità, in lui, assieme a lui, per mezzo di lui. Cosicché anche a noi è stata resa possibile quella sua divina invocazione: «Abbà, Padre!»[2]: «Papà, babbo mio!», nostro – con tutto ciò che essa comporta: certezza della sua protezione, sicurezza, cieco abbandono al suo amore, consolazioni divine, forza, ardore; ardore che nasce in cuore a chi è certo di essere amato… È questa la preghiera cristiana, una preghiera straordinaria. Non si riscontra in altri luoghi, né in altre religioni. Al più, se si crede in una divinità, la si venera, la si adora, la si supplica stando, per così dire, all’esterno di essa. Qui no, qui si entra nel Cuore di Dio. E allora? Allora ricordiamoci anzitutto della vertiginosa altezza a cui siamo chiamati come figli di Dio e, di conseguenza, dell’eccezionale nostra possibilità di pregare. Naturalmente, si può dire «Abbà, Padre!», con tutto il significato che questa parola comporta, solo se lo Spirito Santo la pronuncia in noi. E, perché ciò sia, occorre essere Gesù, null’altro che Gesù. Il modo? Lo sappiamo: egli già vive in noi per la grazia. Ma occorre fare la parte nostra. Essa consiste nell’amare, nell’essere nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Con più pienezza poi lo Spirito la porrà sulle nostre labbra se saremo in perfetta unità coi nostri fratelli, dove Gesù è fra noi. «Abbà, Padre!», sia la nostra preghiera. (…) Per essa corrisponderemo in pieno alla nostra chiamata a credere all’amore, alla fede nell’amore che sta alla radice del nostro carisma. Sì, l’Amore, il Padre ci ama. È il nostro papà: di che possiamo temere? E come non vedere nel disegno d’amore che egli ha su ciascuno di noi, e che ci si rivela giorno dopo giorno, la più straordinaria avventura a cui potevamo essere chiamati? «Abbà» è la tipica preghiera del cristiano. E in modo speciale di noi focolarini. Se siamo dunque sicuri che stiamo vivendo il nostro Ideale, se siamo cioè nell’amore, rivolgiamoci al Padre così, come faceva Gesù. Le conseguenze? Le sentiremo nel nostro cuore.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 9 marzo 1989) Tratto da: “Abbà, Padre!”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 355. Città Nuova Ed., Roma 2019. [1] Benedetto XVI, Deus Caritas est, 1. [2] Mc 14,36; Rm 8,15. (altro…)
Mag 2, 2020 | Collegamento
https://vimeo.com/413215068 (altro…)
Apr 30, 2020 | Nuove Generazioni
Mai come quest’anno la Settimana Mondo Unito è un evento locale e globale allo stesso tempo. Oltre 400 micro e macro eventi in 65 Paesi. Tutti rigorosamente Online. Sabato 2 Maggio, alle ore 12.00 (UTC +2), la diretta streaming “#InTimeForPeace Web Event”. C’è solo l’imbarazzo della scelta: si può iniziare la Settimana Mondo Unito (SMU) partecipando alla Run4Unity in Australia o in Texas, per poi unirsi alla preghiera per la pace a Cuba e dare un’occhiata al “caffè politico” in Argentina. Di grande interesse è anche la serie di Webinair promossi da United World Project e per gli amanti della World Music ci sono gli eventi e i concerti in diversi Paesi africani. E il bello è che non occorre neppure scegliere: è possibile partecipare a tutto e per di più comodamente, da casa propria. Il Covid avrebbe potuto farla da padrone anche nella Settimana Mondo Unito 2020 e invece no; o meglio: non solo. #intimeforpeace, in tempo per la pace è il titolo e lo slogan degli oltre 400 eventi in programma in almeno 65 Paesi del mondo. Significa che per almeno una settimana pace, diritti umani e legalità saranno oggetto di riflessione e azione 24 ore su 24 e a diverse latitudini; significa che un numero sempre crescente di persone crede che la costruzione di un mondo regolato da norme, economie, culture che si ispirano alla pace in tutte le possibili declinazioni non è più procrastinabile. Si parte il 1 maggio e fino al 7 – come dicono i giovani – ce ne sarà per tutti. Sulla pagina Web dello United World Project c’è ampia scelta; a dire che non esiste un unico modo per sostenere la pace, battersi per i diritti umani, praticare la legalità. Sia che realizziamo mascherine, distribuiamo viveri, teniamo compagnia a chi è solo o semplicemente facciamo il nostro dovere restando a casa, ogni gesto di prossimità, solidarietà, sostegno a distanza rientra sotto il grande ombrello della pace. Tra le azioni di punta di questa SMU c’è la petizione per chiedere la cessazione dell’embargo contro la Siria, promossa dalla ONG New Humanity e firmata anche da numerose personalità: l’appello inviato al Segretario Generale delle Nazioni Unite, al Presidente del Parlamento Europeo ha la forza di una convocazione mondiale per salvare un Paese già in ginocchio dopo 10 anni di guerra e che ora rischia di riscendere nell’abisso per via della minaccia Covid. COME, DOVE E QUANDO SEGUIRE GLI EVENTI DELLA SMU Spazio e contenitore della maratona multimediale “In Time For Peace” è sempre il sito web www.unitedworldproject.org dove sarà anche possibile consultare il calendario degli eventi locali. Gli eventi centrali Sabato 2 Maggio, alle ore 12.00 (UTC +2), la diretta streaming “#InTimeForPeace Web Event” collegherà diverse città del pianeta, raccontando storie e azioni, ospitando dibattiti e performance artistiche. Domenica 3 Maggio, dalle 11:00 alle 12:00 di ogni fuso orario, si correrà virtualmente la Run4unity, un evento sportivo, una staffetta non stop che abbraccerà il globo, con giochi, sfide, testimonianze e impegni per stendere simbolicamente sulla Terra un arcobaleno di pace.
Stefania Tanesini
www.unitedworldproject.org
(altro…)
Apr 29, 2020 | Testimonianze di Vita
Tutto dipende da come guardiamo “l’altro”, il fratello o la sorella: le situazioni possono ribaltarsi se scegliamo di amare. Tempi duri Krystyna mi parlava dei tempi duri della Polonia in stato di guerra: «Mancavano generi alimentari e prodotti per l’igiene, ricevevamo roba da amici dell’allora Germania Orientale. Invece i nostri vicini facevano feste con abbondante uso di alcolici. Un giorno però notammo nel loro appartamento un insolito silenzio e dalla bambina, rimasta sola, venimmo a sapere che la mamma era in ospedale. Andai a trovarla portando con me sapone e dentifricio, prodotti allora introvabili. Quando lei mi vide, rimase di stucco: “Proprio lei, a cui ho dato sempre disturbo, è venuta da me? Nessuno degli amici che ci frequentano è venuto: Una volta dimessa dall’ospedale, mi invitò a casa sua. L’accoglienza fu calorosa. Poi prese a confidarmi qualcosa della sua triste infanzia, il non senso della sua vita e il bisogno di uscire da un certo giro. L’ascoltai con amore e le assicurai la mia preghiera. In seguito, l’uomo che viveva con lei se ne andò e la rumorosa compagnia smise di frequentare quella casa. Ora quella mamma poteva offrire una vita “normale” alla sua bambina». B.V. – Polonia Giovane coppia del Sud Venuti dal Sud Italia, si erano trasferiti al Nord per uscire da un paesino dove dominava la mafia. Avevano necessità di trovare casa e lavoro per entrambi. La mia situazione economica non era delle più floride, ma con fede mi sono messa ad aiutarli a cercare un alloggio. Purtroppo, quando dicevo che erano del Sud, tanti chiudevano la porta. Ho pianto con loro e ancora una volta mi sono resa conto che soltanto un povero può capire un altro povero. Ho vissuto con quella giovane coppia tante umiliazioni e, quando alla fine abbiamo trovato la casa e il lavoro, mi sono scoperta arricchita da questa condivisione. V.M. – Italia Le tovaglie rubate Lavoro come cassiera in un ristorante. Non ho ritegno a chiedere in cucina gli avanzi per portarli ai bambini che vivono sulla strada. Sono sempre tanti quelli che tutti i giorni incontro lungo il tragitto verso casa. Un giorno, mentre sto scendendo dal bus, qualcuno mi strappa dalle mani la borsa e via! Rimango interdetta: dentro c’erano dieci tovaglie del ristorante appena ritirate dalla lavanderia. Come fare? Come lo dirò al mio datore di lavoro? Comprare la stoffa per rifarle è impensabile, date le mie possibilità, e non so come dirlo a mia madre e al direttore del ristorante. Sono certa però che l’Eterno Padre mi aiuterà. Il giorno dopo riferisco al mio datore di lavoro quello che mi è successo e lui, senza scomporsi, dice che attende le tovaglie prima possibile. A questo punto una cliente che ha ascoltato la nostra conversazione si avvicina e si dichiara disponibile a comprare la stoffa necessarie per confezionarne di nuove. Da non crederci! Il mio primo moto di gioia è stato pensando ai bambini che avrei potuto ancora aiutare con il cibo. D.F. – Filippine Fiducia Incontrai Alvaro in una trattoria: 35 anni, trasandato e con la barba incolta. Quando mi chiese di aiutarlo a compilare delle domande di lavoro, gli diedi appuntamento per il giorno dopo nel mio studio. Si presentò verso sera, dicendo che in realtà chiedeva solo amicizia. Mi fece compassione e, superando il disgusto per l’odore che emanava, gli offrii del brandy. Lui capì che non lo giudicavo e cominciò a raccontarmi i suoi problemi, da quando, bambino, era stato abbandonato dalla madre e il padre era finito in prigione. Le ore passavano e lui, come in confessione, continuava a dirmi di sé. Albeggiava quando si accorse che era giorno e, scusandosi, mi salutò. Lo rividi altre volte, gli feci conoscere i miei amici che lo accolsero con eguale familiarità. Lui ricambiava con vari lavoretti: un vero aggiusta-tutto. Riuscì poi a trovare un lavoro stabile, fece anche carriera, si sposò e divenne padre di due bambini. Quando, anni dopo, mi raccontò tutto questo, era un’altra persona. Aveva ritrovato la sua dignità, grazie alla fiducia che gli avevamo dimostrato. A.C. – Italia
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.2, marzo-aprile 2020) (altro…)
Apr 27, 2020 | Chiara Lubich
Nella sua omelia del Venerdì Santo 2020 nella Basilica di San Pietro (Roma) il padre cappuccino, Raniero Cantalamessa, ha detto che “ci sono cose che Dio ha deciso di accordarci come frutto insieme della sua grazia e della nostra preghiera”. Il seguente scritto di Chiara Lubich è un invito a collaborare con Dio chiedendo grazie e mettendoci nelle migliori condizioni per ottenerle. «Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono»[1] (…). Gesù con questa Parola ci ha detto chiaramente che non c’è comunione con Dio, culto vero, preghiera autentica, senza la riconciliazione con i fratelli. Speriamo, dunque, che tale discorso sia entrato profondamente in tutti i nostri cuori. Ed è per questa speranza che vorrei ora parlarvi proprio della preghiera che, su queste basi, è senz’altro accetta a Dio. Vorrei parlarvi in particolare della preghiera di domanda, di richiesta d’aiuto e di grazie. Ho l’impressione, infatti, che qualcuno possa non sottolinearla abbastanza. Perché? Anche per un motivo assai nobile: essendoci accostati in maniera più profonda alla nostra fede, essendo diventati, in pratica, più religiosi, si è capito che la religione non consiste solamente nell’andare in chiesa a chiedere e chiedere, ma nell’amare Dio e quindi nel donare. E si impegna la propria vita ad attuare tutti quei principi che anche la nostra spiritualità evangelica suggerisce, per fare – come si dice – la nostra parte. È certamente questo un ragionamento più che valido. Tuttavia c’è da fare una considerazione: amare Dio implica osservare tutti i suoi comandamenti. Ebbene, un comandamento che Gesù ripete con insistenza è proprio quello di domandare: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto»[2]. Che dobbiamo fare allora? Chiedere di più e meglio perché Egli vuole così. E anche in questa maniera manifesteremo il nostro amore a Lui. (…) Certamente si prega e ciò vuol dire che non si poggia unicamente sulle proprie forze. Tuttavia possiamo migliorare in due direzioni. In primo luogo, non moltiplicando le preghiere, ma nel renderci meglio conto di ciò che già chiediamo. Riflettiamo un po’ e vedremo quante grazie si chiedono nelle preghiere [che già facciamo]. (…) In secondo luogo, potremo migliorare pregando, come dicono i santi, in modo da ottenere. Si ottiene, se si chiede con la coscienza che nulla possiamo fare da noi e quindi con l’umiltà, con la convinzione che tutto invece possiamo fare con Dio e quindi con la confidenza in Lui; e se si prega con perseveranza: chiedendo sempre con amorosa insistenza come Gesù desidera. Insomma è necessario mettere a fuoco sempre più queste domande, che già facciamo, ed esporle sempre meglio e in modo proporzionato allo sforzo che mettiamo nel vivere il nostro Ideale. Così tutto risulterà più fecondo. E preghiamo finché siamo in tempo. Ricordo sempre quello che ha raccomandato la mamma d’una delle prime focolarine prima di morire: pregate durante la vita perché alla fine non c’è più possibilità.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 16 febbraio 1984) Tratto da: “È amore anche domandare”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 145. Città Nuova Ed., Roma 2019. [1] Mt 5,23-24. [2] Mt 7,7. (altro…)
Apr 24, 2020 | Testimonianze di Vita
“La fede – scriveva Chiara Lubich – è il nuovo modo di ‘vedere’, per così dire, di Gesù” . Con essa possiamo avvicinare Lui in ogni prossimo e comprenderlo in profondità, incontrarlo nel più profondo del cuore. Non ci è mancato nulla Un giorno il padrone dell’azienda presso cui lavoro ha riunito il personale e, dopo aver enumerato i problemi per portarla avanti, ci ha fatto la proposta di ridurre le ore di servizio, con il 30 % in meno di salario, per evitare licenziamenti e continuare a mantenere tutti gli operai. Cosa fare? È stato un momento difficile, considerando che ho una famiglia numerosa e le spese sono tante …ma se questo permetteva a tanti di noi di continuare a lavorare, ho accettato. A casa, mia moglie ed io ci siamo impegnati a fidarci della provvidenza di Dio e abbiamo coinvolto anche i bambini a pregare, non soltanto per i bisogni della nostra famiglia, ma anche per le altre famiglie in difficoltà. Uno dei primi segni che Dio ci aveva ascoltati è stato l’arrivo di una somma che tempo addietro avevo dato in prestito a un amico e che quasi non speravo più di recuperare. Ora che sono passati tanti mesi, ci rendiamo conto che non solo non ci è mancato mai nulla, ma è molto cresciuto il senso di responsabilità nei nostri figli. S.d.O. – Brasile Televendite Il più delle volte mi trovo nella situazione imbarazzante di dover dire di no a un televenditore. Spesso, quelle indesiderate telefonate arrivano nel momento meno indicato della giornata. Nel corso degli anni ho adottato una varietà di risposte che vanno dal fingere un accento straniero e di non capire al solito: «Non ho tempo», riagganciando rapidamente. Ogni volta però che ho usato queste e altre simili tattiche mi sono sentita a disagio, sapendo di aver aggiunto negatività a qualcuno che non ha avuto altra scelta se non lavorare nelle televendite. Che fare allora? Rifiutare delicatamente ma fermamente prima che l’altro faccia le sue proposte, per evitargli di perdere tempo con me? Quando poi mi ricordo che la persona che sta eseguendo quel servizio è sempre un prossimo da amare, più ascolto, più rimango amareggiata quando finalmente devo dichiarare il mio rifiuto. Sto cercando di imparare a dire almeno un veloce «Buona giornata!» prima del clic. C.C. –USA Percepire l’amore Nel mio reparto era stato ricoverato un uomo di 52 anni che si era sparato alla testa per problemi familiari. Per fortuna il cervello non aveva subìto danni, ma gli occhi erano stati compromessi. L’intervento chirurgico fu molto complicato. Nelle visite che seguirono non faceva altro che ripetere di voler morire. Dopo il periodo di terapia intensiva, fu portato nel mio reparto, dove approfittavo di ogni occasione per salutarlo. Un giorno gli chiesi: «Sa chi c’è accanto a lei?». E lui: «Non ci vedo, ma penso sia la dottoressa che mi ha operato. Durante l’operazione ho percepito tanto amore». Gli promisi che avrei fatto il possibile per salvargli almeno un occhio. A conferma di ciò, una mattina mi disse che cominciava a vedere un barlume di luce. La vista migliorò giorno dopo giorno. Qualche mese dopo essere stato dimesso, venne a trovarmi. Era un’altra persona: per lui era cominciata una nuova vita, anche nel matrimonio. Ma soprattutto, diceva, aveva trovato la fede. Gli ho risposto scherzosamente che aveva dovuto perdere un occhio per vederci meglio! F.K. – Slovacchia
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.2, marzo-aprile 2020) I (altro…)
Apr 23, 2020 | Centro internazionale
Un modo inatteso di vivere il centenario di Chiara Lubich. L’intervento di Maria Voce su “Osservatore Romano”. 02 aprile 2020
«Celebrare per incontrare» è il motto che, come Movimento dei Focolari, abbiamo scelto per ricordare nel 2020, in tutto il mondo, i 100 anni dalla nascita della nostra fondatrice Chiara Lubich. Fino a poche settimane fa questo motto ci sembrava una scelta azzeccata per celebrare, nelle modalità più varie, la persona della nostra fondatrice e il carisma che Dio le ha donato e che lei ha trasmesso generosamente. Desideriamo infatti che le persone la incontrino viva oggi e non la evochino come un ricordo nostalgico; che la ritrovino nella sua spiritualità, nelle sue opere e soprattutto nel suo “popolo”, cioè in quanti vivono nel presente il suo spirito di fraternità, di comunione, di unità. E a partire dal 7 dicembre 2019 abbiamo gioito per i tantissimi eventi che si sono svolti in tutto il mondo. Avremmo voluto che la festa continuasse. Ma in poco tempo lo scenario è cambiato e il motto «celebrare per incontrare» rischia di apparire anacronistico: anche noi abbiamo sospeso ogni tipo di celebrazione o evento. La pandemia causata dal coronavirus sta costringendo sempre più Paesi su tutto il pianeta a misure drastiche per rallentarne il contagio: l’isolamento e la lontananza fisica sono per ora gli strumenti più efficaci. Lo dimostrano i segnali che ci stanno arrivando dalla Cina, che per settimane abbiamo accompagnato con trepidazione. Ma qui in Italia e in diversi altri Paesi del mondo la situazione è ancora molto seria.

© Horacio Conde – CSC Audiovisivi
Per molti di noi che viviamo in isolamento è un’esperienza totalmente nuova. Essa non ha solo una dimensione sociale o psicologica, ma anche una forte ripercussione spirituale. Ciò vale per tutti e in modo particolare per i cristiani. Una situazione che tocca anche nell’intimo la nostra specifica spiritualità come Focolari. Noi siamo fatti per la comunione e l’unità. Saper creare rapporti è forse la qualità più caratteristica di una persona che ha conosciuto e accolto lo spirito di Chiara. E proprio questa dimensione ora sembrerebbe limitata al massimo. Ma l’amore non si lascia limitare. È questa la grande esperienza che si sta facendo in questi giorni drammatici e dolorosi. Più che mai e da ogni dove mi arrivano testimonianze di persone che mettono in moto la creatività e la fantasia, e che sono in donazione verso gli altri anche in condizioni difficili e insolite: bambini che raccontano i piccoli-grandi atti di amore per superare le difficoltà del dover restare a casa; ragazzi che si mettono in rete per creare una staffetta di preghiera; imprenditori che vanno controcorrente per non approfittare dell’emergenza, ma anzi mettersi al servizio del bene comune anche a scapito del guadagno personale. Sono molti i modi con i quali si cerca di offrire sostegno e conforto: con la preghiera prima di tutto; con una telefonata, un messaggio WhatsApp, una mail…, perché nessuno si senta solo, quelli che sono a casa, ma anche gli ammalati e quanti si prodigano per curare, consolare, accompagnare coloro che subiscono le conseguenze di questa situazione. E poi ci sono messaggi di solidarietà che ci aiutano a spalancare il cuore anche oltre l’emergenza coronavirus, come quello dei giovani in Siria che, nonostante le loro drammatiche condizioni, trovano la forza di pensare a noi in Italia. Sono i giovani a insegnarci che queste esperienze condivise sui social media si possono moltiplicare, perché anche il bene può essere contagioso. Attraverso queste testimonianze è maturata in me una convinzione: il centenario di Chiara Lubich non è sospeso e il motto «Celebrare per incontrare» è più attuale che mai. È il nostro Padre nel cielo però, o forse anche la stessa Chiara, che ci invita a vivere questo anno giubilare in una maniera più profonda e più autentica. Al di là dei condizionamenti, anche nell’impossibilità di celebrare insieme l’eucaristia, stiamo riscoprendo la presenza di Gesù, viva e forte nel Vangelo vissuto, nel fratello che amiamo e in mezzo a quanti — anche a distanza — sono uniti nel suo nome. Ma in modo particolare la nostra fondatrice ci fa riscoprire il suo grande amore, il suo sposo: Gesù Abbandonato — «il Dio di Chiara», come ama definirlo monsignor Lauro Tisi, l’arcivescovo di Trento. È il Dio che è andato al limite, per accogliere in sé ogni esperienza limite e darle valore. È il Dio che si è fatto periferia per farci capire che anche nella più estrema esperienza possiamo ancora incontrare Lui. È il Dio che ha fatto sua ogni sorta di dolore, di angoscia, di disperazione, di malinconia, per insegnarci che il dolore accettato e trasformato in amore è fonte inesauribile di speranza e di vita. Ecco la sfida di questa emergenza planetaria: non sfuggire, non cercare soltanto di sopravvivere per arrivare sani e salvi al traguardo, ma radicarci bene nel presente, guardando, accettando e affrontando ogni situazione dolorosa — personale o di altri — per farne un luogo di incontro con “Gesù Abbandonato” e trovare, nell’amore per Lui, la forza e la creatività di costruire rapporti di fraternità e di amore anche in questa difficile situazione. Per Chiara ogni incontro con “lo Sposo”, con Gesù Abbandonato, era festa, era celebrazione. Incontrando Lui — ne sono convinta —, incontreremo anche lei perché impareremo, come ha cercato di fare lei, a guardare ogni situazione con gli occhi di Dio. Forse anche noi potremo ripetere l’esperienza di Chiara e delle sue compagne, che non si erano “quasi” accorte né della guerra né della sua fine, perché, prese da Dio e dal suo amore, sentivano che la realtà che vivevano, l’amore concreto che circolava tra loro e con tanti nella loro città, era più forte di tutto. Non sappiamo quanto durerà questa emergenza: saranno forse settimane o mesi. Comunque passeranno. Il mondo che troveremo alla fine del tunnel, lo stiamo costruendo adesso.
di Maria Voce
Fonte Osservatore Romano – https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/radicarci-bene-nel-presente.html (altro…)
Apr 22, 2020 | Vite vissute
All’età di 99 anni il 17 marzo è scomparsa Regina Betz, focolarina tedesca, professoressa di sociologia, pioniera dei Focolari in Germania e in Russia, appassionata di ecumenismo e dell’impegno per il rinnovamento cristiano della società. Era sempre di corsa. Da quando ho conosciuto Regina Betz, la ricordo con un passo accelerato. Non come qualcuno che si sente sospinto o inseguito, ma piuttosto come qualcuno cha ha una meta da raggiungere e non vuole perdere tempo inutile. Se invece si fermava con te, era pienamente presente: con quello sguardo sveglio e vivace, con quell’ inconfondibile sorriso, un po’ birichino, che ti illuminava una giornata intera. Regina Betz ne ha avute di cose da fare nella vita. Nata prima di due figli a Göttingen (Germania) in una famiglia cattolica cresce in una zona a maggioranza luterana con un ecumenismo naturale, rafforzato ulteriormente dalla comune resistenza al nazionalismo di Hitler. Avendo passato, durante la seconda guerra mondiale, alcuni anni in Italia, si stabilisce – dopo gli studi in economia sociale – per tre anni (1955-1958) a Roma per lavorare al Pontificio Consiglio per i laici. Qui conosce il Movimento dei Focolari e rimane colpita da “una luce ed una forza”, come scriverà più tardi in un suo libro (1). Per scoprirne il segreto partecipa alla Mariapoli del ’58 ed incontra – come racconterà – dei “cristiani, che volontariamente vivevano l’unità” ed il modello di una “nuova ed umana società”. “Finalmente avevo trovato – commenta – quanto stavo cercando da tanto tempo. Dentro di me un canto di giubilo”. Rientrata in Germania, dove non c’era ancora il focolare, continua il suo lavoro nella Chiesa e fa importanti viaggi in Asia e Sud America. Nel ’66 è tra le volontarie del Movimento dei Focolari quando riceve l’invito ad insegnare sociologia alla scuola di formazione di Loppiano (Italia), dove si sente spinta di entrare – all’età di 46 anni – come consacrata nel focolare. Gli anni dal ’68 fino al ’90 la vedono professoressa di sociologia a Regensburg (Germania) e come collaboratrice dell’ “Istituto per le Chiese orientali” che le permette di incontrare i cristiani dell’Est-Europa e fare viaggi in vari Paesi dei Balcani, in Bulgaria e in Romania. Rimane particolarmente impressionata dall’entusiasmo di giovani comunisti spinti nel loro agire dall’amore per i più piccoli. Nel 1989 le viene offerto un lavoro in ambito accademico a Mosca e ciò rende possibile aprire il focolare. „La vita a Mosca – commenta – si è rivelata come una vita dell’insieme: l’insieme nel focolare, l’insieme con tanti russi che venivano a conoscere la nostra vita. Ho conosciuto un po’ l’anima russa, piena di generosità, di cordialità. Ho sperimentato un’ospitalità grandiosa dove si condivideva tutto. Niente strutture, ma tanti amici“. La fioritura della vita intorno al focolare ha, però, un prezzo. Come mi ha confidato personalmente, Regina ci teneva, che dopo la sua morte, parlando di lei, venisse comunicata anche la parte “buia” della sua vita: “Non ho più nulla da dare – scriveva in un diario di quel periodo – però mi è di consolazione sapere Lui con me nel buco … Per me ogni attimo è faticoso, ho paura e non riesco immaginarmi di poter ancora concludere qualcosa”. Nel 2008 Regina ritorna in Germania, nella Cittadella ecumenica di Ottmaring. Sono anni caratterizzati da rapporti con le persone più varie, coltivati con visite e con migliaia di lettere, scritte a mano e ricche di sapienza. Con attenzione e condivisione segue gli eventi della Chiesa e della società. E anche nel venire meno delle forze è fedele alla Parola di Vita personale che aveva ricevuto Chiara Lubich: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25)”. “Quante volte ho lasciato tutto per ricominciare da un’altra parte! E quanto vi ho guadagnato: quante esperienze, quanta conoscenza della vita di Paesi e culture, quanti rapporti con innumerevoli persone!” Il 17 marzo Regina Betz ha terminato la sua corsa ed ha lasciato definitivamente tutto. Sono sicuro che ha trovato una vita inimmaginabile.
Joachim Schwind
(1) Regina Betz, Immer im Aufbruch, immer getragen, Verlag Neue Stadt, München 2014. (altro…)
Apr 20, 2020 | Chiara Lubich
Il seguente scritto di Chiara Lubich tocca un argomento che anche l’attuale pandemia ha messo tanto in evidenza: quello del dolore. Ci aiuta a cogliere in esso una misteriosa presenza di Dio al cui amore nulla sfugge. Questo sguardo genuinamente cristiano infonde speranza e ci sprona a fare nostro ogni dolore, quello che ci tocca direttamente come pure il dolore di quanti ci circondano. (…) La sofferenza! Quella che investe totalmente a volte le nostre persone o quella che ci sfiora e mescola l’amaro con il dolce nelle nostre giornate. La sofferenza: una malattia, una disgrazia, una prova, una circostanza dolorosa… La sofferenza! Come vedere questo fatto, (…) che è sempre pronto ad apparire in ogni esistenza? Come definirlo, come identificarlo? Che nome dargli? Di chi è la voce? Se guardiamo con occhio umano la sofferenza, siamo tentati di cercarne la causa o in noi, o fuori di noi, nella cattiveria umana ad esempio, o nella natura, o in altro (…) E tutto ciò può essere anche vero, ma, se pensiamo solo in tal modo, dimentichiamo il più. Ci scordiamo che dietro la trama della nostra vita sta Dio con il suo amore, che tutto vuole o permette per un motivo superiore, che è il nostro bene. Per questo i santi prendono ogni avvenimento doloroso, che li colpisce, direttamente dalla mano di Dio. È impressionante come non si sbaglino mai in ciò. Per loro il dolore è voce di Dio e null’altro. Essi, immersi come sono nella Scrittura, comprendono cos’è e cosa deve essere per il cristiano la sofferenza; colgono la trasformazione che Gesù vi ha operato, vedono come egli l’ha tramutata da elemento negativo in elemento positivo. Gesù stesso è la spiegazione del loro patire: Gesù crocifisso. Per questo è persino amabile, è addirittura cosa buona. Per questo non lo maledicono, ma lo sopportano, lo accettano, lo abbracciano. Apriamo del resto anche noi il Nuovo Testamento e ne avremo la conferma. Non dice san Giacomo nella sua lettera: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove»[1]? Il patire dunque è addirittura motivo di gioia. Gesù, dopo averci invitati a prendere la nostra croce per seguirlo, non afferma forse: Perché «chi avrà perduto la sua vita» (e questo è il colmo del patire) «la troverà»[2]? Il dolore è quindi speranza di salvezza. Per Paolo poi il patire è addirittura un vanto, anzi l’unico vanto: «Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo»[3]. Sì, il patire, per chi lo considera nell’ottica cristiana, è una grande cosa; è addirittura la possibilità di completare in noi la passione di Cristo per la nostra purificazione e per la redenzione di molti. Che dire, allora, oggi, ai nostri che si dibattono nella sofferenza? Che augurio far loro? Come comportarci nei loro riguardi? Avviciniamoli anzitutto con sommo rispetto: anche se ancora forse non lo pensano, essi sono in questo momento visitati da Dio. (…) Assicuriamoli anche del nostro continuo ricordo e della nostra preghiera, perché sappiano prendere direttamente dalle mani di Dio quanto li angustia e li fa soffrire e lo possano unire alla passione di Gesù, onde sia potenziato al massimo. Aiutiamoli poi ad avere sempre presente il valore della sofferenza. E ricordiamo loro quel meraviglioso principio cristiano della nostra spiritualità, per il quale un dolore amato come volto di Gesù crocifisso e abbandonato si può tramutare in gioia.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 25 dicembre 1986) Tratto da: “Natale con chi soffre”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 265. Città Nuova Ed., Roma 2019. [1] Gc 1, 2. [2] Mt 10, 39. [3] Gal 6, 14. (altro…)